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Binari. Racconti di viaggi e di treni sulle ferrovie minori italiane.
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Ebook160 pages2 hours

Binari. Racconti di viaggi e di treni sulle ferrovie minori italiane.

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«Lasciando Randazzo il paesaggio si fa via via più dolce. Il treno scende verso la valle dell'Alcantara e pistacchi e fichi d'India lasciano spazio a viti ad alberello, agrumeti e ulivi. Scendo a Villa di Giarre, una piccola stazione non presidiata da dove si raggiunge però rapidamente il centro».

Una volta viaggiare in treno poteva rivelarsi un'esperienza ai limiti dell'avventura. Eppure ancora oggi, nonostante la comoda velocità degli aerei, ci sono viaggi da compiere in carrozza che permettono di vivere quel tipo di emozione che solo un itinerario in treno può offrire.

L'autore ci racconta le sue tappe su rotaie, un ritorno sui binari come simbolo di un turismo forse più lento ed ecosostenibile, tra ferrovie "turistiche" che regalano paesaggi incredibili dove stare affacciati al finestrino è un vero e proprio spettacolo.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMay 6, 2021
ISBN9791220337083
Binari. Racconti di viaggi e di treni sulle ferrovie minori italiane.

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    Binari. Racconti di viaggi e di treni sulle ferrovie minori italiane. - Fabio Bertino

    Semplici

    La valle degli spazzacamini

    Ottobre 1944. Un trenino elettrico arranca faticosamente sul binario unico della linea a scartamento ridotto che da Domodossola si arrampica sulle montagne verso il confine svizzero. A bordo ci sono decine di bambini fra i 4 e i 14 anni. Dopo quarantatré giorni di vita, la Repubblica partigiana dell'Ossola sta per cadere di fronte all'attacco nazifascista e si prospettano violenze e rappresaglie. Così, grazie all'intervento della Croce Rossa, oltre 2.500 bambini italiani vengono portati in salvo al di là del confine. Ospiti di famiglie svizzere in quello che diventerà per loro il paese del pane bianco perché, abituati solo al pane nero di segale, assaggeranno per la prima volta quello di farina di grano.

    Oggi, nello stesso luogo, a farmi compagnia sul treno panoramico sono soprattutto turisti diretti a Locarno. Alla partenza da Domodossola l'atmosfera è infatti decisamente più allegra rispetto a quella che posso immaginare in quel giorno lontano. Qualche pendolare si mescola a gruppi di turisti e a studenti universitari che tornano a casa da Milano. Sull'unico marciapiedi della stazione sotterranea della Vigezzina-Centovalli si sente parlare tedesco, francese, italiano, inglese. Qualcuno scatta fotografie, altri osservano i pannelli turistici che, sulla parete, mostrano le bellezze della Val Vigezzo e di Locarno. Nell'attesa ho trascorso la mattinata girando per il capoluogo della Val d'Ossola.

    È sabato, e tutto il centro storico è occupato dalle mille bancarelle del grande mercato settimanale che, secondo la leggenda, sarebbe stato istituito da Berengario I, prima dell'anno 1000. Non è un caso che il cuore della città sia proprio Piazza Mercato, con i suoi portici e i palazzi quattrocenteschi. La Piazza, l'antica Via Briona e tutte le strade laterali brulicano di gente e di attività. Anche qui non mancano i turisti. Alle 13:25 mi trovo però puntuale alla partenza del Panoramico Vigezzo Vision, uno dei treni dalla strana forma a trapezio con grandi finestrini panoramici prodotti da Skoda-Corifer introdotti nel 2007 proprio pensando ai turisti e che oggi sulla linea sono quelli più frequenti. Dopo pochi chilometri lasciamo la piana di Domodossola e iniziamo a salire con un percorso a tornanti dalla pendenza sempre più accentuata. Mentre ci avviciniamo alla manciata di case di Greggio, frazione del paesino di Trontano, molti dei miei compagni di viaggio si spostano sul lato destro del vagone per fotografare la vallata e Domodossola.

    Io invece mi apposto al finestrino del lato opposto. Non voglio perdermi i pochi secondi in cui, tra la vegetazione a mezza costa, si può intravedere la Torre di Fra' Dolcino. La torre, in parte diroccata, in realtà non è nulla di speciale, ma una tradizione vuole che il famoso eretico medievale italiano sia nato proprio qui, tanto da essere anche conosciuto come Fra' Dolcino da Trontano. Intanto la Val Vigezzo si fa via via più selvaggia. Il treno procede lentamente in salita tra boschi di faggi e castagni, vecchie case di pietra semisepolte dalla vegetazione, piccole radure coltivate a vigneto, ruscelli e torrenti, viadotti che superano valloni a strapiombo, brevi gallerie, frazioni abbarbicate alla montagna che sembrano impossibili da raggiungere. In alcuni punti i binari sono stati letteralmente strappati alla roccia.

    Un paesaggio che racconta un passato di dura vita di montagna e che fino agli anni '60 è stato il territorio degli sfrusaduur, come erano chiamati qui gli spalloni, i piccoli contrabbandieri che facevano la spola verso la Svizzera con la bricolla, il pesante zaino di juta, trasportando riso, zucchero, caffè e, più tardi, sigarette.

