Segreto di corte: Harmony Collezione
By Annie West
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About this ebook
Dopo tanti anni di torpore, Jake è l'unico in grado di ri-svegliarla alla vita. Le giornate insieme a lui sono ricche di gioia, passione e prive della rigidità del protocollo di corte, ma cosa succederà quando Jake scoprirà la verità sul suo conto?
Annie West
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Segreto di corte - Annie West
successivo.
1
Caro uscì dalla caffetteria e si avvolse nel cappotto per ripararsi dal vento gelido che le pungeva il viso. Era strano che la pelle provasse la morsa del freddo mentre dentro di lei bruciava un fuoco ardente.
Non poteva fallire.
Si fermò di colpo e si aggrappò con la mano guantata al palo di un lampione, preda di un'angoscia intensa. La mente le diceva che il successo era improbabile mentre il cuore la invitava a non arrendersi. A non abbandonare la speranza.
Non era mai stata né coraggiosa né avventurosa. Sin dall'infanzia era stata educata all'ubbidienza, a non arrecare disturbo. Il suo unico tentativo di farsi valere e prendere le proprie decisioni, era stata una sconfitta.
Da allora era passato molto tempo. Lei era cambiata, si era reinventata dopo la tragedia e il dolore. Di natura non era una persona intrepida, ma era determinata. Respirò a fondo una boccata di aria alpina. Per riuscire avrebbe fatto tutto ciò che era necessario.
Caro guardò la strada affollata della famosa località sciistica svizzera, esclusiva e super costosa. I turisti fissavano a bocca aperta le vetrine, ma a sera se ne sarebbero andati, scoraggiati dai prezzi inavvicinabili. Più avanti, in una valle vicina, si trovava una delle montagne più famose del mondo. Nell'altra direzione invece c'era la sua destinazione. Serrò la mascella e camminò sulla neve caduta da poco che scricchiolò sotto ai suoi piedi, poi salì sull'utilitaria che aveva noleggiato.
Venti minuti più tardi, Caro fermò l'auto in uno spiazzo a metà della salita che portava al passo alpino e ignorò la vista mozzafiato che aveva davanti a sé. Ad attirare la sua attenzione fu invece l'alto muro di pietra chiara del castello antico di secoli, con la sua profusione di torrette dai ripidi tetti angolari. E lei che aveva pensato di trovare uno chalet super moderno per il ricco miliardario australiano a caccia di panorami esclusivi!
Fissò il portone fortificato attraverso cui si intravedeva un cortile lastricato di ciottoli. Quella non era una rovina romantica, ma una costruzione imponente, ben tenuta e solida. Jake Maynard doveva avere soldi a palate.
Non che facesse molta differenza. Caro conosceva il dietro le quinte dei ricchi e famosi, e sapeva che le debolezze umane si nascondevano lì come ovunque. Ricchezza e lusso non la mettevano in soggezione.
Era quello il suo unico vantaggio e Caro vi si aggrappò. Il nervosismo le stringeva lo stomaco e la disperazione aveva un cattivo sapore in bocca. Guidò lentamente oltre il portone e si fermò di fianco a un'auto sportiva, nera e sinuosa.
Fu solo quando spense il motore e venne avvolta dal silenzio che si rese conto che le tremavano le mani.
Serrò le labbra, afferrò la borsa e si diede un'occhiata nello specchietto retrovisore. Aprì la portiera. Poteva farcela. Anzi. Ce l'avrebbe fatta. Due vite dipendevano da lei.
«La signorina Rivage è qui.»
Jake alzò la testa dalla scrivania con riluttanza e guardò Neil, il suo segretario, che era in piedi nel vano della porta.
La logica gli aveva suggerito di depennare quella donna dalla lista. Non aveva l'esperienza delle altre candidate. Eppure un minuscolo dettaglio nella sua proposta aveva catturato l'attenzione di Neil, e anche la sua. Un particolare piccolo ma importante. Si passò la mano tra i capelli e disse a se stesso che le avrebbe concesso quindici minuti.
Neil si scostò e lei entrò nella stanza.
Jake sentì le sopracciglia inclinarsi verso l'alto in un'espressione di stupore. I suoi sensi vibrarono come il sartiame di una barca quando si alza il vento all'improvviso. Un brivido gli corse lungo la spina dorsale e fremette come se percepisse... qualcosa.
Lei aveva l'aspetto della tata perfetta, come fosse uscita da un film. Eppure non del tutto. Passò in rassegna il tailleur semplice, i capelli tirati indietro e l'apparente assenza di trucco.
Cosa c'era in lei che non andava? Aveva imparato a fidarsi del suo istinto e in quel momento gli diceva che c'era qualcosa di stonato.
Si alzò in piedi, girò intorno alla scrivania e le porse la mano. «Signorina Rivage.»
