Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Il Porto Magico
Il Porto Magico
Il Porto Magico
Ebook253 pages2 hours

Il Porto Magico

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Questo libro un po' guida, un po' racconto di esperienze sul campo, un po' album fotografico è una risorsa essenziale per chi vuole conoscere una delle regioni più incontaminate, perciò più affascinanti, del mondo-Egitto: il Deserto Orientale, che si snoda con i suoi aspri rilievi lungo le coste del Mar Rosso; e un' antichissima città portuale, il Quseir, che da due decenni ha visto ricomparire, dopo mezzo secolo, masse di stranieri curiosi.

Non si tratta più di pellegrini del Medioevo o di soldati napoleonici, e neppure degli Italiani che nei primi anni del '900 si stabilirono in queste terre remote, fra il deserto e il mare, per estrarne i fosfati, indispensabili all'industria bellica dell'epoca.

Si tratta di turisti, alla scoperta di un mare che offre la possibilità di straordinarie immersioni e di snorkeling alla portata di tutti, alla conquista di un po' di spensieratezza, magari condita da emozionanti escursioni in un deserto disseminato di mistero, ricco di archeologia, miniere di smeraldi, iscrizioni rupestri... O ancora alla ricerca di una vacanza originale che alterni, al soggiorno in un villaggio turistico del sud, tra Safaga e Marsa Alam, lo stupore indelebile che suscitano i templi della Valle del Nilo.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 12, 2021
ISBN9791220326674
Il Porto Magico

Related to Il Porto Magico

Related ebooks

Related articles

Related categories

Reviews for Il Porto Magico

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Il Porto Magico - Maurizio Rossi

    Shadhly.

    Tra il deserto e il mare

    Si prova rispetto per questi paesaggi intatti, che non ci hanno domandato nulla, che farebbero volentieri a meno della nostra presenza e che sono là comunque, semplicemente maestosi.

    Théodore Monod

    A est della valle del Nilo le colline si innalzano sempre più verso oriente, fino a diventare una catena di montagne dai fianchi ripidi e aguzzi: sono i Monti del Mar Rosso, noti anche come Montagne Cristalline per la loro natura geologica, essendo composte da rocce magmatiche spinte in alto dal processo di apertura della grande frattura del Mar Rosso, ancora in corso.

    L'intera area a est del Nilo è nota anche come Deserto Arabico Orientale, che si estende a sud di Suez fino al Deserto Nubiano, in Sudan.

    Il deserto e la vita

    Con il nome di Deserto Orientale, o Deserto Arabico, si designa tutto il territorio dell’Egitto africano compreso tra la Valle del Nilo a ovest e la costa del Mar Rosso a est, un’area di oltre 222.000 chilometri quadrati ricca di fascino per i suoi paesaggi maestosi e le sue innumerevoli ricchezze archeologiche ancora in gran parte celate dal tempo e dalle distanze: incisioni rupestri di cacciatori preistorici, iscrizioni di scribi egizi, greci e romani, cave di selce, miniere d’oro, rame e smeraldi, villaggi minerari, fortini e caravanserragli, stazioni di sosta, torri di guardia…un mondo misterioso, che riserva sorprese emozionanti a innumerevoli esplorazioni future. La catena del Deserto Orientale si sviluppa in direzione nord-sud da Suez al confine col Sudan e dalla Valle del Nilo si eleva sempre più verso est: vista dall’alto è una selva nera di creste sinuose e aguzze, fra cui serpeggiano bianche le striature dei widian, i fiumi preistorici che l’attraversano; vista da terra appare come una vasta spianata ondulata, più a nord, o un labirinto roccioso le cui gole si stringono fino a divenire stetti passaggi di pochi metri, verso sud. Le alture, elevandosi a est, creano i monti del Mar Rosso, che raggiungono la massima altitudine nei 2.187 metri el Monte Shayb al Banat (che significa i capelli bianchi delle ragazze), circa 40 chilometri dalla costa fra Safaga e Hurghada. Sessanta milioni di anni fa immani sollevamenti portarono alla luce le radici dei più antichi rilievi, e affiorarono scisti, rocce granitiche e altre rocce ricche di minerali e pietre rare, note con il nome generico di zoccolo o basamento cristallino, prodotti che gli Egizi cercheranno milioni di anni più tardi. La catena del Mar Rosso deve il suo sviluppo a una serie di eventi spettacolari che iniziò a prodursi nel Pliocene, periodo che va da sette fino a tre milioni di anni fa: i continenti africano e asiatico cominciarono a separarsi e i relativi movimenti tettonici diedero origine a un complesso sistema di fratture e di sprofondamenti che sono visibili dal Tauro allo Zambesi; di questo sistema fanno parte la Valle del Rift africano e il Mar Rosso. L’allargarsi della frattura spinge sempre più in alto le terre ai lati, in un effetto a schiaccianoci che sta creando le catene dei Monti Cristallini. Per milioni di anni l’erosione ha scavato valli profonde che si trasformarono in fiumi, i quali drenavano sia nel Mar Rosso sia nel Nilo, di cui furono affluenti fino a quando il clima non cambiò, verso il 3500 a.C, disseccando quei fiumi che oggi sono noti come wadi (widian al plurale), valli desertiche e prosciugate che si ritrasformano in corsi d’acqua solo in occasione delle rare piogge.

