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Ma non il vizio
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Ma non il vizio

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About this ebook

Sei racconti, tutti ambientati nel nostro tempo e nella realtà del quotidiano. Le fate, gli elfi , i draghi e il pensiero magico non vi trovano posto. Ogni lettore potrà rispecchiarsi in qualcuna delle sei storie o trovare in esse analogie con l’esperienza del proprio vissuto.
Partendo dalla viziata Carla e dall’impertinente Signorina Mia, passando per la sofisticata signora Gianna e gli intraprendenti viaggiatori signori De Carolis, fino all’imprevidente Antonio e allo sventurato professore Della Porta, “Ma non il vizio” racchiude sei racconti dal finale inaspettato e pungente.
LanguageItaliano
PublisherLa Caravella
Release dateApr 28, 2021
ISBN9788868273828
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    Ma non il vizio - Nino Mucedda

    Gabriella

    La Sposa Indecisa

    «Bambina mia…»

    «E piantala di chiamarmi bambina mia! Non ne posso più! Basta! Ti odio! Tu e papà, vi odio! Ho ventidue anni e non sono più la vostra bambina, lo volete capire o no? La dovete piantare di occuparvi di me! La dovete piantare di dirmi cosa devo fare! Vivete la vostra vita e non rompetemi più le palle!»

    «Ma, bambi…»

    «Ancora!»

    «Scusami, scusami, ma come ti posso chiamare?»

    «Non mi devi chiamare proprio! Tu e papà dovete scomparire dalla mia vita!»

    «Ma come si fa? Lo vedi che le cose non vanno…»

    «Avete anche un’altra figlia, quella bella, brava e che fa tutte le cazzate che le dite di fare… Bene! Occupatevi di lei e non mi rompete più le palle! Lasciatemi perdere…»

    «Ma lo vedi che sei finita in ospedale… Come facciamo a lasciar perdere, noi ti vogliamo bene, sei sempre nostra figlia!»

    «Certo! Quella stronza, la figlia scapestrata che si ubriaca, che non vi dà retta, quella che si scopa i ragazzi che le piacciono, mica quella brava e santerellina che fa tutto quello che le dite e scopa solo col marito; anzi, scopava solo col marito e hai visto che bel risultato? Ora sono divorziati e ognuno va per la sua strada…»

    «Sei ingiusta con Isabella, lei ha…»

    «Isabella è una stronza che ha seguito tutto quello che le avete detto, ha sposato l’uomo che le avete scelto e guarda che bel risultato!»

    «Ma bambina…»

    «Ancora? Mi chiamo Carla! Carla!»

    «Va bene, Carla… almeno Isabella non ci fa preoccupare… non dobbiamo andare a prenderla all’ospedale…»

    «Sì, sono stata male e sono finita all’ospedale, ma saranno cavoli miei o no?»

    «Ma Carla, sei finita all’ospedale in coma etilico… significa che conduci una vita squilibrata… e come facciamo io e tuo padre a non preoccuparci?»

    «Sono cavoli miei e non vi devono riguardare. Non c’era neppure nessun bisogno che venissi qua; stamattina mi hanno dimessa e ora torno a casa mia e non vi voglio né vedere né sentire».

    Mia madre alfine tacque perché sapeva che qualunque cosa avesse detto mi avrebbe ulteriormente irritato. Mi sfilai la camiciola dell’ospedale e velocemente indossai di nuovo i miei abiti, quelli che avevo al momento del ricovero. Diedi uno sguardo in giro per la stanzetta per accertarmi di non dimenticare nulla: dei due letti presenti nella cameretta uno era quello che avevo lasciato disfatto mentre l’altro era pulito e perfetto nell’attesa di un ricovero che probabilmente sarebbe avvenuto nel primo pomeriggio. Un braccio estensibile con una tenda separava i due letti muniti di comodino per garantire un minimo di privacy ai degenti. Nella saletta, come in tutta la corsia, aleggiava quel vago odore di disinfettante che si nota appena si entra in ambiente ospedaliero ma di cui si perde subito la percezione perché l’olfatto si adegua immediatamente. Mia madre ora sedeva esausta sull’unica poltroncina della saletta, stremata da questo ennesimo litigio. Andai davanti al piccolo specchio appeso al muro, mi diedi alla bell’e meglio una ravviata ai capelli usando le dita a mo’ di pettine, afferrai il foglio di dimissione e uscii dalla stanza senza neppure salutare mia madre.

