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Alla larga dal Texas
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Alla larga dal Texas

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About this ebook

Jim Thompson è senza alcuna eccezione il più grande scrittore di suspense di sempre.
NEW YORK TIMES

I suoi romanzi proiettano una luce abbagliante sulla condizione umana.
WASHINGTON POST

Non esiste un altro autore paragonabile: Thompson faceva storia a sé.
JOE R. LANSDALE

Mitch Corley è a un crocevia. Se la recente storia con Red, che ha conosciuto in viaggio, non dovesse girare per il verso giusto e se i dadi che con insistenza getta in ambienti in cui i soldi scorrono come l’oro nero del suo Texas non dovessero sorridergli con i numeri giusti, sarebbe seriamente nei guai. Anche perché a Red non ha detto di essere già sposato: in fondo, è come se non lo fosse, considerato che Teddy, la sua petulante moglie, è sparita da un pezzo e potrebbe pure essere morta, per quel che ne sa lui. Anzi, Mitch non verserebbe una sola lacrima se scoprisse che è così. Purtroppo, però, Teddy è viva e vegeta e non ha la minima intenzione di restare al suo posto, ovvero sparire per sempre. Stretto tra il bisogno di tenerla buona, dato che Red è ancora all’oscuro della sua presenza, e dalle difficoltà a gabbare i suoi ricchi compagni di gioco, tra cui un potente e diffidente petroliere, Mitch si troverà a testare la forza dei sentimenti della ragazza nei suoi confronti e la sua ruvida scorza da donna di mondo. In un Texas in cui l’unica cosa luminosa è il sole, prende corpo il minuetto morboso del classico triangolo lui, lei e l’altra, tra gioco d’azzardo, dissoluzione morale, opulenza debosciata e violenza senza freni. Con Alla larga dal Texas, Jim Thompson, cattivo come non mai, mostra perché il suo nome figura nell’elenco degli scrittori preferiti di buona parte dei grandi narratori americani.
LanguageItaliano
Release dateApr 15, 2021
ISBN9788830524170
Alla larga dal Texas
Author

Jim Thompson

Jim Thompson è nato a Anadarko, in Oklahoma, nel 1906. Ha cominciato a scrivere molto giovane, vendendo il suo primo racconto a True Detective quando aveva solo 14 anni. Ha scritto 29 romanzi e ha sceneggiato Rapina a mano armata e Orizzonti di gloria, capolavori di Stanley Kubrick. Da molti suoi libri sono stati tratti dei film, sia negli Stati Uniti sia in Europa. È morto a Hollywood nel 1977. Nonostante la sua opera abbia ricevuto sin dall’inizio alcuni riscontri critici positivi, la sua statura letteraria è stata pienamente riconosciuta solo a partire dagli anni ’80 del Novecento, quando si è affermato come uno dei grandi scrittori statunitensi e uno dei massimi maestri mondiali del noir e del genere hardboiled.

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    Alla larga dal Texas - Jim Thompson

    1

    Trefoli sfilacciati di fumo di sigaretta si addensavano fastidiosamente intorno ai quattro uomini, fondendosi con le flebili esalazioni di un ottimo whisky, e si allontanavano da loro vorticando quando occasionalmente esplodeva una sommessa imprecazione. Era la sera dell’ultimo giorno del Rodeo and Fat Stock Show di Forth Worth, una fiera che richiamava gente da tutto il mondo. La stanza era una delle migliori dell’albergo, e a trenta dollari al giorno era un vero affare, per gli standard del suo inquilino.

    Quando l’uomo che gli stava accanto tirò i dadi e fece Craps, Mitch Corley estrasse il portafogli e diede una plateale sbirciata all’interno attraverso le lenti di un paio d’occhiali dall’antiquata montatura d’acciaio. Lì, a Fort Worth, si fingeva un gonzo, un grosso rospo uscito da un piccolo stagno, il riccastro del villaggio. Portava un cappello da cowboy, un abito della taglia sbagliata e una camicia di seta pongee, con tanto di cravattino (e vezzi confacenti). Mentre spostava con circospezione lo sguardo dal portafogli agli altri tre uomini, dimostrava quindici anni in più dei suoi trentacinque.

    «Vi sta bene, ragazzi, se ne punto duecento?»

    «Duecento?» gemette l’appaltatore petrolifero dai capelli rossi.

