Europa e felicità. Prima, durante e dopo Brexit
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L’homo europaeus è oggigiorno felice? Gli europei continentali, cittadini degli Stati membri e quindi dell’Unione europea, le istituzioni e i governi hanno l’obiettivo prioritario di raggiungere una “comune” felicità? E se la risposta è positiva, di quale felicità? La “buona politica” aiuta a raggiungere più facilmente questa ideale dimensione?
A queste e ad altre domande il libro offre risposte efficaci, accompagnando il lettore attraverso uno stimolante viaggio nella storia, nella legislazione e, soprattutto, in un’accurata disamina dei problemi che affliggono l’Unione europea, non ultimo la percezione che essa sia un costoso ed inutile “carrozzone” sottomesso al volere di alcuni Stati e senza utilità per i cittadini.
É ancora prematuro tirare le somme di un divorzio che non è un fatto recente, atteso l’atteggiamento ostile del Regno Unito già dal trattato di adesione entrato in vigore il 1° gennaio 1973.
In ogni caso Brexit è una sconfitta per tutti. Un indebolimento sia dell’Unione europea sia del Regno Unito.
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Europa e felicità. Prima, durante e dopo Brexit - Massimo Fragola
vicino
Premessa
Classificare la felicità
non è impresa facile. Peraltro non è l’obiettivo di queste brevi riflessioni.
Ciascuno ha un suo modello
, una sua aspirazione recondita, che, se raggiunta, fa transitare l’individuo nello stato di ebbrezza, di appagamento, che consideriamo uti singuli felicità
.
Tuttavia, in via preliminare e senza presunzione di completezza, occorre fare qualche esempio sulla varietà soggettiva e personale dello stato di felicità. Per comprendere meglio la tematica.
Per taluni, e si affermano cose scontate, la felicità è stare bene in salute; quindi, per altri, poter lavorare e/o studiare, vivere in armonia con i propri cari, con gli amici; poterli incontrare quando si vuole, fare una passeggiata da soli o con il proprio partner; per altri ancora, invece, la felicità è poter fare sport, suonare uno strumento musicale o dedicarsi a qualsiasi altra attività gratificante; poter professare la propria religione.
Per altri, oltre a quanto segnalato, la felicità vuole dire essere liberi nel rispetto delle leggi; condividere con il prossimo il benessere e vivere in un contesto nel quale la dignità umana e la giustizia sociale sono valori non negoziabili[1].
E come non concordare con costoro?
Sono solo degli esempi banali, di certo non esaustivi, della condizione complessa e sfuggente che suole definirsi felicità
[2].
Non più di alcuni mesi fa molti di questi esempi sarebbero stati delle banalità, delle felicità
scontate. Troppo scontate. Volgarizzate a tal punto da non considerarle più delle vere e proprie felicità
in quanto frammenti della routine quotidiana.
Oggi, nel perdurare della crisi pandemica del coronavirus, lo scenario di riferimento è cambiato. Completamente[3].
É mutato il concetto-valore di felicità o, quantomeno, sono cambiate le esigenze umane dovute alle restrizioni e alle privazioni che intere masse di popolazioni hanno sopportato – e stanno sopportando – per sconfiggere la terribile pandemia.
In Italia, in Europa e nel Mondo.
E, a nostro avviso, è cambiato anche il rapporto felicità-Unione europea. Sorprendentemente in positivo!
Perché ci si è resi conto che da soli non si va da nessuna parte e che eventi globali
, come la pandemia COVID-19, possono essere superati soltanto insieme e nel rispetto della leale cooperazione dei governi, delle istituzioni e dei cittadini.
Tuttavia, le misure governative (transitorie e necessarie) adottate dai governi con l’obiettivo di superare una crisi epocale hanno avuto (e hanno in parte ancora oggi) l’effetto deleterio di limitare i diritti e le libertà personali, quindi, di non poter disporre liberamente – e appieno – della propria vita. Allora si può affermare che è cambiato (o sta cambiando) la percezione della felicità nel senso che – ritornati sulla terra con siffatti avvertimenti – occorrerà rivalutare valori e piccoli comportamenti quotidiani?