    Questa terra di rocce e sabbia fu frequentata da sempre: cacciatori nomadi dalla preistoria, che poi divennero commercianti e guerrieri, i Mediai, noti agli Egizi e a loro sopravvissuti con il nome di Beja, sono le odierne tribù che popolano il sud del Deserto Orientale. L'interesse degli antichi Egizi per questa parte dell'Africa orientale e per le coste del Mar Rosso era determinato dalle ricchezze minerarie e dai commerci d'oltremare. Strabone diceva che lungo questo istmo, così infatti chiamava il deserto compreso fra la valle e il mare, sono miniere di smeraldo e di altre pietre preziose che gli arabi cavano per mezzo di cunicoli molto profondi. Ma gli Egizi traevano da questo deserto soprattutto la pietra per i loro monumenti. Tutto il Deserto Orientale fu da loro sfruttato e, più tardi, dai Nubiani: la sua esplorazione procede lentamente e gran parte del territorio è inesplorato, specie a sud del Quseir. Le ricerche archeologiche hanno messo in luce come le attività egizie fossero molteplici e diffuse su tutto il territorio. Fra le missioni archeologico-esplorative è doveroso citare quella di Bongrani nell‘area di Wadi Hammamat, per la catalogazione e la ricerca di nuove incisioni rupestri, e quelle del Centro Studi Luigi Negro, che vanno da Wadi Sannur, a nord, fino alle lontane distese del Sudan; la missione coordinata da Damiano-Appia nel 1992, ha rinvenuto un grande numero di siti di epoca romana, fra cui molti hydreumata, cioè stazioni di sosta fortificate lungo le carovaniere dotate di un pozzo, di solito posizionato nella corte centrale, generalmente quadrate, con gli spigoli orientati lungo un'asse nord-sud. A Wadi Semna e Wadi Wassif, tra Quseir e Safaga (l’etimologia di safa-ga riporta al termine polvere, safa, trasportata da un vento forte saga), sono state trovate miniere d'oro e un vasto villaggio minerario. Infine, ancora più a nord, sono i celebri siti di Mons Claudianus e Mons Porfirites: il primo comprende le vaste cave di granito, ove giacciono sparse grandi colonne incompiute e blocchi; la vasta città mineraria, completa di templi, mura e abitazioni, è costruita in granito locale; Il secondo sito dà il nome al porfido, la nota pietra dura: anche qui i Romani sfruttarono i Monti Cristallini per l'estrazione della pietra usata nei loro monumenti più importanti. Altre recenti esplorazioni sono state effettuate nelle miniere di Gebel Zeit, in Wadi Dora e nelle miniere di Wadi Monqi.