    «Cristo santo, punta anche duemila, se credi!»

    «Sì, che diamine!» disse il mercante di bestiame, accigliandosi. «Pensavo che giocare a Craps ti piacesse, Pops. E invece sei solo capace di spararle grosse!»

    Mitch esitò, lasciando che l’irritazione degli altri montasse. Dopodiché, contò lentamente cinque banconote da venti sul letto. «Suppongo di dovermi accontentare di cento» disse. «Non mi sento particolarmente fortunato stasera.»

    Si alzò un coro di lamenti e imprecazioni. Con caparbia pazienza, il concessionario delle trivellazioni suggerì a Mitch che forse avrebbe fatto bene a ritirarsi. «Suppongo che il gioco si sia fatto un po’ troppo duro per te, Corley. Forse faresti meglio a tornartene a Pancake Junction, o come diavolo si chiama il posto assurdo da cui vieni, a giocarti gli spiccioli col sindaco.»

    «Ehi, non prenderti gioco di me» brontolò Mitch. «Stasera ho perso trecento dollari e ho intenzione di riprendermeli.»

    «Allora, lancia i dadi, perdio! Lancia oppure paga e vattene!»

    Mitch disse che avrebbe lanciato e che, dopotutto, avrebbe puntato duecento dollari. Aprì nuovamente il portafogli, dando un’occhiata al suo orologio mentre tirava fuori l’ennesima banconota da cento. Mancavano ancora quasi otto minuti: otto minuti prima di arraffare il bottino e uscire di scena. Doveva prendere ancora un po’ di tempo.

    Mentre raccoglieva goffamente i due dadi, ne fece cadere uno sul pavimento. L’operazione durò complessivamente un minuto, lasciandogliene più o meno altri sette da ingannare. Estrasse di nuovo – per la terza volta – il portafogli.

    «Santo Dio!» L’appaltatore petrolifero si picchiò una mano sulla fronte. «E adesso che succede?»

    «Lancerò i dadi per altri cento dollari, ecco che succede! Se pensate che io sia un senza palle, adesso vi faccio vedere.»

    «Vai pure! Lancia per cinquecento dollari, se ti pare!»

    «Suppongo che pensi che non sia in grado di farlo, vero?» Mitch lo guardò malissimo. «Suppongo che pensi che cinquecento dollari io non ce li abbia.»

    «Pops» disse stancamente il mercante di bestiame. «Cristo santo, Pops.»

    «D’accordo!» Mitch sbatté altre banconote sul letto. «Lancerò per cinquecento dollari!»

    Prese in mano i dadi, li orientò con un movimento invisibile delle dita, sistemandoli nella posizione necessaria. Li agitò, o meglio, finse di farlo. In realtà, i dadi non si spostarono minimamente: li stava solo sbattendo uno contro l’altro. Li gettò con simulata goffaggine.

    I cubetti rossi rotolarono sulla coperta del letto, tirata al massimo. Si fermarono su un sei e un asso.

    «Ha fatto sette» constatò il concessionario delle trivellazioni. «Vuoi puntare tutto, Corley?»

    «Intendi mille? La cifra di mille dollari?»

    «Dannazione!» L’appaltatore lanciò il cappello dall’altra parte della stanza. «Fa’ una puntata! Fa’ una puntata oppure passami i dadi!»

    Mitch accettò di puntare un testone. Uscirono un sei e un cinque. Fu schernito, deriso e sollecitato a suon di maledizioni a puntarne duemila.

    «Perché no? Giochi con i nostri soldi!»

    «D’accordo, perdio! Lo farò!»

    Lanciò nuovamente i dadi. Sulla coperta apparvero un quattro e un tre. Mentre gli altri si lamentavano, agguantò i soldi.

    «Suppongo che ora sia meglio puntare solo cento dollari» disse. «O magari solo cinquanta. Se a voi sta bene, ragazzi.»

    Ai ragazzi non stava affatto bene e glielo fecero capire. Col cavolo che gli avrebbero lasciato abbassare la posta a noccioline fintanto che aveva in mano un bel po’ dei loro soldi.

    «Ma… quattromila dollari» protestò Mitch. «Quattro­mila dollari!»

    «Sei coperto» disse freddamente il compratore di bestiame. «Lancia!»

