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Arsenio Lupin contro Herlock Sholmès
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Arsenio Lupin contro Herlock Sholmès

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Arsenio Lupin contro Herlock Sholmès è una raccolta di due storie scritte da Maurice Leblanc sulle avventure che vedono contrapporsi Arsenio Lupin ed Herlock Sholmès. Segue a Arsenio Lupin, ladro gentiluomo, specialmente al penultimo racconto Herlock Sholmès arriva troppo tardi.

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateMay 13, 2021
ISBN9781667400471
Arsenio Lupin contro Herlock Sholmès

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    Arsenio Lupin contro Herlock Sholmès - Jonathan LAMARQUISE

    Maurice

    Leblanc

    Arsène Lupin

    Contro

    Herlock

    Sholmès

    PRIMO EPISODIO

    La Dama bionda

    Capitolo I

    Numero 514 – serie 23

    L’8 dicembre dell’anno scorso, il signor Gerbois, professore di matematica al liceo di Versailles, rovistando tra la merce di un robivecchi, scovò un piccolo secrétaire in mogano che gli piacque molto per i suoi numerosi cassetti. Ecco quello che mi serve per il compleanno di Suzanne, pensò. E dato che cercava, nel possibile delle sue modeste risorse, di fare piacere a sua figlia, contrattò il prezzo e versò la somma di sessantacinque franchi.

    Proprio mentre stava fornendo il suo indirizzo, un giovane molto elegante, che stava curiosando di qua e di là, scorse il mobile e chiese: «Quanto?»

    «È già venduto,» rispose il venditore.

    «Ah! ... Forse a questo signore?»

    Il sig. Gerbois salutò e, ancora più contento di essersi aggiudicato un mobile che un suo simile desiderava, se ne andò.

    Aveva fatto, però, solo una decina di passi quando il giovane, col cappello in mano e con tono molto cortese, lo raggiunse e gli disse: «Le chiedo scusa, signore... Sarà una domanda indiscreta, ma vorrei chiederle... Cercava proprio questo secrétaire in particolare?»

    «No. Cercavo una bilancia d’occasione per esperimenti di fisica.»

    «Quindi, non ci tiene tanto?»

    «Ci tengo, ecco tutto.»

    «Forse perché è antico?»

    «Perché è pratico.»

    «In questo caso, acconsentirà a scambiarlo con un secrétaire altrettanto pratico ma in migliori condizioni?»

    «Questo è in buono stato, e lo scambio mi sembra inutile.»

    «Tuttavia...»

    Il signor Gerbois era un uomo facilmente irritabile e scontroso.

    Rispose seccamente: «Per favore, signore, non insista.»

    Lo sconosciuto gli si parò davanti.

    «Non so quanto lo ha pagato, signor... Le offro il doppio.»

    «No.»

    «Il triplo?»

    «Oh, fermiamoci qui,» esclamò il professore, spazientito, «ciò che mi appartiene non è in vendita.»

    Il giovane lo fissò con un’espressione che il signor Gerbois non avrebbe dimenticato; poi, senza dire una parola, girò sui tacchi e si allontanò.

    Un’ora più tardi il mobile fu portato nella casetta che il professore occupava sulla strada di Viroflay. Chiamò sua figlia.

    «Ecco, Suzanne, è per te, se ti piace.»

    Suzanne era una bella persona, espansiva e felice. Si gettò al collo del padre e lo baciò con tanta gioia come se gli avesse donato un regalo principesco.

    La sera stessa, dopo averlo collocato in camera sua con l’aiuto della domestica Hortense, pulì i cassetti e sistemò con cura i documenti, le scatole delle lettere, la corrispondenza, le collezioni di cartoline e qualche ricordo fugace che conservava in onore di suo cugino Philippe.

    Il giorno dopo, alle sette e mezza, il signore Gerbois si recò al liceo. Alle dieci, come quotidianamente faceva, Suzanne lo attendeva all’uscita; era per lui fonte di grande piacere scorgere, sul marciapiede opposto al cancello, il suo profilo grazioso e il suo sorriso infantile.