Le considerazioni che seguono, riferite non dal giurista e studioso del diritto dell’Unione europea ma dal comune osservatore dei fenomeni europei ed internazionali, hanno come principale obiettivo la complessa vicenda del recesso
del Regno Unito dall’Unione europea (UE), comunemente catalogata come Brexit
(Britain-exit
)[4]. Peraltro non conclusa definitivamente (ancorché il 24 dicembre 2020 è stato raggiunto un accordo) e, secondo il nostro punto di vista, aggravata sia dal rigorismo speculativo
del governo britannico nei confronti della UE, sia dalla non facile gestione della pandemia del coronavirus, che sicuramente ha reso più difficile il compito dei governi britannici.
Ad ogni modo: i cittadini britannici una volta liberati dal giogo
dell’Unione europea – quindi diventati extracomunitari
– saranno più felici dei connazionali cittadini dei singoli Stati membri e per ciò anche cittadini dell’Unione europea?
L’esigua maggioranza dei cittadini britannici che nel referendum del 23 giugno 2016 sostennero che versavano in una condizione di infelicità a causa dell’apparteneza del Regno Unito all’Unione europea riacquisteranno la felicità (ritenuta) smarrita?
Non ne siamo convinti.
Peraltro, alla luce degli eventi e delle difficoltà del distacco emerse nel corso degli anni della negoziazione di due accordi (internazionali) per una uscita ordinata del Regno Unito dalla UE, crediamo fermamente, che non sono pochi i cittadini britannici che, a tutt’oggi, riconsiderebbero il loro voto. Invertendo, ove consultati nuovamente, l’esigua maggioranza dell’esito del referendum del 2016 che, lo ricordiamo, è stata il 51.9% a favore del leave
– cioè 17.410,742 voti – rispetto al 48.1% del remain
– cioè 16.141,241 voti. Per non scendere nel dettaglio della tipologia dei votanti in rapporto alle variegate aree regionali e culturali del Regno Unito.
Aggiungendo, infine, che la felicità del singolo individuo, che evidentemente può risultare suggestionata in tanti modi, non nasce (esclusivamente) dal cuore o dalla testa – nel senso della ragione, dell’intelletto e della logica – ma da processi biochimici legati a neurotrasmettitori (ormoni) presenti nel cervello, che sono essenziali per il benessere e per il raggiungimento degli stati d’animo e della felicità[5].
A tutte queste sollecitazioni cercheremo di dare una (nostra) risposta, ovviamente senza presunzione di completezza e nulla di definitivo. Con Voltaire, anche noi siamo convinti della bontà di un pensiero che, tra i tanti, ha reso famoso – e sempre attuale – il filosofo francese: il dubbio non è piacevole, ma la certezza è ridicola, allora soltanto gli imbecilli sono sicuri di ciò che dicono
.
Napoli-Ventotene, 21 gennaio 2021
[1] Ricordiamo che la dignità della persona umana non è soltanto un diritto fondamentale in sé, ma costituisce la base stessa dei diritti fondamentali. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, ad esempio, consacra la dignità umana come il riconoscimento a tutti i membri della famiglia umana, e dei loro diritti, uguali ed inalienabili e costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo. Nella sentenza del 9 ottobre 2001, causa C-377/98, Regno dei Paesi Bassi/Parlamento europeo c. Consiglio dell’Unione europea ai punti 70-77 della motivazione la Corte di giustizia UE ha confermato che il diritto fondamentale alla dignità umana è parte integrante del diritto dell’Unione.
