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Storia di Fleur
Storia di Fleur
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Storia di Fleur

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Fantascienza - romanzo (335 pagine) - Ritorno nel mondo di "Semi di guerriglia" per raccontare l'avvento della dittatura della Milizia

Nella Capitale dell'Emisfero Boreale è l'alba della dittatura della Milizia. La giovane Otsune e il padre fuggono dalla persecuzione in cerca di libertà verso le lontane Isole dell'Est. Nella metropoli un giovane artista, Dimitri, vuole unificare il fronte disorganizzato dell'opposizione. Il destino ha in serbo per loro dure prove. Segnata da terribili esperienze, la ragazza che torna nella grande città non è più la stessa: dopo avere rinunciato a tutto, anche al proprio nome, ed essere risorta dalle ceneri dell'adolescenza con la nuova identità di Fleur du Mal, insegue la vendetta con ogni mezzo. Nella Capitale Dimitri, diventato leader della Rivoluzione Verde, continua la lotta per porre fine al regime con le sue stesse armi, le piante, rese letali nei laboratori dei militari. Entrambi, però, dovranno fare i conti con l'onnipotente Milizia.
In questo romanzo l'Autrice ritorna nel mondo distopico di Semi di Guerriglia per raccontarcene gli antefatti e farci conoscere da vicino le origini di alcuni personaggi.

Classe 1968, nata a Milano ma ligure di adozione, Camilla Ferroni vive in provincia di Genova, dove lavora. Appassionata fin da bambina di lettura e scrittura, ama dedicarvi il tempo libero dagli impegni professionali. Dopo un diploma di liceo linguistico e una laurea in lingue, nel 2014 corona un sogno: frequenta il liceo artistico, consegue il diploma in Arti Visive e continua a studiare pittura. Accanita divoratrice di libri, incantata dalla magia della parola scritta che apre la mente e regala emozioni e ali per volare lontano, dal rifugio della sua casa affacciata sul mare ha deciso di tradurre sulla carta i sogni, e gli incubi, che ha in testa. Il suo romanzo Semi di Guerriglia ha vinto un premio speciale al Premio Franco Delpino. Nel 2020 ha pubblicato L'ultima Consegna, romanzo finalista al Premio Odissea 2019 (Delos Digital).
LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateApr 13, 2021
ISBN9788825415742
Storia di Fleur

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    Storia di Fleur - Camilla Ferroni

    9788825412901

    Parte prima

    I

    – Nome! – Le lenti dell'ufficiale riflettono la luce del monitor. – Sei sordo, muso giallo? Nome! – Ripete a voce un po' più alta, innervosito dal silenzio dei due viaggiatori in piedi davanti alla sua postazione di controllo.

    L'uomo si raddrizza: – Murakami. – Risponde, petto in fuori. Il fagotto che porta legato sulla schiena si inclina verso la figlia. Il piccolo palmo di lei è caldo e asciutto nella sua mano. – Murakami Ryuichi – ripete in tono forte e chiaro – e questa è mia figlia, Otsune. – Lei abbassa il velo di malagrazia perché la guardia possa vederla in viso. Trattiene il respiro per non buttare giù polvere.

    – Cos'è quell'affare? – Il dito indice ondeggia a mezz'aria.

    – Uno shamisen – risponde il padre lisciandosi i baffi – è uno strumento musicale: vuole vederlo? – Solleva un braccio per sfilarsi la tracolla, ma il militare lo blocca con un cenno del mento: – Fermo lì.

    Un gruppo di militari osserva la scena in disparte: imponenti nelle loro divise nere, hanno le celate dei caschi calate a nascondere il viso e le mani guantate sfiorano il calcio delle armi. Immobili come statue, pare che non respirino nemmeno. Uno di essi impugna una mazza e guarda dalla loro parte.

    Ryuichi china il capo in attesa. Dopo qualche secondo l'ufficiale seduto di fronte scrolla le spalle: – Per stavolta lasciamo perdere, non ho tutta la giornata. Forza, controllo retina e dna – ordina – fissate il lettore e infilate la mano nel riquadro per il prelievo.

