Baci e misteri
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Lee Wilkinson
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Book preview
Baci e misteri - Lee Wilkinson
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
At The Millionaire’s Bidding
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2003 Dorothy Breedon
Traduzione di Viviana Guglielmi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2003 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-893-2
Frontespizio. «Baci e misteri» di Wilkinson Lee1
La porta si aprì di scatto e Dave Benson entrò nel piccolo locale attiguo all’ufficio.
Eleanor lo guardò di sotto in su, mentre preparava il tè che lui le aveva chiesto, i limpidi occhi grigi pieni di speranza.
Dave rispose alla sua muta domanda.
«Sì, è proprio Robert Carrington, il finanziere, e il lavoro che ci offre è esattamente quello che fa per noi...» riferì, alludendo al cliente che aveva appena lasciato nel suo ufficio.
Malgrado le sue parole fossero incoraggianti, la colpì il fatto che Dave sembrasse tutt’altro che compiaciuto.
«Pare che Carrington sia stanco di lavorare a Londra, gli piacerebbe gestire gli affari da casa. Ha una specie di castello vicino a Little Meldon e vuole stabilire un ufficio e una rete per le comunicazioni con attrezzatura di avanguardia.»
«Ma è fantastico!» esclamò Eleanor.
«Lo sarebbe, se riuscissi a concludere l’affare, ma quello è un tipo strano...» La voce di Dave era velata dall’irritazione e il suo bel viso era accigliato. «Sa che siamo solo una piccola ditta, ma continua a cavillare sulle nostre capacità e sul tempo che occorre per arrivare fino a casa sua. Gli ho assicurato che siamo in grado di occuparci di tutto, ma finora non sono riuscito a convincerlo.»
Guardandolo, Eleanor cercò di nascondere l’ansia che provava.
Dave si versò una tazza di tè e si mise a sedere su una sedia traballante.
Dalla piccola finestra, Eleanor sentiva il rumore assordante del traffico in Edgware Road.
Dave continuava a restare seduto in silenzio.
«Non dovresti tornare da lui?» gli chiese lei.
«Sta parlando al cellulare. Quando è squillato, quel borioso arrogante ha inarcato un sopracciglio e ha chiesto: Le dispiace?, come se fossi un fattorino e quello non fosse il mio ufficio.»
«Quando torni da lui, stai attento, santo cielo!» lo supplicò lei. «Non fargli capire che cosa pensi di lui.»
«Credo che lo sappia già» ammise Dave. «Abbiamo iniziato con il piede sbagliato. Sarà meglio che vada tu da lui. Stando a quello che dicono i giornali, è molto riservato sulla sua vita privata, ma in pubblico sembra apprezzare le donne. Forse una donna ha maggiori possibilità di convincerlo.»
Conscia che gli affari non dovrebbero essere imperniati sul sesso - e con il perverso desiderio che lui avesse detto una bella donna, pur sapendo fin troppo bene che l’aggettivo non era giustificato - Eleanor acconsentì.
«Farò del mio meglio. Ma ricordo di aver letto un articolo su Finance International che accennava alla sua reputazione di duro.»
«Be’, se non riusciamo a convincerlo, siamo nei guai.» Dave si passò una mano tra i capelli. «È già un miracolo che uno come Carrington sia venuto da noi, e non possiamo permetterci di perdere questa opportunità, quindi promettigli tutto quello che vuole.»
«Non ha senso promettergli qualcosa che magari non riusciamo a dargli» obiettò lei, a disagio.
«Accidenti, Ella, non farmi la morale. Quando lui scoprirà se possiamo o non possiamo dargli quello che vuole, saremo già al lavoro. Sarà costretto ad accontentarsi di quello che riesce a ottenere. La nostra carta migliore, la nostra unica carta, forse, è che vuole iniziare il lavoro immediatamente e vuole che sia finito al più presto. Le grosse ditte di sicuro gli propongono dei tempi di attesa. Digli che il lavoro che avevamo in programma è stato sospeso e che questa è un’occasione...»
Non c’era nessun lavoro in programma. Malgrado tutto il loro duro impegno, il libro degli ordini era desolatamente vuoto.