    Tornarono insieme.

    «E il tuo secrétaire?»

    «Una meraviglia unica! Hortense ed io abbiamo lucidato il rame, si direbbe che sia dell’oro.»

    «Allora sei contenta?» 

    «Oh, sì che sono contenta! E non so come abbia fatto a farne a meno fino ad oggi.»

    Attraversarono il giardino situato prima della casa. Il signor Gerbois propose: «Potremmo andare a vederlo prima di pranzo?»

    «Oh, sì! È una buona idea.»

    Salì per prima ma, una volta arrivata sulla soglia della camera, lanciò un grido di stupore.

    «Che cosa c’è?» balbettò il signor Gerbois.

    Entrò a sua volta in camera. Il secrétaire non c’era più.

    Ciò che stupì il giudice istruttore era l’ammirevole semplicità dei mezzi usati. In assenza di Suzanne e mentre la domestica faceva la spesa, un corriere con tanto di targa, che i vicini videro, aveva fermato la carrozza davanti al giardino e suonato due volte. Ignorando che la domestica fosse uscita non sospettarono nulla e l’individuo, così, fece i suoi comodi in tutta tranquillità.

    Da notare che nessun mobile fu danneggiato, nessun orologio spostato. Inoltre, il portafoglio, che Suzanne aveva lasciato sul marmo del secrétaire, era stato posato, con le monete d’oro che conteneva, sulla tavola lì vicino. Il movente del furto era quindi palese, fatto che lo rendeva ancora più inspiegabile: perché, alla fine, si correvano tanti rischi per un simile bottino?

    L’unico indizio fu quello fornito dal professore sull’incidente del giorno prima.

    «Al mio rifiuto il giovane si è subito contrariato e ho avuto la netta impressione che mi minacciasse.»

    Era tutto molto vago. Interrogarono il rivenditore; non conosceva nessuno dei due signori. Quanto all’oggetto, lo aveva comprato a Chevreuse per quaranta franchi durante una vendita avvenuta dopo un decesso e pensava di averlo rivenduto al prezzo giusto. L’inchiesta non aggiunse nulla di più.

    Ma il signor Gerbois era persuaso di aver subito un grave danno, nel doppio fondo di un cassetto doveva essere dissimulata una fortuna ed era per quel motivo che il giovane, conoscendo il  nascondiglio, aveva agito con tale precisione.

    «Povero padre mio, che cosa ne avremmo fatto di quella fortuna?» ripeteva Suzanne.

    «Ma come! Con una simile dote avresti potuto aspirare ad un partito eccellente.»

    Suzanne, le cui pretese si limitavano a suo cugino Philippe, un pretendente miserabile, sospirava con amarezza. E nella casetta di Versailles la vita continuò, meno gaia, meno spensierata, oscurata da rimorsi e delusioni.

    Trascorsero due mesi e all’improvviso, uno dopo l’altro, accaddero avvenimenti gravi, un susseguirsi imprevisto di occasioni liete e di catastrofi!

    Il primo febbraio, alle cinque e mezza, il signor Gerbois, appena rientrato con in mano il giornale della sera, si sedette, inforcò gli occhiali e iniziò a leggere. La politica non lo interessava, girò pagina. Immediatamente la sua attenzione fu attirata da un articolo il cui titolo era: Terzo sorteggio della lotteria delle Associazioni di Stampa.

    Il numero 514 – serie 23 vince un milione...

    Il giornale gli scivolò dalle mani, i muri vacillarono davanti ai suoi occhi e il suo cuore si fermò: il numero 514 – serie 23 era il suo numero!

    Lo aveva comprato per caso, per fare un piacere ad un suo amico, perché non ci credeva nei favori del destino, ed ecco che vinceva!

    Prese subito il suo taccuino. Il numero 514 – serie 23 era ben scritto sul frontespizio per ricordarselo, ma il biglietto?

