La simmetria dell’Anima
Di J.L. Weil
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Il velo fra i vivi e i morti non esiste più, il male sta dilagando e l’equilibrio dell’universo è nelle mie mani. Nessuno sa come o quando attaccheranno gli spettri, o chi sia il traditore fra di noi.
Orde di spiriti vendicativi si moltiplicano a ogni istante, serrando i ranghi. Zane è pronto a colpire, ma sarà necessario mettere in campo molto più dei suoi istinti letali, più di spade e ombre per sgominare gli spettri e rispedirli nel luogo a cui appartengono. La posta in gioco è più alta che mai e io sono determinata a proteggere coloro a cui tengo, a salvare il mondo.
Ripristinare il velo non è però facile come schioccare le dita. Niente per cui valga la pena combattere è mai semplice e, mentre amicizia e lealtà saranno messe alla prova, si compiranno sacrifici inimmaginabili.
Alla fine, però, conta solo una cosa: riuscirò nella mia impresa?
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Anteprima del libro
La simmetria dell’Anima - J.L. Weil
perfetto.
Capitolo 1
Urlai forte e a lungo.
Era più o meno quello che facevo... quello, e collezionare anime come messaggero di morte. Nessun fiocchetto rosa e lezioso per questa ragazza. La mia vita era oscurità, aldilà e anime.
Dodici anni fa, al mio sesto compleanno, vidi il mio primo fantasma. Ancora oggi non so se fosse uno spirito o uno spettro. Una grande differenza. Uno mi avrebbe voluta morta, mentre l’altro avrebbe voluto aiutarmi, o darmi un avvertimento.
Poco meno di un anno fa, mia madre mi fu strappata nel più brutale dei modi in cui una figlia potrebbe perdere un genitore: fu uccisa.
Arrivai a Raven Hollow dopo la sua morte, per passare l’estate con mia nonna Rose, una donna che non ebbi il piacere di conoscere fino a quando non fu troppo tardi. Ora, era uno di quegli spiriti che mi supportavano.
Era strano come un viaggio potesse cambiarti. Ma il mio arrivo su quest’isola mi aveva costretta a compiere un viaggio alla scoperta di me stessa. Le cose che avevo imparato non potevano essere studiate a scuola: erano quel tipo di insegnamenti di vita che dovevi sperimentare davvero, e io l’avevo fatto. Avevo scoperto chi ero e di cosa ero capace. Due cose che possono cambiarti la vita.
Le mie abilità si erano amplificate da quando Zander era morto e avevo preso la sua anima... un incarico straordinario, che non era stato una mia scelta. Avevo cercato di salvarlo, ma non importava quanto fossi potente, certe cose erano ancora fuori dal mio controllo.
Non aveva davvero importanza ora. Se n’era andato. Il ragazzo che sarebbe dovuto diventare mio marito, era morto.
Un fuoco cominciò a divampare in me procurandomi un soddisfacente bruciore e una determinazione che non avevo mai provato prima. Perdere Zander aveva fatto scattare qualcosa dentro di me. Non sarei mai più rimasta seduta in silenzio a fare niente. Gli spettri non erano solo dei morti, erano una minaccia per tutti noi. E adesso era una questione personale e io avevo il potere di fermarli. Essere una banshee non sembrava più un ostacolo. Gli spettri potevano aver trovato il modo di sollevare il velo tra i nostri due mondi, ma non l’avevano fatto da soli. Non era possibile, non senza aiuto.
Era ora di estirpare i traditori e fare pulizia: se non eri dalla parte dei vivi, allora eri morto. Basta con la Piper dolce e carina, non che fossi mai stata dolce. Nonostante tutto ciò che ancora non sapevo, ero più forte e più concentrata che mai. Per la prima volta, non dubitavo di me stessa. Avrei spaccato il culo agli spettri.
Il problema più urgente era riposizionare il velo. Non avevo idea di come farlo, ma gli spettri stavano risucchiando le anime dei mietitori, leccandoli come se fossero l’ultima banana split sulla Terra. Qualcuno doveva fermarli. Il bastoncino corto toccava sempre a me, ma per fortuna avevo al mio fianco un ragazzo cazzuto, fichissimo e pericoloso.