[2] Per alcuni spunti interdisciplinari A. Trampus, Il diritto alla felicità, Storia di un’idea, Editori Laterza 2008; J.R. Grodin Joseph, Rediscovering the state Constitutional right to happiness and Safety, Hasting Constitutional Law Quarterly
, 1997, vol. 25, fasc. 1, p. 11; L. Bruni, Economia e felicità (voce) in Enciclopedia Treccani, 2009; R. Ferrara, Il diritto alla felicità e il Diritto amministrativo, in E. Follieri e L. Iannotta (a cura di), Scritti in ricordo di Francesco Pugliese, Napoli, ESI, 2010, p. 87; F. de Luise-G. Farinetti, Storia della felicità. Gli antichi e i moderni, Piccola Biblioteca Einaudi, 2001, p. 497.
[3] Su cui l’interessante volume di F. Kostner (a cura di), La borsa o la vita? Ripensare la società dopo il COVID-19, Cosenza, Luigi Pellegrini Editore, 2020.
[4] Ivi includendo anche l’uscita del Regno Unito dall’ultima Comunità
a tutt’oggi in vigore l’Euratom (la Comunità europea dell’energia atomica-CECA) ai sensi dell’art. 106-bis CECA.
[5] Sul benessere psicologico (che condurrebbe alla felicità) così come declinato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) v. l’e-book di G. Gentile, La ricerca della felicità.
Ancora un chiarimento necessario
Le pagine che seguono non hanno una valenza scientifica e, pertanto, non è stato seguito rigorosamente il metodo scientifico di ricerca nella raccolta dei dati empirici.
Il lavoro affonda le radici in alcune banali riflessioni fatte prima, durante e dopo la lunga e complessa gestazione che ha portato, dopo più di quattro anni di negoziati e, talvolta, di tragiche votazioni dell’House of Commons (la Camera bassa
del Parlamento britannico) alla rinuncia del Regno Unito (UK) a far parte dell’Unione europea.
Dal 1951 – data della istituzione della (prima) Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) – primo e unico caso nella storia dell’integrazione europea e, si auspica, l’ultimo, confidando ancora nella bontà del progetto europeo.
Ci siamo chiesti se l’homo europaeus[1] è oggigiorno felice.
Gli europei continentali, i cittadini UE e, soprattutto, le istituzioni UE e i governi degli Stati membri hanno come obiettivo prioritario il raggiungimento della felicità, della comune
felicità? E, se la risposta è positiva, quale felicità?
Possiamo affermare che l’emozione della felicità – avventura scivolosa ed eccitante al tempo stesso – varia da persona a persona, da luogo a luogo, da regione a regione, da Stato a Stato? Dal che se ne può ricavare che la buona politica
aiuta a raggiungere più facilmente la felicità? E pertanto il diritto, che ne è la sua espressione materiale, tangibile e percepibile, è – o può essere – uno strumento essenziale a tal fine?
Nell’Europa istituzionalizzata dell’Unione europea che, com’è noto, rappresenta un caso pressoché unico al mondo di processo pacifico, costituente e federale tra Stati sovrani (senza l’uso della forza militare) a che punto stiamo?
I cittadini britannici una volta abbandonata definitivamente l’Unione saranno di nuovo felici e sovrani
, ovvero, più felici, liberi e sovrani di quando erano anche cittadini dell’Unione europea
[2]?
Ergo, semplificando, felicità = sovranità? Quale sovranità? Degli Stati, dei governi e/o dei cittadini?[3]
Riacquistare la sovranità (legislativa/decisionale) aiuta ad essere più felici? E liberi? In un mondo globalizzato e sempre più interconnesso? E di conseguenza: integrazione europea versus felicità/libertà?
Vedremo.
we_are.jpgCerto è che, in questo momento storico, uno studio sulla felicità
accostato all’integrazione europea – ancorché relativo al fenomeno della Brexit – può sembrare a prima vista a dir poco azzardato, se non una vera e propria provocazione.