    La presenza di antiche carovaniere è attestata in tutta l’immensa area desertica della Nubia, tra Egitto e Sudan, nel cuore della quale, a sud della provincia di Marsa Alam, troviamo l’area protetta di Gebel Elba, 35.600 kmq di zona militare, la più vasta del paese: si tratta di una regione caratterizzata da un’incredibile varietà di ecosistemi, estesa per oltre 150 chilometri sia lungo la costa che verso l’interno, il cui picco più alto, il Monte Elba per l’appunto, con i suoi 1437 metri s.l.m è la più alta cima della catena granitica meridionale, prolungamento a sud dei Monti Cristallini, lungo la costa del Mar Rosso. L’area protetta di Jebel Elba è un insieme straordinario di pianure desertiche, dune sabbiose, paludi e foreste di mangrovie, isole coralline, arricchito da un’insolita varietà di specie di piante per questa latitudine, oltre 450, e un’impressionante presenza faunistica: 40 specie di uccelli, tra i quali gli struzzi, 30 specie di rettili e numerosi mammiferi, fra i quali il dugongo, sempre più raro nel Mar Rosso. Così come sempre più rare, nel Deserto Orientale, sono le piogge, fatto che rende vulnerabile l’ecosistema e con esso la vita dei nomadi bishariin dei widian meridionali. Una importante carovaniera attraversava queste terre fino all’alto Medioevo per collegare il porto di Hala’ib a Wadi Barramiya, la valle che funge da accesso più diretto al mare per chi proviene da Edfu, Daraw o Aswan, passando alle spalle dell’attuale cittadina di Marsa Alam, un porto di pescatori e minatori che fino al 1999 contava 6000 abitanti, situato 270 chilometri a sud di Hurghada, 132 chilometri dal Quseir e 64 chilometri dall’aeroporto, e il cui nome significa letteralmente baia delle bandiere. I minatori erano impiegati alle locali cave di marmo, granito e fosfati, mentre i Bishariin nomadi o seminomadi si occupano ancora oggi di pastorizia. Anche gli Ababda, l’altra etnia beduina che popola il Deserto Orientale centro-meridionale e che ancor più dei Bishariin tende a sedentarizzarsi, detti un tempo ittiofagi o nomadi pescatori, parlano un dialetto tebdawi, detto badawit, imparentato sia con l’arabo che con il dialetto nubiano dei Bishariin. Come questi ultimi, gli Ababda che vivono più all’interno nelle aree del Jebel(1) Shayb al-Banat (appartenenti alla tribù Ma’aza, conosciuta come Bani(2) Attia, composta da circa mille individui che vivono in un’area di quasi 90.000 chilometri quadrati) e del Jebel Elba sono allevatori di capre, dromedari e talvolta pecore, oltre che cacciatori-raccoglitori: per quest’ultima attività utilizzano soltanto trappole e pietre, oltre alle mani, e vivono in rifugi, detti kisha, costruiti dalle donne a una certa altezza dal fondo valle per evitare le improvvise inondazioni. Tali abitazioni provvisorie tendono a scomparire a nord di Jebel Elba per essere sostitute dalle tende, e sono considerate proprietà privata delle donne: a loro spetta la responsabilità della manutenzione e della pulizia. Vengono costruite con rami intrecciati, e i tetti sono di stoffa, spesso di lana di capra e dromedario, raramente di pecora. Gli Ababda sono probabilmente i primi abitatori del Deserto Orientale e discendono dalla tribù dei Begga, convertitasi all’Islam intorno al primo secolo dell’Hegira. A loro volta i Begga hanno origini comuni con i Beja del Sudan, della Somalia e dell’Etiopia, in pratica di tutta la fascia desertica dell’Africa nord e centroorientale. Ma discendono anche dalle prime tribù arabe che si insediarono qui, e sono il prodotto della mescolanza socio- culturale tra popoli semiti e camiti. La lontana parentela dei dialetti locali con il gheez axumita e quella più vicina con l’arabo ne sono testimonianza. Gli stessi Beja sono camiti che hanno adottato nei secoli una lingua, o meglio un complesso di dialetti semiti.

    (1) Jebel significa monte

    (2) Bani sta per figli di, discendenti di, e precede normalmente i nomi dei clan e delle tribù nomadi

    Quando gli Ababda devono risolvere un conflitto giuridico, ancora oggi si rivolgono agli sheikh, gli anziani della comunità, o ai capi tribù, aprendo così un arbitrato: le parti espongono il caso ognuno dal proprio punto di vista e lasciano la decisione finale nelle mani del consiglio, o della singola autorità se si tratta di una questione non grave. Alla fine della sessione il consiglio degli anziani, il capo o i capi tribù (se ne sono coinvolte più d’una) dichiarano la decisione finale: il soggetto responsabile del danno altrui dovrà pagare una quota in dromedari o altri beni.

    Gli Ababda si dividono in quatto gruppi tribali: al-Gamilia, al-Fokra’a-Milkab, Abodeen-Shanateer, al-Ashabab. Le famiglie che vivono nell’area a sud di Marsa Alam sono una quarantina, appartenenti a diverse tribù: nei territori di Wadi Jimal e dei suoi tributari, Wadi Ghadeer, Abu Ghasun e Qulan vivono 15 famiglie di pastori, guardiani delle cave e delle antiche miniere di smeraldo, produttori di carbone di legna. Appartengono ai clan Zidab, Kergab e Nafi. All’imbocco di Wadi Jimal due di queste famiglie vivono di pesca e turismo: i loro ragazzi sono ottime guide per raggiungere l’interno del Parco Nazionale di Wadi Jimal (Wadi Nugrus, Wadi Sikket, Gebel Zabare) e il più celebre complesso minerario del mondo antico, le miniere di Cleopatra, meglio conosciute come Mons Smaragdus. Lo smeraldo, simbolo di eternità e potere, è la più antica gemma conosciuta. Nell’area di Hamata, lungo la costa e nei pressi di Qulan vivono di pesca e di turismo una ventina di famiglie, appartenenti ai clan al-Okda, al-Kamilab, al-Nafi, al-Kergab. Alcune famiglie appartenenti a quest’ultimo clan vivono in Wadi Rada, nei pressi dell’omonimo pozzo: sono pastori e producono carbone di legna.

    Nel Parco Nazionale di Wadi Jimal si trova anche un piccolo museo dedicato alla cultura ababda, dove è esposto il materiale raccolto tra il 1994 e il 2001 da una équipe di archeologi e di abitanti del luogo durante i lavori di scavo al porto di Berenice Trogloditica.

    Proseguendo lungo l’antica carovaniera in direzione ovest, verso la Valle del Nilo, si giunge a imboccare

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1