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Famiglie e COVID-19. Come orientarsi
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Famiglie e COVID-19. Come orientarsi

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About this ebook

Il COVID-19 ha portato profondi cambiamenti nella vita a livello personale, familiare e sociale. In questo libro, medici e psicologi discutono dell’impatto emotivo legato alla diffusione del virus e alle misure restrittive, e della conseguente sensazione di ansia, stress e instabilità, avvertita non solo dagli adulti, ma anche da bambini e adolescenti, alle prese con DAD, isolamento, bullismo e cyberbullismo. Come affrontare l’ansia, lo stress e i disturbi psicosomatici dei bambini? Come sostenere i bambini con autismo e ADHD e le loro famiglie al tempo della pandemia? Quali saranno gli effetti, a breve e a lungo termine, della sospensione scolastica? Il senso di solitudine, talora, genera nuove dipendenze e l’isolamento favorisce la violenza domestica. La difficoltà di intravedere la fine della pandemia e l’incertezza sul futuro economico hanno avuto e continuano ad avere un impatto importante e richiederanno tempo per essere elaborate. Ma accanto a tutto questo ci sono anche espressioni di solidarietà e l’aiuto della psicoterapia online e della telemedicina: nuove opportunità grazie all’esperienza di medici e psicologi nell’anno della pandemia.
LanguageItaliano
PublisherHygeia Press
Release dateMay 1, 2021
ISBN9788898636464
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    Book preview

    Famiglie e COVID-19. Come orientarsi - Bassem J. Khoory

    editrice

    Prefazione

    Mamme, bambini e nonni… Ansia e angoscia

    Molti decenni fa il mio professore di pediatria ripeteva, quasi ossessivamente, una frase nota: Ricordatevi che i bambini non sono adulti in miniatura. La relazione medica con i bambini prevede quindi competenze e sensibilità specifiche che sicuramente non mi appartengono come internista, che ha ben altro target anagrafico di cura. Mi esprimerò più da nonno che da medico.

    Abbiamo vissuto e viviamo un'esperienza di vita epocale.

    Come hanno vissuto e sentito la relazione con il papà, medico rianimatore, due bimbi di otto mesi e di due anni? Mentre la bimba piccola ha continuato a inondare di sorrisi le nostre vite, cosa ha sentito il più grande, aspettando il papà che quando arrivava era sempre più stanco e sempre più silenzioso? Vedevo l'abbraccio consolatorio che l'adulto cercava e l'accondiscendenza del bimbo a farsi stringere più a lungo. E mentre la piccola imperterrita, forse, continuava nei suoi fonemi e sorrisi di gioia, la mamma, con il trascorrere delle settimane e con l'acuirsi della pandemia, la coccolava sempre di più. Era paura? Da non esperto: sì era paura. Paura che suo marito si ammalasse, paura che quella sera il papà portasse a casa il virus. E il più grande, quando mi è capitato di osservarlo la sera, davanti alla porta finestra, stranamente tranquillo, aveva paura? Sentiva la paura della sua mamma o aspettava solo il lungo abbraccio di suo padre?

    Queste note non sono scritte da un medico, ma da un nonno che tutti i giorni si stupisce di questo amore nuovo che lo pervade. Ho percepito, però, che i bimbi hanno sentito un tempo diverso, sospeso.

    E penso ai più grandi. Come cambiano le loro vite quando il dolore e la morte diffusa entrano nelle loro case? Leggerò questo libro per capire.

    Questa è una sindemia. L'epidemia che si intreccia con le condizioni di marginalità, di povertà, di diseguaglianza. E lì colpisce ancora più duramente.

    È stupefacente avere scoperto con il male-pandemia quanto siamo gli uni dipendenti dagli altri. Dipendenti e nello stesso tempo responsabili, non solo dei nostri cari, ma di quello o quella che incontriamo per strada. Lui confida in te e tu confidi in lui. Nelle corsie, negli ambulatori, nei giorni più bui si è creato un legame che non è solo professionale. È qualcosa di più. È semplicemente un legame umano.