    Qualcosa pizzica il pollice di Otsune e la fa trasalire. Per la prima volta l'uomo solleva la testa dallo schermo e si sposta di lato per osservarli con attenzione; quando incontra gli occhi della ragazzina, indugia nella sua direzione per un'eternità, ma alla fine è lui il primo a distogliere lo sguardo. – Sicuro che sia minorenne? – Si alza in piedi e si sporge oltre il banco per squadrarla da capo a piedi. Labbra carnose e lineamenti da faina; i capelli che spuntano dalla visiera sono unti e l'uniforme con lo stemma dei servizi aeroportuali della Capitale è tesa sull'addome prominente. – E che sia tua figlia e non la tua amichetta, eh? – Ridacchia, spruzzando qualche goccia di saliva.

    Ryuichi si sforza di sorridere: – È poco più che una bambina – si affretta a commentare posando una mano sul bancone, la carta di credito tra le dita – non vede, signore? Non ha ancora quindici anni.

    – Non si direbbe. – Dice l'altro. – No.

    – Di questi tempi si cresce in fretta. – Risponde il padre.

    – Già. – Una smorfia distorce il volto dell'uomo: – Conosco un posto vicino alla sede della Németh Kft pieno di quelle della vostra razza che alla sua età hanno già scodellato marmocchi. – Gli occhietti tornano a posarsi su Otsune: – Non è forse vero che voi delle Isole dell'Est cominciate presto? – Pollice e indice uniti, l'ufficiale fa scivolare dentro un dito tozzo in un gesto volgare, poi si liscia il davanti della divisa, stirandolo sul ventre, con aria soddisfatta.

    Lei serra le palpebre, il cuore in gola, ma le riapre subito: il padre è impallidito e sotto i baffi spioventi le labbra sono una riga sottile. Anche se la guerra con l'Emisfero Australe è finita, lui vive sempre nel terrore che demoni in divisa la portino via, o che possa accaderle qualcosa di male. Frammenti di ricordi le invadono la mente: due uomini in nero tengono la madre per le braccia mentre lei cerca di divincolarsi. Dove sono i documenti? Questa donna è entrata nella Capitale senza autorizzazione. Ryuichi, in ginocchio, stringe gli stivali del comandante di pattuglia. Viviamo qui da anni, non siamo spie di Megasydney, è mia moglie. Risate. I soldati sfondano a calci la paratia che nasconde il loro rifugio. Che ci facevate nascosti qui dentro, eh? La trascinano verso la fila di veicoli blindati in attesa, sotto gli occhi dei vicini che, muti, assistono senza alzare un dito. Gli stessi che hanno chiamato la Milizia, che li hanno denunciati. Traditi. Questa puttana dell'Oriente potrebbe nascondere qualcosa. Quando sente le grida, Otsune invoca il nome della madre, ma Ryuichi la trattiene per impedirle di correre da lei e la porta via. Poi il boato di un'esplosione, una luce accecante e i traccianti dei caccia dell'Emisfero Australe, come comete nel cielo.

    – Dove siete diretti? – Otsune sobbalza alla voce dell'ufficiale, mentre lui fa scivolare in tasca il pezzo di plastica che custodisce i loro ultimi risparmi. Il vento aumenta di intensità e la stoffa leggera della tunica le aderisce al corpo. L'uomo osserva e si lecca le labbra.

    – Dall'altra parte della Capitale, per uno spettacolo. – Ryuichi si inchina: – Sono un artista. – Si curva ancora un po', le mani lungo i fianchi.

    L'altro grugnisce qualcosa in risposta senza staccare gli occhi dalla ragazza. – Bel mestiere di merda ti sei scelto, muso giallo – ghigna, poi torna a esaminare lo schermo – tra non molto tutti quelli come te dovanno sbaraccare o trovarsi un lavoro serio. – I polpastrelli corrono veloci sui comandi. – La Milizia e i Killing Machine faranno piazza pulita di voi parassiti. – Li squadra senza celare il disprezzo.

    Un'improvvisa tensione anima la mano che stringe le dita di Otsune. Intuisce lo sforzo del padre per nascondere l'umiliazione e la rabbia sotto la maschera della gentilezza. – Certo, signore – risponde sottomesso – è quello che farò.

    La figlia riaggiusta il velo sul viso. Con la coda dell'occhio si accorge che, muovendosi in silenzio, i soldati alle loro spalle hanno cambiato posizione e sono più vicini: un raggio di sole si riflette sulle insegne che portano e un brivido le scende lungo la schiena: Killing Machine, l'élite della Milizia. Solo la mano di Ryuichi le impedisce di mettersi a correre. Un fremito percorre il gruppo e Otsune sente la pelle d'oca sulle braccia.