E a proposito di Zane...
Santa Miseria.
Era sul balcone e il vento gli scompigliava i riccioli scuri, portando con sé la notte e il mare. Aveva il volto inclinato e un accenno di barba lungo la mascella. Sbattei gli occhi. Nel vederlo mi sentii diversa dalla ragazza che aveva messo piede sull’isola solo qualche tempo prima, arrabbiata con il mondo. Zane aveva giocato un ruolo fondamentale nella mia trasformazione... lui e gli intensi sentimenti che suscitava in me.
Poi ricordai. L’urlo. Crash. Mi precipitò tutto addosso in ondate di paura, dolore e incertezza. Dopo quella disastrosa notte, Crash si era intrufolato nella mia stanza, come uno stalker. Aveva messo in chiaro che la morte di sua sorella non sarebbe stata dimenticata e che la persona responsabile – nello specifico io – avrebbe pagato. L’intera conversazione mi aveva lasciata scossa e confusa. Mi stava avvertendo o mi stava minacciando? Nonostante Crash se ne fosse andato da tempo dopo la sua drammatica uscita e le minacce, ero ancora tremante di paura.
Zane era una forza della natura e coloro che lo conoscevano lo sapevano benissimo. Dall’espressione sul suo volto, era però evidente che non stava per niente bene. Non avevo nemmeno bisogno di chiedere. Dolore e sofferenza si rifrangevano nei suoi tempestosi occhi blu, eppure era comunque venuto in mio soccorso. Un po’ tardi, ma chi poteva biasimarlo? Non era al suo massimo. Onestamente ero stupita che fosse lì.
«Sei venuto» sussurrai, mettendo una mano sul petto per controllare il mio cuore impazzito. Fra la visita inaspettata di Crash e la presenza di Zane, era sovraccarico.
Quando rispose, aveva la voce roca. «Verrò sempre.»
Sentirglielo dire aveva un significato milioni di volte più forte per me. Zane era legato da un antico voto di protezione nei miei confronti. «P... pensavo che con tutto quello che è successo...» Mi si spezzò la voce mentre le lacrime cominciavano a riempirmi gli occhi, serrandomi la gola. Vederlo abbatteva le mie barriere. Non avevo bisogno di essere forte o tosta.
Entrò, chiudendo le doppie porte di vetro dietro di lui. «Non corro rischi con te. Che è successo?»
Deglutii, tenendo a bada le lacrime. «Crash. Ecco che è successo» lo informai e aspettai di vederlo diventare verde e fare come Hulk. Non rimasi delusa, a parte la pelle verde.
Gli si scurirono gli occhi e le vene gli esplosero lungo il volto. «Era qui?» ruggì dal profondo del petto. «Ha osato mostrare la sua faccia?»
Giocherellai con lo smalto rosso ciliegia mezzo sbeccato sulle punte delle dita. «È venuto per avvertirmi... credo.» A essere onesta ero un po’ perplessa da Crash e dalle sue azioni.
Zane chiaramente non si fidava di lui. «Lo ucciderò. La sua anima è mia.»
Quella era più o meno la reazione che mi ero aspettata. Aggirai il letto dirigendomi verso di lui, rigido e inflessibile al centro della stanza. Quella notte, fra tutte, non era il momento migliore per far incazzare Zane. Crash doveva aver avuto istinti suicidi perché non ero sicura che sarei riuscita a fermare Zane dallo spedirlo nella tomba in anticipo. Che fosse o no contro le regole dei mietitori, Zane era abbastanza arrabbiato da agire all’istante, e al diavolo le conseguenze. Per sua fortuna, io ero il Corvo Bianco. «Normalmente discuterei con te, ma forse hai ragione.»
I suoi occhi splendenti luccicarono in modo sinistro nell’oscurità. Se non l’avessi conosciuto, sarei stata spaventata. «Ho sempre ragione, Principessa.»