    «Be’, d’accordo» disse Mitch, in tono nervoso. «D’accordo, dannazione!»

    Si passò una mano su una gamba dei pantaloni per asciugare il sudore prima di riprendere i dadi. La sua agitazione non era del tutto simulata. Persino al migliore dei chirurghi può capitare una volta di lasciarsi scappare il bisturi. Anche il più capace tra i lanciatori di coltelli può scagliarli una volta troppo vicino al bersaglio. E un funambolo può – una volta sola, basta una volta sola – mettere il piede in fallo per l’eternità. Lo stesso vale per chi gioca a dadi.

    Nessun livello di bravura o competenza è completamente al riparo dai rovesci della sorte. Non esistono termini di prescrizione nella legge dei grandi numeri. Ancora due minuti. Sul letto, ottomila dollari. Praticamente tutti i soldi che avevano con sé, ipotizzò Mitch. Di certo, tutti i soldi che sarebbe stato possibile sottrarre a un gruppo del genere senza correre rischi. Un’operazione che non avrebbe dovuto mostrare crepe. Niente sette o undici, stavolta. Nulla che un lancio corretto non potesse realizzare legittimamente. Un dilettante qualsiasi avrebbe potuto anche riuscirvi sette, otto volte di fila, ma un professionista del gioco d’azzardo doveva usare l’astuzia.

    Agitò i dadi. Li gettò con un movimento goffo. Dopodiché, si mostrò dispiaciuto di fronte allo scoppio di risa degli altri. «Il diavolo fa le pentole! Hai fatto un bel quattro, Pops.»

    «Porca di quella puttana» gemette Mitch. «Porca di quella puttana, dico!»

    «Vuoi puntare qualcosina di più, Corley? Ti do sei a cinque.»

    «Come no, dannazione» brontolò Mitch e gli altri risero di nuovo.

    Joe, ovviamente, è il punteggio più basso dei dadi. Sopra ci sono Phoebe Five (una ragazza difficile da incontrare), Easy Six (tre combinazioni), Craps (tre), Eighter-Decatur (tre), Quinine (appena due), Big Dick (due) e gli esterni, Heaven-eleven e Boxcars che, dopo il lancio iniziale, non hanno rilevanza. In linea puramente teorica, un cinque o un nove sono quotati all’incirca tre a due contro i sei a cinque di un sei e un otto. La quota per un dieci o un quattro è due a uno, ma qualsiasi giocatore di Craps sarebbe pronto a giurare che dieci sia un punteggio più facile da realizzare.

    Ovviamente, Little Four non è un granché. Quasi che ne fosse consapevole, una volta mostrato il suo faccino sventurato, normalmente non si fa più vedere.

    «Lancia Pops! Vediamo cosa sai fare!»

    «Non mettermi fretta» gemette Mitch. «Adesso lancio!»

    Lanciò. Un bel dieci (sotto c’era un quattro). Li gettò di nuovo: nove. Poi, otto e cinque e sei. Dove diavolo era Red? Cosa diavolo stava aspettando? Con una posta simile, tenere sotto controllo quei tizi poteva risultare difficile. Era sempre più teso e controllare la tensione era un vero problema e…

    Eccolo! Il segnale. Il colpo di tosse soffocato, familiare, appena fuori dalla porta. Gli altri, persi nel baccano della stanza, non se ne accorsero.

    «Dai, un sette. Vogliamo un bel sei-asso.»

    «Forza, Pops! Cosa diavolo stai aspettando?»

    «State calmi, accidenti! Smettetela di mettermi fretta!»

    Si asciugò nuovamente la mano su una gamba dei pantaloni. Afferrò i dadi, li sistemò e li agitò. E li gettò.

    I nervi gli sussurrarono che era stato un brutto lancio. Strepitarono in silenzio che in un solo istante aveva guastato una settimana intera di scrupolosi intrallazzi e bruciato una cospicua pila di banconote per le spese.

    Osservò mestamente i dadi rotolare sulla coperta: sembravano non fermarsi mai. Un’eternità in una frazione di secondo. Si rigirarono due volte simultaneamente. Si arrestarono con una impercettibile rotazione all’indietro.

    Fece capolino un doppio due.

    Prima che i tre uomini potessero reagire, qualcuno bussò violentemente alla porta. Si voltarono di scatto da quella parte e Mitch raccolse i soldi e se li infilò nelle tasche.

