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Progetto Urano: Le trame oscure del potere
Progetto Urano: Le trame oscure del potere
Progetto Urano: Le trame oscure del potere
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Progetto Urano: Le trame oscure del potere

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About this ebook

In questa sua terza avventura, Max conosce un fotografo, Vladi Hursic, che pensa di avere scoperto un traffico di armi e scorie nucleari, che dall'Occidente vanno in Africa, passando per i Balcani e il porto di Amburgo. Per recuperare la memory card, nella quale sono immortalati i volti dei protagonisti di questo traffico, Max coinvolge il suo amico Tom, che però non sembra raccontargliela proprio giusta. Nello svolgimento dell'azione saranno coinvolti i servizi segreti italiani (e non), dei criminali senza scrupoli e... una killer spietata, addestrata in Germania, che cercherà fino alla fine di eliminare il suo alter ego, il nostro protagonista, lasciando dietro di sè una scia di morte. Riuscità Max a risolvere questa ingarbugliata situazione? Ad aiutarlo arriveranno vecchi e nuovi amici, ma soprattutto... una spia femminile che sembra spuntare dal passato, e al passato ritornerà.
LanguageItaliano
Release dateApr 7, 2021
ISBN9788893782425
Progetto Urano: Le trame oscure del potere

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    Progetto Urano - Giampaolo Pavanello

    Borsellino

    ANTEFATTO

    Dal romanzo La trappola dei Balcani

    di Giampaolo Pavanello

    Cesenatico – Italia

    Max decise di passare quegli ultimi giorni d’estate nella quiete di Cesenatico, un luogo a lui molto caro, lo aveva frequentato da ragazzino con le colonie estive dei preti, poi da adulto era solito passare qualche settimana al Grand Hotel, una bellissima struttura stile liberty degli anni ‘30, gestito da una famiglia del posto con una conduzione impeccabilmente professionale, e allo stesso tempo con una grande gentilezza e disponibilità.

    La frequentazione della clientela è particolare, in quanto dopo alcuni anni che lo si frequenta ci si accorge che i clienti sono quasi sempre gli stessi, con i quali i proprietari instaurano una discreta e piacevole amicizia, facendo sentire gli ospiti come accolti in una grande famiglia.

    Max fu accolto dal capo famiglia, il signor Augusto, il quale con la sua solita disponibilità gli trovò la stanza che preferiva, una camera con poggiolo che si affacciava sulla spiaggia e sull’infinito del mare.

    Max senza disfare i bagagli prese posto sulla poltroncina del balcone e rimase a osservare il dondolio delle onde, senza pensare a nulla, la sua mente aveva bisogno di fermarsi, di dare spazio a un periodo di rilassatezza e serenità.

    Troppi fatti, ansie e paure lo avevano assorbito negli ultimi mesi, ora doveva riprendere in mano la sua vita con una visione positiva del futuro, troppa negatività aveva preso il sopravvento sulla sua esistenza, anche se sapeva che era giusto quanto aveva dovuto fare, per lui, per Criss e per tutte quelle persone che non riuscivano ad avere giustizia per i torti subiti.

    Nonostante ciò, era consapevole che era arrivato il momento di voltare pagina, prima di essere inghiottito nel vortice di un’esistenza che volgeva la sua prua verso le brutture della vita doveva ritrovare in se stesso e negli altri della positività per continuare a vivere.

    L’odio e la rabbia portati avanti a oltranza portano solo verso l’autodistruzione, Max non voleva assolutamente questo e ne conosceva il rischio fin dall’inizio. La sua missione era finita, ora la sua vita doveva riprendere come sempre, anzi, meglio di prima perché aveva reso il dovuto a delle persone che altrimenti non avrebbero mai conosciuto il dolce sapore della giustizia terrena.

    D’altronde, chi gode del potere e della forza del denaro ha sempre la possibilità di nascondersi dietro il velo dell’omertà, del ricatto e della corruzione, lasciando gli altri in balia del tempo e dell’oblio, nessuno prende le difese di chi nulla può dargli in cambio e la scritta, la legge è uguale per tutti, è posta alle spalle di chi deve applicarla.

    In ogni caso, la cosa che più non riusciva a perdonarsi era il fatto di non aver minimamente pensato alle persone che aveva coinvolto nel suo desiderio di vendetta, ai rischi che potevano correre e alle conseguenze cui sono andati incontro.

    Quanto accaduto al suo amico Tom, rimasto seriamente ferito nell’attentato alla Private Bank di Milano, mai avrebbe voluto che accadesse e non voleva nemmeno pensare a cosa avrebbe fatto se fosse rimasto ucciso.

    Non si perdonava di aver messo davanti a tutto il suo desiderio di placare la sua rabbia, non la disponibilità dei suoi amici fidati a rischiare la loro vita per lui. Max prese il telefono e chiamò:

    – Pronto.

    – Ciao Tom, come stai? – chiese Max.

    – Bene, dopo essere uscito dall’ospedale ho passato una quindicina di giorni sul lago Maggiore, mi hanno ritemprato – disse Tom. – Tu come stai?

    – Mi sto riposando al mare, vorrei fare una cena prima di partire, magari anche con il generale e il magistrato, così chiudiamo la storia – disse Max.

    – Per me va bene, mi dovrò far accompagnare da qualcuno, non sono ancora in grado di guidare con sicurezza – spiegò Tom. – Dove vorresti farla e quando?

    – Io sono a Cesenatico ancora per qualche giorno, poi parto per un po’, vedi tu quando si potrebbe organizzare.

    – Io provo per venerdì, prima facciamo prima sei libero anche tu, e poi non vedo l’ora di scappare dal lager di Nadia, la sua dieta mi sta uccidendo – disse scherzosamente Tom.

    – Ti fa solo che bene. Quella donna è una santa a sopportarti! – ribatté Max ridendo. – Allora organizza e fammi sapere, io preferirei di sera, ceniamo sulla terrazza del Grand Hotel, so che ti piace sia il posto che lo chef.

    – Certamente, vedo che la mia compagnia ti sta rendendo erudito in fatto di cucina, anche se il posto me lo hai fatto conoscere tu, ma tu lo frequentavi per la bella gente che passa lì le sue vacanze, non certo per apprezzare la cucina.

    – Lascia perdere, potrei stupirti un giorno o l’altro – gli rispose ridendo.

    – Sarei felice di vederti entrare nel mondo della cucina, e non ingurgitare cibarie senza alcun sapiente abbinamento di ingredienti per esaltare i sapori della vera cucina italiana.

    – Tom, fammi sapere quando fissi la cena – tagliò corto Max.

    – Capisco la tua difficoltà Max, ti farò sapere, ciao amico mio.

    – Ciao Tom, a presto.

    Tom verso sera confermò a Max la cena per il venerdì di quella stessa settimana, mancava solo un paio di giorni e Max voleva organizzare un qualcosa che lasciasse a bocca aperta l’amico, cosa di non semplice portata per le sue conoscenze in materia di alta cucina, vini, presentazione e allestimento. Pertanto decise di affidarsi alle sapienti mani di Augusto e del figlio Cesare, nonché dello chef dell’hotel.