    Dopo mezz'ora di viaggio superiamo senza fermarci la stazioncina di Gircesco. Da qui lo scenario cambia e inizia la parte pianeggiante della Valle, con prati, alberi sparsi e piccoli paesi. Ancora pochi chilometri e, dopo la fermata di Druogno, la linea raggiunge il suo punto più alto, a 816 metri sul livello del mare. Alla fermata successiva di Santa Maria Maggiore sono l'unico a scendere. In una stazioncina pulita e curata. Un vecchio vagone che rimanda alla storia della linea, fiori, un bar, la biglietteria presidiata e una piccola sala d'aspetto. Di fianco all'ingresso una targa ricorda la riapertura della linea il 27 settembre 1980 dopo che la disastrosa alluvione del 7 agosto 1978 l'aveva interrotta in più punti mettendone in pericolo la stessa sopravvivenza. Una seconda targa commemora invece l'inaugurazione della ferrovia, il 25 novembre 1923. L'idea di un collegamento ferroviario diretto tra Italia e Svizzera era stata lanciata nel 1898 dall'avvocato Francesco Balli, sindaco di Locarno e, superate le molte questioni burocratico-amministrative fra i due paesi, i lavori erano iniziati nel 1912 sul lato italiano e nel 1913 su quello svizzero, per interrompersi durante la Prima guerra mondiale e riprendere poi nel 1921. Il 27 marzo 1923 le due squadre addette alla posa dei binari, quella svizzera e quella italiana, si incontrarono proprio a Santa Maria Maggiore, e otto mesi dopo ci fu l'inaugurazione ufficiale. Nonostante le enormi difficoltà del percorso, la Vigezzina-Centovalli è stata realizzata in pochi anni.

    A scartamento ridotto a 1.000 mm, lunga 52 chilometri di cui 32 in territorio italiano e 20 in quello svizzero, in alcuni punti raggiunge una pendenza del 62 per mille e ha richiesto la costruzione di 83 ponti e viadotti e di 34 gallerie. Con una breve passeggiata in paese scopro che il capoluogo della Val Vigezzo, con poco più di 1.000 abitanti, è un piccolo gioiello. Curato e ben tenuto, ha saputo diventare una meta turistica senza perdere la sua autenticità. Mi fermo per un caffè nel dehor di un bar di Piazza Risorgimento, da dove in lontananza riesco a vedere la catena del Monte Rosa. Scatto qualche foto alla chiesa di Maria Santissima Assunta, considerata fra le più belle dell'Ossola, alla torre medievale de Rubeis, alle antiche case della piccola nobiltà del posto. Come casa De Magistris, nella viuzza omonima, abitazione di un'antica famiglia ghibellina protagonista per secoli della storia locale. Non resisto alla tentazione di sbirciare il nome sul campanello, e scopro così che ci vive ancora un discendente della famiglia. Più tardi, sempre sulla piazza, raggiungo Villa Antonia, la costruzione settecentesca che oggi ospita il Comune e che è uno dei motivi che mi hanno portato a Santa Maria Maggiore. Perché sul retro, attraversando il bel parco pubblico, mi aspetta un'altra piccola gemma. Un museo unico, dedicato agli spazzacamini. Che non a caso è stato realizzato proprio qui. Fin dal '500, infatti, la povertà e la dura vita di montagna hanno spinto migliaia di abitanti della Valle a emigrare. Un destino comune a molte zone, ma con la particolarità che gli emigranti vigezzini si specializzarono proprio nell'attività di spazzacamini. Erano soprattutto bambini, più adatti a infilarsi all'interno delle strette canne fumarie, che raggiunsero le città del nord Italia, la Svizzera, la Germania, l'0landa, per condurre una vita spesso più dura di quella che avevano lasciato, fatta di miseria, sfruttamento e malattie causate dalla cenere e dal fumo che respiravano ogni giorno.

    Il museo, creato nel 1983, è stato completamente ristrutturato nel 2005, e vale davvero i 2 euro del biglietto d'ingresso. Comprende due sale in tutto. Nella prima, al piano terreno, sono esposti oggetti, attrezzi, vestiti, fotografie legati alla vita e all'attività dei rusca, com'erano chiamati gli spazzacamini. In un angolo, un pannello racconta del tarom de rusca, una vera e propria lingua segreta degli spazzacamini vigezzini. Un gergo che serviva a non farsi capire da padroni e concorrenti e a creare una comunità coesa. Scopro che, ad esempio, ragazza si diceva barisina, denaro bor, polenta ribaja, grappa sgnappa. Una tradizione affascinante di cui non sapevo nulla. Al primo piano mi aspetta invece un vero e proprio percorso multisensoriale dove, percorrendo una sorta di grande camino orizzontale, dalle cuffie che mi hanno fornito all'ingresso si sentono i rumori degli spazzacamini al lavoro, mentre in corrispondenza dei vari pannelli si ascoltano le loro preghiere e le loro malinconiche canzoni.

    Torino è grande ma il paesello/ove son nato mi par più bello.