E in un attimo, la sua arroganza diventò parte della sua armatura. Zane era un ragazzo complesso, e sotto la scorza dura e il caratteraccio stava soffrendo. E quello mi fece sentire in colpa. «Non avrei dovuto lanciare il segnale d’emergenza. Dovresti essere a casa con la tua famiglia, non qui. Crash non mi ha fatto del male. Non sono in pericolo al momento.» A parte i miei nervi scossi e l’incontrollabile bisogno di sentirmi al sicuro, stavo bene. Anche se non ero certa che sarei mai più stata davvero al sicuro.
I suoi occhi di ghiaccio si sciolsero. Era possibile che avesse percepito un accenno del mio disagio, ma era un malinteso. Era per lui che mi preoccupavo. Mi fece scorrere con delicatezza un dito lungo la mascella, come se la mia pelle fosse fatta di porcellana. «Sarei dovuto arrivare prima.»
«Non mi ha fatto del male» ripetei, prima che Zane si facesse venire strane idee sull’attaccare Crash. Non avrei dovuto sentire il bisogno di sollevare obiezioni. Eppure, nonostante quello che era successo, comprendevo le azioni di Crash. Avrei fatto qualunque cosa per farla pagare, per far soffrire anche, le persone responsabili della morte di mia madre.
Forse era quello che stava facendo lui. Provocarmi prima di fare la mossa finale per uccidermi.
Ora sapevo che non erano stati dei ladri a togliere la vita a mia madre, ma dei mietitori, probabilmente dei Falchi Rossi. Sapere la verità non smorzava la rabbia o il desiderio di vendetta che erano divampati dentro me, diffondendosi al punto che non riuscivo a pensare a nient’altro. Mossa da quei sentimenti avevo fatto degli errori stupidi, che non potevo rimangiarmi.
Zane scosse la testa e ciocche di capelli arruffate dal vento gli oscurarono parzialmente gli occhi. «Non è quello il punto, Piper. Avrebbe potuto farti del male... o peggio. Evidentemente non importa quanto servizio di sicurezza assegniamo. A meno che non ci sia qualcuno al tuo fianco ventiquattro ore al giorno, sei esposta.»
Un profondo dolore mi riempì il petto. Guardando Zane, ero felice di non aver urlato prima. Avrebbe ucciso Crash. Aveva uno sguardo omicida negli occhi. C’era stata abbastanza morte nelle ultime ventiquattro ore, e non volevo altro sangue sulle mie mani, non finché non fossi stata certa di chi godeva della lealtà di Crash. Le probabilità erano contro di lui, ma non potevo permettermi di saltare a conclusioni e rischiare di compiere errori madornali. Avevo bisogno di conoscere tutti i fatti prima di condannare a morte qualcuno. C’era già stato troppo spargimento di sangue.
Zane... be’, lui non ne aveva così tanto bisogno.
Ma avevo sempre saputo chi era Zane, cos’era, e niente di tutto ciò cambiava i miei sentimenti per lui. Poteva essere uno spietato mietitore con un fascicolo più lungo del più prolifico dei serial killer, ma quando lo guardavo non vedevo un distruttore di anime. Vedevo il ragazzo di cui ero perdutamente innamorata.
E nel sentire i cocci della sua sofferenza, volevo abbracciarlo e assorbire la sua agonia. L’unica cosa peggiore della morte era essere la persona lasciata indietro a gestire la perdita e l’angoscia. Era in momenti come quelli che l’unione delle nostre anime era travolgente: quando le emozioni erano fortissime. Ciò che provava mi attraversò come un lampo e la pressione del mio sangue aumentò. «E quel qualcuno sarai tu?» supposi.
«Per stanotte» rispose con la voce strozzata.
Mi allungai, afferrandogli il braccio prima che potesse darmi le spalle. «Apprezzo l’offerta ma sto bene. Sul serio. Non ho bisogno di un babysitter.»
Non lo convinsi, forse perché mi stavo mordendo il labbro per impedirgli di tremare. «Non me ne vado.» E a mo’ di conferma, scalciò via le scarpe.