    La camera era dell’appaltatore. Imprecando, l’uomo raggiunse la porta e la aprì. «Cosa diavolo suc…?»

    «C-cosa? Cosa! Non imprecarmi contro… bestia!»

    Red irruppe nella stanza con uno spintone che fece barcollare all’indietro l’appaltatore. Il suo sguardo rabbioso incenerì gli altri due uomini, per poi posarsi gelidamente su Mitch, che parve avvizzire.

    «Ah! Eccoti!» Si prese il tempo di scorgere i dadi. «Di nuovo impegolato con i tuoi soliti giochini. Aspetta che lo dica a papà! Aspetta e vedrai!»

    «Ma, sorellina…» gemette Mitch, come un bambino. «Questi ragazzi sono solo…»

    «Buoni a nulla, ecco cosa sono! Buoni a nulla come te, nient’altro! E adesso fuori di qui. Subito! Marsc’!»

    Con i capelli rossi e il viso dagli zigomi pronunciati, era in tutto e per tutto un’arpia, un chiaro esempio di donna da cui stare alla larga. Ma dai tre perdenti si levò una lieve protesta. Mitch aveva quasi tutti i loro soldi e avevano diritto a una chance di reimpossessarsene. La signora questo lo capiva, giusto? E capiva pure che non erano dei buoni a nulla.

    «Ho uffici ad Amarillo e Big Spring e… Ahia!»

    L’appaltatore indietreggiò, massaggiandosi una guancia.

    Red si lanciò contro gli altri due, le mani sollevate come artigli malefici. Alzando sempre più la voce, minacciò di mettersi a gridare. «Lo faccio, eh!» Il suo sguardo si incendiò di follia. «Chiamo la polizia!»

    Fece scattare indietro la testa, spalancando la bocca al massimo. Mitch la bloccò appena in tempo, almeno così parve.

    «Vengo! Vengo subito, sorellina. Però, calmati e…» La spinse verso la porta, rivolgendo una smorfia di scuse alle sue spalle. «Scusate ragazzi, ma…»

    Capivano come stavano le cose, giusto? Cosa avrebbe potuto fare con una pazza come quella?

    Chiuse la porta lasciandosi un silenzio istupidito alle spalle. Mitch e Red percorsero rapidamente il corridoio in direzione dell’ascensore.

    Lei aveva già effettuato il checkout per entrambe le camere – ovviamente – e un portiere in camicia nera li attendeva con i bagagli accanto all’ingresso laterale dell’albergo. Mentre un taxi li accompagnava a gran velocità alla stazione ferroviaria, Red gli si avvicinò sul sedile per parlargli in un orecchio.

    «Ho prenotato una cabina doppia tutta per noi. Va bene?»

    «Cosa?» Lui si accigliò nel buio. «Siamo registrati come fratello e sorella e tu…»

    «Sta’ a sentire, tesoro…» Era leggermente offesa. «Non ho chiamato dall’albergo.»

    «Hai fatto tardi stasera.»

    «Io? Be’, non capisco come sia potuto succedere.»

    «Che differenza fa che tu lo capisca o meno?»

    Si scostò da lui. Sarebbe bastato davvero poco per farla arrabbiare sul serio, il che non sarebbe stato piacevole. Ma anche lui era piuttosto infuriato. Si era presentata in ritardo per l’uscita di scena, dannazione, in ritardo di ben due minuti. Lui aveva dovuto sudare nel timore di perdere la grana e di venir malmenato solo perché lei non si era presa la briga di controllare l’orologio. E, a ogni buon conto, cosa diavolo aveva fatto? Che cos’era? Una donna con la testa di una bambina?

    Red disse, a voce bassissima: «È meglio che tu chiuda la bocca, Mitch».

    «Ma, dannazione, sei arrivata in ritardo! Non è mia intenzione essere brusco con te, tesoro, però…»

    «E non chiamarmi tesoro!»