    L'ufficiale del punto di controllo preme un pulsante, stampa il documento che dovranno presentare all'imbarco e lo porge: – Tieni, bellezza. – Lei non muove un muscolo. L'uomo si spazientisce e agita la carta colorata nella sua direzione. – Di che hai paura? Non ti mangio. – Un sorriso da orco.

    – Prendila, la navetta non aspetta. – Il padre le mormora nell'orecchio, poi la spinge avanti. Otsune afferra la ricevuta. L'altro è lesto a trattenerla per il polso e ad accarezzarle il palmo con il pollice. Quando preme più a fondo lei si ritrae con uno scatto e lui ride. Ryuichi si inchina un'ultima volta e si affretta a trascinarla via, mentre la ragazzina strofina la mano sulla stoffa dell'abito come se quel contatto avesse lasciato una macchia sulla sua pelle d'avorio.

    – Avanti! Forza, muovetevi! – Miliziani regolari accompagnano le urla con spintoni e insulti.

    Ryuichi si sposta al centro della fila. Stringe a sé la figlia e con il braccio libero regge la borsa con le loro cose. Si curva su di lei per proteggerla da eventuali colpi e lo shamisen, al sicuro nella custodia, dondola sulla schiena a ogni passo; avanzano goffi con gli altri passeggeri in attesa di imbarco. Una folata di vento gli scompiglia il ciuffo di capelli grigi che sfuggono dalla coda di cavallo, mentre la polvere del deserto si raccoglie nelle rughe di tensione e si impasta con il sudore. Costringe le labbra a stirarsi in un sorriso che vorrebbe rassicurare, ma gli occhi parlano per lui: – Non temere – le dice – stammi vicino, non dire niente e presto saremo dall'altra parte della Capitale.

    Lei non vuole che gli uomini in divisa si accorgano di quanto tremi e si aggrappa alla giacca del padre per farsi forza. Non osa levare lo sguardo su di loro. Crede che siano capaci di fiutare la paura nell'aria. Preme la seta contro il viso e immagina di percepire ancora la fragranza della madre, che la precedeva ovunque.

    – Perché non siamo passati per la città? – Gli chiede a voce bassa.

    – Ci sono ancora scontri, è troppo pericoloso – risponde lui – e poi non possiamo pagare per l'intero tragitto e io non voglio guai con la Milizia.

    Ryuichi sbircia di lato oltre le transenne che incanalano i viaggiatori verso il convoglio di navette di classe economica in attesa: galleggiano nell'aria quasi fossero senza peso, ormeggiate ai ponti di imbarco. Il sole scintilla sulle cromature e il riverbero nasconde le chiazze di ruggine delle fusoliere. I militari continuano ad andare su e giù lungo la fila e a urlare. Padre e figlia arrancano, un passo dopo l'altro.

    – Quelli laggiù erano Killing Machine, vero? – Chiede Otsune in modo che solo Ryuichi possa udirla. Mostri. Sua madre li odiava: per lei non erano nemmeno più uomini, ma belve, peggiori della soldataglia dell'esercito regolare e degli altri miliziani, che perseguitavano gli stranieri che, come la sua famiglia, erano rimasti intrappolati nella Capitale allo scoppio della guerra e si spostavano di rifugio in rifugio durante gli attacchi di Megasydney. Si volta a guardarli da sopra la spalla. – Assassini. – Sibila. Osservano qualcosa, o qualcuno, più in giù nella fila.

    – Otsune! – La voce del padre la riscuote: – Che fai? Vuoi che si accorgano di noi? – Sibila tra i denti.

    Lei non risponde, si rabbuia e inchioda gli occhi al suolo a contare i passi che la separano dalla navetta all'ancora, poi si concentra sugli stivali della coppia che li precede, dal tacco consunto e le cuciture sfatte: curvi sotto i bagagli, un anziano e una donna robusta avanzano con fatica. Il vecchio tace e ondeggia sotto il peso, lei parla e gesticola. Otsune non capisce quello che dice. Scuote la testa e si gira ancora una volta: i Killing Machine sono scomparsi.

    – Sei comoda? – Ryuichi lotta per allacciarle le cinture, ma la figlia, stanca e insofferente per l'attesa, si ribella all'abbraccio anatomico del sedile e allunga il collo per guardare fuori.

