Icaro. Le ali della resilienza
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Book preview
Icaro. Le ali della resilienza - Alessandro Ghinelli
Seme
I
Mi chiamo Nicola Cristicchi, ho 23 anni e sono un educatore socio-pedagogico.
Mi sono sempre piaciuti i bambini, ho fatto l’animatore negli alberghi: musica, palloncini, barzellette e truccabimbi.
A Ikea giravo vestito da pirata accompagnato da una fantomatica Trilli che avevo catturato e riposto in una teca per impedirle di fuggire, la teca si era rotta, lei era uscita, ci eravamo conosciuti e, sapete, non era male! Così siamo diventati migliori amici.
I bambini ci vedevano, noi li facevamo ridere e correvano a riempire i lunghi tavoli pieni di pagnottine di pasta di sale, davano forma a pesci, animaletti di ogni genere e poi li coloravano. Era molto divertente.
Ho lavorato nei centri estivi, certo anche lì si giocava e bisognava insegnare delle regole, si doveva anche far fare i compiti un’oretta al giorno, dopo pranzo; i bambini con la digestione un po’ più lenta si addormentavano, io li lasciavo dormire e andavo avanti con gli altri. Ma loro dormono maestro, non è giusto!
e io rispondevo: Voi siete svegli, è giusto che facciate i compiti, loro invece sono molto stanchi... vedrete quando si svegliano, ve la faranno vedere a tutti!
.
C’è chi nasce con un’anima di ferro, chi con un’anima di bronzo, chi con un’anima d’argento e chi con un’anima d’oro, sosteneva Platone. Il suo era un discorso molto strutturato e complesso, fatto di gerarchie e di capacità: per governare ci vogliono gli uomini con l’anima d’oro, i filosofi, diceva, per difendere lo Stato ci vogliono gli uomini con l’anima d’argento, i guerrieri, per lavorare ci vogliono gli uomini con l’anima di bronzo e di ferro, rispettivamente gli artigiani e i contadini.
E poi c’era tutto un discorso sulle parti dell’anima, per cui i filosofi devono comandare perché hanno la parte razionale più sviluppata, i guerrieri devono difendere lo Stato perché hanno la parte dell’anima irascibile più sviluppata, infine gli artigiani e i contadini devono lavorare perché hanno la parte concupiscibile più sviluppata.
Io non so sinceramente con che tipo di anima sia nato, so di essere una persona intelligente e sensibile, con un carattere magari un po’ particolare ma con un grande senso di giustizia e di amore, soprattutto verso le persone più deboli, che vivono una condizione di infelicità e svantaggio, per cui io posso fare la differenza; magari non gli restituirò quello che gli manca, è impossibile, ma di certo farò di tutto per rendere la loro vita migliore. E se il segreto della felicità, come diceva Aristotele, consiste nella virtù, cercherò di renderli saggi e virtuosi, allora saremo tutti più felici.
Non so bene in quale categoria inserire la mia anima, secondo lo schema di Platone probabilmente qualcuno mi potrebbe dire: Nella prima certamente!
. Io gli risponderei: Io non voglio stare tutto il giorno con persone sagge e intelligenti che sanno già tutto e fanno lavorare gli altri, io voglio lavorare e stare con gli altri, io voglio sporcarmi le mani nel fango… certe sottigliezze della mente nemmeno le comprendo!
.
C’è chi nasce medico, chi ingegnere, chi pompiere, chi vigile urbano e via dicendo.
Oggi bisogna essere molto flessibili, è un attimo avere un’anima e trovarsi a dover fare un altro mestiere: Scusi, io ho l’anima da medico ma faccio il pompiere, non è che si è liberato un posto per caso?
, Guardi, lei intanto continui a fare quello che sta facendo, se le piace, altrimenti, vediamo… vediamo un po’... oh caspita, si è appena liberato un posto da giardiniere!
.
Siamo in tanti e dobbiamo adattarci alle situazioni e saper fare un po’ di tutto.
Io ad esempio sono nato con un’anima da educatore.
