Il libro del profeta perduto
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Il libro del profeta perduto - Vincenzo Capodiferro
Gianpi
PREFAZIONE
Vincenzo Capodiferro è nato a Lagonegro, in Lucania, nel 1973. Ha frequentato il Seminario Pontificio di Potenza - Liceo Classico - e poi si è laureato a Roma, presso l’Università La Sapienza
, in Filosofia nel 1999. Fin dall’infanzia ha condiviso col fratello Egidio la passione letteraria. Ha collaborato con diversi periodi locali in Basilicata. Il primo studio storico è Una domenica di sangue
sui moti legittimisti del 1860, uscito nel 2002, in questo seguito da Antonio Motta e da Tommaso Pedio. Antonio Motta poi, prima di morire, gli aveva affidata la traduzione di una lettera in latino di Giacomo Castelli, carbonense. Purtroppo la morte improvvisa del maestro ha lasciato nel vuoto il suo discepolo. Non sentendosi però di lasciare al buio tutti gli sforzi di questo amato storico lucano, ha provveduto a far pubblicare questo lavoro Da Napoli a Taranto. Diario di viaggio di un uomo del Settecento. La lettera di Giacomo Castelli a Giovanni Bernardino Tafuri del 1733
, uscito in Nugae
nel 2008. Poi sempre su consiglio dell’ingegnere Antonio Motta, che allora abitava a Potenza, ha seguito uno studio sull’illuminista Nicolas-Antoine Boulanger, uscito nel 2006: La dittatura di Dio
. Seguono altri studi storici apparsi in Archivio Storico per la Calabria e la Lucania: Il Lagonegrese borbonico
(2009). Poi si trasferisce a Varese e trai primi lavori viene impressionato da un’antica tesi di laurea su Giorgio Gemisto Pletone. Ne esce uno studio, dal titolo La città di Giove
, uscito nel 2010. Poi segue tutta una serie di studi teologici, filosofici e di spiritualità, tra cui Noetica
, prima edizione nel 2014, e Tractatus psycho.phaenomenologicus
(2018). Tra le ultime opere si segnalano: Noetica
(2019), seconda edizione; Conchita
(2019); Natural-mente. Corso di psicogenia fisiofrenica
(2019); Grande Lettera di Ilarione ai suoi figli
(2019); Il codice dell’Amor divino
(2020); Tali padri tali figli
(2020); Il principino abbandonato
(2020). Alcune sue fiabe e saggi antropologici - come Il chicco d’oro
- sono inseriti nel Museo italiano dell’immaginario folklorico
, sezione Saggi. È stato inserito nell’antologia de’ L’aviatore delle fiabe
(2019), nonché nell’antologia curata da Tomolo editore La Regina Matilde ed altre storie
(2020). Insieme agli allievi del Liceo Frattini di Varese ha curato la raccolta di proverbi Massime Sicule
, uscite in Tradizioni di Sicilia
- 22 giugno 2019.
Il libro del profeta perduto
, racconta la storia della famiglia di Adamito Nikodemicos, un ebreo internato a Treblinka, nel 1943. La storia prende le mosse dal Natale del 1942, quando le mostruose SS concedono una tregua, come nel Natale del 1914, nella Grande Guerra. Gli antichi compagni d’arme che avevano fatto la prima guerra mondiale insieme, si rincontrano e rievocano quel miracolo: dalla trincea al lager! Ma un altro miracolo sta per succedere a Treblinka, miracolo che gli annali non hanno riportato, perché scomodo: Adamito essendo un discendente dei Titani, intanto vive molto di più di un comune mortale, egli infatti, è nato nel 1348, ma resiste alla morte. Cioè non muore se non per morte naturale dopo almeno 1000 anni. Alcuni discendenti dei Titani giungono fino a 1300 anni. Il miracolo è che né Adamito, né la figlia Rebecca muoiono col gas, né con le fiamme. Intanto era giunto a Treblinka un giovane psichiatra, Nikolaus Prinkula. È un giovane brillante, ma folle, il quale espone le sue strane teorie sulla razza e soprattutto assiste psicologicamente i deportati, preparandoli alla morte. E qui accade un altro miracolo, perché le SS rimangono ammaliati dai discorsi di Prinkula e dal modo come egli stoicamente riesce a far sopportare le sofferenze e la morte ai deportati. Molti delle SS di fronte a questo miracolo piangono e si addolciscono. La fama di Prinkula diventa nota in tutto il lager ed anche esponenti delle SS vanno a cura da lui, come il maggiore Hohenstoufen. Dopo il miracolo di Adamito il medico di campo Erbert fa sparire lui e sua figlia e lo conduce a Hitlerberg, una città sotterranea nella Foresta Nera. Anche Prinkula viene fatto sparire e condotto al castello del maggiore Hohenstoufen. Intanto cade il Terzo Reich. Hitler apparentemente si suicida, ma in realtà non è lui, è un sosia. Il vero Hitler raggiunge l’Argentina e sposa Eva. Il figlio Alois poi stranamente verrà a conoscere Rebecca e si sposeranno, dando luogo alla vera razza ariana.