«E sottolinea il fatto che possiamo iniziare quando vuole lui. Anche lunedì, se preferisce. Anche se ci servirà un cospicuo anticipo per poter ordinare l’attrezzatura» aggiunse Dave.
«Ma di sicuro Greenlees potrà...»
«Greenlees ha stretto i freni. Non ci daranno nemmeno un tappetino per il mouse finché non paghiamo quanto gli dobbiamo.»
«Ma abbiamo già pagato. Il nostro conto è stato saldato non appena sono arrivati i soldi dell’ultimo lavoro» obiettò lei.
Quando il cipiglio sul viso di Dave si accentuò, lei insistette: «Ho mandato l’assegno io stessa all’inizio della settimana».
«Era scoperto» affermò lui, laconico. «Stamattina mi hanno inviato una brutta e-mail e ho ricevuto una telefonata ancora peggiore dalla banca.»
«Dev’esserci qualche errore» protestò lei.
«Nessun errore.»
Eleanor scosse la testa, incredula. «Sono certa che nel nostro conto corrente c’era denaro a sufficienza per coprire i costi.»
«Invece no.» Gli occhi nocciola erano duri. «Quando sono andato a ritirare quel software, Burtons ha insistito a voler essere pagato lì su due piedi. L’assegno che gli avevamo mandato è risultato scoperto.»
«Non mi ero resa conto che le cose erano messe tanto male» commentò lei, scossa. «Perché non me lo hai detto?»
«Non volevo preoccuparti.»
«Avresti dovuto dirmelo. Spetta a me pagare i conti. Se lo avessi saputo, invece di mandare a Greenlees un assegno senza valore, sarei andata da loro e avrei chiesto altro tempo per pagare. Ci avrebbe risparmiato l’imbarazzo di...»
Con un’espressione irritata sul bel viso, Dave ringhiò: «Invece di stare qui a discutere, perché non vai di là e fai il tuo lavoro? E non dimenticare che Carrington è la nostra ultima speranza, quindi offrigli tutto quello che vuole, anche la luna, se necessario. Dobbiamo avere questo lavoro, se vogliamo restare in affari».
La fredda sicurezza che aveva nella voce la spaventò. Sapeva istintivamente che, se avessero perso la ditta, lei avrebbe perso anche Dave.
Senza la promessa di un futuro migliore, lei non aveva niente da offrirgli. O, almeno, niente di abbastanza interessante da tenerlo legato a sé. Il suo futuro sarebbe stato piatto e grigio, come il suo passato.
In un modo o nell’altro doveva convincere Robert Carrington ad affidare il lavoro a loro.
Con un profondo respiro, lanciò uno sguardo allo specchio per controllare il proprio aspetto. Quello che vide non le sollevò il morale. Indossava un banale completo grigio scuro che la faceva sembrare troppo magra, quasi macilenta, e il viso era pallido e teso nell’oscurità.
Una nera ciocca ribelle le era sfuggita dal composto chignon. Rimettendola a posto, squadrò le spalle e, raccogliendo il vassoio che aveva apparecchiato con cura, si avviò nell’ufficio.
Accanto alla finestra c’era un uomo, con la schiena rivolta alla stanza, che guardava fuori. Alto e ben piantato, aveva spalle larghe; le braccia gli ricadevano lungo i fianchi rilassate, e i capelli corti, folti, color pannocchia, gli si arricciavano leggermente alla base della nuca, sfiorando il colletto della giacca.
Si voltò, senza fretta, e la prima cosa che Eleanor notò fu che aveva ciglia e sopracciglia più scure dei capelli di parecchie tonalità.
Dal tono sprezzante di Dave quando aveva dichiarato che il ricco finanziere apprezzava le donne, Eleanor si era immaginata un uomo arrogante e indisponente, come vuole lo stereotipo.
Non era niente del genere, invece, e il suo aspetto la colse completamente di sorpresa. Robert Carrington era piuttosto giovane, sulla trentina forse, snello e con un’aria autorevole, ma affabile, e indossava un abito grigio con una cravatta azzurra in tinta unita.
Il suo viso dai lineamenti duri era abbronzato e non particolarmente bello. Se aveva un qualche fascino, lo teneva molto ben nascosto.