    Nel cielo sopra al terminale riservato al traffico interno incrociano piccoli mezzi privati, cargo, mastodonti per viaggi intercontinentali. A volte sembrano sfiorare le cupole dell'aeroporto per poi librarsi contro il profilo della Capitale, che in questo settore si protende nel deserto ancora per chilometri. Riconosce le navi militari dal ronzio cupo e quelle della Milizia dalle insegne: teschi d'argento su sfondo grigio o nero. Un veicolo rosso sfreccia a bassa quota e solleva vortici di polvere. Fa in tempo a scorgere sulla fiancata il logo di una multinazionale prima che sparisca dietro la selva di torri di controllo.

    – Resta seduta. – Dice il padre e la costringe a mettersi giù. – Voleremo bassi sulla Terra di Nessuno, ma il sole può sparire in un attimo e le tempeste si scatenano all'improvviso – controlla la cintura della figlia, ancora da stringere – e di solito sono molto violente.

    Lei sbuffa. Ryuichi si ferma un attimo per studiarne l'espressione, ma gli occhi scuri non rivelano nulla. Le accarezza la testa: – Una volta non era così: da questa parte la Capitale era circondata da un parco – sorride al ricordo – c'era anche un piccolo lago artificiale… e un palco di vero legno per gli spettacoli all'aperto – si incupisce – ma eri troppo piccola, non puoi ricordare. – Scuote il capo. – Sistema quella cinghia, Otsune, non voglio che ti faccia male.

    Lei cincischia con l'orlo della maniche, il capo chino.

    – Ehi, mi ascolti? – Chiede lui.

    Annuisce distratta.

    – Allora obbedisci. – Ryuichi posa a terra la borsa e si stira, inarcandosi all'indietro. La stanchezza e la tensione hanno scavato nuovi solchi sul suo viso. Sfila la tracolla e si accomoda: il sedile asseconda la forma del suo corpo e lo avvolge in preparazione al decollo. – Puoi reggerlo un attimo? – Porge alla figlia la custodia di tela che protegge lo strumento.

    – Ti aiuto io, se vuoi. – Una voce di donna, la mano tesa verso di loro. Otsune si blocca e alza gli occhi: un viso rotondo ammicca dalla fila opposta. I capelli bianchi sono sciolti sulle spalle e spiccano come una macchia di neve sulla tuta rossa. Stringe una borsa a fiori contro il petto generoso. – Come ti chiami?

    La ragazzina le risponde con un silenzio ostile e si fa scudo con lo shamisen, decisa a non concedere confidenza ai due estranei. Fissa i piedi della viaggiatrice, poi quelli del suo compagno sprofondato a lato. Riconosce dalle scarpe la coppia che li precedeva in fila dopo il punto di controllo.

    – Il suo nome è Otsune – il padre fa un cenno con il capo – la scusi, è un po' timida. – Le lancia un'occhiata. – Io sono Ryuichi.

    Lo sguardo della viaggiatrice scivola sui loro abiti dalla foggia insolita, sul velo di seta, sul borsone che la madre di Otsune ha cucito con riquadri di stoffa colorata e pelle sintetica: – Venite dalle Isole dell'Est? – Chiede mentre concentra l'attenzione sullo strumento di Ryuichi, che la figlia ancora regge fra le mani.

    – Siamo originari di NeoTokyo. – Risponde lui in tono cortese.

    – Allora siete parecchio lontani da casa. – Replica lei, alzando le sopracciglia.

    – Sì, è così, ma ero qui quando è scoppiata la guerra e sono rimasto bloccato nella Capitale con la mia famiglia. – Appoggia una mano sul ginocchio di Otsune, che si irrigidisce e poi si scosta.

    – Capisco. Ne avrete passate di tutti i colori. – Commenta la donna.

    – È così.

    Silenzio.

    – Dove siete diretti? – Chiede Ryuichi.

    – Ci allontaniamo dal centro. Troppo pericoloso. – Dice lei con un sospiro. – Ho dei cugini in un settore periferico. Lì è più tranquillo, non ci sono tante proteste di piazza e la Milizia ha il controllo della situazione.

    Lui non replica.

    – E voi? Raggiungete vostra moglie?

    – Sono vedovo. – Replica Ryuichi con pacatezza. – Mi sposto per lavoro. – Solleva lo strumento.

    – Oh. – Sul viso della viaggiatrice compare un'espressione mista di imbarazzo e di compatimento.