Lo stile è molto discorsivo e tende a teorizzazioni intrinseche ed a molti spazi di riflessione morale. È un romanzo filosofico e morale quello che viene proposto, la cui lettura è certamente meditativa, ma in compenso la complicata struttura logica viene alleggerita da un discreto numero di battute. Il pubblico cui viene proposto, comunque, non è solo colto. La riflessione forte è sull’irrazionalismo della razza umana, il quale vien cercato di spiegare dalle strane teorie del Dottor Prinkula, secondo cui le tendenze di fondo della natura umana, vanno cercate proprio nella natura e nella divisione originaria tra erbivori e carnivori, sadici e masochisti. Il confronto quindi diventa tra carneficisti
e vittimisti. Adamito è l’eccezione della Natura. Una variante della trama iniziale del romanzo era l’ambientazione in un altro campo, quello degli Ustascia a Jasenovac, col francescano Majstorovic, ma poi è stato scelto il lager di Treblinka per maggiore comodità. Tutto il sottofondo del lager, infatti, compare poco, ciò che emerge è solo la particolare personalità di Adamito: tra l’altro sono state inserite due storie che egli racconta ai bambini del lager.
Capodiferro Egidio
I - ABRAMO, ABRAMO! PRENDI TUO FIGLIO!¹
Nevica sulle baracche di Treblinka. È la notte di Natale del 1942. I sadici esecutori delle SS hanno concesso una breve tregua d’amore. Non manca qualche cuore buono neppure trai demoni. Hanno concesso un po’ di pane secco, qualche galletta proprio come nella prima guerra. Accade proprio come quella fatidica notte di Natale del 1914: la tregua di guerra. Treblinka è circondata da boschi. È diventata una selva oscura, che accoglie coloro che giungono «nel mezzo del cammin di nostra vita». Così dice il profeta: «A metà dei miei giorni me ne vado, sono trattenuto alle porte degli inferi per il resto dei miei anni. Dicevo: «Non vedrò più il Signore sulla terra dei viventi, non guarderò più nessuno tra gli abitanti del mondo»»².
- Perché Signore ci hai abbandonato? Perché ti sei arrabbiato con noi? Forse ti abbiamo tradito? Abbiamo lasciato morire il tuo Figlio che era venuto in mezzo a noi per salvarci? Da allora non abbiamo preso mai più pace… Scusaci! Scusaci! Questa è la nostra colpa! Questa è la nostra colpa! Diccelo!
Così gridava Rabbi Isaia Maliconoveriskji. Era la notte di Natale del 1942. Gli reggevano quelle scarne braccia i compagni come a Mosè, quando combatteva Giosuè contro Amalek.
- Noi non siamo più esseri umani, né bestie, non siamo più nessuno. Siamo un nulla, come zombies che camminano. Siamo come agnelli destinati al macello, all’olocausto: «Maltrattato si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca»³.
Se esistono gli oltre-uomini: ecco, più oltre-uomini di questi? Ecce ultra-hominem! Sono larve umane, subumani, hanno perso tutto, hanno consumato la più totale alienazione. Donde può giungere tanto male al mondo? Arriva Ivan il Terribile⁴, il suo volto è esanime, amorfo, i suoi occhi sono spenti, il Male si è impossessato ormai di lui, non ragiona più: è parte della massa dei dannati viventi della regina Morte. La Natura qui è tutta contaminata: il cielo partecipa del pianto antico. L’aura maligna circonda ogni essere. L’atomo opaco del male
viene disintegrato da una fatidica reazione a catena. L’aere è plumbeo. Il muro di nebbia asconde il popolo ammassato, gassato, bruciato. È il sacrificio a Dio. È l’olocausto dei Nazorei. L’incenso dell’olocausto sale al cielo, ma grida vendetta contro i discendenti di Caino: - Dov’è tuo fratello Abele? Non uccidete Caino! Il fuoco consuma eterno le vittime. Ecco la Gehenna! Questa è la Gehenna: qui si sacrificano i bambini a Moloch, il gigante Moloch, che mangia carni umane, arrostite. Come si può arrivare a tanto?
Eppure in questa precarietà sussistono i discendenti di Elim, cantato dal profeta Meon. Essi sono immortali. Non li uccide il gas, né il fuoco. Resistono alla morte imperterriti.