L’investigatore e il cecchino
By Alakin
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About this ebook
Nato in Georgia, si laurea in Ingegneria e consegue poi un dottorato in Economia. Fonda la prima produzione degli assorbenti in Caucaso (Georgia, Azerbaijan, Armenia) e comincia a girare il mondo, dalla Cina fino agli USA, sempre curioso di conoscere popoli diversi, con le loro abitudini e culture. Vive in Russia, Turchia, USA, Uzbekistan e dopo aver girato a lungo giunge in Italia. Si innamora di questo paese e della sua gente e decide di stabilirsi qui; vive in Italia ormai da dieci anni. Nel tempo libero si dedica al volontario per disabili e, tra i suoi hobby, coltiva il basket, la musica classica e il jazz, la Philocratia, i giochi strategici e il vino.
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Book preview
L’investigatore e il cecchino - Alakin
In copertina: illustrazione di Elvio Scottini
Alakin
L’investigatore
e il cecchino
© 2020 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-3104-5
I edizione gennaio 2021
Finito di stampare nel mese di gennaio 2021
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
L’investigatore e il cecchino
Ringrazio innanzi tutto il Sig. Alberto Cecchin, che mi
ha dato il coraggio di andare avanti e ha corretto il mio scarso italiano.
Ringrazio il Dott. Ghia Kapanadze che, anche lui, ha
creduto in me e mi ha dato dei suggerimenti preziosi.
Come ci si comporta quando si deve scegliere da che parte stare?
Quando le parti in causa hanno entrambe valide ragioni da seguire.
Siamo abituati a prendere decisioni tra il bene e il male, ma anche qui, non tutti ci riescono.
Tra due mali sappiamo che dovremmo scegliere il meno peggio.
Ma quando ci sono due ragioni, due parti del bene
, due verità, come si fa a scegliere?
Come ci si comporta a combattere l’altra parte? Forse la cosa più grave è proprio il sapere che lui é nel giusto.
Introduzione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: «Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere».
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi:
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi, ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei Santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i quattro volumi di Guerra e pace, e mi disse: «Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov».
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo. Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre, è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’ editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi, potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
***
La primavera, secondo i cittadini del centro di Tbilisi, arriva quando fiorisce l’albero delle mandorle di fronte all’Università Politecnica detta Ghepei
, proprio davanti al monumento di Ghiorghi
Saakadze, guerriero del Seicento, forte e fatale.
«Allora, stai attento» senza tanti preamboli parte Mirto, come al solito. È vestito con i pantaloni beige e la camicia con i quadretti blu. I suoi occhi azzurri mi guardano con entusiasmo. Pettinato, come sempre, con i capelli rigorosamente a forma rettangolare.
«Per tutto agosto saremo in Sardegna a San Teodoro e a metà settembre andremo per due settimane a Cannes. Vieni anche tu?»
E, senza aspettare la risposta, continua:
«Vedrai che ti piacerà Cannes. Ti porto a mangiare un pesce che è la fine del mondo!»
«Mirto, sai che io il pesce non lo mangio. Ti avevo detto più...» cerco di contrastare inutilmente.
«E poi c’è uno scultore da cui prendo sempre le statue di ceramica, carissimo tra l’altro, ma merita, merita!» continua lui senza ascoltare le mie preferenze sull’alimentazione «Te lo faccio conoscere!»
Mirto continua a programmare la mia vita senza sentire le mie esigenze o preferenze. Ma a questo sono abituato e mi piace anche la sua maniera di andare avanti creando delle situazioni che secondo lui farebbero piacere ai suoi amici.
«Ou! E della roba che ti piace, ce ne è fin che vuoi. E tutti sono di classe!» Scoppia a ridere con il sorriso furbastro fino a che le lacrime escono dietro i suoi occhiali quadrati di titanio marcati Blackfin.
Sinceramente, fra i piaceri ipotetici che lui mi ha mostrato – tra le sculture di ceramica, pesce e donne – solo queste ultime hanno tirato la mia attenzione.
Ma io avevo altre intenzioni per quel periodo...
Mirto per una bella mezz’ora continuò a programmare per me i prossimi due anni.
Abbiamo mangiato con gusto, nel frattempo, un Khachapuri Ajaro¹ fatto veramente bene.