Ho capito che il cuore non basta per aiutare chi si trova in difficoltà, ma ho anche capito che il primo a dover aiutare ero io.
Sto provando con tutte le energie a fare questo mestiere: ho studiato tanto, ho lavorato tanto su di me, l’unica cosa di cui sono convinto nel profondo del cuore è che io posso risollevare veramente chi per tanti motivi non riesce ad apprezzare la vita, perché ho sempre creduto in me stesso, anche quando non ci credeva nessuno.
Un giorno, tanto tempo fa, mi sono guardato bene allo specchio, ho dato due pugni nei guantoni e mi sono detto: Ancora uno! Ancora uno!
. Tutte le volte che sono caduto mi sono sempre rialzato, anche quando tutti dicevano: È finita per lui, non c’è più speranza!
.
Io piano piano mi avvicinavo alle corde e mi tiravo su. E stavo lì, di fronte a tutti, con la faccia livida, piena di tagli e grossi ematomi, sfinito ma comunque in piedi. Caspita! Ce l’ha fatta un’altra volta
, Tranquillo, vedrai che è l’ultima!
. Invece a ogni match diventavo sempre più forte, ma nessuno poteva immaginarselo; diventavo più capace di mettere a segno i colpi giusti, più rapido nell’indietreggiare, più scattante nell’avanzare senza mai abbassare la guardia. Quando cadevo, mi rialzavo sempre più velocemente, con più convinzione e determinazione: Guarda, sembra Rocky, vuoi vedere che ce la fa anche questa volta?…
, Sì, anche per me ce la fa!
.
Mi si potrebbe domandare: Allora, sei un pugile?
.
Io risponderei sempre allo stesso modo: No, sono un educatore
.
II
«Dispari o pari?»
«Dispari.»
«Pari.»
«But-tia-mo-giù-le-pal-le-di-King-Kong.»
«Dispari.»
«Ok, noi scegliamo la palla.»
«Noi il campo, questo qua.»
L’atmosfera si tagliava col coltello.
A ogni passo, le due sagome diventavano più nette e definite, più terribili e minacciose… fin dai primissimi istanti ero stato assalito da una profonda inquietudine. Ora che mi erano di fronte tergiversavo, cercando il modo di non scendere allo scontro.
Il capo mi tende la mano: «Piacere Marco, lei è mia sorella Giulia. Abbiamo visto che avevate la palla, ci state a fare una partita?».
In fondo è solo una partita a calcio, sono due bambini mi dico.
«Tu giochi a calcio in una squadra?»
«L’altr’anno, adesso gioco ogni tanto con gli amici.»
«E tu invece? Tu piccolina no scommetto, magari hai dato qualche calcio al pallone per far contento tuo fratello, quando non c’erano i suoi amici.»
«Mhmmmm, ogni tanto gioco, non mi dispiace!»
Mi sentivo carico come alla finale del campionato under 12, quando, alla fine del torneo, ho vinto la coppa come miglior cannoniere. Guardo il mio compagno di squadra per prendere un po’ di sicurezza. Mhmmmm penso, speriamo bene!
Mi giro, mi rigiro, cerco ancora il suo sguardo, è sfuggente, forse è un po’ teso, devo caricarlo.
«Ehi, Tutto bene? Dai che iniziamo!»
«Tutto bene Nicola!»
«Mi raccomando, tu sei il cannoniere! Io ti passo la palla e tu tiri a bomba nella porta avversaria, ok?»
«Ok Nicola.»
La superficie del campo è perfetta, l’erba è ben tagliata, bellissima! Profuma dei grandi incontri, sembra il Maracanã...
Da piccolino avevo la maglia di Ronaldo il Fenomeno
, adesso, di lui, mi rimane la pancia e forse qualche scatto dei tempi migliori, devo dosare bene le energie se non voglio finire come l’ultima volta alla partitella con gli amici. Mi sono venuti i crampi ai polpacci così forti da urlare.