    ***

    Il campanello suonò ripetutamente. I postumi della sbornia del giorno prima non mi erano ancora passati; avevo indosso i pantaloncini di maglina corti del pigiama, ma sopra non avevo nulla. Mi buttai giù dal letto e indossai una t-shirt prima di aprire la porta. Era mia madre.

    «Che vuoi?»

    «Buongiorno! Sì, anche a me fa piacere vederti!»

    «Ah maaa! Piantala con queste idiozie! Cosa sei venuta a fare?»

    «Non mi fai neppure entrare? Dobbiamo parlare sul pianerottolo?»

    «Entra…» dissi aprendo il battente della porta e facendomi di lato.

    Non volevo far entrare mia madre nel salottino a cui si accedeva direttamente dalla porta di ingresso perché era in un disordine indescrivibile. Raccolsi velocemente i capi di biancheria e di vestiario disseminati ovunque, i bicchieri sporchi poggiati qua e là, ma per il tappeto macchiato e il pavimento sporco e con la lanuggine non ci potevo fare nulla.

    «Non fare quella faccia!»

    «Non potresti tenere un po’ più pulito e in ordine?»

    «Se sei venuta per dirmi questo te ne puoi andare subito…»

    «No, sono venuta per dirti che tuo padre è stufo delle tue bravate…»

    «E che novità! Non mi ha mai sopportata; non c’era bisogno che venissi fin qua a dirmelo».

    «Sono venuta a dirti che ha deciso di non pagarti più l’affitto a partire dal mese prossimo».

    Rimasi un attimo in silenzio. Questa era una cosa che veramente non mi sarei mai aspettata. Era una specie di vendetta, non c’era altro modo di chiamarla. Non ubbidivo ai suoi ordini e mio padre mi puniva.

    «E chi se ne frega!»

    In verità mi bruciava moltissimo, ma non volevo dare soddisfazione a nessuno dei miei genitori.

    «Non te ne frega nulla? E come pensi di mantenerlo il tuo appartamentino? Ti troverai un lavoro?»

    «Sono fatti miei! Se lo spilorcio non vuole più pagare, che non paghi! Chi se ne frega!»

    «Carla, ragiona. Tuo padre si è scocciato del tuo modo di vivere… Sei finita tre volte in questura o all’ospedale negli ultimi cinque mesi!»

    «E allora? Sono maggiorenne, lui non è tenuto a rispondere di ciò che faccio. Solo io ne rispondo».

    «Sì, Carla, ma perché non cerchi di essere ragionevole. Tuo padre e io ti vogliamo bene…»

    «Mi volete bene ma non volete pagare l’affitto. Siamo una famiglia più che benestante, per non dire ricca, però il problema sono ottocento euro del mio affitto!»

    «Ma no Carla, il problema è il tuo comportamento. I soldi della famiglia un giorno, quando tuo padre e io non ci saremo più, saranno tutti tuoi e di Isabella e ce ne sono abbastanza perché viviate tutte e due di rendita…»

    «Ma adesso non si possono spendere…»

    «Non è che non si possono spendere, è che tuo padre vuole che diventi più responsabile, che ti cerchi un lavoro…»

    «Ma perché dovrei cercarmi un lavoro se tu stessa hai detto che un giorno potrò vivere di rendita?»

