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Con una erre
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Ebook175 pages2 hours

Con una erre

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Cinque testi teatrali da leggere come altrettanti romanzi da uno dei migliori autori teatrali italiani. La raccolta comprende:
LE COSE CHE TI FANNO SENTIRE VIVO (RADICI E ALI) È un “giallo al contrario”: sappiamo, infatti, chi è l’assassino, ma non la vittima che sceglierà di uccidere.
ARRIVERÀ L’INVERNO Una ragazza decide di lasciare il marito deputato per trasferirsi in campagna al seguito di un giovane pittore rivoluzionario.
LA STANZA DEI GLICINI In una stanza chiusa tre personaggi si incontrano con un misterioso valletto, presto si scopre che si conoscono e sono legati alla casa di tolleranza di Antoine, distrutta da un incendio.
L’ULTIMO GIORNO DEL CIRCO A seguito di un infortunio la circense Audrienne viene ospitata da uno spasimante. Dicono che sia maledetta perché chiunque si innamori di lei muore, ma il loro sentimento è troppo forte.
NUMERO DELLA CAMERA Nel lago Champlain, tra Canada e Stati Uniti, vive un mostro preistorico, ma di lui è peggiore il mostro che vive in uno “scoglio sputato dalla Creazione” e si fa chiamare Paul Ridge.
LanguageItaliano
Release dateApr 13, 2021
ISBN9788833285542
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    Con una erre - Luca Guerini

    Copertina

    Le cose che ti fanno sentire vivo

    (Radici e ali)

    Liberamente tratto da storie vere

    Lo spettacolo è nato durante il lockdown nel mese di marzo 2020.

    Si è trattato di un progetto realizzato a distanza con l’attore Amos Mastrogiacomo che ha interpretato il ruolo di Giacomino nella versione video e nella tournée teatrale successiva.

    Lo spettacolo ha debuttato il 17 giugno 2020 allo Spazio Civico di Petriano (PU)

    Ci sono solo due lasciti inesauribili che dobbiamo sperare di trasmettere ai nostri figli:

    radici e ali

    (Harding Carter)

    Cameretta di Giacomino. Il ragazzo è al telefono, ma nessuno sembra rispondere.

    G Bruno ciao, son io… com’è che non rispondevi? A quest’ora di solito sei preso dal gioco finale del quiz… hai indovinato stavolta? No, io non ho mai tempo… Devo preparare da mangiare per mia madre che torna dal lavoro. Sì, solite storie. Mèle sta bene, con lei tutto bene. Le ho preso un regalo per San Valentino, l’ho nascosto nel terzo cassetto della scrivania così neanche Judith lo troverà mentre fa le pulizie. Quella l’ho sentita una volta chiacchierare con mia madre, Giacomino di qua, Giacomino di là… Nell’antica Roma uno schiavo che parlava troppo finiva in pasto ai leoni, quello ci vorrebbe. Era per dire, tranquillo non mi son messo a votare estrema destra… Judith dopotutto è brava, mi ha cresciuto. È lei che mi ha regalato il primo strumento… ricordi quella chitarrina che ho sotto il letto? L’avevi vista quella volta che avevi perso il portafoglio e stavamo giocando… Hai fretta? Perché vuoi che riattacchi? Non indovini! Quel gioco del cazzo non fa per te, tu non vincerai mai niente, fattene una ragione. Senti, volevo dirti che ho lasciato da te il giacchetto che mi regalaste per i miei diciotto anni… ti ricordi che la settimana dopo l’avevamo visto paro paro a via Sannio… che cretini spendere tanti soldi per una cosa che puoi comprare a molto meno e chissenefrega del nome… poi lo vedi che lo dimentico ovunque, l’altra volta al cinema… Sì, Bruno, volevo dirti che puoi tenerlo, so che ti piace. Roberto me ne ha regalato uno nuovo, quello rosso che avevo sabato al Clubby, l’avevo sempre visto nelle vetrine. Sai quelli che si portano negli yacht, sicuramente ne ha uno simile pure Briatore… fa scena, il rosso è un colore che devi saper portare… scusami che divago, lo vedi? Parliamo molto e ci diciamo solo lo stretto necessario. Non penso di venire domani in biblioteca, non serve che me lo porti, sì sì sto bene, mi senti raffreddato? Forse ho preso un po’ di freddo ieri giocando a calcetto, ci tenevo proprio… il gol al 92’ me lo ricorderò sempre… non ci sperava più nessuno, per carità è una partita che non conta niente con in palio niente, ma sono cose che ti fanno sentire vivo. Ah, a proposito, sai quella serie che ci stavamo vedendo assieme? Quella splatter. Non credo che la vedrò più, mi ha stancato e chissenefrega se domani esce il finale di stagione… Bruno non voglio saperne nulla, puoi pure raccontarmi il finale, non mi incazzerò come ho fatto con Game of Thrones. Gli sceneggiatori hanno esagerato, hanno inventato situazioni assurde e ti giuro non ne sentirò la mancanza. Il mio tempo ha valore, spesso non glie ne diamo abbastanza e perdiamo ore a vedere della merda, perché è merda che poi neanche ci piace. Se a te piace, guardala! No non mi sto arrabbiando sono tranquillissimo… sei tu che non capisci. Sabato? Non lo so… tu che fai? La sera intendo… Ah, bello, non ho mai fatto una escape room. Deve essere una cosa bella (guarda l’orologio: ormai hanno chiuso) peccato. Sì sì sì può, potrebbe essere un’idea, mi manca solo di capire… Chi è che ti chiama? Dai mi richiami? No, è che… dai ti richiamo io se ti passa di mente, vado a farmi una doccia? Perché non dovrei, è un raffreddore che potrà mai succedere. A dopo! Ci conto!