    Spiegò che la cena si sarebbe dovuta consumare in un ambiente riservato, in quanto, oltre a una piacevole serata conviviale, probabilmente si sarebbe parlato anche di cose personali e private, perciò la location doveva essere appartata ma non relegata in un angolo nascosto. Il menù doveva essere ricco e curato, con precisi e attenti abbinamenti al vino, vista la presenza di un suo carissimo amico, grande esperto di cucina e vini.

    Lo staff del Grand Hotel, chiamato a consulto da Max, si riservò di porgli in visione il menù studiato per l’occasione nella mattinata successiva. Max consumò la cena per poi farsi una passeggiata, raggiungendo il canale navigabile utilizzato da pescatori e diportisti del posto.

    Al suo ritorno si fermò sulla terrazza vista mare, per gustare un ottimo cognac offerto dal titolare dell’hotel, ammirando la luna che si rifletteva sul mare. Pensava che oltre quella vastità, sulla sponda opposta, era in corso una violenta guerra di religione, di razza e di supremazia degli uni contro gli altri.

    Turisti e vacanzieri godevano dello splendido mare ignari che fosse diventato l’autostrada per lo scambio di armi e droga, con una probabile e imminente aggiunta del traffico di rifiuti tossici e nucleari.

    Questo pensiero lo incupì, facendo perdere ogni fascino allo spettacolo che aveva davanti agli occhi. La mattina successiva, appena terminata la colazione, Augusto e suo figlio Cesare si avvicinarono a Max per presentargli quanto avevano organizzato per la serata del giorno dopo:

    – Buongiorno signor Max, abbiamo tutto pronto e vorremmo presentarglielo per sapere se è di suo gusto – esordì Augusto.

    – Prego, accomodatevi – li invitò Max indicando le sedie al suo tavolo.

    – La parte di terrazza vista mare sarà tutta a sua disposizione, visto che ci troviamo verso fine stagione e i clienti rimasti potranno cenare all’interno – spiegò Cesare. – Inoltre il nostro chef cucinerà direttamente sulla terrazza a debita distanza dal vostro tavolo, cosa ne pensa?

    – Meraviglioso, solo che non vorrei recarvi troppo disturbo, sia a voi che alla vostra clientela – disse soddisfatto Max.

    – Non si preoccupi – chiarì Augusto – per un cliente di vecchia data come lei non c’è alcun disturbo, anzi, per noi è un vero piacere soddisfare chi si affida a noi. – Poi continuò Cesare: – Ci sarà il vino al fresco sulla terrazza e due camerieri a vostra completa disposizione.

    – Per il menù avete messo giù qualche idea? – chiese Max.

    – Certamente, per primo linguine all’astice e ravioli pasta viola e gamberi, per secondo, aragosta alla catalana, dessert, visto che siamo a fine estate abbiamo pensato a un dolce con la frutta, torta alla vaniglia e frutta, crostata alla crema pasticcera e frutta fresca, crème brulèe all’arancia – elencò Augusto il titolare.

    – Mi sembra perfetto, farò strabuzzare d’invidia il mio amico Tom, con i vini come siamo messi?

    – L’entrée sarà a base di ostriche e crostacei crudi accompagnati da uno champagne Bollinger Vieilles, un blanc de noirs, dopodiché, per il corso della cena, il nostro sommelier ha preparato della Vernaccia di San Gimignano, del Vermentino di Gallura, Sauvignon dell’Alto Adige e un Sauvignon Poully Fumé della Loira, che abbinerà alle varie portate – elencò con molta maestria Cesare.

    – Mi sembra tutto perfetto, vi ringrazio per la disponibilità, siete veramente delle persone speciali – Max si espresse con sincerità.

    – È un piacere per noi averla come nostro ospite – confermò con altrettanta sincerità il signor Augusto, allontanandosi con il figlio Cesare.

    Max passò un paio di giorni in completo relax vacanziero, buon cibo, mare, sole e lunghe passeggiate sul bagnasciuga, si stava pian piano riprendendo in mano la sua vita.

    Il pomeriggio di venerdì si ritirò nella sua stanza dove ripose in un astuccio in pelle marrone le carte di credito e i documenti di copertura che gli aveva dato Tom, aggiunse le chiavi della Porsche. Richiuse l’astuccio e lo pose assieme ai vestiti nella sacca da viaggio.

    Poi, seduto sulla poltroncina del poggiolo compose un numero telefonico. – Pronto?

    – Ciao, sono io, volevo sapere se è tutto a posto o sono in debito con te... – s’informò Max.

    – No, tutto a posto, nessun debito amico mio, le spese sono coperte e questo mi basta e avanza – rispose Antonio Vargas ridendo.

    – Immagino, spero solo che tu non abbia esagerato – si accertò Max. – Comunque passerò a trovarti, non adesso, ma in futuro ci rivedremo.

    – Ti aspetto amico mio, anche perché ti devo dare i codici di Lussemburgo, comunque, lavorare per te è stato un onore – disse commosso Vargas, aggiungendo: – Non ti dimenticare del vecchio gitano, questa è casa tua, un abbraccio amico mio.

    – Lo so, i libri contabili sono al sicuro, finché i codici sono nelle tue mani sono tranquillo, devi sapere che per me è un onore essere tuo amico, grazie a presto – disse Max chiudendo la conversazione.

    Rimase qualche attimo a guardare il telefono con aria pensierosa...

    – Pronto.

    – Salve Vittorio, sono Max.

    – Ciao Max, tutto bene?

    – Sì tutto bene, senti, riuscireste per domani notte portare quel camion nell’area di servizio di Fratta, direzione Trieste, il carico sarà di novantacinque casse; le altre due, quelle con i numeri più alti tienile nascoste, una per voi e una di riserva per il futuro – disse Max.

    – Sì, possiamo farcela, il furgone rubato è già pronto, sei sicuro di tenerne due per noi?

    – Certamente, la novantasei e la novantasette, non aprirle se prima non vengono ritrovate le altre, così sapremo cosa c’è dentro, mi raccomando, non aprirle – ripeté Max.

    – Tranquillo, non sono mica matto, anzi mi dirai tu quando posso aprirle.

    – No, quando verrà reso pubblico il contenuto, tu ne apri una a scelta, l’altra lasciala chiusa.

    – A che ora dobbiamo lasciare il furgone? – chiese Vittorio.

    – Non ha importanza l’ora, fate che sia già buio e attenti a eventuali telecamere, mi raccomando Vittorio, non vorrei portarti le arance in carcere, ti prego, sempre con molta attenzione – disse Max.

    – Senti ragazzino, non rompere, ti potrei sfilare le mutande senza toglierti i pantaloni – disse Vittorio ridendo. – Stai tranquillo, domani notte sarà tutto fatto.

    – Ti manderò un numero telefonico di una persona, quando avete parcheggiato il camion, chiamatela e ditele dove si trova e la targa – spiegò Max.

    – Le dirò anche il colore. Quelli non troverebbero un cavallo dentro una valigia, figurati un camion in un parcheggio – scherzò il vecchio marinaio.

    – Il camion è quello del tuo amico? – chiese Max.

    – Sempre lui, appena posso gli faccio sempre qualche dispetto, così impara a minacciarmi e chiedere il pizzo, il maresciallo ha sbagliato persona e tu non chiedermi queste cose ragazzino, non farmi incazzare anche tu – disse stizzito Vittorio.

    – Ciao Vittorio, lo sai che mi piace farti sentire ancora vivo – lo stuzzicò Max.

    – Ciao Max, vai a prenderlo in quel posto!