Non si può negare che nell’immaginario collettivo e, da ultimo, in maggior misura dall’insorgere della prima crisi economico-finanziaria del 2008, successiva al fallimento Lehman Brothers, l’Unione europea sia da molti percepita come un costoso ed inutile carrozzone
sottomesso al volere della Germania senza alcuna utilità per i cittadini.
Percepita.
Anzi, secondo la descrizione che ne fanno quotidianamente i partiti/movimenti populisti e sovranisti[4] nonché gran parte dei media – un vero e proprio lavaggio del cervello
– l’integrazione europea è considerata la causa di tutti i nostri mali, il capro espiatorio della condizione di sofferenza (economica e sociale con riguardo al raggiungimento della felicità) nel quale versa l’Italia, in particolare, e l’intera Europa integrata[5].
Da ultimo, l’esplosione in Europa del Covid-19 ha riproposto nuove critiche all’atteggiamento dell’Unione – quanto meno inizialmente – pur nella inconsapevolezza della mancanza di una competenza soddisfacente dell’Unione in materia di sanità e protezione civile[6], cioè a dire, i due temi più direttamente coinvolti nella pandemia.
Approfondiremo questo punto più avanti.
Se si condivide, intanto, il tema dell’integrazione percepita
unitamente all’atteggiamento incauto e strumentale dei governi nazionali reiterato negli anni; e poi, spiacevoli atteggiamenti talvolta intransigenti di talune istituzioni UE, che sicuramente sono stati sgraditi dai governi nazionali e dalla popolazione, si potrebbe affermare che tutto ciò ha portato il Regno Unito alla vicenda Brexit ma che, tuttavia, e questo va sottolineato, alimentava nel Regno Unito già da molti anni e al di là delle reiterate crisi in Europa.
Cui vanno associati altri malumori ed insofferenze generati da una legislazione UE mai troppo digerita
al di la della Manica giacché obbligatoria, vincolante e direttamente applicabile nelle materie di competenza dell’Unione europea.
Va ricordato, in ogni caso, per ridimensionare la portata della questione britannica, che per definizione la legge
e l’autorità che la emana, non piacciono normalmente ai cittadini (o ad una parte di essi) giacché anarchici per definizione e refrattari ad ogni forma di costrizione esterna; come pure ostili ad una qualsiasi imposizione di un’autorità locale (per esempio le restrizioni in tempo di Covid-19)[7]. Figuriamoci laddove si tratti di una legge
(atto legislativo
) che scaturisce da un’autorità come l’Unione europea considerata estranea
, pressoché sconosciuta, della quale non si comprendono gli obiettivi, le logiche e non si conoscono né le competenze e men che meno le procedure decisionali.
Si tratta dell’espressione più evidente della percezione negativa che i cittadini hanno dell’Unione europea che, tuttavia, non rappresenta la realtà e l’autenticità degli eventi europei-eurounitari benché, come si vedrà, non sono pochi i motivi di insoddisfazione verso l’attuale momento storico dell’integrazione europea. Perplessità che altrettanto significativamente riguardano il futuro del processo costituente, considerato che non soddisfa sia l’inaccettabile atteggiamento ostruzionistico e non solidale di alcuni governi degli Stati membri [e (talvolta) dichiarazioni ostili di personalità istituzionali UE[8]], sia l’inerzia e la timidezza di alcune istituzioni, come la Commissione europea e il Parlamento europeo, troppo asservite ai Capi di Stato e di governo degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio europeo.
Sicché, nell’immaginario dei cittadini, ciò che rimangono bene impresse non sono le realizzazioni concrete, oramai assorbite e dimenticate, talvolta sconosciute, che hanno migliorato la nostra vita negli ultimi settant’anni, senza clamori e senza ostentazioni. A prevalere, nella valutazione dell’opinione pubblica è la rigidità delle regole in specie dell’Unione monetaria (UEM) e, in particolare, le regole e i vincoli del patto di