    Si è diffuso fuori fra la gente? Rimarrà dopo il COVID-19?

    Certo questa relazione, nuova e solidale, farebbe un gran bene ai piccoli, ai meno piccoli… e a tutti noi.

    Ottavio Di Stefano

    Nonno e… Medico internista, Presidente dell'Ordine dei Medici di Brescia

    1. Diventare madri ai tempi del COVID-19

    Melania Puddu, Flaminia Bardanzellu, Vassilios Fanos

    Non si può parlare dell'evento nascita ai tempi del COVID-19 senza ricordare qual è la condizione delle madri nella società a prescindere dalla pandemia, in Italia ma anche in diverse parti dell'Europa (soprattutto nel Sud) e del mondo. Save The Children le ha giustamente definite le equilibriste della maternità per il loro gravoso e costante impegno nella ricerca di un equilibrio tra attività lavorativa, impegni domestici, cura dei figli e, spesso, anche di qualche parente a loro carico. E se talvolta l'equilibrio raggiunto può essere considerato stabile in quanto implica il raggiungimento di una condizione gradita (pur con sacrifici non indifferenti), spesso è invece precario, instabile, in quanto richiede aggiustamenti della vita quotidiana spesso frustranti: tra questi, la scelta del part-time lavorativo, il congedo parentale (con drastica riduzione del salario) e, nei casi estremi, la rinuncia al posto di lavoro. L'opzione del part-time in Italia da parte delle donne, secondo i dati ISTAT, nel 60% dei casi non è frutto di una scelta libera e serena, ma è dettata dalla necessità di dedicare più tempo alla famiglia e ai figli. A questa scelta contribuiscono l'assenza di supporto familiare, l'elevato costo dei nidi e delle baby-sitter, il mancato accoglimento dei bambini nei nidi, la scarsa possibilità da parte del padre di usufruire del congedo parentale.

    Se questa era, in sintesi, la situazione prima del COVID-19, si può facilmente immaginare come la pandemia l'abbia ulteriormente deteriorata e non solo nella prima fase, in cui l'imposizione dell'isolamento è stata improvvisa, ma anche nelle fasi successive in cui, dopo l'illusione della remissione virale, lo squilibrio si è probabilmente accentuato per l'alternarsi di riaperture e chiusure forse più destabilizzanti del primo isolamento che, per quanto inaspettato, ha avuto una costanza temporale, permettendo la messa in atto di un certo adattamento. Lo smart working rappresenta sicuramente un vantaggio per le donne che hanno un impiego fisso e che devono organizzarsi in base ai DPCM che prevedono l'apertura o la chiusura delle scuole in base all'andamento della pandemia, ma nello stesso tempo implica un maggiore impegno all'interno delle mura domestiche, relativo all'accudimento dei figli nei loro compiti scolastici, spesso reso difficile dalla non disponibilità di ambienti adatti a tutte le attività e dalla diversa età dei figli. Le madri che, invece, non hanno la possibilità dello smart working, si trovano ulteriormente penalizzate e subiscono un maggiore danno economico. In linea generale, le donne sono universalmente più vulnerabili degli uomini in caso di povertà o disagio economico e, se è vero che il virus è con loro meno aggressivo, la pandemia da COVID-19 sta aumentando le disuguaglianze (anche di genere), minando la salute sessuale e riproduttiva e mettendo a rischio la salute fisica e mentale delle popolazioni future. Ma quali sono gli effetti principali della pandemia sull'evento nascita?

    Sessualità e natalità: altro che baby boom!