    Rimase a guardare l’orizzonte con il sorriso stampato sulla faccia, pensando al gruppetto di vecchi contrabbandieri che avevano fatto girare per terra e per mare le casse sottratte alla triade cinese, ai servizi, alla massoneria, alla mafia bianca e ai criminali croati e sloveni. Un gruppo di quattro persone la cui somma delle età superava i trecento anni. A raccontarla, nessuno ci avrebbe mai creduto e proprio questo voleva Max, il silenzio tombale, niente gloria e niente onori.

    Ancora ridendo, compose una terza utenza:

    – Ciao Tatjana.

    – Finalmente, chi si risente, pensavo ti fossi già dimenticato di me.

    – Come potrei, hai preparato tutto per la nostra vacanza? – chiese Max.

    – Certo, già da alcuni giorni, io sono pronta e libera, tu? – disse Tatjana.

    – Ci vediamo questa sera alle undici precise, davanti al Grand Hotel di Cesenatico, puntuale, mi raccomando – comunicò Max alla donna.

    – Figurati se mi faccio scappare questa occasione – disse ridendo la donna.

    – Allora a stasera, ciao a dopo.

    – A stasera, non azzardarti a darmela buca, ci siamo capiti?

    – Tranquilla, non vedo l’ora, ciao – Max chiuse la comunicazione.

    Max rimase ancora un po’ di tempo a crogiolarsi piacevolmente al sole di fine settembre, i rumori dei villeggianti in spiaggia erano finiti e si poteva godere del dolce fruscio delle onde sul bagnasciuga e dello stridio dei gabbiani con il loro volo a filo d’acqua, che la luce del tramonto rendeva di un colore argento.

    Si fece una doccia veloce, indossò un paio di pantaloni di lino bianco, sneakers blu e una polo azzurra di una misura più grande: non sopportava di averle troppo aderenti.

    Successivamente prese la sua sacca da viaggio, controllò di non avere lasciato nulla e scese nella hall, dove pagò il conto del soggiorno e, in anticipo, anche la cena di quella sera. Si accomodò a un tavolino della terrazza che si affacciava sulla piazza a consumare un americano con molto ghiaccio, in attesa dell’arrivo di Tom, il quale sarebbe arrivato un’ora prima degli altri ospiti, per passare un po’ di tempo tra loro da soli.

    L’amico arrivò puntuale come un orologio svizzero, si fece lasciare dal suo autista proprio davanti all’hotel, salì le scale con una leggera difficoltà, si notava che non aveva ancora recuperato del tutto i danni subiti nell’attentato.

    I due amici si guardarono per qualche minuto, poi si abbracciarono con grande affetto e si accomodarono al tavolino, mentre il barman portava un bottiglia di champagne Cristal Rosé millesimato 1989 Louis Roederer ghiacciato al punto giusto.

    – Vedo che stai imparando le buone maniere – sorrise Tom.

    – In qualche modo devo farmi perdonare – rispose Max dispiaciuto per quanto accaduto all’amico.

    – Senti Max, non cominciamo con questa litania, io ho deciso di fare quello che ho fatto in piena coscienza e incoscienza, pertanto sapevo benissimo i rischi che correvo, chiudiamo l’argomento e godiamoci questa serata meravigliosa amico mio – Tom non ammetteva repliche.

    – In ogni caso, grazie di tutto – Max alzò il bicchiere e brindò a loro due e a tutta la squadra che aveva collaborato con loro.

    – Alla salute Max, ora ritengo che tu sia soddisfatto, oltre a un lavoro eccezionale, sei riuscito a portare a termine la tua vendetta con il tuo personale senso di giustizia – rispose Tom.

    – Sì, posso ritenermi soddisfatto e in pace con me stesso e con tutte quelle persone a cui, con il mio lavoro, ho sempre cercato di dare un mondo migliore, senza secondi fini.

    – Quello che non ho capito bene è tutta l’acrobatica messa in scena con Palazzi e Branko, non potevi chiudere direttamente la faccenda? Non penso che per te sarebbe stata così complicata...

    – All’inizio avevo pensato di chiudere personalmente il conto con loro due, però, dopo aver parlato con Palumbo, mi è sorto il sospetto che anche lui fosse coinvolto nell’intera faccenda, ma non ne ero sicuro, allora ho deciso di metterlo alla prova, di dargli una seconda opportunità. Purtroppo avevo ragione a sospettare di lui, se al posto di Palazzi e Branko ci fossi stato io, sarei stato ammazzato come un cane dall’uomo a cui affidavo la mia vita in ogni operazione sotto copertura.

    – Quante delusioni in questi ultimi mesi, ti devi essere sentito veramente tradito nell’intimo, proprio dalle persone più vicine. Mi dispiace Max, ma purtroppo questo è il mondo in cui viviamo, dobbiamo aspettarci ancora delle cose peggiori, credimi, questo è solo l’inizio.

    – Come sta Nadia?

    – Bene direi, quando ha saputo che ero rimasto coinvolto nell’attentato era andata fuori di testa, era impazzita dalla paura che morissi, adesso è tornata serena e ha ripreso il suo status di aguzzina nei miei confronti, niente cibo, niente alcool e niente un buon sigaro dopo cena, dimmi tu come posso sopravvivere in questa situazione... – gli sorrise cercando di sviare Max dalla successiva domanda.

    – Secondo te – chiese Max – Livio Grandi è stato ucciso da una mano femminile? Dalla dinamica e tecnica utilizzata io direi di sì – guardando Tom con occhi inquisitori.

    – Vedi Max, ti potrei rispondere in tanti modi, ma sei troppo intelligente perché io ti possa mentire, oltre al fatto che siamo amici da molti anni – sospirò Tom – perciò condivido la tua opinione, ma non saprei a chi porre i miei complimenti per un intervento chirurgico di tale bravura e precisione, capisci amico mio, se una donna è stata, deve essere una donna eccezionale che merita di restare nell’oblio degli eroi, senza nome e senza volto.

    – Concordo con te – disse Max – ci facciamo un secondo aperitivo e brindiamo all’eccezionale donna senza nome e senza volto, amico mio.

    – Concordo amico mio – rise Tom.

    I due proseguirono la loro conviviale conversazione in completa serenità in attesa dell’arrivo del generale Dario Vittori e del magistrato Sandro Parri.

    Dopo una mezz’ora li videro arrivare a bordo di una BMW nera scortata da due fuoristrada dello stesso colore, uno davanti e uno dietro, si fermarono proprio davanti all’entrata dell’hotel senza scendere dalla loro auto, a differenza di tre uomini della scorta che entrarono al Grand Hotel per verificare la sicurezza, guardando truci sia Max che Tom che con molta eleganza alzarono i bicchieri nella loro direzione in segno di saluto.

    Poco dopo arrivarono gli ospiti, sia Max che Tom si alzarono per i saluti e, allo stesso tempo, si avvicinò il signor Augusto per avvisare che il tavolo per la cena era pronto sulla terrazza a mare.

    Il gruppo si accomodò allo splendido tavolo apparecchiato e con una meravigliosa vista sul mare. La location, l’arredo e l’organizzazione preparata per l’occasione, stuzzicarono la preparazione culinaria di Tom:

    – Caro Max, se l’allestimento è l’anticamera della nostra cena, ritengo che questa serata sarà magnifica e inebriante, vedo con piacere che la mia frequentazione sta portando i suoi frutti – accennò Tom compiaciuto.