    Mentre seguivano il facchino fino al loro treno, Mitch alzò gli occhi verso l’orologio della stazione, dopodiché diede un’occhiata perplessa a quello che aveva al polso. Avanti: di quasi due minuti. Dunque il pasticcio era tutta colpa sua. Red non era passata a recuperarlo in ritardo, come lui avrebbe dovuto sapere. Come aveva saputo. Ma i colpi grossi svuotano un uomo di tutte le sue energie e, fintanto che non si fosse ricaricato, non avrebbe avuto altro che male parole per chiunque. Probabilmente, ipotizzò Mitch, andava così in tutte le situazioni, persino in quelle legali. Per lo meno, molti dei professionisti che conosceva avevano vite private incasinate. Se eri disposto a farti andar bene un’attività come lavorare per il dipartimento dei parchi nazionali e a raccogliere stagnola come hobby, potevi rilassarti. Fare il giocatore d’azzardo in grande stile invece… Per quanto tu fossi in gamba, esisteva sempre un limite e se lo superavi non c’era più niente da fare.

    Nella cabina privata, con la massicciata che sussurrava veloce sotto di loro, la sua voglia di Red d’un tratto si fece furiosa. Consapevole che non sarebbe servito a nulla, si lanciò in tortuose scuse, menzionando conoscenti, reali o immaginari, a loro volta resi assurdamente irragionevoli dallo stress.

    «Mio padre, per esempio, pace all’anima sua…» Si abbandonò ai ricordi con una risata forzata. «Vendeva edizioni speciali, sai: se ne andava in giro per il paese a spacciare edizioni speciali di quotidiani. Passava la giornata a gestire un’agenzia di vendite telefoniche, comandava a bacchetta un manipolo di telefonisti e chiudeva personalmente i contratti complicati e, quando si faceva sera, non gli potevi manco dire ciao senza prenderti una sberla. Be’, ricordo…»

    Mitch sospirò, lasciando che la sua voce si spegnesse, maledicendo Red in silenzio per com’era. Non le aveva praticamente detto nulla, niente in confronto alle cretinate che era costretto a sorbirsi dalla gente. Eppure, scuse e moine erano una chiara perdita di tempo.

    Lei aveva tutta l’intenzione di tenergli il muso: l’assortito spaccio della sua carne sarebbe rimasto chiuso fino a ulteriore comunicazione. Mitch era certo che lei lo desiderasse con la stessa intensità con cui lui desiderava lei. La cabina per due che aveva prenotato era un chiaro segnale. Ma, dal modo in cui si svestiva, era altrettanto evidente che era pronta a farlo soffrire, e pazienza se avrebbe dovuto soffrire pure lei.

    Di norma, era così pudica da sembrare una bacchettona. Quando era costretta a spogliarsi in un ambiente ristretto, lo faceva senza sfilarsi la camicia da notte, insistendo perché non sbirciasse mentre lei si toglieva gli indumenti. Ma, se non aveva intenzione di concedergli nulla, metteva tutto in mostra, tutto quello che non gli avrebbe permesso di prendersi.

    Non c’era professionista in grado di fare uno spogliarello più provocante di quello di Red (il suo vero nome era Harriet, perdio!) quando faceva l’offesa. Si tirava giù le mutandine appena un po’, girandosi con nonchalance dalla sua parte giusto quel tanto da permettergli di scorgere, a poppa e a prua, quello che si poteva vedere abbassandole leggermente. Poi si allentava il reggipetto e permetteva distrattamente ai seni di fare la loro comparsa. Abbondanti, con capezzoli rosei e solcati da qualche sottile vena azzurra, sembravano curvarle le spalle dall’aspetto fragile. Ma lei non era fragile per nulla, dannazione! Dopodiché, se si sentiva particolarmente perfida, se li sollevava e se li studiava in modo critico e accurato finché Mitch sentiva di avere in bocca una lingua grossa come una mazza da baseball.

    Quella sera ce l’aveva di brutto con lui e, dunque, la parte dei seni Mitch se la godette appieno. Poi, con sdegno, lei si liberò dell’ultimo, diafano frammento di biancheria intima e rimase nuda, coi piedi leggermente divaricati, la testa all’indietro per consentire alla folta chioma rossa di ricaderle sulle spalle. Alzò le mani e si mise a gonfiarseli, con i seni che sobbalzavano in delicata armonia con il movimento delle mani. Alla fine, abbassò la testa in avanti, facendo scivolare i capelli davanti alle spalle in modo che le coprissero il seno come un velo di seta. I capelli si divisero ordinatamente su entrambi i lati della sua testa ben sagomata e, finalmente, lo guardò: lo sguardo di un angelo del male. E gli parlò a bassa voce.

