Il teatro antico a Roma
Di Antonio Aste
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Il teatro antico a Roma - Antonio Aste
conoscitivo.
L'organizzazione teatrale
1.1 L'architettura dei teatri romani
Secondo un'antica testimonianza¹ solo in epoca tardo-repubblicana Roma avrebbe conosciuto il primo vero e proprio teatro stabile
in muratura.
Prima di allora le rappresentazioni si tennero all'insegna di una grande provvisorietà e confusione
come è testimoniato da una serie di riferimenti contenuti nelle opere dei commediografi Plauto e Terenzio² dai quali si ricava che gli allestimenti in età arcaica prevedessero una struttura amovibile in legno, in pratica un pulpitum, su cui si svolgeva l'azione drammatica.
Questi veri e propri teatri itineranti erano approntati generalmente nelle adiacenze di edifici religiosi quali il tempio di Apollo e quello della Magna Mater oppure erano innalzati dentro il Circo.
Rispetto al teatro greco, quello romano presenta alcune differenze di rilievo legate al fatto che esso mostra solitamente una pianta semicircolare, è costruito su terreno pianeggiante (non appoggiato ad un declivio, naturale o artificiale, come quello greco), delimitato lungo il suo perimetro da mura di eguale altezza che collegano la càvea (la zona destinata al pubblico e costituita dalle gradinate) con la scena monumentale architettonicamente definita, di fronte alla quale c'è il pulpitum (il palcoscenico) non particolarmente elevato ma assai profondo.
Quest'ultimo elemento non è documentato nell'originario impianto teatrale greco fino al IV sec. a.C. in quanto inizialmente gli attori ed il coro si disponevano insieme nell'orchestra circolare.
Il teatro romano dunque ha una forma chiusa
grazie alla quale, allo scopo di proteggere il pubblico dagli agenti atmosferici, si provvedeva alla sua copertura per mezzo del velarium³.
Quest'ultima caratteristica ci permette a buon diritto di definire gli impianti teatrali romani come il prototipo
dei moderni edifici destinati alle manifestazioni di svago e di intrattenimento.
Gli elementi scenografici sempre presenti nel teatro romano erano i seguenti:
1. Il proscenium, la vera e propria scena su cui gli attori recitavano. Fatta di legno, solitamente raffigurava una via o una piazzetta.
2. La scenae frons, il fondale costituito da una parete dipinta⁴. Essa riproduceva il prospetto di un edificio nel quale si aprivano due o tre ingressi per consentire l'entrata negli interni
agli attori. Per altro, questi ultimi potevano servirsi anche degli accessi laterali: quello a destra, dal punto di vista degli spettatori, indicava la via per recarsi al foro, mentre quello di sinistra rappresentava il cammino per andare al porto ossia i due principali poli di svolgimento della vita socio-politica cittadina.
Alle spalle delle case, le cui porte erano raffigurate sul fondale, era solitamente presente un piccolo vicolo, l'angiportum, che consentiva di arrivare alle abitazioni dal retro, attraverso il giardino⁵.
3. I neé¤aKTom, delle vere e proprie macchine di scena rotanti la cui forma geometrica era quella di prismi triangolari i cui tre lati dipinti raffiguravano rispettivamente: una scena tragica, una comica ed una satiresca.
4.L'auleum, il sipario sconosciuto ai Greci. Sulla sua funzione non c'è unità di vedute fra chi pensa che fosse calato dall'alto per rivelare improvvisamente una nuova scena e quanti ritengono che fosse sollevato dall'alto non allo scopo di distinguere il susseguirsi delle scene ma ad indicare la fine della commedia.
1.2 Gli attori e le compagnie: abbigliamento e maschere
Nel teatro greco la professione dell'attore era oggetto di un riconoscimento sociale, a
Roma invece non si può dire che sia avvenuta la stessa cosa.
In linea di massima si ritiene che lo status degli attori tragici e comici fosse comunemente di medio livello⁶. Essi per lo più erano schiavi o liberti, organizzati in una compagnia itinerante detta caterva o grex a capo della quale vi era un capocomico, il dominus gregis, come lo fu il celeberrimo Ambivio Turpione⁷ che assicurò il successo alle rappresentazioni terenziane.
