Svalbard: Storia di nomi
Di Anita Mancia
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Sono andata a Svalbard perché mi piace il nome di Svalbard.
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Anteprima del libro
Svalbard - Anita Mancia
Note
Prefazione
immagine 1Nuova carta del polo artico di Giambattista Albrizzi.
Questo saggio, che aveva un titolo leggermente diverso, Per non dimenticare Svalbard
è stato scritto nel 1992, immediatamente dopo il mio unico viaggio a Svalbard, ed è rimasto sempre con me, non nel cassetto, ma nei vari mobili che lo hanno contenuto, per 26 anni. Solo oggi trova la luce. L’ho infatti presentato mesi fa ad un editore di Viterbo, Emanuele Paris, che lo ha letto e gli è piaciuto ed ha deciso di pubblicarlo.
Ho cambiato leggermente il titolo, per renderlo più diretto, poiché era chiaro che quando lo avevo scritto, non volevo dimenticare in nessun caso l’esperienza di Svalbard.
Dunque questo è un libro sull’arcipelago delle Isole Svalbard ed è, in particolare, la storia dei nomi di luogo che gli furono dati dopo la scoperta avvenuta nel 1596. Da quella data Svalbard entra nella storia e di qui nasce l’atto di dare nomi. Ancorchè scientifico e geografico, questo è un atto sacro in sé, dato che nella Bibbia, durante e dopo la creazione Dio dà nomi alle cose soprattutto attraverso Adamo, l’uomo. Anche fuori di questo senso religioso che i vari geografi e cartografi probabilmente non hanno avuto presente, il dar nomi è un atto importante, che sancisce la presa di coscienza di una realtà nuova che può contare nel mondo. Questo è successo con Svalbard, e di qui viene la ricorrenza dei nomi, la storia di nomi, come recita il sottotitolo del saggio. La cornice in cui tale atto si inquadra è quella del mio viaggio alle isole Svalbard, viaggio unico, che oggi non potrei più fare per ragioni economiche e di età, ma soprattutto economiche. Pertanto molti dei dati che introduco ed utilizzo hanno come termine ad quem il 1992, fatta eccezione per il libro della Kristensen che tratta l’ultimo viaggio di Amundsen in relazione alla catastrofe del dirigibile Italia comandato dal generale Umberto Nobile e della spedizione privata di Roald Amundsen alla ricerca dell’equipaggio dell’Italia, che era precipitato nel nord delle Isole Svalbard.
La mia scelta, di non aggiornare i dati statistici, è data dal taglio storico limitato di questo lavoro e dal viaggio che io compii come privata cittadina, forse turista, ma io non vi credo, nel lontano 1992. Sono stata a Longyearbyen, Pyramiden e Ny Ålesund ed il viaggio durò nove giorni.
Vorrei ringraziare ancora oggi, e forse di più che nel 1992, mia madre, Flavia, che rese possibile la scoperta di Svalbard ed organizzò molto bene oltre che pagarmelo, il viaggio a Svalbard. Su questo saggio, anche se non la nomino mai aleggia certamente la sua benefica azione, e pertanto sento il bisogno di ringraziarla e di dedicarle, non soltanto a lei, ma a lei più di tutti, questo saggio storico.
Anita Mancia, Viterbo 31 Maggio 2019.
immagine 2Didascalia...
Storia di nomi: Svalbard, Groenlandia (Grumant), Spitsbergen
Il nome Svalbard, la Costa Fredda (74°- 81° N), appare per la prima volta nel 1194, negli Annali Islandesi ( Islandske Annaler), dove è scritto: Svalbards fundr
, ovvero Svalbard fundinn
, che significa: "Svalbard fu scoperta (1). Che cosa significhi questa affermazione non è chiaro. Né è noto se gli utensili e gli strani oggetti – umani – trovati appartengano a stanziamenti del periodo dell’età della pietra. Infatti non sono state trovate abitazioni che lascino presumere la presenza di una civiltà in Svalbard. Pertanto dal 1194, fino al 1596, anno del viaggio di Barents, quel nome fu completamente dimenticato. Barents è il vero scopritore di Svalbard, da lui ribattezzata Spitsbergen a causa della forma aguzza dei monti lungo la costa occidentale – Isfjord (2)– dove lui approdò. La sua spedizione diede a Svalbard, all’arcipelago delle isole, che allora non era considerato tale, i primi otto nomi. Svalbard era ritenuto invece una parte continentale della Groenlandia che, così si reputava, si estendeva a forma di semicerchio da Capo Farewell alla Russia del Nord.
Il diario di Barents non è pervenuto nella lingua originale, ma solo nella traduzione francese (Hessel Gerrits 1613). A pagina 7 sotto la data 24 giugno, si legge: […] Avant midy, fasoit il calme avions le vent Siroest, la terre (au lo(n)g du quel prenions nostre route) estoit la plus part rompue, bien hauly, & non autre que Monts & montaignes agues, parquoy l’appellions Spitsbergen […].