Il suo palmo grande avvolse quello affusolato di lei. Aveva dita morbide eppure la sua stretta era decisa. La maggior parte delle altre candidate avevano abbandonato la mano nella sua, senza energia, oppure avevano sorriso con espressione vacua. Lei invece lo stava guardando dritto negli occhi.
Durò solo pochi istanti, poi anche la giovane abbassò lo sguardo. Era chiaro che era agitata e il suo sesto senso gli suggeriva che il nervosismo non era causato solo dal colloquio di lavoro.
«La prego signorina Rivage, si accomodi.»
Lei annuì. «Grazie, signor Maynard.»
Aveva una voce più profonda del previsto, con una nota vellutata. Forse dipendeva dal leggero accento che sporcava il suo inglese perfetto. A Jake però non avevano mai fatto effetto le note sexy, a meno che non fossero accompagnate da un corpo altrettanto sexy.
Il corpo di Caro Rivage era difficile da valutare sotto alla giacca dritta e alla gonna severa. Era alta con quei tacchi, appena una testa più bassa di lui, e aveva lunghe gambe snelle. Scivolò sulla sedia con un movimento che sembrava contraddire l'abbigliamento. Vestiti marroni, occhi marroni, capelli di un biondo scialbo. Avrebbe dovuto passare inosservata, e invece Jake faticava a distogliere lo sguardo da lei.
Forse era il modo aggraziato e femminile con cui incrociò le caviglie davanti a sé, quasi a contraddire la scelta degli abiti banali. Oppure la pelle color avorio che contrastava in modo evidente con il vestito scuro.
Non era esattamente pallida. Con lo sguardo osservò la bocca piena e gli zigomi alti. Entrambi erano di un rosa chiaro ma non, ne era certo, a causa del trucco. Sembrava davvero il suo colore naturale, senza l'ombra di segni lasciati dalla troppa esposizione al sole come era solito notare nei suoi connazionali australiani.
Lei si mosse, alzò gli occhi per un istante prima di distoglierli nuovamente e Jake si rese conto che la stava fissando. Il pensiero lo disturbò. Non era interessato alla pelle della signorina Rivage. Anche se sembrava morbida come i petali di un fiore.
Jake prese la sedia e si sistemò comodamente. La sua ospite gli rivolse un altro dei suoi sguardi, prima di riabbassarlo e sistemarsi la gonna.
Aveva paura degli uomini?
Poi però alzò il mento e i loro occhi si incontrarono. Jake provò un'ondata di calore e la sensazione lo prese alla sprovvista. Di cosa si trattava? Attrazione? Non certo per quella specie di uccellino spennacchiato, anche se aveva belle gambe e un viso interessante.
Sospetto? Sì, qualcosa in lei lo insospettiva.
«Mi parli di lei, signorina Rivage.» Si appoggiò allo schienale, con i gomiti sui braccioli e le dita sotto al mento.
La voce di Jake Maynard aveva un suono delizioso che le scorreva nelle vene con un formicolio di piacere. Caro sbatté le palpebre, e disse a se stessa di non essere sciocca. Lei era immune al fascino maschile. Era già stata ferita una volta. In ogni caso sapeva che non stava cercando di affascinarla. Nonostante il gesto di benvenuto e l'accenno di un sorriso, Caro percepiva con paura l'intensità della sua diffidenza.
Forse era l'acutezza delle pupille grigie sotto alle sopracciglia scure come il carbone. Rendevano i suoi occhi splendenti come diamanti e davano l'idea che sapesse tutto, che vedesse oltre l'apparenza che si era costruita intorno per nascondere i propri segreti.
Le ci volle tutta la forza di volontà che possedeva per non agitarsi sulla sedia o tradire segni di debolezza. Per non fuggire a quello sguardo penetrante.
Respirò a fondo. Il travestimento era stato necessario però si sentiva a disagio nell'abito nuovo, nei collant pesanti e nelle scarpe col tacco che erano così diversi dai jeans, dalle gonnelline e dalle solite sneakers che aveva preso l'abitudine di portare negli ultimi anni.
Il sopracciglio scuro che si avvicinò alla linea dei capelli folti le ricordò che lui stava aspettando. Con quel viso duro e attraente, con il fisico potente e l'enorme fortuna, era probabile che Jake Maynard non fosse abituato alle donne che lo facevano attendere.
Il pensiero riportò Caro sulla terra e le ridette la necessaria concentrazione. Si era lasciata distrarre dall'aura di forza che emanava da quell'uomo ma anche dai lineamenti regolari e dalla fossetta che gli nasceva sulla guancia ogni volta che le regalava un mezzo sorriso. Dall'aspetto affidabile e sicuro.
Come se un uomo potesse essere affidabile!