Altre figure di spicco erano quelle del conductor, il direttore delle prove, e del choragus, incaricato di reperire i costumi e di curare la messa in scena.
Mediamente i membri di queste troupes erano 5 o 6, esclusivamente uomini in quanto alle donne era preclusa la recitazione (fa eccezione il mimo del quale si dirà più avanti), cui si aggiungevano altri personaggi che svolgevano le più svariate mansioni che assicuravano la buona riuscita della messa in scena.
Come in Grecia anche nell'Urbe, in origine, la funzione del primo attore era delegata al drammaturgo ad indicare l'iniziale assimilazione fra le due figure, quella del poeta e dell'attore⁸, che avrebbe portato alla nascita del Collegium scribarum histrionumque⁹ ubicato presso il santuario di Minerva sull'Aventino.
Durante la rappresentazione teatrale¹⁰, gli attori indossavano un abbigliamento appropriato al genere drammatico oggetto della messa in scena.
I più importanti costumi del dramma romano erano:
1. Il pallium, un mantello di lana usato nelle commedie di ambientazione greca dette appunto palliate.
Esso era di squadratura rettangolare e veniva solitamente fissato su di una spalla per mezzo di un gancio. Si poteva indossarlo sopra il cosiddetto chitone ionico (in latino tunica).
2. La tunica, un camice di lino o lana, aperta all'altezza del collo e delle braccia. Era indossata facendola scivolare dalla testa e fissandola con una cintura.
3. La toga, il classico mantello usato dai Romani sopra la tunica. Era impiegata dagli attori per le commedie di ambientazione italica, nominate propriamente togate mentre per i drammi tragici di ambientazione romana si usava la toga praetexta, orlata di porpora.
Per quanto riguarda le calzature, i Romani impiegavano solitamente tre tipi:
1. Le soleae, sandali leggeri fermati da cinghie e lacci, detti anche crepidae.
2. I socci, ciabatte prive di chiusura.
3. Il cothurnus, un alto calzare simile ad uno stivaletto indossato nelle tragedie di derivazione greca¹¹.
Controversa e di difficile lettura la questione riguardante le origini e l'effettivo utilizzo della maschera nel mondo teatrale romano: se da un lato, infatti, non sembrerebbe esservi dubbio sull'originaria derivazione di questo accessorio dalla civiltà etrusca¹², appare più arduo stabilire con certezza se i Romani ne abbiano fatto sempre ricorso¹³.
Realizzate in legno o tela, le maschere ricoprivano l'intera testa - ad imitazione del teatro greco - ed erano munite di capelli artefatti. I tratti somatici presentavano una forte accentuazione allo scopo di caratterizzare nel modo migliore il personaggio interpretato dall'attore.
1.3 La componente metrico-musicale
La musica¹⁴ doveva essere sicuramente un elemento rilevante nella messa in scena dei drammi comici e tragici, ma essa è andata completamente perduta non consentendoci un'approfondita conoscenza di questo importante aspetto della storia del teatro romano¹⁵.
Il tibicen accompagnava col suono del proprio flauto, per mezzo di appropriate melodie, l'interpretazione degli attori tanto nelle parti recitate (deverbia) quanto in quelle cantate (cantica), fatta eccezione per quelle in senario giambico.
Lo strumento musicale era la tibia, un flauto in osso che poteva essere semplice o doppio, costituito in pratica da due tubi di lunghezza variabile. Si distingueva in dextera e sinistra a seconda dell'impugnatura o del lato della imboccatura.
Tale indicazione equivaleva a designare il diverso tono dello strumento, rispettivamente alto
e basso
: i suoni più gravi, riprodotti con tibie di uguale lunghezza, si addicevano maggiormente alle parti serie
della commedia, mentre per le sezioni più comiche del dramma si confacevano i suoni più acuti, ricavati con tibie di diversa estensione.
L'introduzione musicale finì con il produrre la convenzione per la quale il pubblico, prima dell'entrata del personaggio, potesse già intuire lo svolgersi degli avvenimenti. Spesso il musico restava in scena per tutto il tempo della rappresentazione accompagnando i movimenti e gli spostamenti dei personaggi sulla scena.