    – Spero che la cena sarà di vostro gradimento – Max si rivolse ai suoi ospiti.

    – Così tanta opulenza – intervenne il magistrato.

    – Questa non è opulenza – replicò Tom, in vena di prese in giro – questa per noi è la normalità. Io e Max siamo abituati a vivere nella classe e nel rispetto delle abitudini culinarie del nostro paese. La cucina italiana fa parte della cultura dell’Italia, chi rinuncia a tali abitudini non ha rispetto per la madrepatria!

    – Accomodiamoci, ho deciso di fare questa serata per chiudere la nostra collaborazione con il botto, poi per qualche tempo non sentirete più parlare di me – svelò Max, sotto l’occhio indagatore di Tom, che come sua abitudine, pesava ogni parola che usciva dalla bocca di Max.

    – Bene – disse il magistrato – lei sa che ha lasciato molte cose in sospeso in questa indagine, magari prima di sparire qualcosa potrebbe anche chiarirla.

    – Certamente, accomodiamoci che sono in arrivo gli aperitivi. Prima che sia finita la serata la sua curiosità sarà ripagata, io rispetto sempre i miei impegni, a differenza di certe persone – affermò Max con tono per niente conviviale.

    – Non roviniamoci questa deliziosa serata, vedo lo chef intento a preparare delle delicatezze che non vedo l’ora di assaggiare.

    La serata proseguì con più serenità dopo la consumazione delle prime portate, seguite da generosi complimenti da parte di tutti i commensali, comprese alcune puntualizzazioni sull’abbinamento dei vini da parte di Tom nei confronti del sommelier.

    L’esplosione di complimenti fu nel momento della presentazione dell’aragosta alla catalana, dalla cura dell’impiattamento al sapore travolgente del crostaceo all’abbinamento perfetto di un Sauvignon Poully Fumé della Loira.

    Era uno spettacolo era vedere Tom consumare la sua aragosta, il tovagliolo legato al collo, le mani che con maestria professionale, dividevano la parte commestibile dalla sua corazza, con gli occhi socchiusi a ogni boccone che assaporava, manifestava il suo idillio di sapori e gusto.

    La serata stava volgendo al termine, la convivialità si era accesa e la conversazione spaziava su vari argomenti, anche al di fuori del campo professionale, poi Max prese la parola:

    – Spero che la serata sia stata di vostro gradimento, io fra qualche momento vi dovrò lasciare, state tranquilli, il conto è già pagato. – Max tornò serio: – Volevo solo spiegarvi alcuni particolari che vi saranno utili da domani in avanti. Generale, domani dovrebbe mandare i suoi uomini a perquisire nuovamente la villa del Palazzi a Piove di Sacco.

    – Perché? È già stata perquisita e sequestrata.

    – Lo so, però non siete riusciti a trovare il caveau che c’è nel seminterrato o garage, la parete attrezzata di fronte l’ingresso è rimovibile e dietro troverete il tesoro del Palazzi. Questo è il codice per aprirlo – spiegò Max allungando un bigliettino al generale con scritto il codice.

    – Come lo ha avuto?

    – Non voglio nessuna domanda, vi sto consegnando una torta ma non chiedetemi gli ingredienti. Generale, domani mattina riceverà una chiamata sul telefono che mi dirà lei, una persona le dirà dove mandare i suoi uomini e cosa cercare, si tratta di un camion con all’interno le novantasette casse trasportate dai contrabbandieri del Palazzi e misteriosamente sparite.

    – L’avevo detto io che le aveva prese lei, ne ero sicuro! – gongolò il magistrato.

    – Lasci perdere, le sue sono solo ipotesi, l’importante invece e che non faccia aprire le casse da nessuno se voi due non siete presenti, hanno ancora il sigillo della triade W88 intatto – specificò Max.

    – Secondo lei cosa contengono? – domandò il generale.

    – Un momento – continuò Max – quando avrete le casse a disposizione, dovete aprirle seguendo un metodo, non aprirle a casaccio e buttare tutto in un mucchio. Fate molta attenzione e abbiate precisione nell’aprire le casse e contare il contenuto di ogni singola cassa.

    – Cosa intendi Max? – intervenne Tom.

    – Quando aprite le casse dovrete avere in mano il documento che avete sequestrato alla madre di Palazzi, la signora Wilma, dopo che era stata alla Private Bank di Milano – spiegò Max, notando gli altri convenuti lo guardavano smarriti. – Vedo che non avete ancora risolto l’enigma di quel documento – sogghignò.

    – Effettivamente non siamo riusciti a capirne il significato – disse il magistrato. – È evidente che parla di denaro, conti correnti cifrati, codici di accesso ai conti, ma non ne veniamo fuori.

    – Allora – propose Max – vi aiuto io. Alla fine di ogni conto corrente cifrato dovete iniziare a togliere gli ultimi due numeri, quelli che vanno dal dieci al novantasette, quando li avrete individuati iniziate ad aprire la cassa corrispondente a quel numero. Dovreste trovare il denaro corrispondente sulla distinta della donna: quel denaro doveva finire nella Private Bank di Milano e poi essere trasferito chissà dove. Quando avrete aperto tutte quelle a due cifre vi sarà più facile individuare i conti a una sola cifra. Confrontando i dati vostri con quelli che Tom ha salvato dai server della banca prima che saltasse in aria, arriverete ai destinatari di quelle somme e capirete a cosa fossero destinate.

    – Questo è per voi – soggiunse Tom allungando una hard disk al magistrato – qui c’è tutto l’archivio digitalizzato della filiale milanese della Private Bank, fatene buon uso.

    – Tutto chiaro? – Max attese conferma.

    – Mi scusi, cosa c’è nel caveau del Palazzi?

    – Generale, mi dispiace che lei mi consideri così stupido. Io non sono entrato in quel luogo, mi dispiace solo che me lo abbia chiesto in questa maniera – Max era fortemente scocciato. – Ora sono sempre più convinto che la lealtà e la fiducia siano storia di altri tempi.

    – Mi scusi Max, non era mia intenzione offenderla.

    – Invece c’è riuscito, il suo maestro non aveva ancora finito di insegnarle tutto quando è morto – disse Max amareggiato. – Comunque sappia che non vi ho consegnato subito le casse perché quella era la mia assicurazione sulla vita.

    – Adesso, consegnandoci le casse è privo della sua assicurazione.

    – Lei non cerchi i libri contabili del Palazzi, sarebbe tempo sprecato, sono già in un posto sicuro e in buone mani – disse sorridendo Max.

    – Forza signori, questa operazione ha avuto un esito positivo per tutti, facciamo un brindisi! – esclamò Tom interrompendo lo scontro e guardando Max con due occhi luccicanti di approvazione.

    – Alla salute – rispose Max alzando il bicchiere.

    – È arrivata la sua barca signor Max, ecco la sacca.

    – Grazie Augusto, veramente una bellissima serata e un’ottima cena. Salutami Cesare e tutti gli altri – disse Max abbracciando Augusto.

    – Ci lasci così? – lo bloccò Tom.

    – Devo andare, la vacanza mi attende – Max indicò un grosso motoscafo che si era portato vicino alla spiaggia. – Questa è per te Tom, dentro ci sono le chiavi dell’auto e tutto quanto mi avevi dato, ora non mi serve più... – consegnò la busta in pelle marrone nelle mani di Tom. – Salutami Nadia, vecchio mio.