    Il Museo, di proprietà del Comune, è gestito dall'Associazione Nazionale Spazzacamini che, ogni primo fine settimana di settembre, organizza in paese il Raduno Internazionale dello Spazzacamino. Oltre mille spazzacamini moderni, provenienti da tutta Italia e da molti paesi europei, sfilano per le strade con i tradizionali costumi neri. Con l'eccezione della delegazione olandese, che indossa invece una divisa bianco candido. Mi dicono che l'anno scorso, per la trentasettesima edizione, sono arrivate in paese più di trentamila persone per assistere alla sfilata e partecipare ai vari festeggiamenti. Un museo molto interessante, che sembra conservare la memoria di una tradizione passata e ormai perduta.

    Invece, proprio quando sto per uscire, scopro che non è esattamente così. Un uomo di mezza età si avvicina alla cassiera e le chiede qualcosa. Parla solo olandese e la ragazza decide allora di telefonare a una collega che lo capisce. Glielo passa. Nella conversazione colgo solo una parola, ripetuta più volte. Vittali. Quasi non ci posso credere. Sul muro alle mie spalle ho appena letto un pannello che racconta brevemente la storia di una famiglia di spazzacamini. Proprio Vittali. Una storia iniziata con ragazzino di quattordici anni partito a piedi per Amsterdam dal vicino paese di Druogno nel 1838. Arrivato a destinazione dopo quindici mesi, fu accettato come apprendista spazzacamino da una famiglia di suoi compaesani. Dopo il matrimonio ricevette un piccolo prestito dal suocero grazie al quale, nel 1844, riuscì ad avviare la sua attività in proprio. Un'attività che la famiglia van Blerk-Vittali sua discendente, giunta alla settima generazione, prosegue ancora oggi.

    La persona che sta parlando al telefono è proprio uno di loro, tornato a rivedere la sua terra di origine e a visitare il museo. Lo chiedo alla cassiera, che me lo conferma. Mi accorgo che mentre lo dice, è piuttosto emozionata. Una coincidenza quasi incredibile, che mi fa capire ancora di più l'importanza di questo luogo. Per il ritorno a Domodossola salgo di nuovo sul treno panoramico bianco e blu. Quello delle 16:53 proveniente da Locarno. È affollatissimo di turisti, con una delle tre carrozze riservata a una grossa comitiva italiana, al punto che resto in piedi fino al capolinea. Il mattino dopo sono però di nuovo davanti al gabbiotto che funge da biglietteria nel tunnel della Vigezzina.

    «Dove andiamo oggi?», chiede il bigliettaio che mi riconosce. «A Locarno?» L'impressione che ho avuto è infatti che la grande maggioranza dei turisti percorra l'intero tragitto in una sola volta per godersi il panorama. Invece prendo un biglietto per Re. Due sole fermate dopo Santa Maria Maggiore. Quello delle 10:03 è uno degli elettrotreni ABe 4/8 ribattezzati Centovalli Express. In realtà simile al Vision, se pur più datato, anche questo con finestrini panoramici appena più piccoli. Con la differenza, però, che qui non si paga il supplemento di 1,50 euro, o di 1,50 franchi, previsto per il panoramico. Supplemento che, al momento dell'introduzione dei treni turistici, aveva suscitato le proteste di pendolari e abitanti della zona che ne sono ovviamente penalizzati. Oltre al Panoramico Vigezzo Vision e all'Express, sulla linea si viaggia anche con un terzo tipo di treno, il Regionale. Con finestrini di grandezza standard, ferma anche nelle stazioni minori.

    A differenza di ieri la giornata è cupa, con nuvoloni neri e temporali intermittenti che comunque non scoraggiano i turisti, i quali anche oggi riempiono i tre vagoni. Sfatando clamorosamente il mito della puntualità svizzera, metà dei componenti del gruppo che ha riservato il primo vagone si presenta con dieci minuti di ritardo. Con grande disappunto del capotreno, che li incita a sbrigarsi a prendere posto. Il tempo coperto e piovoso mi impedisce di godermi il sole che ieri illuminava il fondovalle e filtrava tra gli alberi, i paesini in lontananza e i grandi boschi il cui foliage multicolore ha reso famosa la linea in autunno. Ma il tragitto verso Re ha comunque un suo fascino, con la nebbia che nasconde la cima delle montagne e i torrenti che, gonfiandosi, scendono dalle montagne. Oltrepassata Santa Maria Maggiore, mentre la linea comincia lentamente a scendere verso il versante svizzero del Lago Maggiore, il treno passa senza fermarsi da Villette. Il più piccolo comune della Valle, famoso per le sue meridiane. In giro per il paese ce ne sono almeno una ventina. Sulle case, sulla stazione, sulle chiese e perfino sull'asilo. Del resto gli orologi solari devono essere una caratteristica di tutta la zona, considerato che ne ho visti anche a Domodossola e a Santa Maria Maggiore.

    A Re scendiamo io e una ragazza del posto, che mi dà indicazioni per salire dalla piccola stazione con la sua meridiana verso il centro del paese. Con circa 700 abitanti,

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