    Otsune si morde una pellicina sul dito indice e distoglie lo sguardo dalla ragnatela di capillari sul naso e sulle guance della donna. Non sopporta la curiosità degli estranei e non capisce perché il padre si ostini a essere gentile con loro. Odia questa metropoli orribile e la sua gente.

    L'impianto di aerazione non parte e l'aria è calda e stantia: l'odore di sudore e umanità aggredisce le narici. Una voce metallica erompe dagli altoparlanti disseminati lungo la cabina: – Il decollo è previsto tra cinque minuti. I signori viaggiatori sono invitati ad attivare tutti i dispositivi di sicurezza e a verificarne il funzionamento. – La serie di scariche che interrompe il messaggio ferisce le orecchie e la ragazzina preme le mani ai lati del capo, infastidita.

    – Speriamo che il viaggio sia tranquillo – riprende la donna non appena torna la calma – sono un po' preoccupata: dicono che gli assalti ai velivoli civili siano frequenti lungo questa rotta – si china in avanti – e anche gli attacchi dei ribelli.

    – Ribelli? – Ripete Ryuichi.

    L'anziano rattrappito nel sedile di fianco si intromette nella conversazione: – Bah, se ci fossero problemi interverrà qualche pattuglia della Milizia, o i Killing Machine. – Con la mano tesa taglia l'aria: – Li faranno a pezzi.

    Lei si agita: – Che dici? Quelli hanno altro di cui preoccuparsi in questo momento.

    Con un sibilo bracci meccanici calano dalle cappelliere aperte della navetta davanti al viso dei passeggeri: schermi sgangherati si attivano uno dopo l'altro tra ronzii e distorsioni. Una voce metallica snocciola a singhiozzo una litania di notizie a cui Otsune non presta la minima attenzione. Tutti ascoltano con il naso all'insù, gli occhi incollati ai monitor.

    – Ancora scontri nella piazza della Torre tra Milizia e oppositori. Le forze dell'ordine hanno operato numerosi arresti. Molte le vittime dopo che l'azione eversiva dei rivoltosi…

    La ragazza si volta e allunga il collo per guardare fuori attraverso il finestrino sporco, ma l'imbragatura le impedisce di sollevarsi a sufficienza e il riflesso del sole la abbaglia; si fa schermo con la mano e torna a fissare in avanti. Il velo scivola via. La donna allunga il braccio per raccoglierlo, ma Otsune è più veloce. Con un gesto elegante lo avvolge intorno al collo, alza il mento e sostiene lo sguardo dell'altra che, piano, ritira la mano e la posa in grembo.

    Il padre le stringe la gamba. La pelle brunita dalle dita ben curate risalta contro la stoffa chiara della tunica. – Perdoni le cattive maniere di mia figlia, signora.

    – Non fa niente. – L'altra sorride.

    Gli occhi del vecchio, invece, sono carichi di disprezzo. Conosce quello sguardo, è lo stesso che avevano sempre i militari quando li fermavano. Musi dell'Est. Nemici della Capitale. Spie dell'Emisfero Australe. E pensare che mamma non veniva nemmeno dalle Isole, ma dalle montagne nel cuore dell'Oriente, a nord: pelle trasparente come alabastro, capelli dai riflessi blu e occhi ardenti. Ma per i miliziani erano tutti uguali.

    – E voi dove andate? – Chiede il donnone.

    – E lasciali stare, perdio! – L'anziano tossisce e scrolla le spalle. La compagna finge di non avere udito e continua a fissare Ryuichi in attesa di una risposta.

    – Dall'altra parte della città. – Lui schiarisce la voce: – Ho un contratto per un concerto domani sera nel Settore Duecentocinque.

    Il vecchio ride tra sé, poi sputa in terra fra i bagagli: – Sarà anche l'ultimo.

    Ryuichi abbassa gli occhi. La donna stringe le mani in grembo. Le luci in cabina lampeggiano poi si spengono e con uno scossone la navetta si stacca dagli ormeggi. Il brusio dei passeggeri riprende vigore e sovrasta la voce che proviene dagli schermi. Le notizie sono finite ed è iniziato un programma di intrattenimento; nella cabina torna il silenzio e presto i viaggiatori cominciano ad appisolarsi. Il pilota automatico vira e il velivolo si dirige a nord lungo la rotta che li porterà dall'altra parte della Capitale.