Avremmo potuto andare avanti tutta la notte, ma qualcuno avrebbe dovuto cedere. E lui ne aveva già passate troppe perché io facessi la spina nel fianco. «Zane, e la tua famiglia...?»
«Capiranno. Fidati. Ho bisogno di stare qui stanotte, con te.»
Il mio cuore si fermò. «Okay» concordai, posandogli la fronte sul petto. Le sue braccia mi circondarono immediatamente, avvolgendomi nel suo fresco profumo di mezzanotte. Era come se avessi aspettato da sempre di poter stare con Zane, e che lui ricambiasse i miei sentimenti senza spingermi via. Temevo che non fosse reale, che al mattino mi sarei svegliata e sarebbe stato ancora tutto come prima.
«Grazie» sussurrai contro la sua maglietta, con le mani aperte sul suo petto.
«Per cosa, Principessa?» Il timbro profondo della sua voce vibrò contro il mio volto.
Sollevai la testa e fissai quegli occhi sorprendenti. Le scure vene da mietitore erano sparite. «Per essere tornato.» Non stavo parlando di quella notte, ma del fatto che era tornato a casa da me.
Le sue dita si infilarono fra le onde lievemente umide dei miei capelli. «Non sarei mai dovuto andare via.»
Ci fissammo. I tagli e i lividi sul suo volto, causati dalla battaglia di poche ore prima, non c’erano più. Una valanga di emozioni corse fra di noi. Nessuno dei due sapeva cosa fare o cosa dire. Avrei potuto offrirgli una delle stanze vuote per dormire, ma sapevamo entrambi che non intendeva perdermi di vista.
Il tempo si allungò; nessuno dei due cedette. Era quel tipo di notte. Le emozioni erano forti e la mia mente e il mio corpo non erano sincronizzati. Immaginai che lui provasse la stessa cosa.
«Andiamo» mi sollecitò. «Dovresti provare a dormire.»
Indietreggiai ma le sue mani rimasero sui miei fianchi. «E tu?»
«Non penso che potrei neanche se ci provassi.» Irrigidì la mascella. «Farò la guardia. Mi assicurerò che non ci siano altri intrusi inaspettati.»
Sempre a fare il tipo tosto, ma non ne aveva bisogno con me. «O potrei farti ingoiare di nascosto un flacone di pastiglie per dormire» borbottai.
Fece un giro della stanza. «Non servirebbe a niente.»
«Perché le medicine umane non hanno effetto su di noi?» immaginai.
Si piegò in avanti e scostò le coperte. «Esatto.»
Be’, quello spiegava molte cose. Mi tolsi la vestaglia e la gettai sulla sedia. «D’accordo. Mi terrai stretta almeno?» chiesi, muovendomi a passo felpato per la stanza.
Rimase in silenzio per un secondo. «Dipende.»
«Da cosa?»
«Ti metti quella roba a letto?» chiese, con una traccia del suo accento celtico.
Inarcai un sopracciglio. «Hai dei problemi con la mia camicia da notte?»
«No, solo con quanto è corta...» I suoi occhi corsero lungo le mie gambe. «E per il fatto che non sono sicuro tu abbia addosso altro.»
«Perfetto. La mia tattica era la distrazione.» Mi arrampicai sul bordo del letto, rannicchiando i piedi sotto le coperte, assicurandomi di lasciargli ampio spazio nella speranza di averlo convinto a unirsi a me. Alzai lo sguardo e il suo intero volto era velato dalle ombre. «Non rubarmi le coperte.»
Il letto si inclinò sotto il suo peso e un secondo dopo lo sentii dare uno strattone alla coperta. Era davvero un fenomeno. Senza pensare, afferrai i bordi e me li tirai fino al mento e forse ne presi più della mia parte. Lui era troppo grosso o il letto era troppo piccolo. Quando stese il braccio, mi sistemai al suo fianco con la testa accoccolata sulla sua spalla.