    (torna dopo la doccia)

    Mèle eccomi… ero sotto la doccia. Come va? Sei pronta per l’esame di domani? Mi dispiace che non ci possiamo vedere sennò ti avrei interrogata… È importante che un fidanzato… anche i miei genitori facevano uguale, babbo lavorava in fabbrica e non capiva nulla di medicina, però boh, ci sta che uno si aiuta. Questo week-end siamo stati bene, la gita a Pisa ci voleva proprio e tu ci tenevi tanto a quella mostra… ho insistito perché uno non si può chiudere sui libri. Davvero amò, mi hai reso felice, ah trovi le foto sul drive se dopo te le vuoi scaricare, stamattina le ho messe lì, la mia pass la ricordi? Che testolina! (ridendo) Sicuramente tu mi controlli se mi scrivo con qualcuna, gelosa come sei! Non è che non sono felice, ma le cose sono difficili… tu mi hai aiutato, mi aiuti insomma, è mai possibile che… Vai già a dormire? Non puoi… tira più a lungo oggi e domattina ti svegli e ripassi, mi fai compagnia? Mi sento solo… No, no, non serve che vieni, dopo mi faccio un giro e credo mi passerà tutto… Ti ricordi quando ci siamo conosciuti? Io avevo cambiato città in terza media, non conoscevo nessuno ed ero un po’ spaventato, sì, insomma, entrare in un gruppo consolidato non è semplice, non sono mai stato uno che fa presto amicizia, inizia a parlare… certo mi piace divertirmi, ci siamo divertiti molto in questi mesi insieme, non credi? Tu mi hai invitato al tuo compleanno e io non ci volevo venire, è stata mia madre ad insistere, forse proprio per quel motivo. Mi parla sempre bene di te, ah, mi ha chiesto del tuo esame, pensava fosse oggi… sì sì, lei ti vuole bene, mi ha detto che sono fortunato e lo penso anche io. Che ne so? Perché fai progetti così tanto in là, Dio sembra che non ti accontenti di quello che hai, ti ho appena detto che sono fortunato, tante cose belle… nulla, proprio il vuoto con te! A tutti i costi mi hai tirato fuori quel ti amo quando era ancora troppo presto… che c’è Mèle? Cosa non ti sta bene? Non sei felice tu? Io lo sono. Io sono felice, va bene? Ti seguo in tutto, ti do ragione su tutto, ti sono vicino… ci sentiamo dopo dai…

