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Il diavolo a porta romana
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Il diavolo a porta romana

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Storico - romanzo breve (64 pagine) - Milano, aprile 1907. L’omicidio della giovane Lucilla nell’androne d’ingresso di palazzo Acerbi, a Porta Romana, riporta a galla l’antica leggenda del Diavolo. Secoli prima, durante la peste, il marchese Acerbi girava in carrozza per la città flagellata dal morbo, accompagnato da servitori in livrea verde. È lui il responsabile di quella morte? Quando spariscono anche due giovani ragazzi del posto, il commissario Pittarelli dovrà combattere contro il più antico nemico del genere umano: la superstizione.


Milano. Aprile 1907. Nel cortile di palazzo Acerbi, dove vive la famiglia del conte Rocchi, uno dei banchieri più in vista della città, viene trovato il corpo senza vita della giovane Lucilla Benedetti. Nelle tasche del vestito, foglioline d’artemisia. Sulle ante del portone d’ingresso, invece, appare disegnata con il carbone una croce, come quelle che i monatti disegnavano nel 1600 sulle porte delle case degli appestati.

Pochi giorni dopo, due giovani presso i navigli scompaiono nel nulla.

La gente inizia a rievocare l’antica leggenda del marchese Acerbi che, nel ‘600, abitava a Porta Romana. Dava feste e banchetti e usciva ogni sera in carrozza invitando giovani donne a palazzo. Lì, a Porta Romana, la peste non arrivava e per questo lui veniva considerato da molti il Diavolo.

La leggenda del marchese si intreccia con quella della strega Arima, rievocata nel corso di una seduta spiritica per ritrovare i due ragazzi scomparsi.

Chi è il responsabile della morte di Lucilla? Il Diavolo è forse tornato a Porta Romana?

Tra sospetti, rivolte popolari, ricerche sui navigli e negli ambienti raffinati della nobiltà milanese, il commissario Pittarelli avrà in fondo un solo nemico da rovesciare per risolvere il caso: la superstizione.


Maria Rosaria Del Ciello vive a Roma con la sua famiglia. Laureata in Economia e Commercio, ha un passato di giornalista free-lance, è bibliotecaria e mamma di Chiara, Francesco e del gatto Romeo. La passione per la scrittura creativa l’accompagna da sempre. Ha pubblicato il suo primo racconto breve nell’antologia Delos Books 365 storie d’amore del 2013. Il suo primo racconto lungo, dal titolo L’apparenza inganna, è stato pubblicato nel giugno 2018 nella collana Passione Criminale (Delos Digital). Ha vinto la 42a edizione del premio WMI con il racconto Skull’s Hill. Nel 2019 un suo racconto è stato tra i finalisti del Gran Giallo di Cattolica. Per History Crime ha già pubblicato un altro racconto con il commissario Pittarelli, scritto insieme a Giulio Palmieri: L'esposizione dei finti suicidi (History Crime n. 65).

Giulio Palmieri è nato a Galatina (LE) nel 1979 e vive con la sua famiglia nella provincia di Varese. Legge da sempre e scrive dall’età di quindici anni. È appassionato di mitologia, studi antichi e letteratura. Ha pubblicato racconti brevi su antologie varie (per Alcheringa, Historica, Delos Digital, l’ArgoLibro) e un suo racconto è arrivato tra gli otto finalisti al Premio Zeno 2019. Di recente, sta portando a termine un romanzo. Nonostante i quarant’anni e un lungo curriculum nella consulenza informatica, diventare scrittore è quello che vorrebbe fare da grande. Per History Crime ha già pubblicato un altro racconto con il commissario Pittarelli, scritto insieme a Maria Rosaria Del Ciello: L'esposizione dei finti suicidi (History Crime n. 65).