Da allora Svalbard non è stata più dimenticata: la sua storia inizia il 24 giugno 1596. E tuttavia den nieuwe het, la nuova terra, o la nuova terra di Spitsbergen era considerata sempre, anche se con crescente fastidio da parte olandese, a causa dei diritti avanzati dalla corona dano-norvegese, Groenlandia. Per tutto il XVIIesimo secolo, nonostante i cacciatori di balene dovessero essersi resi conto che quello era un arcipelago, Spitsbergen fu Groenlandia. Soltanto nel 1710 è pubblicata la prima carta, quella di Giles & Reps, che descrive Spitsbergen come un insieme di isole. Ma ancora per un cinquantennio almeno, il nuovo nome di Spitsbergen convivrà con l’altro di Groenlandia.
I russi chiamavano le terre di Spitsbergen Grumant, termine russo per Groenlandia. Essi lo applicavano genericamente alle terre artiche del Nord della Russia. Soltanto quando la vera geografia di Spitsbergen fu nota, nel XVIII secolo, il nome Grumant cambiò in Spitsbergen. Ma Grumant non è sparito per sempre dalla toponomastica delle isole. È rimasto come vestigio storico, se si vuole, per indicare la città mineraria russa situata a sud di Isfjord, fondata nel 1919, chiusa nel 1926 e riaperta nel 1931, e la valle che si affaccia sull’omonimo distretto. Là era giunta nel 1912 con la nave Hercules
una spedizione scientifico-mineraria di mercanti di Arkangelsk, di cui faceva parte il geologo Rusanov (3).
Possiamo assumere la storia di Grumant, Grumantbyen e Grumantdalen come un valore paradigmatico: è la storia dei nomi di Svalbard, che devono essere articolati e distinti in radice e desinenza, nome proprio e nome di genere, per poter essere intesi pienamente nel loro significato morfologico e storico. Alla loro formazione hanno concorso nel tempo tutte le nazioni e gli individui che hanno trovato in Svalbard un qualche interesse geografico, scientifico, sportivo, economico, politico, di sfruttamento del territorio, senza che si possa parlare di vera colonizzazione – Svalbard è stata per tre secoli terra di nessuno – perché l’arcipelago non è mai stato abitato da alcuna popolazione locale. La carta di Svalbard è, pertanto, una tavola di storia dell’umanità intera e della Norvegia in particolare, che per ragioni storiche, connesse con il risveglio nazionale del secolo XIXesimo e con motivazioni geografico-scientifiche, ha assunto il ruolo di guida organizzatrice del processo storico-economico-politico della nuova terra di Spitsbergen, non da sola, ma nel rispetto del trattato internazionale di Parigi del 1920.
Dal 1925 Svalbard è parte del Regno di Norvegia.
immagine 1Mappa di Grumant.
immagine 2Jansonius, Nova et accurata Poli Arctici et terrarum Circum Iacentium Descriptio.
[1] Cf The Place-names of Svalbard (Oslo, 1991) p. 401. Ed anche Thor B. ARLOV. A short history of Svalbard (Oslo 1989) (= Polarhandbok n. 4) p 12.
[2] Cf The Place-names cit, p. 401.
[3] 1. Ivi, cit. 164.
1. Per chi, Svalbard
Ogni anno 22.000 persone visitano Svalbard. 16.000 di esse arrivarono con navi da crociera e soltanto il 5% del totale senza organizzazione (1).
Un bel libro, completo, fornisce ai visitatori tutte le informazioni e anche qualche cosa di più su Svalbard. Si intitola in inglese: Guide to Spitsbergen
, di Andreas Umbreit. È pubblicato da Bradt in Inghilterra, da Hunter negli Stati Uniti. L’originale è in tedesco. Il libro è apparso nel 1991.
Ho conosciuto Andreas al caffè Busen, a Longyearbyen. Stavo sfogliando il libro comprato da poco, alla ricerca dell’indice, quando lui, un giovane robusto, di statura normale, biondo e ricciuto, mi ha rivolto la parola: - Legge l’inglese? – Ha domandato. Gli ho risposto di sì. Lui mi ha detto di essere l’autore del libro che avevo comprato, e mi ha chiesta la copia, per vedere se nella pagina di copertina c’era la sua firma. C’era. Non volevo crederci, poiché non mi era ancora accaduto di incontrare così, al tavolo di un bar e senza presentazione previa, l’autore di un libro. Ma Andreas è qualche cosa di più e, insieme, qualche cosa di diverso che l’autore di un libro. È una guida. Così il qualche cosa di più
che egli lascia al