    Si riteneva che ci sarebbe stato un aumento delle nascite, un baby boom lo definiva la stampa corrente, che dedicava ampio spazio ai rapporti tra sessualità e pandemia e che prevedeva un'azione favorevole del lockdown sulla vita intima della coppia. Ma se è vero che la salute sessuale e riproduttiva è indice del benessere della società, è anche vero che una società malata di COVID-19, in cui è stato imposto un confinamento (il lockdown, appunto), un blocco ai confini della vita di ciascun individuo, non poteva non manifestare sofferenze anche in questo settore. Alcune indagini hanno sì messo in evidenza che per le coppie affiatate, in buone condizioni economiche, con abitazioni spaziose e confortevoli, l'isolamento è stato un'occasione per dare più spazio alla vita sessuale, ma altri contesti familiari caratterizzati da conflittualità di coppia preesistenti, disagio economico e ambienti domestici poco spaziosi, costretti ad accogliere figli di diversa età magari impegnati nella didattica a distanza, oltre che genitori impegnati nello smart working, hanno favorito al contrario un'accentuazione dei conflitti e, talvolta, il verificarsi di episodi di violenza. Comunque, anche nei casi più favorevoli, raramente una maggiore attività sessuale ha implicato il desiderio di avere dei figli, la cui programmazione è stata procrastinata a tempi più favorevoli dal punto di vista infettivologico ed economico.

    La conseguenza non è un baby boom ma un baby bust, l'esatto contrario del baby boom. Solo in Italia, nel 2021 le nascite potrebbero essere inferiori a 400.000, cifra che, secondo le previsioni, si sarebbe raggiunta solo nel 2032, tenendo conto della grande difficoltà in cui l'Italia si trova da tempo riguardo alla natalità.

    Tra gravidanze indesiderate e gravidanze trascurate

    Gli effetti diretti del virus sulla donna in stato di gravidanza, sulle complicazioni della gravidanza e sul neonato sembrano lievi, a parte casi isolati. Gli effetti sono prevalentemente indiretti e stanno interessando la salute sessuale, riproduttiva e materno-infantile di milioni di donne e famiglie.

    Un modello di calcolo per 132 paesi a medio-basso reddito ha mostrato che un calo anche solo del 10% della disponibilità di risorse, nei settori relativi ad aborto, contraccezione e controllo di gravidanza e neonato, porteranno entro un anno a più di 15 milioni di gravidanze indesiderate, a più di 3 milioni di ulteriori aborti non sicuri, con più di 1.000 morti materne aggiuntive e a più di 4 milioni di complicazioni severe della gravidanza con esiti gravi nella madre e nel bambino.

    Alcuni studi, di cui uno effettuato nel Lazio e uno in Inghilterra, hanno inoltre evidenziato un aumento dei nati morti nel periodo febbraio-giugno 2020 da donne non diagnosticate per COVID-19, che gli autori attribuiscono al minore ricorso alle strutture ospedaliere in caso di sintomi premonitori di gravi complicanze (es. riduzione dei movimenti fetali), per la paura del contagio.

    Prematurità e COVID-19: un esempio da seguire?

    Due studi effettuati in Irlanda e Danimarca su circa 60.000 neonati in totale hanno paragonato i mesi di gennaio-aprile 2020 con gli stessi mesi degli anni precedenti (20 anni per il primo studio e 5 anni per il secondo): una riduzione significativa dei neonati di peso molto basso (< 1.500 grammi) (73%) ed estremamente basso (< 1.000 grammi) (100%) è stata messa in evidenza nel primo studio, mentre il secondo ha mostrato un calo importante nelle nascite di neonati < 27 settimane di età gestazionale (da 2,19 a 0,59 per mille nati vivi). In un'indagine molto più ampia effettuata in Olanda su 1.600.000 nascite, le nascite premature, indipendentemente dall'età gestazionale, sono significativamente diminuite nel periodo del confinamento. Il risultato è interessante, in quanto le forme di prematurità più gravi rappresentano la causa principale di mortalità infantile, la cui riduzione è fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile per i bambini. Gli autori ipotizzano che tali risultati siano stati favoriti da diversi fattori: minore stress fisico legato al lavoro e al pendolarismo, ridotta esposizione alle infezioni, maggiore supporto per la presenza del partner, opportunità ottimali per il riposo e il sonno, cambiamenti ambientali positivi, compresa la riduzione dell'inquinamento atmosferico. Sembrerebbe che le restrizioni imposte dal COVID-19 insegnino qualcosa di positivo, relativamente alla prevenzione della prematurità, ma bisogna considerare che gli studi sono stati effettuati in nazioni ad alto reddito, in cui i servizi per il controllo delle gravidanze non hanno subito variazioni rispetto al periodo pre-COVID e che studi simili in differenti aree geografiche potrebbero non confermarne i risultati. Inoltre, i risultati di questi studi prendono in esame i cambiamenti indotti dal Coronavirus nella società, e in particolare le ripercussioni sul percorso nascita, indipendentemente dallo stato di malattia COVID-19, valutando le nascite nel loro insieme. Se infatti ci focalizziamo sui parti di donne che hanno contratto l'infezione in gravidanza, possiamo osservare che la prematurità tra marzo e giugno 2020 ha avuto un'impennata con il 19,7% di nascite pretermine, quasi il doppio rispetto allo stesso periodo del 2019 (10%).