    – Le devo dare il numero dove chiamarmi – disse il generale.

    – Ce l’ho dal primo giorno che ci siamo incontrati, generale. Anche il suo giudice. Arrivederci a tutti! – strizzò l’occhio a Tom e salutò con la mano alzata gli altri.

    Max scese le scale che portavano alla spiaggia, si arrotolò i pantaloni sino al ginocchio ed entrò in acqua, mentre i suoi ospiti lo osservavano dal parapetto della terrazza.

    Raggiunse la barca, lanciò a bordo la sua sacca da viaggio e salì la scaletta. Qui fu accolto da una bellissima donna con un trasparente vestito di lino bianco che subito scivolò ai suoi piedi.

    Max si girò verso la terrazza del Grand Hotel e, sollevando un braccio, salutò i suoi compagni, subito contraccambiato. L’imbarcazione partì roboando e prendendo velocemente il mare aperto, sotto lo sguardo attento dell’amico Tom, del generale e del magistrato.

    Rimasero in contemplazione di quel puntino che si allontanava nel buio della notte, quando un bagliore accecante, seguito da un fortissimo boato, illuminò la linea dell’orizzonte. L’esplosione non poteva che provenire dal motoscafo con a bordo Max e la sua donna, le fiamme erano alte e un denso fumo nero saliva al cielo.

    La compagnia rimase per diversi minuti in silenzio a osservare l’accaduto, nella speranza che qualche segnale facesse pensare che si fossero salvati dall’attentato. Poi prese parola il generale:

    – Non doveva finire così, non ne usciremo mai da questa palude – disse con le lacrime agli occhi.

    – Era la persona più in gamba che avessi mai conosciuto – aggiunse il giudice – e anche la più onesta, mi dispiace tanto, non capisco dove possa aver sbagliato... Proprio ora, una morte tragica e forse un avvertimento anche per noi.

    – Su coraggio signori, il nostro lavoro è un gioco di specchi, non sempre riflettono quello che vediamo o ci indicano la direzione giusta – disse Tom. – L’amico mio Max conosce molto bene questo gioco, ci ha promesso una serata con il botto, e il botto c’è stato.

    Nei giorni successivi furono fatte numerose ricerche, dirette al ritrovamento dei corpi o di tracce della loro presenza a bordo. Ma niente di niente, tutto inutile, nessun onore o gloria, tutto nell’oblio del silenzio e della quiete del mare Adriatico, autostrada dei traffici di armi, droga, esseri umani e oramai di rifiuti tossici e nucleari.

    Capitolo I° - Il silenzio delle trame

    1. Ravenna – Italia

    Max, con molta agilità salì sul motoscafo con la sua sacca a spalla. L’abbraccio con Tatjana, l’agente segreto ucraino, fu un’iniezione di adrenalina, una scarica elettrica che lo fece sentire di nuovo un uomo e non una macchina da guerra. Si buttarono sui divanetti in pelle bianca e rimasero per alcuni minuti immobili, solo carezze, baci ed effusioni come fossero due amanti che da lungo tempo attendevano quel momento.

    I loro corpi erano avvinghiati quasi volessero fondersi uno nell’altra, entrambi avevano voglia di sentirsi amati e sicuri nell’abbraccio dell’altro. Avevano passato troppi mesi sul filo del rasoio, da troppo tempo la loro vita era appesa a un sottile filo rosso, bastava un errore e sarebbero morti in un istante. Mentre erano impegnati in travolgenti effusioni amorose, l’imbarcazione ripartì in direzione ovest pilotata dal nerboruto Ivan, un militare delle forze speciali ucraine che dopo una decina di minuti di navigazione spense il motore nel totale buio del mare, affiancandosi a un secondo motoscafo. Si avvicinò a Tatjana e Max, ancora fusi in un unico corpo, e disse con voce perentoria:

    – Tatjana, adesso andiamo.

    La donna senza alcuna esitazione si alzò, si sistemò il vestito bianco e si diresse verso la seconda imbarcazione, invitando Max a seguirla velocemente. Entrambi trasbordarono nel secondo natante che immediatamente ripartì a luci spente. La navigazione durò solo qualche minuto, dopodiché Ivan, sempre con voce ferma e decisa:

    – Ecco, a te l’onore – disse l’uomo allungando un telecomando a Tatjana che subito prese in mano.

    – Vuoi farlo tu Max? – allungandolo verso di lui.

    – No, tua l’idea, tuo l’onere, vai.

    La donna in abito trasparente bianco accese il telecomando, la luce rossa iniziò a lampeggiare. Schiacciò il pulsante. Qualche istante e un bagliore accecante e un boato che scosse il motoscafo ridussero in frammenti l’imbarcazione con cui Max aveva lasciato la spiaggia del Grand Hotel di Cesenatico. Le fiamme e la fitta coltre di fumo nero si innalzavano velocemente verso il cielo oscurando la visione della terrazza dove Max aveva cenato poco prima. Tatiana, sorniona e accattivante, si rivolse a Max:

    – Ora sei ufficialmente morto. Non so se sono contenta o dispiaciuta che sia solo una finta – facendo seguire una simpatica risata e abbracciando Max e baciandolo appassionatamente.

    – Non prendere l’abitudine di baciarmi. Mi sembra che ogni scusa sia buona per avvinghiarti a me – le disse Max, sollevandola di peso e adagiandola sui divani del motoscafo, dove consumarono un atto d’amore veloce ma intenso.

    Mentre Max e Tatjana continuavano le loro effusioni, Ivan e il suo collega Danij continuavano la veloce navigazione a fari spenti in direzione Marina di Ravenna. Giunsero a destinazione dopo circa mezz’ora, ormeggiando in un’area isolata, poco illuminata e distante dal porticciolo. A fare da riferimento al punto di approdo, due grossi fuoristrada neri con le luci accese, subito spente dopo l’operazione di attracco.

    Ivan e Danij scesero immediatamente dal motoscafo dirigendosi velocemente verso i due veicoli, lasciando Tatjana e Max da soli sull’imbarcazione:

    – Mi dispiace Max che ci dobbiamo già lasciare. Purtroppo devo rientrare velocemente in Ucraina. Dopo il casino che abbiamo combinato, gli equilibri e gli accordi diplomatici per la guerra in Jugoslavia sono saltati – disse preoccupata Tatjana.

    – Cavolo – rispose Max – siamo addirittura riusciti a far saltare gli accordi diplomatici. Certo che io e te siamo una potenza.

    – Non scherzare Max, la mia posizione è delicata. Vogliono capire cosa è successo, io ero a fianco di Branko, il figlio dell’uomo che doveva diventare il presidente croato. Lui era la garanzia che il potere sarebbe stato nelle mani di un uomo legato all’occidente, Stati Uniti compresi. Ora, dopo il suicidio di Janko Tarduvich, avvenuto dopo la morte del figlio, non c’è più nessuna garanzia su chi prenderà in mano il potere – disse molto contratta Tatjana. – Gli Stati Uniti hanno fatto alcuni passi indietro, di conseguenza anche il mio paese è stato obbligato a fare altrettanto, visto che era stato coinvolto in questa faccenda proprio dagli americani.