    «Ma Carla, i soldi ci sono finché ci sono… la fortuna fa in fretta a cambiare, avere un lavoro, sapere fare un lavoro è una garanzia; anche Isabella si è trovata un lavoro e guadagna bene…»

    «Certo, bellina e perfettina… la cocca di papà e mamma!»

    «Se non ti va di lavorare, trovati almeno un buon partito…»

    Non era la prima volta che mi veniva prospettata una soluzione del genere; era un’idea radicata nella mentalità non solamente di mia madre, ma di tutta la famiglia, e non solo. Anche altri conoscenti la pensavano così: la cosa importante era la sistemazione economica; se per raggiungerla dovevi sposare un individuo di cui non ti importava nulla, questo era secondario. Ma come fanno a pensare che una donna possa trascorrere la vita o anche solo parte di essa, a fianco di un marito che non le piace e che non ama? Ci sono libri e film che esaltano l’amore e per tutta questa gente è come se non fossero mai stati scritti o sceneggiati! Non intendo tollerare una tale imposizione.

    «Ci manca solo questo! Bene, se la predica è finita, te ne puoi anche andare…»

    «Va bene Carla, me ne vado, ma pensa a quanto ti ho detto…»

    «Sì, sì, va bene» dissi indicando l’uscita.

    Mia madre uscì e io chiusi con forza la porta dietro di lei.

    ***

    «Chi ti manda?»

    «Mamma, chi vuoi che mi mandi?»

    «Beh, di qualunque cosa si tratti, sei venuta a vuoto».

    «Perché sei sempre così aggressiva? Parliamo, siamo due sorelle, non possiamo parlare?»

    «Tanto so di cosa vuoi parlare…»

    «Certamente, è quello il problema, è di quello che ti voglio parlare».

    «Non c’è nessun problema».

    «Ascolta Carla, negare il problema significa fare come fa lo struzzo, mettere la testa sotto la sabbia per non vedere…»

    «E quale sarebbe secondo te il problema?»

    «Il problema è che il mese è scaduto e l’affitto non è stato pagato. Il proprietario ha telefonato a papà, il quale gli ha detto che deve rivolgersi a te».

    «Sì, infatti mi ha telefonato».

    «E lo hai pagato?»

    «No, gli ho detto che lo pagherò».

    «E per quanto pensi di poter portare avanti questo giochino?»

    «Beh, per il momento ha funzionato».

    «Ma dai Carla, ragiona…»

    «Ma quei due spilorci vogliono che mi metta a lavorare… ma mica un lavoro si trova così, per la strada… tu lo raccogli e hai un lavoro…»

    «Ma se non lo cerchi non lo troverai mai… e poi non è una tragedia lavorare, io lavoro ormai da anni e vivo felice lo stesso».

    «Senti Isabella, tu sei sempre stata la cocca di papà e mamma, il lavoro te lo hanno cercato loro e tu non hai fatto altro che andare in ufficio».

    «Questo non è vero! E poi con ciò cosa vuoi dire, che se ti trovano loro un lavoro tu vai a lavorare?»

    «No! Magari mi trovano un lavoro da schiava…»

    «Ma che dici? Perché dovrebbero? E poi mamma mi ha suggerito anche un’altra soluzione».

    «Sì, quella del promesso sposo. Magari scelto da loro».

    «Non è necessario che sia scelto da loro, ma che risponda a dei requisiti di affidabilità».

    «E certo! Che sia un vecchio pieno di soldi che io non ho mai visto e che sia amico loro…»

    «Senti Carla, vediamo di essere pratici… sul promesso sposo, come lo chiami tu, si può arrivare ad un accordo, un accordo su un individuo che sia soddisfacente per entrambi».

    «Ho un sacco di amici, ma ce ne fosse uno, uno, dico uno, che gli vada a genio!»

    «Ma Carla, sono tutti ragazzini semi-drogati, scappati di casa e roba del genere. Che fiducia possono avere papà e mamma di uno di loro?

    «Sono quelli che piacciono a me!»