    Depressione, ansia e solitudine in gravidanza

    La gravidanza, il parto e il post partum accrescono la vulnerabilità emotiva e il rischio di insorgenza di disturbi psicologici e psichiatrici nella donna. Secondo l'Osservatorio Nazionale Italiano sulla Salute delle Donne (ONDA), circa 90.000 donne in Italia sperimentano ansia e sintomi depressivi durante il periodo perinatale (10-23% in gravidanza, 10-40% nel post partum).

    Lo stress sta diventando una condizione cronica della nostra società e interessa anche le gravide in questo tempo di pandemia da COVID-19: esso nasce come meccanismo difensivo che ha come scopo il superamento delle difficoltà e il ritorno a una condizione di normalità, ma se perdurano le condizioni che lo determinano (isolamento e scarsi contatti fisici, preoccupazione per i figli e i parenti, per il lavoro, per il futuro in generale), diviene un fattore di rischio per l'insorgenza di depressione e ansia in gravidanza e di depressione post partum. I significativi cambiamenti nella gestione della gravidanza, del travaglio, del parto, l'ascesa della teleassistenza associata alla riduzione dei controlli ambulatoriali (spesso non gradita), non possono non rendere più critica la situazione. Il distress psicologico in questa fase delicata della vita influisce negativamente sull'andamento della gravidanza stessa e sul feto. Sono ad esso associati una frequenza aumentata di aborti, di prematurità e di basso peso alla nascita, punteggi di APGAR più bassi e disturbi comportamentali e cognitivi nel bambino.

    I risultati preliminari, che riguardano le prime 200 donne, di uno studio nazionale, COVID-19 related Anxiety and StreSs in prEgnancy, poSt-partum and breaStfeeding (COVID-ASSESS), in cui un questionario è stato lanciato via web e accettato da 1.787 donne in stato di gravidanza (età gestazionale media 26 settimane) o che avevano partorito dopo il 1° gennaio 2020, confermano tali osservazioni. Il questionario comprende domande relative alle preoccupazioni provate in merito alla propria salute, a quella del partner o dei parenti, alla salute e al futuro del bambino, al futuro della società.

    Le donne si mostravano preoccupate più per la salute degli altri, che per la propria (che si colloca all'ultimo posto). Al primo posto vi erano gli anziani, al secondo il partner, al terzo il bambino, al quarto la società. Il 37% delle partecipanti aveva precedentemente presentato segni di distress psicologico rappresentati da sintomi ansiosi, turbe del carattere, disturbi dell'alimentazione, insonnia: in questi casi il grado di preoccupazione per il partner e per se stesse aumentava significativamente. Tra le emozioni di base provate prima e dopo l'insorgenza della pandemia, la gioia era quella prevalente prima, la paura dopo. Un'analisi della frequenza delle parole usate metteva in evidenza che la parola paura prevaleva sia prima che dopo, ma mentre prima era associata a parole come felicità, serenità, condivisione, dopo si associava a parole come tristezza, solitudine, dolore, ansia, restrizione. La paura della nascita prima della pandemia si riferiva al dolore fisico del parto, all'emozione della nascita; durante la pandemia era riferita ugualmente al dolore ma soprattutto all'isolamento, al senso di costrizione, di impedimento, di angoscia.