    Si precipitò verso l’ufficio per cercare la scatola delle lettere dove aveva sistemato il prezioso biglietto e, non appena fu entrato, si bloccò, barcollando di nuovo e con il cuore contratto: la scatola non si trovava lì e, ancor più terribile, si rese subito conto che non c’era da settimane! Era da tempo che non la vedeva più di fronte a sé quando correggeva i compiti dei suoi studenti!

    Sulla ghiaia del vialetto, un rumore... chiamò: «Suzanne! Suzanne!»

    Arrivò di corsa, salì precipitosamente le scale e, con voce strozzata, balbettò: «Suzanne... la scatola... la scatola delle lettere? ...»

    «Quale?»

    «Quella del Louvre... che avevo portato giovedì... e che era sul bordo del tavolo.»

    «Papà, non ti ricordi... le abbiamo sistemate insieme...»

    «Quando?»

    «La sera... sai... il giorno prima del...»

    «Ma dove? ... rispondi... mi farai venire un colpo...»

    «Dove?... Nel secrétaire.»

    «Nel secrétaire che hanno rubato?»

    «Sì.»

    «Nel secrétaire che hanno rubato.»

    Ripeté queste parole sottovoce con una specie di terrore; poi, le prese la mano e con un tono ancora più basso disse: «Conteneva un milione, figlia mia...»

    «Ah! Ma papà perché non me lo hai detto?» mormorò ingenuamente.

    «Un milione!» riprese, «era il numero vincente tra i biglietti della Stampa.»

    L’enormità del disastro li stava opprimendo e rimasero a lungo in silenzio senza che nessuno dei due avesse il coraggio di romperlo.

    Alla fine, Suzanne disse: «Ma, papà, te lo pagheranno comunque.»

    «Perché? Con quali prove?»

    «Ci vogliono delle prove?»

    «Perbacco!»

    «E non ne hai?»

    «Sì, ne ho una.»

    «Allora?»

    «Era nella scatola.»

    «Nella scatola che è scomparsa?»

    «Sì. E sarà l’altro che incasserà.»

    «Ma è vergognoso! Insomma, potrai opporti?»

    «Chi lo sa! Chi lo sa! Deve essere un uomo forte! Ha molte risorse!... Ricordati... la storia del mobile...»

    Si rialzò con uno slancio di energia e pestando i piedi: «Ebbene no, non l’avrà quel milione, non lo avrà! Perché dovrebbe? Dopo tutto, per quanto sia abile, anche lui non può farci nulla. Se si presenta a riscuotere, lo si mette in gabbia! Ah! Vedremo bene, caro mio!»

    «Quindi, papà, hai un’idea?»

    «Quella di difendere i nostri diritti fino alla fine, costi quel che costi! E ci riusciremo!... Il milione è mio, lo avrò!»

    Qualche minuto più tardi spediva questa lettera:

    Governatore del Crédit Foncier, via dei Capucines, Parigi

    Sono in possesso del numero 514 – serie 23, mi oppongo con ogni mezzo legale a qualsiasi altra rivendicazione.

    Gerbois.

    Quasi nello stesso momento al Crédit Foncier giungeva quest’altro telegramma:

    Il numero 514 – serie 23 è in mio possesso.

    Arsenio Lupin.

    Ogni volta che mi accingo a raccontare una delle innumerevoli avventure che costituiscono la vita di Arsenio Lupin, mi sento confuso perché ho la sensazione che anche l’episodio più banale sia già noto a tutti quelli che mi leggeranno. Infatti, non c’è un gesto del nostro «ladro nazionale», come lo hanno piacevolmente soprannominato, che non sia stato riportato in modo clamoroso, non un exploit che non sia stato studiato nei minimi particolari, non un atto che non sia stato commentato con dovizia di particolari, come si fa normalmente con le azioni eroiche.