Il burro si scioglieva con il formaggio bello cotto e l’uovo bolliva quasi dentro il piatto. Una limonata fresca – in tutte le ex repubbliche sovietiche con la limonata si intende l’acqua dolce gasata di diversi gusti – al gusto pesca, ci ha fatto pulire la bocca. E alla fine il caffè turco per concludere nel modo giusto il pomeriggio. Ho fumato anche il mio sigaro Toscanello. Il fumo del Toscanello mischiato con il profumo di primavera insieme con un caro amico è uno di più grandi piaceri che esistono in questa vita. Sono fioriti i mandorli, si sono accorciate le gonne delle ragazze, il fumo del tabacco non è così fastidioso come durante l’inverno e il cielo spesso è di color viola scuro con i tagli arancioni del sole nascosto dietro, in attesa di una pioggia forte. Insomma, la primavera era arrivata "all inclusive" in Tbilisi.
«Mi dispiace partire» dice Mirto «ma sai che tra due estati sarò ancora qui. Dobbiamo finire il discorso con i monaci per i kvevri». I kvevri sono le anfore in terracotta utilizzate ancor oggi in Georgia per la fermentazione dei mosti e la vinificazione. È una tecnologia antica che è attuale ancora oggi in Georgia e ultimamente anche qualche vinificatore friulano ha iniziato a usare questa tecnologia che conta più di 8000 anni.
Non mi sorprendono le idee infinite e l’energia di Mirto. Ma la cosa che mi sorprende sempre degli italiani è che loro vivono come se non dovessero morire mai. Programmano e pensano per tanti anni in anticipo, non si rendono conto che dovranno morire. Hanno questa capacità di pensare a lungo termine. Sanno aspettare, senza avere fretta. Forse questo è uno dei motivi per cui sono riusciti a costruire nel loro splendido paese tutte quelle opere architettoniche. Perché quando uno parte con un progetto (e ci sono veramente tanti esempi) credendo che sicuramente non lo terminerà durante la sua vita, e forse neanche durante quella dei suoi figli, solitamente desiste. Qui invece partono lo stesso e vanno avanti.
Mirto ha 85 anni.
Guardavamo l’albero di mandorle che fioriva finalmente dopo il lungo e ventoso inverno.
***
Rocco Drillo era di origini italiane. Suo nonno, come tanti italiani, dopo la Seconda Guerra Mondiale fu fatto prigioniero dall’armata sovietica. I prigionieri andavano distribuiti nelle diverse repubbliche sovietiche. Sappiamo bene che gli italiani allora preferivano essere spediti in Georgia, uno degli stati dell’URSS, perché era il paese che più assomigliava alla loro amata e lontana Italia. Vino ottimo, un tantino diverso dai classici italiani, assomiglia più a quelli siciliani corposi con il tannino dentro, secondo il classico metodo georgiano di preparazione del vino; e poi tanta verdura, le spezie, gente allegra, tanto sole, le montagne e il mare. La vecchia abitudine del caffè. Diverso dall’espresso, ma sempre un caffè!
Il nonno di Rocco era un bravo giovane, che aveva avuto subito successo con le donne a Tbilisi, grazie al suo carattere gioioso, ma duro, e il sorriso che disarmava le femmine; infatti, dopo poco si sposò con la nonna di Rocco, georgiana, Nina. Rocco si ricordava poco di suo nonno. Ricordava come lui gli cantava le canzoni italiane e parlava in continuazione di Latina, città del Lazio da dove proveniva. Lo nominava o come Latina o come il paradiso. Solo due foto color seppia del nonno erano rimaste nell’archivio famigliare: uno di lui con la paletta e il capellino e un’altra con la sposa. In entrambe le due foto si mostra elegante e sorridente.
A differenza di suo nonno, Rocco non aveva un carattere duro, ma tranquillo e solido. Lui non era vivace come il nonno. Era figlio unico e forse per questo aveva preso il carattere di sua madre che proveniva da Svaneti, regione montanara della Georgia dove la gente parla poco, osserva e sa aspettare. Infatti, è abitata da un popolo che può aspettare – come i giapponesi – per generazioni, ma alla fine si vendica se qualcuno ha offeso o minacciato la sua famiglia. Rocco non era per niente aggressivo, gli piaceva, sin da quando era piccolo, disegnare i dinosauri e amava gli animali. Più di una volta aveva portato a casa dei bastardini. Li lavava, gli dava da mangiare, li accarezzava e la mattina presto suo padre Paolo Drillo, insegnate di fisica e matematica alle elementari, li portava fuori dalla casa. Però l’hobby preferito era il