    Uno studio molto articolato attuato dal Dipartimento di Psicologia dell'Università Cattolica di Milano su 575 donne italiane (arruolate tramite i social) di cui 389 erano in gravidanza e 186 avevano partorito da meno di 6 mesi, ha esaminato tra marzo e maggio 2020 le risposte a questionari proposti tramite i social sulla loro esperienza e sul loro stato di benessere in gravidanza e nel post partum in corrispondenza della prima ondata del virus. Solo una piccola percentuale era stata infettata o aveva qualche familiare infetto. Tra le donne in attesa, l'80% aveva effettuato regolarmente le visite di controllo, il 10% era stato allertato che l'epidurale avrebbe potuto non essere eseguita per carenza di anestesisti, il 7,5% sapeva che il partner non sarebbe stato ammesso in sala parto, il 47% era incerto sulla sua presenza, il 14% sapeva che non avrebbe potuto ricevere visite durante il ricovero. Circa il 60% delle intervistate aveva sofferto di disturbi ansiosi in passato e circa il 30% di depressione. I disturbi psichici pregressi, la certezza o la possibilità dell'assenza del partner aumentavano l'incidenza di ansia e di paura del parto e condizionavano punteggi elevati nei questionari per la depressione. La percezione di non poter avere supporto familiare o professionale dopo il parto e la presenza di altri figli era un ulteriore fattore favorente. Nel complesso, la percentuale di donne con sintomi ansiosi o disturbo d'ansia era di circa il 60% (vs il 15% del periodo pre-pandemico), quella di depressione più del 30% (vs 10-20%); la paura del parto e della nascita in generale riguardava più del 50% (vs 14%).

    Ad oggi, un numero crescente di studi effettuati in diverse parti del mondo (Europa, Canada, USA, Cina, Turchia, Sri Lanka) riconosce che i problemi psicologici, la depressione e l'ansia in gravidanza costituiscono uno dei maggiori problemi di salute pubblica legati alla pandemia, in quanto rendono più facile l'accesso ad altre simili ma anche più gravi patologie nel post partum (depressione in particolare), e mettono in serio pericolo la relazione madre-bambino. La quasi totalità degli studi documenta che un supporto adeguato alla madre da parte delle persone a lei più care, ma soprattutto da parte del partner, costituisce il principale fattore di resilienza in tali situazioni. La vicinanza del partner è ancora più importante quando la madre ha sofferto di disturbi psichici anche prima della gravidanza, contribuendo a rendere positiva l'esperienza della nascita e favorendo la salute della madre e del bambino.

    La pandemia sta mettendo a dura prova tutto il mondo dell'assistenza ospedaliera, concentrata in prevalenza nella cura dei pazienti COVID e nella ricerca di spazi per accoglierli. Questo comporta una riorganizzazione delle strutture, spesso a scapito delle patologie non COVID. Inoltre, la necessità di limitare il contagio nel contesto ospedaliero ha costretto le amministrazioni a sospendere le visite ai pazienti anche da parte dei parenti più stretti. Se il paziente ricoverato è una donna in gravidanza le regole sono le stesse: donne con patologie ostetriche affrontano senza il supporto del padre del bambino, dei parenti, degli amici un periodo molto critico della loro vita, che può essere lungo e che talvolta non si conclude positivamente. In un momento in cui l'attenzione dei professionisti e dei cittadini è concentrata sulla pandemia, continuano a nascere bambini prematuri che necessitano di cure intensive, si verificano morti in utero e sono diagnosticate patologie fetali. Notizie buone e cattive da parte dei medici possono alternarsi, accentuando situazioni già presenti di ansia e insicurezza. La presenza dei mezzi di comunicazione attualmente disponibili, ad esempio le videochiamate, può solo in parte aiutare, anche se può essere molto utile per la comunicazione di notizie alla coppia, o alla madre ricoverata, o al padre fuori dal reparto.