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateMar 23, 2021
ISBN9788825415513
Il diavolo a porta romana

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    Il diavolo a porta romana - Maria Rosaria Del Ciello

    9788825411164

    Personaggi

    Andrea Pittarelli

    commissario della Polizia del Regno presso la Questura di piazza San Fedele a Milano

    Zia Malia

    zia del commissario Pittarelli

    Pulixi

    Questore

    Alfredo Silenti

    Ispettore

    Edoardo Congedo

    Guardia

    Anastasi

    Medico legale

    Conte Rocchi

    Banchiere

    Margarethe

    Moglie del Conte Rocchi

    Arnaldo Rocchi

    Figlio del Conte Rocchi

    Filippo Rocchi

    Avvocato, cugino di Arnaldo Rocchi

    Lucilla Benedetti

    Promessa sposa di Arnaldo Rocchi

    Valerio Benedetti

    Padre di Lucilla

    Elena de Dominicis

    Medium

    Carmine Esposito

    Cantastorie dei navigli

    Antonio

    Ragazzo dei navigli

    Pierina

    Lavandaia, madre di Carmine

    Petronilla

    Lavandaia, madre di Antonio

    Prologo

    Milano, 1° aprile 1907

    Pittarelli si era lasciato alle spalle via Laghetto e camminava a passo spedito verso il mercato del Verziere. Il questore Pulixi lo aspettava per la consueta riunione d’inizio mese. Già lo vedeva nel suo completo elegante, i capelli zebrati pettinati all’indietro, fare avanti e indietro nella sala delle conferenze a elencare con voce imperiosa i casi ancora irrisolti.

    Primo, l’aumento dei morti ammazzati in via Velasca, fin dentro il quartiere del Bottonuto: un luogo fatto di vecchi cortili, di bettole, di vicoli. Un ambiente malfamato in cui bisognava turarsi il naso, in cui il sudiciume traspirava dalle mura stesse delle case, la cui unica salvezza sarebbe stata la demolizione.

    Secondo, il miglioramento della pubblica sicurezza, perché il prezzo del pane era aumentato, qualche bottega aveva chiuso, e da varie settimane c’era più gente in giro fuori quartiere che sembrava minacciare rivolte latenti.

    Terzo, il suo mal di testa. Di quello non ne avrebbero parlato, certo, anche se Pittarelli lo sentiva pulsare tra le pareti del cranio, come a voler schizzare fuori in mezzo alla folla.

    Il commissario pensò fosse giunto il momento di provare quella nuova terapia di cui gli aveva fatto cenno Anastasi. Anastasi, il medico legale, gli aveva anche ripetuto quanto gli avrebbe fatto bene parlare dei fantasmi del passato, quelli serrati dentro la sua testa. Erano loro i veri responsabili dei suoi dolori. Ma lui non credeva ai fantasmi. O, almeno, non abbastanza.

    Quel giorno, altri fantasmi sembravano aleggiare nella piazza. Zia Malia gli aveva raccontato che laggiù un tempo esisteva uno specchio d’acqua: il laghetto di Santo Stefano, alimentato da un canale interno dei navigli, sul cui molo giungevano i blocchi di marmo per la Fabbrica del Duomo, provenienti da Candoglia. La zona era stata abitata dai tencitt, gli operai addetti allo scarico del carbone per il vicino Ospedale.

    Quasi gli sembrava di vederli, la faccia tinta di nero, tesi a tirare i carretti in mezzo alla gente. Ora non avevano più un luogo in cui riposare. Da alcuni decenni il laghetto era stato interrato per via delle zanzare che rendevano la zona insalubre. Da qualche parte doveva esserci ancora, raccontava sempre zia Malia, la casa di Arima, la strega del Laghetto, che aveva a cuore i tencitt e li curava. Forse, quel giorno, erano loro i fantasmi a premergli nella testa.

