Peccato con il greco: Harmony Collezione
By Julia James
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Julia James
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Peccato con il greco - Julia James
successivo.
Prologo
La camera era ancora immersa nella penombra e la luce dell'alba filtrava appena attraverso i tendaggi spessi. Con il passo un po' incerto, Talia s'impose di raggiungere la porta. Le sembrò che ogni cellula del suo corpo fosse in rivolta, eppure doveva farlo.
Sparire.
Lasciare lì l'uomo che dormiva ancora, nudo, con l'ampio torace muscoloso che lei aveva ricoperto di carezze, nella notte.
Si sentì lacerare dal dolore. Allontanarsi da lui... dal primo e unico uomo che le avesse fatto dimenticare ogni cosa per schiuderle le porte di un paradiso di cui lei non aveva mai nemmeno immaginato l'esistenza. L'uomo che in poche ore celestiali le aveva fatto balenare la speranza di un futuro meraviglioso e insospettato.
Una fuga... sacrosanta, avventurosa e magica, dalla prigione in cui era rinchiusa.
Quella prigione cui adesso, invece, stava facendo ritorno.
Non c'era altro da fare.
Talia abbassò la maniglia cercando di non fare il minimo rumore, e sentì il cellulare vibrare all'interno della borsetta da sera. Il richiamo alla prigione nella quale doveva vivere.
Un coltello che girava nella piaga. Una beffa, nei riguardi della notte appena passata. Ore magiche che lei aveva trascorso tra le braccia di un uomo cui era bastato uno sguardo per farle dimenticare ogni cautela, per spingerla a consegnargli tutta se stessa senza la minima esitazione.
Erano fuggiti insieme dalla festa, persi l'uno negli occhi dell'altro, esultando per quella passione travolgente che li consumava. Una sensazione mai provata prima e che, almeno per lei, andava ben al di là della semplice attrazione fisica.
Quella notte c'era stato molto di più di una semplice fusione di corpi nel fuoco incandescente del desiderio. Una conversazione fluida, molti sorrisi complici e una comunicazione così immediata e naturale da riempirla di calore e gioia...
Il pensiero la fece quasi piangere di disperazione, con gli occhi che faticavano a staccarsi dall'immagine dell'uomo addormentato nel letto. Un uomo che, lo sapeva, non avrebbe mai più potuto rivedere.
Mai più, si ripeté.
E l'angoscia rischiò di soffocarla. Non aveva nessuna possibilità di fare davvero ciò che si erano promessi nell'euforia di quelle magiche ore d'amore.
«Vieni via con me» le aveva detto lui, con gli occhi che scintillavano. «Questa notte è solo l'inizio. Vieni con me ai Caraibi. Avremo mille isole da esplorare insieme.»
Talia sentiva ancora la sua voce, calda e vibrante.
Si portò una mano alla bocca per soffocare un singhiozzo. Impossibile. No, non poteva andare via con lui.
Lei non poteva fare niente di diverso da ciò che stava per fare. Sparire.
1
La sera precedente
Luke Xenakis alzò lo sguardo sul magazzino in stile vittoriano convertito in edificio residenziale, nella vecchia zona portuale di Londra. Era andato lì dal centro, dopo l'incontro decisivo con il suo agente, un incontro che aspettava da dieci, lunghissimi anni. E finalmente aveva ottenuto ciò che voleva.
Si sentì prendere da una grande emozione. Era dunque riuscito a stringere il suo nemico alla gola.
Occhio per occhio. Una vita per un'altra vita.
I suoi avi non avrebbero avuto esitazioni a eseguire la sentenza alla lettera. Luke abbozzò una piccola smorfia ed entrò nell'edificio. Vivendo ora in tempi più civili, c'erano altri modi per ottenere giustizia. E lui sapeva per certo che a breve sul suo nemico si sarebbe abbattuta un'indiscutibile vendetta.
Entro ventiquattro ore avrebbe fronteggiato la rovina.
Sarebbe stato spazzato via finanziariamente.
Sul viso di Luke la smorfia divenne un sorriso, gelido e crudele.
Salì le scale di ferro fino al loft dell'ultimo piano, da cui sentiva già arrivare musica e voci.
Proprio quello di cui aveva bisogno per sgombrare la mente da tutti i pensieri.
Era l'alba di una nuova vita.