Il mio compagno è alla mia sinistra, lo guardo, adesso che siamo schierati due contro due è più concentrato, ha la faccia cattiva, sembra Taribo West ai tempi dell’Inter… piccolo, bianco e senza le treccine, ma pur sempre cattivissimo.
Raccolgo la palla, la sistemo a metà campo. «Tu presidia l’attacco, io penso alla porta e alla difesa, ricordatelo» gli dico.
Poi guardo la loro porta, i 2 alberi sono distanti circa tre metri, guardo la mia, tra la maglia e il cappellino ci saranno 6 metri. «Marco ma come hai fatto a fare la nostra porta?! È il doppio della vostra!»
«Ma tu sei più grande?»
«Ho capito, ma sono vecchio e lento… adesso come la mettiamo?»
«Ok, allora accorciala!»
Sistemo la porta, torno a metà campo. «Marco e Giulia, non potete starci così vicini, non riesco a passargli la palla. Andate un po’ più indietro.»
I due diavoletti scalpitano all’idea di farci fare una figuraccia. Sono agguerritissimi. Marco magro, biondino e altissimo per la sua età, sembra Van Basten; Giulia è la classica bambina bionda con le treccine e gli occhioni azzurri che sembra dolcissima e poi invece è una peste, sembra Trixie di Piccola peste torna a far danni.
Quando siamo pronti dico: «Via!».
Dopo dieci minuti sta già 5 a 0 per loro e sono sudato fradicio. «Ehi mio compagno di squadra, muoviti! Ti voglio più attivo, ce le stanno suonando di santa ragione i due fratelli del goal.»
«Ok!»
Parto dalla mia porta, il pallone mi sta incollato ai piedi, mi sento come ai tempi d’oro, quando il mister mi disse: Prendila tu la maglia numero 10, sei il nostro Roberto Baggio
e io gongolavo. Faccio una veronica, poi due doppi passi, lascio Marco sul posto, l’ho ipnotizzato con quelle finte come un incantatore fa coi serpenti; sono a tu per tu con Giulia, la porta è davvero a un passo, lei mi viene incontro come un difensore esperto, non si lascia intimorire dalla mia stazza, mi costringe a difendere la palla come Bobo Vieri. Alzo lo sguardo per vedere dov’è il mio compagno, lo individuo, è in posizione favorevole, di lì il suo mancino non può sbagliare. «Ehi, sei pronto? Adesso te la passo...»
Tac, un piatto vellutato e la palla scivola tra i suoi piedi, la stoppa, si posiziona, gli dico: «VAI, VAI!». Lui prende la rincorsa e sbam!... con la punta del piede caccia un siluro rasoterra che va a infilarsi nell’angolino destro, degno davvero del miglior Ronaldo.
Gli vado incontro, ci abbracciamo, esultiamo come se avessimo vinto la finale di Coppa dei Campioni, lo alzo gridando: «Ce l’ha fatta! Ce l’ha fatta!». Marco e Giulia non se l’aspettavano, ci guardano malissimo.
«Adesso che siamo entrati in partita, gliela facciamo vedere noi di che pasta siamo fatti, ok?»
«Ok.»
«Vieni qua, batti un cinque!»
III
Luca ha 9 anni e mezzo, mi viene presentato da una psicologa, lo incontro per la prima volta a casa sua. È un bambino splendido, ogni tanto mi fermo a guardarlo, gira su se stesso roteando come un derviscio, la madre gli dice di calmarsi un po’, ma lui niente, continua imperterrito come se niente fosse.
La psicologa mi dice che soffre di iperattività, io lo osservo, non sta buono un attimo, continua a roteare, poi cammina muovendosi in modo frenetico, si avvicina alle cose, le tocca, la madre gli dice di venire vicino a me perché parlano di lui e c’è un ragazzo che è venuto apposta per conoscerlo, ma lui niente, non ne vuole sentire. Lo vedo sparire lungo il corridoio, poi improvvisamente ricompare, poi si butta sul divano, si stende, rotola su se stesso, poi si mette