Incrociò le dita e iniziò. «La mia domanda parla per me. Amo lavorare con i bambini e sono molto brava a farlo. Come può vedere dalle referenze.»
Sollevò la testa, quasi anticipando un'obiezione. L'abitudine di suo padre di sminuire la fiducia in se stessa aveva effetto anche ora. Si aspettava che Jake Maynard demolisse la sua dichiarazione benché vera.
Lo sguardo freddo restò fisso su di lei troppo a lungo, poi finalmente si abbassò sulle carte che aveva davanti. Caro sospirò di sollievo. Doveva fare meglio di così, se voleva convincerlo a darle quel lavoro. La possibilità di non riuscirci era impensabile.
«Lei non ha qualifiche specifiche.»
«Una laurea in scienze dell'educazione?» Scosse la testa. «La mia esperienza è tutta sul campo. Però può vedere che ho seguito diversi corsi di didattica.»
Lui non verificò di nuovo la sua scheda, e la lasciò cadere sulla scrivania. Il cuore di Caro cadde con lei. Non poteva essere la fine di tutto. Non poteva cancellarla con una scrollata di spalle, non quando aveva accettato di intervistarla!
«Devo dirle che le altre candidate rimaste hanno tutte sia anni di esperienza, che qualifiche.»
Ecco, lo aveva capito, la stava liquidando. Al pensiero di dover rinunciare fu afferrata dalla nausea.
«Ha letto le mie referenze? Credo che le troverà interessanti» insistette.
Lui affondò ancora di più nella sedia, quasi provasse piacere nel vederla sulle spine. Non si prese la briga di rileggere la documentazione.
Forse il contrasto tra la pelle abbronzata e la giacca scura che indossava faceva strani scherzi alla sua immaginazione, o forse era l'aria di indolenza quasi offensiva, però per un istante Caro vide qualcosa di demoniaco nell'angolazione di quelle sopracciglia scure. Qualcosa di feroce e irresistibile.
«Dovrei essere colpito dal fatto che una delle sue referenze è di una contessa?» Caro era stupita. Ricordava a memoria il suo curriculum? «Sfortunatamente per lei, signorina Rivage, i titoli nobiliari non mi impressionano.»
La sua espressione infastidita la irritò. Stephanie era una cara amica, oltre che una cliente. Le aveva fornito le referenze in buona fede. Caro si raddrizzò, e fissò intensamente il suo intervistatore.
«La parte saliente della referenza è la descrizione del mio lavoro, signor Maynard. Non il titolo della mia datrice.»
Le sopracciglia si sollevarono, quasi la sua risposta l'avesse sorpreso. Si aspettava che sarebbe rimasta zitta mentre infieriva su di lei?
«Quando ho iniziato a lavorare per la contessa, suo figlio era in grande difficoltà. Insieme abbiamo fatto notevoli progressi.»
«Sta dicendo che i miglioramenti sono dipesi unicamente da lei?»
«No, si è trattato di un lavoro di gruppo che ha incluso vari programmi speciali. Io però sono stata con lui tutti i giorni, e questo lo ha aiutato.»
Nessun segno di approvazione comparve su quel viso severo. Forse era il suo normale atteggiamento mentre valutava delle informazioni. L'espressione intensa metteva in risalto il taglio squadrato della mascella e gli zigomi alti. A Caro ricordava l'illustrazione di un cavaliere medievale con una lancia che, con espressione intenta, teneva infilzato sulla punta un piccolo drago. Il disegno l'aveva affascinata da bambina, quando aveva fatto il tifo per il piccolo mostro alato.
«Lei crede che quattro o cinque anni di lavoro come bambinaia e come assistente in un asilo, la rendano la persona più adatta per badare a mia nipote?»
Si era sbagliata. La scintilla d'acciaio nei suoi occhi era meno condiscendente di quella del cavaliere medievale. Le ricordava lo sguardo glaciale di suo padre. Quello che l'aveva ridotta al silenzio durante tutta l'infanzia.
Quel pensiero, e la sua disperazione, fecero irrigidire Caro. Lentamente cambiò posizione. Si appoggiò allo schienale e accavallò le gambe sentendo le calze che scivolavano senza fare attrito. Un battito delle ciglia di lui le fece capire che aveva notato il movimento.
Per qualche ragione provò un'oppressione al petto, come se l'aria si fosse rarefatta. Si rifiutò di darlo a vedere, e assunse un atteggiamento che sperava sembrasse rilassato.
«Non so le altre candidate, io però posso assicurarle che, se ne avrò l'opportunità, mi dedicherò totalmente a sua nipote. Non avrà motivo di lamentarsi.»
«È una promessa ambiziosa.»
«Però è la verità. Conosco le mie capacità, e la mia dedizione.» Almeno in quello, era assolutamente la persona perfetta per il lavoro.