Regina
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Letteratura - romanzo breve (59 pagine) - Liberamente ispirato alle vicende della nuotatrice tedesca Franziska Van Almsick, un racconto appassionante, tra record del mondo infranti e muri che crollano.
Berlino, agosto 2002. Sono trascorsi 2888 giorni da quando Franziska Van Almsick ha stabilito a Roma il record del mondo dei 200 metri stile libero. In questo lungo lasso di tempo, la carriera della nuotatrice tedesca ha vissuto di alti e bassi ma nella sua città natale ha l’opportunità di compiere un’impresa unica nella storia del suo sport: abbassare il proprio primato a distanza di quasi otto anni. Intrecciando realtà e fantasia, Remo Borgatti ci porta sia nella piscina della Landsberger Allee sia nella testa della protagonista per seguirne in parallelo la gara e la vita. Il ritratto di una donna che ha sfidato il tempo per ritrovare se stessa, nella suggestiva cornice di un mondo destinato a cambiare per sempre.
Remo Borgatti è nato a Ferrara nel 1963. Appassionato di ogni tipo di sport, ha pubblicato con Effepilibri tre volumi di tennis: Era Open (2008), Rocket Man (2012) e Il Masters (2017). Ha inoltre collaborato alla stesura del volume Federer Nadal Djokovic. I dominatori del tennis (2020) edito da Edizioni Cento Autori. Nel 2020 ha pubblicato con Oakmond Publishing il suo primo romanzo giallo, dal titolo Il mostro sacro.
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Regina - Remo Borgatti
sacro.
1
– Regine Samlick!
Il giudice addetto ai concorrenti scandisce il mio nome e cognome, gli consegno il tesserino e salgo a bordo della barca.
Quello della barca era il gioco che preferivo da bambina. Non potevo farlo sempre; solo la domenica e i giorni di festa, mentre aspettavo che le campane della vecchia chiesa spezzassero la catena di quiete che il mattino si era portato appresso dalla notte appena svanita.
Mi svegliavo presto – mi sono sempre svegliata presto – e ogni volta consentivo alla vita di impossessarsi nuovamente dei miei sensi. Ero riuscita, col tempo, a personalizzare un processo di ritorno alla realtà che credevo fosse esclusivo e che non volli condividere con nessuno per anni e anni, finché Gertrud, la mia migliore amica, mi confessò che pure lei adottava un metodo simile. Fu così, non senza delusione, che smarrii quel beato senso di resurrezione.
Ma torniamo alla barca.
Dopo aver preso coscienza del mio corpo e del modo in cui era disposto nel letto, afferravo Billo, il cane di pezza, e sottovoce gli intimavo di precedermi sulla barca. Poi salivo anch’io, mollavo gli ormeggi – termine che avevo rubato da un libro di avventura – e lasciavo che il letto, trasformato in una minuta ma solida barchetta, prendesse il largo.
Il segreto, perché non mancano mai i segreti nel mondo di ogni fanciulla, stava tutto nella coperta, che mamma Eva mi rincalzava stretta stretta la sera e così rimaneva fino al mattino. Era la coperta a proteggerci, in mare aperto, a me e a Billo, fedele compagno di viaggio. Nella barca ero invulnerabile e non avevo paura di niente.
Non di Black, il piccolo (ma in carne, ossa e pelo) cane del macellaio che sostava sul marciapiede in fondo alla strada e sembrava attendere solo il mio passaggio per sollevarsi di scatto sulle zampette e mettersi a ringhiare.
Non del signor Probst, il vedovo della signora Rahn, quella che leggeva le carte ai vicini e non era riuscita a vedere in tempo la Mercedes che l’aveva investita mortalmente a due passi da casa. Il signor Probst, dicevo, non aveva mai fatto nulla per spaventarmi ma erano le sue sopracciglia, bianche e lunghe e cispose, a rendermi inquieta.
– Ciao Regine – mi diceva, quando transitavo davanti al suo giardino. Io abbassavo la testa e acceleravo l’andatura, con il cuore che spingeva alla base della gola per balzare fuori dal petto. Povero signor Probst, chissà cosa pensava quando cercava inutilmente di essere gentile e riusciva solo a farmi scappare? Se ne stava ricurvo sui suoi fiori, greve eredità di una vedovanza mai abbastanza sofferta, con le gambe a cavallo di un’aiuola.
È così che lo ricordo ora, il signor Probst. E capisco adesso, solo adesso, quanto sono stata ingiusta con lui.
I demoni del mio presente di bambina – avevo sette anni quando feci la scoperta – non potevano salire sulla barca; nemmeno potevano avvicinarsi. C’era l’acqua a proteggerci. Il mare, nelle mie fantasie, era il custode segreto di forze misteriose. Mare che, però, avevo toccato con le mani una sola volta fino a quel momento, ed era successo l’estate precedente, quando zia Martina aveva invitato tutta la famiglia a recarsi in visita da lei a Rostock, per presentarci il suo nuovo compagno: un assicuratore danese di nome Bjarne.
Non ricordo altro di quell’episodio tranne la sensazione di smarrimento e magia che provai sulla spiaggia, nel vano tentativo di delimitare i confini di tanta immensità. La sabbia tra le dita, il vento nei capelli, la schiuma delle onde che spariva in un attimo, subito rimpiazzata da altra schiuma e altre onde. Forse fu quel giorno, quell’unico giorno di mare, a inculcarmi il seme della barca.
Beh, sarei nel falso se volessi far credere che la storia della barca funzionava sempre. In principio sì, funzionava eccome; ma in principio i demoni non avevano consistenza. Erano figure indistinte, eteree: erano il buio, il freddo, i fantasmi che non avevo mai visto né sentito, erano mostri senza denti e senza unghie ma con occhi enormi e cattivi, terribili. Poi, con inesorabile lentezza, le cose cambiarono e imparai a mie spese quanto i peggiori incubi non siano affatto gli abitanti del sonno e dell’inconscio, bensì quelli che sentiamo, vediamo e avvertiamo mentre siamo svegli.
Ma sto correndo e non è tempo di correre, meno che mai quando correre può significare fuggire. Ho bisogno di agire sull’interruttore e recidere ogni collegamento con il mondo. Sulle montagne russe della mia vita ho imparato a trattare gli episodi in questo modo: li faccio a pezzi, li scindo, li isolo dal contesto, li giudico, decido. Così, nello stesso ordine in cui sono citati.
– Laura Roca!
La ragazza al mio fianco tende il braccio verso il giudice e un attimo dopo torna a sedersi. È spagnola, non ha nemmeno vent’anni e i suoi occhi neri vagano smarriti per la stanza, senza soffermarsi su alcun punto. Vorrei sorriderle, vorrei farle capire quanto comprenda la sua emozione. Ma ho già spento e la gelida consapevolezza che si è impadronita della mia volontà impedisce alcun contatto con l’esterno.
La barca ha preso il largo.
Fuori, nel mucido catino della Schwimm– und Sprunghalle, l’altoparlante copre il brusìo con le note echeggianti di Chariots of fire, il motivo scelto dagli organizzatori per introdurre i concorrenti che prendono parte alle gare di finale. Ben presto il brulicare della folla diviene agitazione, impazienza, attesa, fragore di trombe