    «Carla, Carla, Carla! Qui non stiamo parlando di bellezza o di grande amore…»

    «E di cosa stiamo parlando?»

    «Stiamo parlando di quello che si chiama un buon partito».

    «E loro hanno già l’idea di chi potrebbe essere questo buon partito?»

    «Senti Carla, la mamma, la mamma non papà, mi ha suggerito un nome da proporti».

    «E che ci faccio con un nome?»

    «Un nome basta perché è una persona che già conosci».

    «Già lo conosco? E chi sarebbe?»

    «Massimiliano».

    «Massimiliano? Massimiliano chi?»

    «Come chi? Ci sei stata pure assieme…»

    «Quel Massimiliano? Ma è un torsolo! Ora è diventato un buon partito!»

    «Beh, è un uomo onesto, ha un buon lavoro e anche fisicamente non è male…»

    «Ma come fanno a ripropormi Massimiliano? Già siamo stati assieme per un po’ di tempo e non ha funzionato…»

    «E perché non ha funzionato?»

    «Boh… mica me lo ricordo. Non ha funzionato e basta».

    «E non vuoi dargli una seconda occasione?»

    «Dargli un’altra occasione? Ma lui si è fatto avanti? A me non ha detto nulla».

    «Si proporrà e quando lo farà, per favore Carla, non dirgli di no a priori».

    «Cioè lo avete spinto voi a farsi vivo… Ma guarda che follia! Devo aspettare che un ex che ho scaricato da tempo si rifaccia vivo e mi contatti».

    «Sì, esatto. E per favore non lo scacciare. In fondo Massimiliano è un buon partito e questa mi sembra anche una via ragionevole di compromesso».

    «Siamo arrivati al compromesso ragionevole!»

    «Carla, non ti impuntare, sii ragionevole. Se sei stata con Massimiliano, seppur per un breve periodo, qualcosa avrai trovato in lui…»

    «Ma è acqua passata!»

    «Sì, va bene, è acqua passata, ma per favore dai a Massimiliano un’altra possibilità».

    «E va bene, quando mi chiamerà gli parlerò, non lo manderò subito a quel paese, ce lo manderò dopo un po’…»

    «Dai Carla, prova questa strada, sarà sempre meglio che litigare con tutta la famiglia. E poi, se non funzionerà, si cercherà un’altra soluzione».

    «Va bene, va bene, basta che ora te ne vada, ho altro a cui pensare…»

    «Carla, queste non sono cose da prendere sottogamba».

    «Sì, sì, va bene, ho capito!» dissi invitando mia sorella ad uscire facendole strada verso la porta».

    «Vedrai che poi le cose saranno più semplici di come le vedi ora…»

    «Sì, speriamo, vai, vai…» dissi e chiusi la porta alle sue spalle non appena fu uscita.

    ***

    «Ciao Carla».

    Ero intenta a frugare nella borsetta per trovare le chiavi del portone. La voce era conosciuta e tuttavia inattesa in quel momento. Sollevai il viso e vidi Massimiliano che mi sorrideva.

    Eccolo qua! Già si presenta pensai. In effetti, nonostante fossi stata avvisata, ero stata colta di sorpresa. Mi sarei aspettata piuttosto una telefonata e invece eccolo qua: si era materializzato.

    «Ciao Massimiliano».

    «Come stai?»

    «Bene, bene, e tu?»

    «Sì, anch’io…»

    Tra di noi cadde subito un silenzio imbarazzante. Non sapevo cosa dire e non volevo neppure essere io a prendere l’iniziativa. Attesi…

    «Senti Carla…»

    «Sì, lo so, ti hanno detto di farmi di nuovo la corte…»

    «Beh, sì, ma questo è secondario».

    «Cosa vuol dire che è secondario? Sei venuto o no perché ti hanno detto di venire?»

    «Vuol dire che sì, mi hanno detto di farti la corte, ma questo non significa che in tutto questo tempo io non abbia desiderato di riallacciare i rapporti con te».