    – Quanto tempo ci vuole, padre? – Otsune sussurra con una punta di delusione per non essere riuscita a vedere la metropoli dall'alto.

    – Per cosa? Vuoi sapere quando arriviamo?

    Fa cenno di sì con la testa.

    – Un paio d'ore. La navetta tocca tutti i punti di ancoraggio del perimetro nord.

    Lei si allunga contro lo schienale e chiude gli occhi.

    Un frusciare di stoffa. Otsune solleva le palpebre e osserva la donna frugare nella borsa ed estrarre un involto che porge a Ryuichi. – Tenga, per sua figlia, lo prenda.

    Otsune si volta verso il padre e seppellisce il viso nel suo odore di pulito. – Perché non ci lasciano in pace? – Gli chiede. – E perché si comporta come se io non fossi qui?

    – Non parlare nella nostra lingua, loro non capiscono.

    – È quello che voglio. – Replica lei, dura.

    – La ringrazio. – Ryuichi accenna un inchino e accetta l'offerta. – Guarda, Otsune – le porge il pacchetto – non è cibo sintetico. – Profumo di dolci. Lei fa cenno di no con la testa.

    Il padre si muove a disagio sul sedile. Le dispiace metterlo in imbarazzo. Sconfitta, la donna sospira e smette di parlare. Lui si rilassa e presto comincia a sonnecchiare, con il mento che ciondola sul petto; Otsune si concentra sul rumore dei motori e prega di arrivare presto. Dopo un po' il vecchio comincia a russare piano, cullato dal ronzio del velivolo. Ryuichi appoggia la guancia sulla testa della figlia e anche lei si abbandona al riposo.

    II

    Lo scossone interrompe il suo sonno senza sogni: Otsune annaspa mentre le cinture di sicurezza le comprimono il petto e i piedi penzolano nel vuoto del corridoio inclinato, dove le luci si accendono a intermittenza. Si volta verso il padre: anche Ryuichi si è svegliato di soprassalto per l'urto e la guarda con occhi colmi di paura. I passeggeri della loro fila urlano per il terrore, aggrappati ai sedili per non scivolare giù. La ragazza osserva dall'alto la donna dalla tuta rossa e il suo compagno che, invece, sono inghiottiti dalle imbottiture anatomiche e mulinano braccia e gambe alla ricerca frenetica di un appiglio. I motori ruggiscono, salgono di giri e la navetta si raddrizza con la lentezza di un pachiderma, con i giunti di acciaio che gemono per lo sforzo.

    – Padre – Otsune gli afferra una mano – che succede?

    In risposta la stretta di Ryuichi, pallido, si fa più salda: – Non lo so. – Le dice a voce alta perché possa sentirlo al di sopra del rumore. – Forse una tempesta. – La pacatezza delle sue parole non dissipa l'ansia di Otsune: lo osserva muoversi a disagio, guardarsi intorno e allungare il collo, con la fronte corrugata. Un'angoscia familiare si impadronisce di lei e con mani tremanti armeggia per sganciare le cinture. Il padre la trattiene per i polsi: – Dove credi di andare?

    Otsune si inarca per liberarsi e si spezza un'unghia contro la fibbia: le dita non le ubbidiscono come vorrebbe.

    – Calmati! – Lui le prende il viso tra i palmi sudati, la figlia lo allontana.

    Un altro urto, forte abbastanza da farli sbandare e mettere fuori uso l'impianto di illuminazione: tutti i bagagli non al sicuro nelle cappelliere, o stretti fra le gambe dei passeggeri, volano per la cabina e rotolano lungo il corridoio. Braccia al viso per proteggersi, urla di spavento. Anche Otsune grida, ma non se ne rende conto fino a quando il padre non la scuote per le spalle: – Basta!

    Lei sbatte le palpebre: – I soldati – balbetta – dobbiamo scappare, nasconderci. – Le sembra di sentire il tonfo degli scarponi chiodati rimbombare sulla rampa di accesso, quello dei colpi inferti a casaccio su uomini e cose per incutere terrore, infine il lezzo di sangue, sudore e morte raggiungerle le narici. Stringe gli occhi e preme i pugni contro le orecchie mentre scuote la testa da una parte all'altra per scacciare l'incubo e ritrovare il coraggio.