Talia esitò e si fermò per un attimo davanti all'ingresso del loft. Era proprio necessario partecipare alla festa? Scrollò le spalle.
Sì, accidenti! Ne ho bisogno.
Quella sera, anche solo per poco, voleva distrarsi e dimenticare le pressioni che sentiva su di sé... e che non facevano che aumentare.
Sospirò. Sua madre, povera donna, continuava a sopportare il pessimo carattere del marito, il padre di Talia, che negli ultimi tempi era diventato ancora più dispotico. Lei non aveva idea del perché e non voleva saperlo. Le bastava spendere tutte le proprie energie per placarlo, in modo che non se la prendesse con sua madre.
Era una situazione logorante e senza via d'uscita, rifletté sconsolata. Se lei non avesse continuato ad assecondarlo, suo padre avrebbe reso la loro vita un inferno.
Così, continuerò a essere Natasha Grantham, figlia devota del ricchissimo magnate Gerald Grantham, della Grantham Land L.T.D. Sarò il marchio di fabbrica della compagnia, insieme a mia madre, la raffinata signora Grantham, nella lussuosa residenza sulle rive del Tamigi e nella villa ancora più sontuosa di Marbella. Per non parlare di tutte le prestigiose proprietà sparse per il mondo, le auto costose, lo yacht e il jet privato... Tutto scelto ad arte per far morire d'invidia il prossimo.
A suo padre non importava altro. Si preoccupava del proprio successo e della propria immagine, non certo del bene di sua moglie e della figlia.
La cosa peggiore, pensò Talia, era che sua madre continuava a credergli e a scusarlo per i suoi odiosi comportamenti. Secondo lei il povero Gerald era un uomo oberato dal lavoro e dalle responsabilità, ma devoto alla famiglia. Secondo Talia, suo padre era devoto soltanto a se stesso.
Di sicuro, considerava lei e sua madre come delle proprietà, utili solo a fargli da cornice. Riteneva che il dovere di Maxine, sua moglie, fosse di recitare la parte dell'impeccabile padrona di casa. Quando a lei, Natasha, pretendeva che lavorasse come architetto d'interni per le molteplici sedi della compagnia e presenziasse in sua vece a un numero infinito di eventi pubblici che lui detestava. In cambio, le consentiva di vivere a sue spese in uno dei molti appartamenti di Londra, con un appannaggio fisso per le spese di guardaroba.
Negli occhi di Talia passò un'ombra. Il mondo la vedeva come una ricca ereditiera, viziata da un padre generoso che stravedeva per lei... ma la realtà era ben diversa. Lei era solo una pedina in un gioco crudele, in una farsa di cui suo padre controllava con pugno di ferro ogni impercettibile aspetto.
Ritagliarsi dei piccoli spazi di fuga era diventato un lusso prezioso. Come quella sera. Talia aveva accettato d'impulso, cosa che non era da lei, l'invito informale a una festa da parte di un'arredatrice che conosceva. Era molto raro che succedesse. Di solito, quando si ritrovava ad avere una serata libera, restava in casa o al massimo andava al cinema o a teatro con un'amica, a volte anche da sola.
Mai con un uomo.
Non accettava appuntamenti. Le era successo una volta sola, a vent'anni. Suo padre l'aveva scoperta con un ragazzo e aveva usato tutta la propria influenza per rovinarlo. Poi gliel'aveva detto, e lei aveva imparato la lezione.
Adesso, a ventisei anni, le pesava accettare l'idea di non avere una relazione, di non poter scegliere chi frequentare. Tutt'attorno a lei la gente ballava, si divertiva, flirtava... Talia sentì crescere l'inquietudine.
Per quanto tempo ancora potrò sopportare una vita di questo tipo?
La gabbia in cui era reclusa non le era mai sembrata così insopportabile. Non si era mai sentita tanto in trappola, e impaziente di evadere.
E quella sera l'avrebbe fatto, si sarebbe buttata e avrebbe ballato per tutta la notte. Sua madre era nel grande palazzo sul Tamigi e suo padre all'estero, probabilmente con una delle amanti.
Più sta lontano e meglio è!
Talia trasse un gran respiro e fece un passo avanti. In fondo alla grande sala, oltre la folla e le intelaiature d'acciaio del loft, vide un'area adibita a bar.