    – Capisco la tua preoccupazione – cercando di rassicurare la donna – tu non sei a conoscenza di nulla su quanto accaduto. Ora capisci i miei silenzi, i segreti che tanto ti facevano infuriare? In ogni caso, qualunque cosa io possa fare per te... io ci sono – completò la frase prendendo il viso della donna fra le sue mani, baciandola delicatamente sulle labbra e poi sulla fronte. – Io ci sono e sempre ci sarò per te, non scordarlo mai. – Poi, intristito dalla situazione: – Tu non sai quanto mi dispiaccia per tutto questo, sono stato io trascinarti in questa maledetta faccenda. Spero solo che tu riesca a perdonarmi.

    – Tu non mi hai trascinata in nessun posto, io non faccio niente per nessuno se non lo decido io – rispose Tatjana con piglio risoluto – e poi non dimenticarti che sono stata io a farti uscire vivo dal consolato liberiano. Ti sei dimenticato in che situazione ti trovavi?

    – In qualche maniera ne sarei uscito, ma ti ringrazio per il tuo aiuto – aggiunse Max con uno stirato sorriso sulla bocca – d’altronde cosa non si fa per amore.

    – Ok! Adesso basta smancerie, scendiamo pappamolla – completò la frase alzandosi dal divanetto e subito si diresse verso la scaletta per scendere e raggiungere i due fuoristrada parcheggiati poco lontano.

    Max la seguì senza aggiungere alcunché. Giunti davanti alle vetture Tatjana impartì ordini perentori ai due uomini delle forze speciali ucraine:

    – Ivan, nella vettura con me. Danij, accompagnerai Max alla stazione di Bologna. Tutto chiaro? Bene, salite. – Poi, rivolgendosi a Max: – Lo sai che il nostro è un mestiere ingrato, ci illudiamo di servire il nostro paese, in realtà serviamo uomini potenti e arroganti che hanno il destino di interi stati nelle loro mani. Noi siamo solo usati finché gli serviamo, dopodiché fine.

    – Questo non è un addio Tatjana. Noi non lo permetteremo. Credimi.

    – Mi piace quando fai il romantico, mi fai sentire una persona normale e protetta. – Poi, cambiando tono: – Andiamo che stiamo perdendo tempo.

    – Del motoscafo cosa ne fai? Non lo lascerai abbandonato qui – la interruppe Max.

    – Tranquillo, ci sono già gli uomini pronti a portarlo al largo e affondarlo – con un’espressione soddisfatta. Poi proseguì: – niente motoscafi, niente impronte e niente tracce di noi. Lo sai che noi non esistiamo, non abbiamo passato e nemmeno futuro. Ciao Max, ci si vede in giro – disse Tatjana salendo sul fuoristrada.

    Max la guardò oltre il finestrino, alzò la mano e senza grande convinzione disse:

    – Contaci, amica mia.

    Rimase immobile a seguire il veicolo con a bordo la donna che si allontanava, poi restò ancora qualche minuto a fissare il vuoto. Sì, quel vuoto che ancora una volta era costretto rivivere, quella sensazione di solitudine e di vuoto, nessun appiglio a cui aggrapparsi, per non cadere in un precipizio senza fondo.

    Max aveva già vissuto moltissime volte quella sensazione di impotenza di fronte a un distacco, ma questa volta era diverso, aveva lui coinvolto la donna ad aiutarlo in un’impresa dagli esiti imprevedibili, pur di portare a compimento la giustizia della vendetta contro le persone che avevano violentato, picchiato e drogato la sua collega Criss, fino a portarla alla pazzia.

    Max nella vita ha sempre avuto al suo fianco donne che lo hanno aiutato a uscire anche dalle situazioni più pericolose, era come un destino che lo accompagnava da molto lontano. Quando era bambino, all’età di tre anni, mentre giocava con le sue sorelle più grandi davanti a casa, era caduto in un "fosso" senza che loro se ne accorgessero. La corrente dell’acqua lo stava portando via, stava annegando, quando una giovane donna, passando in bicicletta lungo la strada che costeggiava il fosso, fu attratta da un mucchio di straccetti colorati che galleggiava sull’acqua. Fissò più attentamente quei colori galleggianti rendendosi conto che era un bambino, subito si lanciò nel fossato e recuperò quel corpo oramai vicino a morte sicura.

    Quel bambino era Max, sì proprio quell’uomo forte e coraggioso che è diventato, grazie a quella donna che mai ha incontrato e che mai ha cercato, ma che rivede in ogni donna che lo aiuta a sopravvivere, in un mondo sempre più terribilmente violento e inumano.

    Salì sul secondo fuoristrada, durante tutto il tragitto fino alla stazione di Bologna non fece parola, guardava il film proiettato oltre il finestrino, anche se i suoi occhi erano lucidi e stanchi del suo dolore, e quello procurato a persone che gli erano state vicine. Ora era tornato maledettamente solo, forse con un altro rimorso nel cuore per un’altra vita distrutta dalla cocciutaggine nel voler dare giustizia a chi ha subito un torto.

    Arrivarono alla stazione di Bologna intorno alle quattro del mattino. Max scese dall’auto, recuperò la sua sacca e salutò con la mano l’autista del fuoristrada che subito ripartì senza contraccambiare il saluto. Raggiunse l’interno della stazione passando fra barboni che dormivano sdraiati sui cartoni, tossici che chiedevano spiccioli per il biglietto del treno per tornare a casa. Una scusa vecchia come il mondo. Poi, vecchie prostitute in cerca dell’ultimo cliente da far felice.

    Prese un biglietto di seconda classe di sola andata per Milano. Girovagò per la stazione osservando quanto squallida fosse la vita notturna nelle stazioni ferroviarie, era una variegata rappresentazione degli "ultimi" della società. Uomini e donne abbandonati al loro destino, senza che ne nessuno facesse nulla per alleviare la loro condizione, uomini e donne senza voce, uomini e donne invisibili.

    Alle cinque e dieci salì sul treno diretto a Milano, prese posto in uno scompartimento vuoto, ma con ancora il nauseante odore di patatine fritte consumate da poco, cambiò scompartimento e si accomodò vicino al finestrino con lo sguardo fisso il vuoto, in attesa del sobbalzare della partenza.

    Durante il viaggio fu un continuo dormiveglia per la prima mezz’ora, dopo iniziarono a salire i pendolari con il loro chiassoso inizio giornata, ma Max non ne fu per niente irritato, anzi, lo aiutavano a riprendere confidenza con la vita e allontanare i suoi cupi pensieri sul destino di Tatjana.

    A una fermata del treno salì una giovane donna, carina e solare che si posizionò proprio davanti a Max, salutandolo con uno smagliante sorriso. Max, seppur insonnolito e stanco, cercò di contraccambiare con lo stesso entusiasmo, purtroppo senza riuscirci. La donna, senza alcuna parola, tirò fuori dalla sua borsa un termos e versò del caffè nel bicchierino e lo porse a Max:

    – Tenga, vedo che ne ha più bisogno lei di me – disse la ragazza guardandolo con un sincero sorriso stampato in faccia.

    – Grazie – rispose Max prendendo il bicchierino – lei mi ha salvato la vita, davvero molte grazie.

    Il viaggio proseguì senza un grande chiacchierare fra i due, solo qualche battuta sulle notizie riportate sul quotidiano che la ragazza stava sfogliando.