Mentre continuava a fissarlo sbigottita, lui inarcò un sopracciglio.
Eleanor arrossì e, sentendosi una vera stupida, posò il vassoio sulla scrivania con un tintinnio e si mosse per salutarlo. A distanza ravvicinata, si rese conto che lui sovrastava di parecchi centimetri il suo metro e settanta, doveva essere alto più di un metro e novanta.
«Signor Carrington, io sono Eleanor Smith.»
Le prese la mano in una stretta leggera, decisa, e lei si trovò a guardare direttamente un paio di occhi ombreggiati da ciglia scure, occhi verdi e nocciola con delle pagliuzze dorate. Come gli occhi di un lupo.
Prigioniera di quegli occhi, era incapace di distogliere lo sguardo.
«Di Smith & Benson?» Aveva una voce profonda, attraente, e la sua domanda spezzò l’incantesimo.
«S... sì» farfugliò lei.
Osservando il vassoio del tè, lui le chiese con sottile ironia: «Così ha il ruolo della segretaria tuttofare?».
Con uno sforzo, Eleanor riprese il controllo di sé e, più freddamente che poteva, replicò: «Sfortunatamente, siamo a corto di personale, al momento».
Ritirando la mano, si allontanò con tutta la dignità che riuscì a mostrare, mentre lui la guardava con un’ombra di sarcasmo.
Doveva rafforzare la propria autostima, così andò a sedersi nella grande sedia di pelle dietro alla scrivania e gli propose gentilmente: «Perché non si siede, signor Carrington?».
Lui attraversò la stanza e si mise a sedere nella piccola sedia dall’altra parte della scrivania.
Non era la sedia a fare il capo, lo sapevano entrambi.
Allungandosi per prendere la teiera, lei domandò: «Latte e zucchero?».
Il suo viso severo era vagamente divertito, come se stesse giocando. «Poco latte, niente zucchero.» E aggiunse a sorpresa: «Sono già dolce abbastanza».
Chi lo avrebbe mai detto?
Oh, Signore, lo aveva detto ad alta voce?
Che lo avesse fatto o meno, lui lo sapeva, glielo leggeva negli occhi nocciola.
Le tremavano un poco le mani mentre versava il tè in una delle tazze di porcellana e gliela passava.
Lui fece il gesto di prenderla e lei la lasciò andare troppo presto: la tazza si inclinò, schizzandogli del tè sui pantaloni.
Lei lo fissò, pietrificata dall’orrore, ma lui posò la tazza con calma, estrasse dalla tasca un fazzoletto immacolato e iniziò a ripulire.
Quell’uomo era così controllato nelle sue reazioni che lei avrebbe quasi preferito sentirlo imprecare.
«M... mi dispiace» si scusò, imbarazzata. «Spero che non si sia scottato...»
«Sono ancora tutto intero» le rispose lui tranquillo e, appallottolando il fazzoletto, lo gettò nel cestino.
Nel disperato tentativo di salvare la situazione, Eleanor propose: «Mi permetta di offrirle un’altra tazza di tè».
Lui scosse la testa. «Sarò un vigliacco, ma non credo che correrò il rischio.» Vedendola arrossire, aggiunse con aria sibillina: «E comunque, la tazza è ancora quasi piena. Va bene così».
Lui si stava divertendo nel notare la sua confusione, non c’era dubbio. Dave aveva ragione, Robert Carrington era arrogante e indisponente.
Ma non poteva lasciargli capire che le stava antipatico, anche se la sua stupidità aveva già fatto danni più che sufficienti. «Mi scusi» ripeté.
Lui agitò una mano. «Si figuri.» Poi, guardando la tazza vuota sul vassoio, suggerì: «Spero che lei intenda unirsi a me».
«Be’, io...»
«Altrimenti potrei cominciare a chiedermi se lei non è davvero la nuova segretaria che fa le veci del capo.»
Fin troppo consapevole di aver causato più guai di qualunque nuova segretaria degna di questo nome, lei si sforzò di sorridere e versò una seconda tazza di tè.
Lui alzò la tazza e bevve. Eleanor sapeva che la stava prendendo in giro, ma strinse i denti e bevve un sorso