    Ancora un colpo: il velivolo si piega di lato, poi si raddrizza mentre la velocità di crociera diminuisce. In preda al panico i viaggiatori si alzano in piedi, si spostano alla cieca nel corridoio per guadagnare una via di fuga impossibile, si scontrano mentre avanzano a spinte e a tentoni, un passo avanti e due indietro. Qualcuno fissa ipnotizzato attraverso i vetri sporchi degli oblò, il viso schiacciato contro il finestrino, gli occhi sbarrati.

    – Pazzi! Così peggiorate le cose. – Ryuichi allunga le braccia in un gesto che vorrebbe invitare alla calma. – State giù! – Implora, ma la sua voce si perde. Sfiora la donna dalla tuta rossa, che si regge al montante della cabina per non perdere l'equilibrio: lei si gira di tre quarti, le labbra si schiudono per rispondere qualcosa, ma la violenza dell'ennesimo urto la getta a terra. I passeggeri scivolano gli uni addosso agli altri, tra grida e pianti. Molti sono in ginocchio, alcuni gemono schiacciati contro i sedili dal peso di un compagno di viaggio, svenuto o ferito; diversi corpi giacciono a terra, scomposti. La testa di un uomo, incosciente, o forse morto, incastrato a un angolo assurdo tra la poltroncina di Otsune e quella di fronte, le sfiora i piedi. Lei raccoglie le ginocchia al petto con un moto di raccapriccio, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal filo di sangue che gli esce dall'orecchio per sparire dentro al colletto della camicia. Un macchia scura si allarga sulla stoffa mentre il capo del passeggero ciondola al ritmo imposto dalla navetta, che ora sgroppa senza controllo.

    Ryuichi slaccia le cinture e si regge al sedile con un braccio solo, una gamba sul cuscino e l'altra a terra per controbilanciare, poi guarda fuori. Preme una guancia contro il vetro e si fa schermo con la mano libera per difendersi dal riflesso del sole: – Banditi! – Si volta verso di lei, il viso stravolto.

    Otsune lo osserva interdetta, per un istante crede che si sbagli: – Non è possibile! – Si libera e si alza in piedi.

    – No! – Lui si piega verso la figlia, proteso in avanti per impedirle di muoversi, ma lei è già al suo fianco e lo spinge da parte con il corpo, le dita aperte a ventaglio, il naso e la fronte incollati all'oblò: due caccia malandati privi di insegne intrecciano una danza sgraziata attorno a loro e a un piccolo cargo dalle tinte mimetiche nella loro scia. I contorni del velivolo più pesante tremolano nella foschia generata dalla calura e dagli scarichi, mentre gli altri due giocano a sopravanzare la navetta per poi sfilare lungo le fiancate e virare dopo ogni attacco. Le bordate incendiano l'aria già surriscaldata e si schiantano contro la fusoliera.

    – Che vogliono da noi? – Grida a Ryuichi. – Non abbiamo più niente. – Un nodo le chiude la bocca dello stomaco mentre con gli occhi spalancati segue la traiettoria di due proiettili che si incrociano in volo: uno manca il bersaglio, l'altro non fallisce. Il colpo la spinge all'indietro e perde la presa, ma Ryuichi è svelto ad afferrarla e a stringerla a sé. Lo abbraccia.

    – Sono predoni, Otsune, gente senza onore. – La costringe a sedersi e le riallaccia le cinture. – È probabile che il pilota automatico abbia già lanciato il segnale di soccorso – la guarda con affetto – verranno ad aiutarci. – Si morde il labbro inferiore: il padre non è capace di raccontare bugie, non a lei.

    – I soldati? La Milizia? – Chiede lei con voce strozzata. – Meglio nasconderci. – Dice in tono deciso.

    Lui stringe le labbra e annuisce con vigore: – Non ci faranno niente. – Aggiunge quasi a voler convincere prima sé stesso. La osserva con occhi tristi.

    La figlia non fa in tempo a dirgli che non gli crede perché gli altoparlanti riprendono a gracchiare: – Rimanete fermi e calmi ai vostri posti e nessuno si farà male – è una voce metallica a parlare con un accento strano che non riconosce – abbiamo agganciato il vostro sistema di guida e ora vi faremo atterrare. Siamo in pieno deserto, quindi niente eroi e strane idee. – Gemiti di paura nella pausa che segue. – Spareremo a chiunque provasse a fuggire o tentasse di ribellarsi. – Silenzio: la minaccia mette radici nel cuore e nella mente. – Tutto chiaro? – Qualcuno sghignazza in sottofondo, poi le scariche sommergono ogni altro suono.