    La sensazione di isolamento continua

    Se ci spostiamo dalla patologia ostetrica alle sale travaglio e parto, la situazione è analoga: tutti i centri si sono organizzati per stabilire percorsi COVID e non-COVID, ma non tutti riescono a soddisfare le raccomandazioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per l'assistenza, che implicano il diritto della donna a ottenere il rispetto della propria dignità, ad avere al proprio fianco una persona di fiducia e a non essere separata dal proprio neonato.

    Anche in questa nuova ondata dell'infezione da SARS-CoV-2, non sempre il padre può stare con la madre durante il travaglio, mentre quasi sempre può entrare in sala parto, se negativo al virus. In assenza del padre, non sempre è ammesso un altro accompagnatore durante il travaglio. La donna affronta così le ore che la separano dalla nascita del bambino sostenuta dal personale sanitario, in particolare dall'ostetrica, e in compagnia dei suoi affetti più cari collegati a lei tramite videochiamata. Talvolta le è negata anche l'epidurale: è questo il rispetto della dignità?

    In uno studio di psicologia clinica effettuato presso l'Università Cattolica, delle 176 donne che avevano già dato alla luce il bambino, il 20% dichiarava l'assenza del padre al parto e il 10% la sua impossibilità a far loro visita. La percentuale di donne con sintomi ansiosi o disturbi d'ansia era di circa il 50%, quella di depressione un po' meno del 30% (vs 15% e 10-20% del periodo pre-pandemico); il 57% dichiarava come negativa l'esperienza della nascita del bambino. I problemi psicologici precedenti, le complicazioni della gravidanza e del parto, la consapevolezza del mancato supporto familiare e professionale dopo la dimissione, la presenza di altri figli favorivano lo stato ansioso e la depressione così come la percezione negativa della nascita, quest'ultima influenzata anche dalla mancata effettuazione dell'epidurale.

    Non sapevo di essere positiva. Non ho sintomi: verrò separata dal mio bambino? Non potrò allattarlo?

    La maggior parte delle società scientifiche internazionali di neonatologia si è espressa contro la separazione tra madre e neonato e a favore dell'allattamento al seno pelle a pelle, sempre nel rispetto di idonee misure di protezione anche in caso di positività al SARS-CoV-2: il beneficio risultante dalla salvaguardia della diade madre-neonato supera infatti i rischi collegati alla loro separazione. Purtroppo, spesso le amministrazioni ospedaliere hanno dato la prevalenza alle misure anti COVID anche a scapito del rapporto madre-neonato, scegliendo di separarli.

    Un altro ostacolo al rapporto madre-figlio è la mascherina: Mi hanno detto che dovrò tenere sempre la mascherina e che il bambino deve stare almeno un metro lontano da me. Come farò?.

    Purtroppo la mascherina rappresenta una barriera emotiva e un limite al contatto tra mamma e neonato, impedendo un bacio e anche un semplice sorriso. Per fortuna è breve il periodo di contagiosità della mamma, che può continuare a parlare al bambino col tono di voce che la contraddistingue e che forse il bambino è in grado di abbinare al suo sguardo, mentre succhia il suo latte; e se non è in grado in quel momento lo sarà presto.

    Mamma, andiamo a casa o in hotel?

    La nuova ondata del virus sta determinando un aumento di ricoveri nei reparti di maternità di donne positive, o i cui partner sono positivi, mettendo a rischio la disponibilità di posti letto e costringendo i medici a una dimissione ancora più precoce. Molte famiglie non sono in grado di garantire a domicilio l'isolamento di madre e bambino e in alcune realtà più organizzate le madri vengono accolte in hotel COVID, dove possono stare sino al raggiungimento di condizioni di sicurezza con adeguata assistenza. Tenendo conto che molti genitori sanno della

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