    (al pubblico) Libero. Forse questo avrei voluto come nome. Originale, certo, ma giusto. Giacomo non mi dice niente, troppo anonimo, delle volte mi hanno chiamato Jacopo o addirittura Giovanni. Bah! Si vede che nessuno ha veramente fatto caso a me dopotutto. Quindi Libero. Anche quando ho iniziato a giocare a calcio e vedevo in tv la difesa schierata a quattro: Pancaro, Nesta, Negro, Favalli, il mio ruolo era di libero, ossia quello di un difensore che può muoversi di più dietro gli altri, che può correggere gli errori degli altri e salvare una palla certamente destinata in rete. Ho sempre difeso gli altri e non se n’è accorto nessuno, mi son preso le colpe degli altri e neanche un grazie. Quella volta che sono andato col motorino a prendere Martina a Prati Fiscali e veniva giù il diluvio? Oppure quando ho evitato a Salvo una sospensione che si era meritato? Baggio cosa dovrebbe dirmi se non grazie? Non mi ritrovo più in questa esistenza fatta di corse. Incapace a provare amore da molto tempo. Ha senso tutto questo? Se un mio sorriso è un sorriso spento a cosa serve che lo faccia? Libero perché? Il mio tempo l’ho sempre distribuito a tutti, come se ne avessi quintali. Stronzate buone per arrivare a fine serata e magari rimorchiarsi una. Cosa è cambiato? Chi sono adesso? Vedete, mi verrebbe da chiedere a ciascuno di voi quello che pensate di me, indistintamente dico… ma qualcosa di serio e vero, tipo quello che aveva fatto Nadia Toffa e non un semplice post su Facebook a cui ti risponde anche gente di Ivrea che neanche ti ha mai risposto a un ciao su Messenger. Ci stiamo attaccando a delle cose inutili e non ce ne rendiamo conto e allora essere libero… può esserci un sogno migliore? Sto divagando… dicevo che vorrei chiedervi uno per uno quello che pensate di me. A scuola una volta una maestra alquanto originale ci chiese un aggettivo positivo e negativo su ogni componente della classe, non eravamo in troppi e si poté fare. Perché lo ha fatto lo capisco solo ora: uno non sa come lo vedono gli altri, e non tirate in mezzo tutte quelle stronzate su Pirandello che vi hanno fatto studiare per paura della bocciatura. Cazzo, ragazzi, noi siamo diversi. Voi adesso vedete me, ma non vedete tutto quello che vivo giorno per giorno oltre il primo strato di sorrisi. C’è un secondo strato, quello in cui son io a chiedermi chi siete voi per me, quanto conta per me quello che dite. Poi c’è un terzo strato, quello reale, vero, delle preoccupazioni, dei non sorrisi, del non stare bene nel mondo. A quello non è facile avere accesso, come una pass che non ricordi e non ricordi neanche la domanda di sicurezza. Esiste ma non ci puoi entrare, anzi no, son io che non permetto di entrarci a nessuno, neanche Mèle, perché non sono forte, non sono mai stato forte, ma credetemi, Libero lo vorrei essere.

    (sistema il telefono su un mobile e fa partire la registrazione di un video da mandare al nonno)

    Eccomi Nonno, domani ti farai spiegare da Alberto come si vede questa diavoleria e scusami tanto, sì, voglio iniziare questo discorso chiedendoti scusa. Non è semplice, certo, tutto questo e non ti aspettavi mai che… mi fa male dirlo pure. Tu hai combattuto la Guerra, me l’hai raccontata tante volte anche prima di addormentarmi, come fosse una favola, anche quando non ti volevo sentire, anche quando ti serviva per alzare la voce con un nipote che amavi tanto. Amavi sì. Negli ultimi mesi i nostri rapporti sono peggiorati; ti ho dato del vecchio, ho riso della tua malattia come uno che non capisce e mi dispiace. Ho io alzato la voce tante volte proprio con la scusa che non capivi. Avresti voluto vedermi laureato, un giorno, c’erano le mie passioni che non ti piacevano e tutte le cose difficili rese tali da più di sessant’anni di differenza. Non era un problema quando giocavamo sul divano e io lasciavo sempre le mie cose in disordine, ma quando parlarti non è stato facile, non è andato

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