    Chi non conosce, per esempio, la strana storia de «La dama bionda», con quei curiosi episodi che i giornalisti intitolavano a caratteri cubitali: Il 514 – serie 23... Il crimine di viale Henri-Martin! ... Il diamante blu!... Che trambusto per l’intervento del famoso detective inglese Herlock Sholmès! Quale fermento dopo ogni peripezia che scandì la lotta tra questi due grandi artisti! E che chiasso sui viali il giorno in cui gli strilloni urlavano: «L’arresto di Arsenio Lupin!»

    Vi chiedo scusa, ma porto delle novità: la parola enigma. Queste avventure sono sempre circondate da zone d’ombra: le dissiperò. Riproduco articoli letti e riletti, ricopio vecchie interviste, ma coordino il tutto, lo classifico e lo sottometto alla pura verità. Il mio collaboratore è Arsenio Lupin, la cui compiacenza nei miei confronti è inesauribile; e, nel caso specifico, lo è anche l’ineffabile Wilson, l’amico e confidente di Sholmès.

    Ci ricordiamo l’incredibile scoppio di risa che accolse la pubblicazione del doppio messaggio. Il solo nome di Arsenio Lupin era una garanzia di imprevisti, una promessa di divertimento per tutto il pubblico. E questo significa il mondo intero.

    Dalle ricerche effettuate dal Crédit Foncier emerse che il numero 514 – serie 23 era stato consegnato dall’intermediario del Crédit Lyonnais, succursale di Versailles, al comandante d’artiglieria Bessy. Ora, quest’ultimo era morto per una caduta da cavallo ma, poco tempo prima, aveva confidato ai suoi colleghi di aver dato il biglietto ad un amico.

    «Quell’amico sono io,» affermò il signor Gerbois.

    «Che lo provi,» obiettò il governatore del Crédit Foncier.

    «Lo devo provare? Facile. Venti persone le diranno che ero in buone relazioni con il comandante e che ci incontravamo al bar della Place d’Armes. È lì che, un giorno, per aiutarlo in un momento di imbarazzo, gli ho preso il biglietto per la somma di venti franchi.»

    «Avete testimoni di questo scambio?»

    «No.»

    «In questo caso, su che cosa si basa il suo reclamo?»

    «Sulla lettera che mi ha scritto a riguardo.»

    «Quale lettera?»

    «Una lettera che era appuntata al biglietto.»

    «Me la mostri.»

    «Ma si trovava nel secrétaire rubato!»

    «La ritrovi.»

    Arsenio Lupin, lui, la consegnò. Un comunicato inserito dall’Écho de France, che ha l’onore di essere il suo unico organo ufficiale e del quale pare essere il principale azionario, un comunicato annunciava che aveva consegnato nelle mani del legale Detinan, suo avvocato-consigliere, la lettera che il comandante Bessy gli aveva scritto, a lui personalmente.

    Fu un’esplosione di gioia: Arsenio Lupin prendeva un avvocato! Arsenio Lupin, nel rispetto delle regole stabilite, designava un membro del tribunale per rappresentarlo!

    Tutta la stampa si precipitò dall’avvocato Detinan, deputato radicale influente, uomo di elevata integrità e allo stesso tempo di mente raffinata, un po’ scettico, deliberatamente paradossale.

    L’avvocato Detinan non aveva mai avuto il piacere di incontrare Arsenio Lupin, con suo grande rimpianto, ma aveva appena ricevuto le sue disposizioni e, colpito da questa scelta che riteneva gli facesse onore, era deciso a difendere con fermezza i diritti del suo cliente. Aprì quindi il fascicolo costituito di recente e, senza mezzi termini, mostrò la lettera del comandante. Comprovava proprio la cessione del biglietto ma non menzionava il nome dell’acquirente. Mio caro amico... , diceva semplicemente.

    «Mio caro amico..., sono io,» aggiunse Arsenio Lupin in una nota allegata alla lettera del comandante. «E la prova migliore è che ho la lettera.»

    Un nugolo di giornalisti si presentò subito dal signor Gerbois il quale poté ripetere solamente: «Mio caro amico... non sono altro che io. Arsenio Lupin ha rubato la lettera del comandante con il biglietto della lotteria.»