    Giunsero alla stazione centrale di Milano e la ragazza anticipò l’uscita di Max, in quanto voleva scendere velocemente perché il treno era in ritardo di circa dieci minuti, rischiando di perdere la coincidenza per Varese. Si salutarono senza smancerie, un gesto gentile senza secondi fini, un’azione che Max apprezzò molto, facendogli capire che il mondo non è tutto marcio e inospitale.

    2. Milano – Italia

    Max raggiunse l’uscita della stazione con molta calma, non mancando di verificare se era seguito da qualcuno, un atteggiamento che oramai gli veniva spontaneo, senza alcuna concentrazione particolare. Camminava, poi ritornava indietro osservando i passanti, poi riprendeva la precedente direzione, si fermava davanti alle vetrine e osservava chi passasse alle sue spalle, insomma era un continuo muoversi senza una direzione precisa, ma con una determinata strategia anti-pedinamento.

    Si mise in fila ai taxi e arrivato il suo turno si fece accompagnare alla stazione ferroviaria Garibaldi. Entrò nella stazione e fece diversi giri senza avere alcuna meta nella testa ma osservando attentamente le persone che incrociava, indifferentemente se uomini o donne, giovani o vecchi, ben vestiti o straccioni. Max sapeva che il pericolo e la morte hanno molti volti e non sempre si presentano come raffigurati nei quadri, con mostri dai volti terrificanti.

    Qualche tempo dopo uscì dalla stazione e sempre con molta flemma e circospezione raggiunse via Filippo Sossetti, fermandosi proprio all’incrocio di varie strade, scelse il bar Andrè per consumare la colazione nei tavolini esterni, in quanto aveva una perfetta posizione per osservare il moderno palazzo di una trentina di piani tutto acciaio e vetro, dove aveva la sede la società di import export Ottomana Shipping. Si fece portare l’immancabile caffè doppio in tazza grande senza brioches e una spremuta d’arancia che trangugiò immediatamente.

    Mentre consumava la frugale colazione, i suoi pensieri navigavano e ricostruivano come un film in bianco e nero, la morte di Rafik, il giovane turco ucciso nel cementificio di Umago da Gasparre nel corso di un’operazione antidroga sotto copertura. Rafik era il figlio di Ismail Aga Kan, uno dei massimi esponenti della mafia turca e uno dei maggiori trafficanti di eroina della Turchia.

    Gasparre, un ex legionario di origini francesi, guardia del corpo del mafioso siciliano Gian Antonio Ligabue, gli aveva sparato alla testa senza alcuna ragione apparente e solo in seguito venne a sapere che era stato ucciso per impossessarsi di un ingente quantitativo di eroina e del carico di armi destinate agli indipendentisti croati, in procinto di dare inizio alla guerra di indipendenza dalla Federazione Jugoslava, scontrandosi militarmente con l’esercito serbo.

    Max era stato a fianco di Rafik per oltre due anni, come agente sotto copertura, immancabilmente il loro rapporto era diventato, in alcuni momenti, anche oggetto di confidenze personali da parte di Rafik, mettendo a dura prova l’integrità di Max per portare a termine il suo lavoro. Durante quel periodo, Max aveva avuto modo di verificare che il giovane Rafik non aveva mai manifestato alcun segnale caratteriale che lo predisponesse alla violenza, né in forma fisica né verbale.

    Anzi, era un giovane uomo buono e gentile, cresciuto, purtroppo, in un contesto familiare la cui attività era il crimine sotto varie forme, dal traffico di eroina al contrabbando di armi e vetture rubate, dalla ricettazione alla contraffazione di prodotti di marchi importanti del settore dell’abbigliamento alle calzature.

    Ora Max si trovava a Milano per incontrare lo zio di Rafik, il referente italiano della famiglia criminale turca, un gesto che doveva fare, doveva incontrarlo per porgere le sue condoglianze e spiegare l’accaduto. In situazioni come questa, in cui Max era considerato un grosso importatore di eroina e non un agente sotto copertura, doveva fare questo gesto per consolidare la sua copertura e dimostrare la sua estraneità all’accaduto.

    Finita la colazione e riordinate le idee, prese coraggio ed entrò nel palazzo al numero 23 di via Sossetti. Alla reception si fece annunciare alla società Ottomana Shipping, salì con l’ascensore al quindicesimo piano arrivando direttamente alla reception della società. Una gentilissima signorina di chiare ed evidenti origini turche lo accolse:

    – Buongiorno signore, posso esserle utile? – nonostante le origini, parlava un perfetto italiano.

    – Sì, vorrei veder il signor Arsan Kalif – rispose altrettanto gentilmente Max.

    – Ha un appuntamento signore?

    – No, sono di passaggio e volevo salutarlo.

    – Un momento prego – rispose la signorina allontanandosi verso gli uffici e scomparendo alla vista di Max.

    Lui rimase alla reception, osservando la sobrietà dell’ambiente e il silenzio che regnava, una sensazione di strana reverenza per quel luogo, o forse era Max che abbinava il silenzio al motivo della sua visita. Poi, una voce che giungeva dal corridoio lo riportò alla realtà:

    – Signor Max, si accomodi, il signor Arsan può riceverla.

    Max, anticipato dalla ragazza, fu accompagnato nell’ufficio di Arsan, dove fu calorosamente accolto.

    – Amico mio, sapevo che saresti arrivato prima o poi – disse l’uomo abbracciando Max.

    Max, leggermente imbarazzato da tale accoglienza, rispose:

    – Mi scuso del mio ritardo nella doverosa visita, ma ho avuto molti problemi e ora sono qui a porgerti tutto il dolore che spero tu possa trasmettere anche a Ismail – disse in maniera molto convincente Max.

    – Ti prego siediti – disse l’uomo indicando delle poltrone che permettevano una stupenda vista sulla città di Milano. – Ho fatto portare sia tè che caffè, ma soprattutto non voglio essere disturbato, abbiamo tutto il tempo che vogliamo.

    – Grazie Arsan, sei sempre molto gentile con me, mi fai sentire a disagio...

    – Basta Max, il destriero di Allah ti ha portato a casa, noi possiamo solo accoglierti, rifocillarti e accudirti. Se tu avessi fatto qualcosa di male alla tua famiglia, saremo venuti noi da te, ma con ben altre intenzioni – disse salomonicamente Arsan.

    Furono interrotti dall’arrivo della receptionist che entrava a portare su un vassoio il tè, il caffè alla turca, due bicchieri e due tazze per il caffè, che appoggiò delicatamente sul tavolino in vetro davanti a loro. Arsan versò con grande maestria il tè, mentre per il caffè:

    – Lo sai Max che il caffè turco va consumato bollente, ma bisogna lasciare che depositi nella caffettiera prima di versarlo. Perciò beviamo un sorso di tè in segno della nostra amicizia.

    Consumarono qualche sorso della bevanda in silenzio, poi Arsan si adagiò comodamente sullo schienale della poltrona e disse:

    – Bene Max, raccontami bene cosa è accaduto a Umago. Lo sai che la morte di Rafik è stata una tragedia per Ismail, per me e per tutta la famiglia. Era un ragazzo che non aveva mai fatto del male a nessuno e non ne avrebbe mai fatto. – Il volto di Arsan si era fatto duro e nello stesso momento triste.