Per quanto concerne l'aspetto metrico¹⁶, si può osservare questo tipo di distribuzione:
• Senari giambici
Erano usati senza eccezioni nei prologhi ma anche in alcune sezioni interne dei drammi comici come nei racconti dei sogni, nella lettura di atti documentari e in scene ispirate alla follia.
• Settenari trocaici
Abitualmente collocati negli epiloghi o in ogni modo nelle scene conclusive.
• Ottonari giambici
Adatti specialmente nei monologhi, contribuiscono a far emergere il carattere dei protagonisti.
• Metri lirici
In particolare i cretici, i bacchei e gli eupolidei. Vengono usati allo scopo di arricchire il pathos della vicenda.
1.4 Il pubblico e gli agoni drammatici
Come avveniva ad Atene, anche nell'Urbe la partecipazione alle rappresentazioni teatrali coinvolgeva indistintamente tutti, senza preclusioni di alcun genere.
La fondamentale differenza tra le due civiltà è data dal fatto che in Grecia il teatro aveva una finalità paideutica che Roma ignorava. Del resto era impresa ardua attirare l'attenzione degli spettatori spesso distratti
dagli spettacoli circensi e dalle esibizioni dei giocolieri che si svolgevano in contemporanea nei ludi e su cui torneremo più oltre.
Chiariamo subito che il pubblico cui si fa qui riferimento era quello delle commedie, il quale mostrava una certa qual predilezione per le opere caratterizzate dall'intreccio amoroso, dagli scambi di battute arricchiti da un linguaggio licenzioso, dalle scene movimentate impreziosite da una policromia stilistica e da una notevole varietas metrorum.
Tutte queste peculiarità appartengono in special modo al teatro plautino e ci aiutano a comprendere il maggior successo e riscontro di pubblico avuto dal Sarsinate rispetto a Terenzio la cui opera appariva ai contemporanei troppo evoluta
e raffinata, difficilmente comprensibile nell'analisi degli aspetti introspettivi che giustificherebbero la definizione di psico-drammi
applicabile al suo repertorio teatrale.
A Roma, come nel mondo greco, le rappresentazioni drammatiche avvenivano in concomitanza di festività di carattere religioso.
La principale differenza risiedeva nel fatto che, al contrario di quanto accadeva ad Atene, nell'Urbe la collocazione dell'attività teatrale nell'ambito dei riti divini era semplicemente un'operazione priva di valenze religiose.
I Romani consacravano alle varie divinità del pantheon, nel corso dell'anno, dei giorni prestabiliti, nel corso dei quali allestivano, oltre alle rituali celebrazioni, anche gli spettacoli teatrali, che fossero ornamento e completamento di quelle stesse festività religiose.
C'era dunque un calendario prestabilito per questi festivals, detti Ludi cui si accompagnava un aggettivo che derivasse o richiamasse in qualche modo la divinità ricordata¹⁷.
L'allestimento di questi ludi era affidato a dei magistrati per lo più gli aediles o i praetores urbani¹⁸.
Nel corso dei suddetti ludi, non c'erano solo gli spettacoli teatrali ma anche tutta un'altra serie di manifestazioni di grande interesse e partecipazione popolare: le corse dei carri, i combattimenti dei gladiatori, venationes e naumachie, spettacoli di acrobazia e danze.
Di seguito si riporta l'elenco dei principali ludi che si tenevano nell'Urbe.
• I ludi Romani, di antichissima istituzione, si celebravano in settembre, in onore di Giove Ottimo Massimo, nel Circo Massimo, sotto l'egida degli edili curuli.
• I ludi plebei, istituiti nel 220 a.C., si svolgevano in novembre nel Circo
Flaminio in onore di Giove, per commemorare la riconciliazione del patriziato con la plebe, dopo la famosa secessione dell'Aventino.
Dal 200 a.C. vi furono introdotte le rappresentazioni drammatiche, inaugurate con lo Stichus di Plauto. Vi sovrintendevano gli edili plebei.
• I ludi Apollinares, istituiti nel 212 a.C. si tenevano nel mese di luglio presso il tempio di Apollo (per commemorarne un oracolo) e furono arricchiti sin dall'inizio da spettacoli scenici; alla loro organizzazione era preposto il pretore urbano.
• I ludi Megalenses, in onore della Magna Mater, istituiti nel 204 a.C. e collocati nel mese di aprile. Vi furono