Mentre cercava di arrivarci, sfiorando gli altri invitati, avvertì molti sguardi maschili concentrati su di sé. Una sensazione familiare, perché era proprio questo che voleva suo padre, che tutti ammirassero i suoi folti capelli ramati, i lineamenti delicati e la pelle di porcellana. Era una giovane donna bellissima e decorativa, ed era sua figlia.
Di solito vestiva come voleva lui, con abiti e indumenti che per lei avevano troppi fronzoli. Ma quella sera aveva sfidato le regole e fatto di testa propria. Talia scrollò appena la testa, assaporando la carezza dei lunghi capelli sciolti, che non aveva raccolto in uno chignon come di solito. Il trucco per una volta era audace come la schiena e le spalle nude, gli occhi magnetici, la bocca di un rosso acceso.
L'abito era molto aderente e abbastanza corto da mettere in risalto le lunghe gambe affusolate. Lo aveva comperato d'impulso quel pomeriggio, in una boutique di abiti di seconda mano che frequentava di nascosto, per risparmiare sull'entrata mensile che suo padre le passava per il guardaroba. Così, pian piano, era riuscita a mettere insieme un piccolo gruzzolo su un conto personale di cui non era a conoscenza nessuno.
Magari un giorno sarebbe riuscita a spiccare il volo verso la libertà...
Si sforzò di non pensarci in quel momento, perché era solo un sogno, e si concentrò nel tentativo di raggiungere il bar. Camminare sui tacchi alti la costrinse a ondulare i fianchi. Raggiunse il banco e appoggiò sul piano liscio la mano ingioiellata. Voleva da bere. Non da ubriacarsi, solo quanto bastava a compiacere se stessa. A lasciarsi un po' andare. Ad allentare le infinite pressioni della sua vita.
A vivere per se stessa, almeno una volta.
«Uno Spritz bianco, grazie» ordinò al barman con un sorriso.
«E già che ci sei anche uno Sloe Gin per me, grazie.»
La voce sbucata dal nulla alle sue spalle era profonda e con un lieve accento... Talia si ritrovò a girarsi, poi si immobilizzò.
L'uomo in piedi lì vicino era molto alto e così attraente da risvegliare l'attenzione di qualunque donna, non solo la sua.
Capelli e occhi scuri, il mento deciso e la bocca scolpita sotto un naso affilato, grandi spalle e petto ampio, fianchi stretti e gambe lunghissime.
L'uomo spostò gli occhi dal barman a lei e Talia sentì dentro di sé una reazione ancora più viscerale. Il lampo che colse nel suo sguardo le fece capire che anche a lui piaceva ciò che vedeva e non faceva alcun tentativo per nasconderlo. Lasciò che quegli occhi appena rischiarati da luminose pagliuzze dorate si posassero su di lei con un'inattesa intensità che la fece fremere.
Era come se lui sapesse già che quell'approvazione le avrebbe fatto piacere e si aspettasse anche di essere ricambiato.
Come se non avesse idea del fatto che lei era la figlia di Gerald Grantham e non aveva il permesso di seguire le proprie inclinazioni, quali che fossero, qualunque desiderio un uomo come lui potesse risvegliarle dentro.
Talia sentì un brivido percorrerla da capo a piedi, un flusso ardente di cui fu subito consapevole, sotto quello sguardo. Sentì i capezzoli inturgidirsi, i lunghi capelli accarezzarle la schiena nuda...
Le mancò il fiato. Un po' per la sorpresa di quella reazione così incontrollata, e un po' perché lui continuava a guardarla. Sapeva che quella inspiegabile reazione fisica era quasi impossibile da nascondere.
Che cosa mi succede?
Poche parole che le riverberarono nella coscienza. Non aveva mai sperimentato niente di simile.
Notò che lui non faceva alcuno sforzo per nascondere la propria ammirazione. Lo vide stendere la mano e prendere il bicchiere che il barman gli aveva messo davanti.
«A una serata diventata all'improvviso molto più interessante» disse, facendo tintinnare il bicchiere contro quello di lei.
Il lampo che gli passò negli occhi non lasciò dubbi sulle sue intenzioni.
Per un istante Talia sentì dentro di sé uno strano vuoto, come se qualcosa le impedisse di spezzare l'incantesimo di quello sguardo.
Buon Dio, che cosa ha quest'uomo per farmi reagire così?
Con uno sforzo s'impose un minimo di contegno e senza rispondere, cosa che