Il suo corpo era rigido mentre mi teneva stretta. Non ero riuscita a salvare suo fratello ma forse potevo, per una notte, calmare il suo animo tormentato e liberarlo da un po’ di dolore. Che fosse disposto ad ammetterlo o no, aveva bisogno di riposo tanto quanto me.
Labbra fredde mi premettero sul collo con un tocco leggero e breve. «Dormi un po’» mormorò.
L’unico a dormire sarebbe stato lui. Chiusi gli occhi e richiamai il mio potere attorno a me, lasciando che i viticci si insinuassero in Zane. Non avevo bisogno di pillole. Il nostro legame mi forniva una flebo diretta nel suo flusso sanguigno.
Nel giro di pochi attimi il suo corpo si rilassò, e il ritmo regolare del suo respiro riempì il silenzio. Il dolore per aver perso Zander era ancora fresco e acuto. Era esausto nel fisico e nella mente. Riuscii a calmare la sua anima così da farlo addormentare, cosa di cui aveva un disperato bisogno. Rimasi di guardia, incapace di seguirlo nell’inconsapevole beatitudine del sonno. Conoscevo troppo bene le cicatrici che restavano per la perdita di qualcuno e il modo in cui non guarivano mai.
L’alba stava per arrivare e qualche ora di sonno gli avrebbe fatto bene. Quello che non mi ero aspettata era ciò che avrebbe fatto a me.
Nonostante la serata traumatica, stare fra le braccia di Zane era miracoloso. Una parte di me aveva veramente pensato che non saremmo mai riusciti a stare insieme. Ma non avevo perso la speranza e anche se non avevamo avuto la possibilità di discutere della nostra relazione, era lì. Ed era tutto quello di cui mi importava al mondo.
Non si poteva negare la pace, la tranquillità e l’armonia dello stare sdraiata accanto a lui. Per non parlare del senso di sicurezza. Non era solo la mia anima a sospirare, era anche il mio cuore. Per la prima volta i due erano uniti in mutua contentezza e un raggio di felicità che non avevo provato da prima della morte di mia madre volteggiò dentro di me.
Volevo aggrapparmici, imbottigliarlo per una brutta giornata, ma era difficile apprezzare quel bagliore dopo gli eventi delle ultime dodici ore. Il mio senso di colpa era opprimente. Come potevo provare uno straccio di felicità quando Zander non c’era più? I piccoli frammenti di gioia non potevano completamente nascondere l’agonia e la rabbia che albergavano dentro di me. Non avrei dimenticato quello che era successo o chi ne era responsabile. Non avrei dimenticato il mio ruolo nella sua morte. Giurai a me stessa, a Zane e a Zander, che la sua morte non sarebbe stata invano. Era una promessa che intendevo mantenere ad ogni costo.
Ne andava della salvezza del mondo.
Capitolo 2
Non so cosa mi svegliò. Avrebbe potuto essere la luce del sole che filtrava attraverso le tende trasparenti o il gracchiare di un falco. Per il resto, la mia stanza era avvolta da un silenzio pacifico. Ma mentre mi giravo sul fianco, mi prese l’inquietante sensazione di non essere sola.
E poi ricordai. Non ero sola. Zane era rimasto per la notte, o mattina, a seconda di come la si guardava.
Aprii gli occhi e sbattei le palpebre, aspettandomi di vedere i suoi occhi blu scuro circondati da sprazzi di luce argentata. Il mio sguardo vagò sul posto accanto al mio. Era vuoto. Ovvio.
Ma non ero da sola.
Occhi del colore dell’erba coperta di rugiada si posarono nei miei dall’altra parte della stanza. Il mio primo istinto fu di urlare e colpirlo con un’esplosione sonica forte abbastanza da stenderlo per una settimana, ma poi sbattei di nuovo le palpebre.
«Oliver?» gracchiai.
Oliver era un Passero Blu, faceva parte del servizio di sicurezza che di solito pattugliava la villa e controllava l’ingresso. Non aveva fatto proprio un lavoro eccelso, considerando che Crash era riuscito a infiltrarsi in camera mia non una volta, ma due. Stava appoggiato contro il muro, pulendosi le unghie con un coltellino e un’aria annoiata.