    Max cominciò a raccontare l’accaduto: "Dovevo importare i cinquecento chili di eroina via mare, ma Dragovic, il socio estremista islamico di Ismail, aveva preso accordi con i servizi segreti italiani per contrabbandare armi verso la Bosnia. A quel punto, dovevo trovare dei contrabbandieri disposti a fare il trasbordo dalla nave madre alla terra ferma e mi sono rivolto a Gian Antonio Ligabue. La sera del trasbordo, al cementificio di Umago, si dovevano portare prima le armi a terra e dopo l’eroina sulla nave diretta al porto di Trieste. Purtroppo Rafik ha portato subito l’eroina al cementificio, perciò Ligabue ha pensato bene di prendersi tutto, armi ed eroina facendo uccidere subito Rafik da Gasparre, la guardia del corpo di Ligabue, con un colpo in testa. Io sono riuscito solo a far lasciare andare i miei due uomini. Io sono stato preso come ostaggio, perché volevano che indicassi il deposito dove Dragovic teneva il resto della droga, ma io non lo sapevo, non ci ero mai stato e anche se ne fossi stato a conoscenza non glielo avrei mai detto, dopo quello che avevano fatto. Sono stato portato nella villa di Ismail, rimanendo prigioniero in quel posto per un paio di mesi, sorvegliato da un guardiano cinese. Una sera mi hanno portato al consolato della Liberia in Slovenia, dove sono riuscito a scappare, ma mi sono dovuto nascondere perché mi stavano dando la caccia e, forse, ancora oggi non si sono dimenticati di me."

    Arsan rimase in silenzio osservando fuori dalla vetrata per alcuni minuti, poi:

    – È quello che ci ha raccontato anche Dragovic, non subito, ma dopo un buon trattamento ha confessato tutto. Ora quelle armi non gli serviranno più. I traditori non hanno futuro, sei d’accordo Max? – disse Arsan con l’odio stampato in volto.

    – Certamente, avete fatto quello che andava fatto. L’ingordigia del cane gli fa scoppiare la pancia – rispose serenamente Max, poi proseguendo: – Ismail come sta?

    – A Ismail hanno portato via la sua bellissima villa e tenuto prigioniero per molto tempo vicino a Dubrovnik. Siamo riusciti a liberarlo e portarlo in Turchia, ma ci è costato molto denaro. Ora sta male, è un uomo molto stanco. La morte di Rafik è stata anche la sua morte.

    – Mi dispiace tantissimo, posso fare qualcosa per lui? – disse con tutta la sincerità di cui poteva esprimere in quella circostanza.

    – Grazie Max, ma ora la sola cosa che sta aspettando – si fermò per qualche istante – è di raggiungere il suo amato figlio.

    La conversazione fra i due uomini continuò con una leggera vena di nostalgia, ricordando anni passati a organizzare consegne di eroina. Arsan impegnato a non perdere i carichi di eroina e Max impegnato a sequestrarla e prendere i trafficanti, e nello stesso tempo a non farsi scoprire come un poliziotto. Un gioco di scacchi pericolosissimo per entrambi, ognuno per i rispettivi ruoli che ricoprivano, un gioco che tuttora si stava ripetendo.

    – Vedi Max, tu hai detto che nell’ultimo lavoro che avevamo messo in piedi erano coinvolti i vostri servizi segreti, ne sei sicuro? – chiese perplesso Arsan.

    – Al cento per cento. Mi hanno consegnato in anticipo duecentocinquantamila dollari per far trasbordare le armi, nessuno del nostro mestiere metterebbe in gioco una cifra del genere. Tu che ne dici Arsan?

    – Solo chi non rischia soldi propri fa queste cavolate, poi sappiamo benissimo entrambi anche che dove si vendono armi, legali o illegali, i servizi ci sono sempre in mezzo, fa parte del loro sporco mestiere.

    – Perché mi chiedi se ne ero sicuro? Hai qualche dubbio in merito o non mi credi?

    – No. Non è che non ti credo, ma qualche mese dopo il fattaccio del cementificio si sono presentati qui da me un paio di persone, che mi avevano chiesto se potessi fare dei trasporti marittimi per conto della società per cui lavoravano. Fai conto, caro Max, che mi pagavano fino a tre volte il prezzo normale che applico.

    – Era un buon affare, ma cosa dovevi trasportare di così importante? – chiese Max incuriosito della cosa.

    – Rifiuti tossici e scorie radioattive. La somma era veramente allettante, ma non ho mai trafficato con quelle cose e non intendevo farlo per loro – disse in maniera convincente Arsan.

    – Ma, scusami Arsan se sono incuriosito dalla cosa, cosa ne dovevi fare di quella roba, trasportarla dove? – cercava di approfondire Max. – È un trasporto come un altro o sbaglio?

    – Certo che ti sbagli, se fosse un trasporto regolare non mi pagherebbero tre volte il costo. In secondo luogo, non mi hanno mai detto dove facevo il carico e dove trasportarlo, era tutto molto nebuloso, come si fa per le cose illegali, non ci si sbottona finché le trattative non sono finite e fissati gli accordi definitivi.

    – Perciò non hai concluso niente. Ma cosa c’entra il discorso dei servizi italiani?

    – Perché sono tornati una seconda volta. Circa un mese dopo ha telefonato e preso appuntamento con la segretaria, a quel punto, finito l’incontro li ho fatti seguire da alcuni dei miei uomini, i quali mi hanno riferito che si sono incontrati con altre due persone ferme in auto qui sotto. Hanno parlottato per una decina di minuti, poi hanno raggiunto la loro auto e se ne sono andati.

    – Beh! Non vedo niente di particolare in questa sequenza – disse Max guardando con attenzione Arsan, nella convinzione che non gli avesse raccontato tutto.

    – Sì, hai ragione che non c’era niente di strano, tranne il fatto che dalle targhe delle loro auto non si è potuto sapere a chi fossero intestate, risultano targhe di copertura, riservate e non accessibile l’intestatario – concluse Arsan.

    – Ma come fai a saperlo, che erano targhe finte o come dici tu segrete? – Max cercava di usare termini non prettamente polizieschi.

    – Un amico poliziotto, ha fatto tutte le verifiche, è lui che mi ha detto che sono targhe di "copertura", le usano anche polizia o carabinieri, e anche i servizi.

    – Allora pensi che ti volessero incastrare? – incuriosito chiese Max.

    – Non lo so, non credo. Figurati che erano disposti a depositare, in via cautelativa, una determinata somma in un conto bancario, anche estero, a garanzia del loro pagamento. Una cosa insolita se vuoi incastrare qualcuno, che ne dici?

    – Forse volevano fare sul serio, erano trasporti veri – disse Max pensieroso, poi proseguì: – Hai ancora quelle targhe? Forse conosco io una persona che ci può aiutare. Con loro ho un conto in sospeso e non vedo l’ora di chiuderlo – disse Max alquanto irritato dal racconto di Arsan.

    – Così mi piaci Max, i conti in sospeso devono essere regolati definitivamente. Sono stati loro la causa scatenante che ha portato alla morte il nostro Rafik e loro ne pagheranno le conseguenze – sentenziò l’uomo prendendo fra le sue mani quelle di Max, poi proseguì: – Se hai le conoscenze giuste, ti posso dare di più. Ho ancora il biglietto da visita di uno di loro, con il nome della società di cui mi

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