    «Ti andrebbe di assaggiarne un pochino?»

    Mitch sapeva che significava zero assoluto. Disse una parola sola, un verbo parecchio spinto.

    «Oh, nemmeno un po’?» Lei ne indicò il quantitativo con le dita. «Nemmeno un pezzettino-ino-ino?»

    Mitch gemette e allungò una mano, arrendendosi.

    Red usò lo stesso verbo usato da lui.

    Dopodiché, si issò sulla branda superiore e tirò le coperte.

    Alla fine, Mitch si addormentò sulla branda inferiore, sognando non Red, stranamente, bensì suo padre. Sognò che il vecchio si era offeso perché gli era stato detto che era un tipo con cui era difficile andare d’accordo. Non era una persona affatto irragionevole, disse suo padre. Per niente, dannazione.

    E di certo non lo era. Tutto sommato…

    2

    Nella vita del signor Corley Senior non c’erano praticamente mai momenti di relax assoluto. Se non era impegnato a stare addosso a una squadra di dinamici venditori telefonici – e a svolgere il doppio del lavoro di almeno due di essi – allora giocava d’anticipo nel tentativo di procurarsi un editore per una nuova edizione speciale. Ed era un compito in grado di far imprecare di frustrazione il più santo tra gli uomini.

    Gli editori erano immancabilmente dei gran testoni: cinici cronici, abilissimi ad aprire falle nella tirata promozionale meglio congegnata. Mitch lo sapeva bene, perché lui e sua madre – irascibile, nervosa e dotata di un’ottima parlantina – accompagnavano spesso suo padre in occasione della prima visita a un editore. Il signor Corley li voleva con sé (per lo meno, era quello che diceva all’editore) per mostrargli che tipo di persone stessero per entrare nella sua comunità. Non farfalloni inaffidabili, signore. Bensì una semplice famiglia americana vecchio stampo. Quest’ultima frase segnalava a Mitch di afferrare la mano dell’editore di turno per chiedergli in modo seducente se lui aveva dei bambini. Poi si faceva rapidamente da parte, consentendo a sua madre di entrare in gioco. E lei si metteva quasi a cavalcioni del tipo, spingendoglisi addosso mentre si profondeva in un profluvio di lusinghe. Poi, prima che lo zuccone potesse scappare a nascondersi (già, alcuni ci provavano), il signor Corley dava il via alla vendita vera e propria.

    Era un uomo a cui era difficile dire di no, per quanto gli venisse detto tre volte su cinque. Le sue argomentazioni non erano soltanto virtualmente irrefutabili, ma venivano accompagnate da vezzi che risultavano quasi mesmerici.

    Non permetteva mai a un potenziale cliente di distogliere lo sguardo. Se qualcuno provava a farlo, intimorito dalla sua voce suadente e martellante, dalla dizione perfetta, Corley si muoveva sulla sedia, assumendo qualsiasi postura necessaria – piegandosi praticamente fino a toccare il pavimento, se proprio doveva – finché tornava ad avere l’attenzione dell’uomo. Dopodiché, senza mai battere ciglio, iniziava a scrollare impercettibilmente la testa, muovendola al ritmo delle sue parole: avanti e indietro, parlando in modo sempre regolare, scrollata-parola, scrollata-parola, su e giù, su e giù. In quei momenti Mitch – finché non ebbe imparato a distogliere lo sguardo, a tagliar fuori la vista e il suono di suo padre – si sentiva appannare gli occhi e cadere lentamente preda di uno strano intorpidimento.

    In ogni caso, non aveva bisogno di guardare o ascoltare per seguire la tirata imbonitoria. Era assolutamente standardizzata, un prodotto costruito in anni di attacchi e contrattacchi agli stessi temi generali.

    «Be’, certo, signore» diceva il signor Corley. «Certo, un’edizione speciale potrebbe pubblicarla lei stesso. Potrebbe pure confezionarsi un abito da solo, suppongo, o costruirsi la casa. Ma non lo fa; non lo fa perché non è un esperto in materia. E lei sa, così come lo so io e come lo sappiamo tutti, che, se si vuole fare una cosa per bene, bisogna rivolgersi a un esperto…»

    Oppure, per far piazza pulita di un altro punto dolente:

    «Sono felice che lei lo abbia menzionato, signore.

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