Tirandomi il bordo della coperta fino al petto, mi sedetti e mi schiarii la gola. «Cosa ci fai qui? E per qui, intendo in camera mia.»
«Mi è stato ordinato di tenerti gli occhi addosso tutto il tempo, Principessa» rispose in un tono quasi robotico, senza nessuna inflessione.
«Non chiamarmi così» scattai. Non ebbe nessuna reazione. «Ordinato da chi?» chiesi, anche se sapevo già la risposta. C’era la firma di Zane dappertutto.
Mostrò una minuscola emozione... divertimento. «Dalla Falce della Morte.»
Alzai gli occhi al cielo. «Dov’è?»
Oliver abbassò gli occhi e le ciglia scure sfiorarono le sue guance spigolose. Era alto e muscoloso come Zane, ma le similitudini finivano lì. «È dovuto andare via. Credo che la sua famiglia stia dando l’ultimo saluto.»
Volevo essere là per Zane e la sua famiglia, ma non stava a me presenziare a qualcosa di così privato. Dentro di me si irradiò una fitta profonda e mi accasciai contro la bianca testiera imbottita del letto. «Oh» risposi. Persi la presa sulla coperta che scivolò giù.
Oliver chiuse il coltellino. «Ha detto anche che non devi andare da nessuna parte finché non ritorna.»
Nell’anno appena trascorso mi ero abituata a fare le cose a modo mio, ad andare e venire come mi pareva senza dover rendere conto a nessuno. Perdere la mia privacy non prometteva niente di buono. C’era anche il piccolo dettaglio che non avevo ancora bevuto il caffè. «Chi diavolo l’ha messo al comando?»
Oliver aveva un ampio sorriso impertinente.
Mi tirai le ginocchia al petto, pensando a come sarei uscita dal letto evitando che Oliver vedesse di me più di quanto fossi a mio agio a mostrare. «Suppongo che dirti di andartene non avrebbe effetto?» chiesi.
Incrociò le braccia e aggrottò la fronte. «No.»
«Meraviglioso» borbottai. «Allora Oliver, c’è la possibilità che parte del tuo lavoro sia andarmi a prendere del caffè?»
«Mi piaceva di più quando stavi dormendo. Meno domande.»
Già, sembrava che fosse più un uomo d’azione che di parole. «Ci scommetto. Quindi vuol dire che è un no al caffè?»
Sbuffò. «Affermativo, Principessa.»
Non potrebbe semplicemente dire no? D’accordo. Potevo rimanere a letto, ma ora che avevo pensando al caffè, ne volevo davvero una tazza. O tutta la caffettiera. Sbadigliando, pensai se rotolare e tirarmi le coperte sulla testa o se avvolgermi attorno il lenzuolo e dirigermi in cucina. Mi mordicchiai il labbro, riflettendo. Adoravo dormire, ma ancora di più il caffè. Raccogliendo le lenzuola attorno a me, scivolai verso il bordo del letto quando Oliver si irrigidì.
Vene del colore dello zaffiro gli corsero giù per le guance. «Arriva qualcuno.»
Affondai le dita nel letto e, dieci secondi dopo, Parker infilò la testa in camera. Rimase sulla soglia con i capelli biondo rossiccio arruffati dal sonno, in pantaloni del pigiama di flanella sgualciti e, naturalmente, una maglietta con dei manga. Parker era così prevedibile per quanto riguardava il suo guardaroba... e in generale la sua vita. Era quello che amavo di lui. Affidabile Parker.
Emisi uno sbuffo d’aria. Grazie a Dio non era uno spettro, o peggio... dieci spettri.
Lo sguardo di Parker passò da me a Oliver e poi di nuovo a me. «Ah, non sapevo che avessi compagnia.»
«Oliver non è compagnia» lo informai, rilassando le mani. «A quanto pare gli è stato ordinato di starmi appiccicato come la colla.»
Oliver tornò ad appoggiare una spalla contro il muro. Si era messo in una posizione strategica nella stanza, in modo da controllare tutte le uscite.
«Oh.» Parker