    Pittarelli, seduto su una panchina all’ingresso di una salumeria, iniziò a massaggiarsi le tempie. Quando rialzò lo sguardo, distinse una donna tra la folla, diretta verso di lui. Un vestito verdastro fino ai piedi, i capelli castani, luminosi, che ondeggiavano nell’aria, assieme alle stringhe a nastro sulle spalle, alla cintura di raso attorno al busto. Un passo dopo l’altro, veniva verso lui in quel giorno di sole, come un’ombra tornata dal passato. Gli ricordava sua madre, poco tempo dopo la morte del padre. Bella, malinconica e sola.

    Giunta alla base della colonna della Vittoria, prese una cesta vuota dal banchetto di un verduraio e la capovolse, per posarvi sopra una grande carta scelta da un mazzo che stringeva tra le mani.

    La carta era per lui? Le tempie pulsanti, si alzò mentre alcune persone lo sfiorarono per entrare nella salumeria alle sue spalle. Prese ad avanzare, pensando alla faccia incazzata di Pulixi nella stanza della caserma. Sentiva intanto gli odori vivi della frutta, della borragine penetrargli il respiro.

    Superò un paio di banchi, barcollando per non cadere.

    – Prego, monsieur – sentì dirsi, dopo averla raggiunta.

    – Cosa? – balbettò.

    – È la sua carta? – chiese la donna.

    Pittarelli abbassò gli occhi. La figura di un diavolo barbuto lo guardava dal rettangolo del tarocco. Alla base, apparivano due figure incatenate: un uomo e una donna, che parevano dominate dalla figura demoniaca assisa alle loro spalle, su un piedistallo.

    Monsieur vuole forse un’altra figura del mazzo – fece lei. – Il destino, in questi giorni, è così misterioso.

    – Perché me la sta mostrando?

    – Per aiutarla – rispose la donna.

    – Io non…

    Il commissario si sentì mancare. Si ritrovò in ginocchio, le mani a frugare nel vuoto.

    – Vi sentite bene? – chiese una voce sopra la sua testa. Una vecchia era china su di lui. I capelli raccolti sulla nuca, aveva poggiato una borsa carica di verdure in terra e gli porgeva un fazzoletto di lino.

    – La donna… i tarocchi. Dov’è andata?

    – Di cosa parlate, figliolo? Qui non c’è nessuno. Vi ho visto camminare dalla salumeria fino a qui. Poi vi siete accasciato.

    Pittarelli, in piedi, si spazzolava i pantaloni, cercando di riprendere il dominio di ciò che lo circondava. – Sembrava venuta da chissà dove – continuò.

    – Caro mio, forse avete battuto la testa. Però, certo, qui a volte succedono cose strane – rispose la vecchia. Mosse la mano davanti a sé, come a voler scacciare una mosca. – Ma non dovrei parlare di certe cose a un giovanotto come voi.

    – Parlate.

    – Be’, potreste aver visto Arima – asserì la vecchia, battendo le mani. – Ma sono solo leggende. C’è chi la incontra ogni tanto, da queste parti. Pare si veda anche qualche tencitt. Però bisogna crederci e non so se voi…

    – La strega del Laghetto?

    – La conoscete?

    – Qualcuno me ne ha parlato. Ma continuate.

    – Bene – continuò la vecchia. – Arima… era la strega di via Laghetto, appunto. Veniva spesso qui al Verziere. La chiamavano la strega delle streghe perché durante la peste aveva difeso i tencitt con un incantesimo. Tutta Milano moriva, ma in via Laghetto no; e anche a Porta Romana se la passavano bene. Però, lì c’era il diavolo.

    – Il diavolo?

    – Ma sì, il marchese Acerbi. Non avete mai sentito il suo nome? Acerbi era il diavolo. Dicono che Arima conoscesse molte erbe. Possedeva la capacità di guarire le persone malate perché conosceva la proprietà delle erbe. Solo lei parlava con i tencitt, ch’erano tutti orfani e parlavano un linguaggio incomprensibile: lei era l’unica a prendersi cura di loro. Una sera andò a palazzo del marchese Acerbi per una festa, nei giorni della peste. – La vecchia parlava a bocca stretta, gli occhi mobili sul

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