    «Che lo provi,» replicò Lupin ai giornalisti.

    «Ma avendo lui rubato il secrétaire!» esclamò il signor Gerbois di fronte agli stessi giornalisti.

    E Lupin rispose: «Che lo provi!»

    Fu uno spettacolo di deliziosa fantasia quel pubblico duello tra i due possessori del numero 514 – serie 23, quegli andirivieni di giornalisti, quel sangue freddo di Arsenio Lupin di fronte al panico del povero signor Gerbois.

    Il poveraccio, la stampa era piena delle sue lamentele! Confidava la sua sfortuna con un’ingenuità disarmante.

    «Cercate di capirlo, signori, è la dote di Suzanne che quella canaglia mi ruba! Per quanto mi riguarda, personalmente, me ne frego, ma per Suzanne! Pensateci, un milione! Dieci volte mille franchi! Ah, lo sapevo che il secrétaire custodiva un tesoro!»

    Tentarono di fargli notare che il suo avversario ignorasse la presenza del biglietto della lotteria, quando aveva prelevato il mobile, e che comunque nessuno potesse prevedere che quel biglietto avrebbe vinto una grossa somma. Gemeva: «Andiamo, lo sapeva!... Altrimenti perché si sarebbe preso la briga di prendere quel mobile?»

    «Per ragioni sconosciute, ma di certo non per impossessarsi di un pezzo di carta che in quel momento valeva la modesta cifra di venti franchi.»

    «La somma di un milione! Lo sapeva... Sa tutto! Ah! Non lo conoscete quel bandito!... Non è a voi che ha sottratto un milione!»

    La discussione avrebbe potuto durare molto a lungo ma il dodicesimo giorno il signor Gerbois ricevette una lettera da Arsenio Lupin con scritto confidenziale. Lesse con un crescendo di inquietudine:

    Signore,

    il pubblico si diverte a nostre spese. Non crede che sia giunto il momento di essere seri?Io, per conto mio, ne sono fermamente convinto.

    La situazione è chiara: possiedo un biglietto che, io, non ho il diritto di riscuotere e lei ha il diritto di riscuotere un biglietto che non possiede. Quindi, nessuno di noi due può fare qualcosa senza l’altro.

    Ora, lei non acconsente a cedermi i SUOI diritti, né io a cedere il MIO biglietto.

    Che cosa fare?

    Non vedo che una sola soluzione: dividiamo. Mezzo milione per voi e mezzo milione per me. Non è equo? Tale giudizio salomonico non soddisfa il senso di giustizia insito in ciascuno di noi?

    Soluzione giusta, ma soluzione immediata. Non è un’offerta che può discutere ma una necessità alla quale le circostanze la obbligano ad aderire. Le lascio tre giorni per riflettere. Mi piace pensare che venerdì mattina la leggerò negli annunci dell’Écho de France, un messaggio discreto indirizzato al Sig. Ars. Lup. E che contiene, velatamente, la sua adesione pura e semplice al patto che le propongo. Mediante ciò entra in possesso immediato del biglietto e incasserà il milione, salvo darmi cinquecentomila franchi nel modo che le indicherò successivamente.

    In caso di rifiuto, ho preso le mie precauzioni per far sì che il risultato sia identico. Ma, oltre ai gravi fastidi che una simile ostinazione le causerebbe, sarebbe obbligato ad una ritenuta di venticinque mila franchi per spese supplementari.

    Cordiali saluti.

    Arsenio Lupin.

    Esasperato, il signor Gerbois fece il grave errore di mostrare la lettera e di lasciare che se ne facesse una copia. La sua indignazione lo spingeva a commettere sciocchezze.

    «Niente, non avrà niente!» esclamò di fronte all’assemblea di giornalisti. «Dividere quello che mi appartiene? Mai. Che strappi il biglietto, se lo vuole!»

    «Tuttavia, cinquecentomila franchi sono meglio che niente.»

    «Non si tratta di questo ma del mio diritto e questo

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