    La navetta si impenna con una manovra brusca, sobbalza, sbanda e infine decelera. L'impatto con il suolo catapulta tutti in avanti con violenza mentre lo scafo striscia per qualche centinaio di metri e si ferma in una nuvola di sabbia. Le luci di emergenza tremolano per un attimo, poi si spengono: la cabina rimane immersa nella penombra. Fuori rumore di motori in avvicinamento: ruggiscono quando le tre navi pirata completano le manovre, poi il suono si affievolisce fino a spegnersi non appena si posano a terra, sollevando vortici di polvere. I passeggeri trattengono il fiato, nessuno osa guardare fuori. I minuti scorrono lenti. Infine clangore di metallo contro metallo: il portellone scivola di lato. I viaggiatori si alzano in piedi quasi all'unisono e gridano.

    Un uomo vestito di stracci, con il capo rasato e dipinto di rosso, si affaccia nell'apertura: – Finitela di starnazzare! – Con un salto si lancia dentro e atterra a ridosso della porta della cabina di pilotaggio, un fucile al plasma tra le braccia: – Sedetevi tutti, o vi brucio vivi. – Occhi infossati e febbricitanti li studiano uno per uno mentre ubbidiscono con le ginocchia che cedono. Una macchia scura si allarga fra le gambe della donna dalla tuta rossa e una piccola pozza si raccoglie ai suoi piedi. Le sagome di altri due predoni si stagliano nel riquadro di luce, le piastrine militari in bella vista fra i cenci e le armi spianate: – Forza belli, mano ai bagagli. – Dal setto nasale pendono ornamenti di varie fogge e la parte inferiore del volto è coperta da sciarpe.

    Il padre si sporge per nasconderla alla vista: – Non muoverti. – Lei percepisce la sua preoccupazione e prova pena per lui: più di una volta l'ha sorpreso incollato al canale ufficiale del Governo Supremo, quando credeva che lei dormisse, e seguire muto le notizie di cittadini inermi rapiti nel deserto da gruppi di sbandati, mercenari e disertori, e mai più ritrovati. Cerca la sua mano mentre gli uomini avanzano lungo il corridoio con passi pesanti.

    – Cominciate a frugare – dice il pirata dal cranio rasato ai compagni – controllate che questi pidocchi non nascondano nulla – poi rivolto nella loro direzione – e voi, tirate fuori quello che avete o vi appendiamo per i piedi ai carrelli dei caccia. – Solleva l'arma ad altezza uomo.

    I passeggeri aprono borse e fagotti, qualcuno piagnucola. Ryuichi lascia andare Otsune e lei si fa piccola dietro la sua schiena per non farsi notare, come le ha insegnato; lui depone lo shamisen sui sedili e svuota la loro sacca con gesti misurati: vestiti, la scatola del trucco di scena, qualche libro di haiku, un sacchettino colorato dove conserva i gioielli della moglie. Si guarda intorno e quando è sicuro di non essere osservato lo infila dietro la cintura. Un ninnolo di giada scivola via e rotola fino alla suola di uno scarpone sporco di polvere. Padre e figlia si irrigidiscono.

    – Ehi tu, muso giallo! – Il pirata si fa strada a spintoni tra gli ostaggi, poi si piega con un grugnito e raccoglie l'oggetto. Si ferma a due passi di distanza, il pendente tra le dita. – Che cazzo stai combinando?

    Ryuichi china il capo: – Io… io…

    La ragazza non osa muoversi né alzare lo sguardo. Respira a bocca aperta per non inalare l'odore acre di sporco e di sudore dell'uomo che scrolla il padre per le spalle: – Pensi di essere più furbo degli altri? – È così vicino che potrebbe toccarlo. – Vecchio idiota. – Afferra la custodia dello strumento e lo solleva. – Che roba è? – Lo sbatte contro la fila di sedili e lacera la stoffa.

    – No! – Otsune strilla e subito si porta le dita alle labbra, spaventata e pentita per il gesto.

    Ryuichi si frappone tra la figlia e il bandito, ma lui lo spinge di lato con violenza e afferra Otsune per un braccio: – E tu chi sei? – Si gira verso il portellone. – Ehi capo, vieni a vedere che cosa

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