    «E allora perché non l’hai fatto?»

    «Mi sentivo a disagio, e anche ora mi sento a disagio».

    «Però sei venuto perché ti hanno spinto…»

    «A volte basta un nonnulla… l’intenzione già c’era. Sai, ho ripensato spesso a quando stavamo insieme e più volte mi sono chiesto come mai ci siamo lasciati. C’è stato un perché? C’è stato un motivo?»

    «C’è sempre un motivo».

    «Non ricordo che abbiamo mai litigato o che ci siamo insultati o altro, come accade sempre quando due si lasciano».

    «Forse ci siamo lasciati così, semplicemente perché in realtà non stavamo assieme…»

    «Non stavamo assieme? Ma se uscivamo sempre assieme, andavamo a ballare assieme, passavamo le feste assieme…»

    «Sì, ma mi eri venuto a noia. Sempre uguale, sempre prevedibile, sempre monotono. All’epoca conobbi un ragazzo che era un portento, sempre allegro, sempre alla ricerca di qualcosa, sempre a sperimentare cose nuove… e così tu sei uscito dalla mia vita».

    «E che ne è stato dello sperimentatore?»

    «È morto di overdose o per una partita tagliata male, non ricordo…»

    «Senti Carla, io capisco benissimo di non essere un individuo entusiasmante e che non sarò mai in grado di rendere esaltante la tua vita, però ti ho sempre voluto bene, anche quando hai rivolto le tue attenzioni allo sperimentatore…»

    «Guarda che dopo di lui ce ne sono stati altri…»

    «Non mi importa di ciò che è stato. Ora sei legata a qualcuno?»

    «No, non ho legami che vadano oltre l’amicizia».

    «Ecco, allora io sono qui per pregarti di voler fare un nuovo tentativo. Non ti voglio forzare, ti sto solo chiedendo di riallacciare il nostro rapporto, di darmi la possibilità di riavvicinarmi a te».

    «Massimiliano, sarò sincera con te. Accetto questa proposta perché me lo chiedi tu, perché me lo chiede tutta la famiglia, perché queste sembrano essere le circostanze giuste, ma non sono convinta che sia una buona idea. Penso che non funzionerà neppure questa volta».

    «Va bene Carla, non poniamoci dei traguardi. Facciamo solo una prova e se poi non andrà a buon fine, ognuno prenderà la sua strada… ma almeno potremo dire che ci abbiamo provato».

    «D’accordo, d’accordo. Scusa ora, non ti invito a salire perché ho lasciato la casa in disordine e me ne vergogno».

    «No, non importa. Possiamo però vederci in settimana. Ti va di venire a cena con me?»

    «Sì, facciamo così».

    «Quando?»

    «Mercoledì sera».

    «E sia per mercoledì sera. Vengo a prenderti con la macchina alle otto. Tu fatti trovare pronta».

    «Va bene, allora a mercoledì». Ripresi a frugare nella borsetta e alla fine ne estrassi le chiavi del portone. Massimiliano rimase lì a guardarmi. Ora penserà che sono cambiata molto da quando stavamo insieme. O forse no… D’altra parte sono passati solo due anni. Forse ho ancora quell’aria da ragazzina sbarazzina che a lui piaceva… Indosso ancora una camicetta e una gonna plissettata in tessuto scozzese come facevo allora e ho ancora e i capelli biondi e lisci che mi ricadono sulle spalle… Sta fermo lì a guardarmi mentre armeggio con la chiave nella toppa. Chissà cosa starà pensando in questo momento. Ecco, ho aperto il portone: «Allora ciao» gli sussurrai socchiudendo il portone.

    «Ciao, a mercoledì».

    Entrata nell’androne richiusi il portone. In fondo ero contenta perché, tutto sommato, non ero stata io a dover fare quel primo passo. Forse era vero che lui, più volte, era stato tentato di farlo ma che poi ci aveva rinunciato per paura di essere respinto. Ad ogni

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