Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

I poteri di Matilde
I poteri di Matilde
I poteri di Matilde
Ebook498 pages7 hours

I poteri di Matilde

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Matilde, figlia di ricchi imprenditori e residente a Milano, è una bambina che possiede il dono della leadership, tanto forte da sfociare in manifestazioni sovrannaturali. Nel 2000, a soli quattro anni, Matilde perde la madre e il suo enorme potere sfugge al suo controllo. Spaventati dalle possibili conseguenze, Susanna (la tata di Matilde) e i suoi due migliori amici, Astrid e Qiang, sottraggono i poteri alla bambina tramite un gioco, promettendo di restituirli al compimento dei suoi diciotto anni. Nel passaggio, il potere della leadership si scinde in tre dimensioni: Susanna ottiene la diplomazia, Qiang la compassione, Astrid la persuasione.
Nel 2016, Matilde ha vent’anni e sta uscendo da una comunità di recupero per trasferirsi a Parigi e iniziare l’università. Non possiede poteri né ricorda di averne avuti. Nel frattempo, Susanna è diventata ambasciatrice, Qiang medico e Astrid è candidata alla presidenza degli Stati Uniti con un programma populista e razzista.
Sarà un percorso difficile, quello di Matilde, per acquistare consapevolezza di sé, dei poteri che le appartengono di diritto e per capire chi le sia veramente amico e le voglia bene.
LanguageItaliano
Release dateMar 10, 2021
ISBN9788855391153
I poteri di Matilde

Related to I poteri di Matilde

Titles in the series (30)

View More

Related ebooks

Fantasy For You

View More

Related articles

Reviews for I poteri di Matilde

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    I poteri di Matilde - Mara Fallini

    Mara Fallini

    I poteri di Matilde

    EEE - Edizioni Tripla E

    Mara Fallini, I poteri di Matilde

    © Edizioni TriplaE, 2020

    Prima edizione

    ISBN: 9788855391153

    Collana Altrimondi, n. 16

    EEE - Edizioni Tripla E

    di Piera Rossotti

    www.edizionitriplae.it

    Tutti i diritti riservati, per tutti i Paesi.

    Cover: credits to Pixabay.com, immagine di Larisa Koshkina.

    Gennaio 2000

    Giulio Lovato sollevò la cornetta con il cuore in gola. Il telefono di casa rifiutava ostinatamente di mostrare cenni di debolezza per cedere il proprio posto a un moderno cordless e i Lovato, dal canto loro, non nutrivano alcuna fretta di mandarlo in pensione. Giulio tirò nervosamente la spirale che collegava la cornetta al corpo dell’apparecchio dopo aver digitato il numero. Respirava affannosamente, con la bocca aperta. Quando dall’altro capo del filo udì uno stranito «Pronto» scoprì la propria gola secca, tanto che dovette deglutire e leccarsi le labbra diverse volte.

    «Susanna, sono Giulio» balbettò, incerto su come proseguire.

    «Chi?»

    «Sono il signor Lovato.»

    Silenzio. «Signor Lovato!» esclamò, dopo qualche istante, una voce femminile «Come sta? È successo qualcosa?»

    «No, bene, cioè» Giulio si fermò per prendere un profondo respiro e cercare di articolare una frase di senso compiuto. «Susanna, puoi venire qui e occuparti di Matilde questa notte?» Silenzio. «Ti pagherò qualsiasi cifra.»

    «Signor Lovato» rispose Susanna e, da questo continuo rivolgersi a lui ripetendone il cognome, Giulio intuì il suo profondo imbarazzo «io non saprei, non si tratta di soldi, ma è molto tardi, due amici sono a casa mia, non saprei come comportarmi.»

    Susanna credette che la linea fosse disturbata quando le sembrò di sentire un pianto all’altro capo del telefono, ma dovette rivedere le sue convinzioni quando a rivolgersi a lei trovò una voce scossa dai singhiozzi. «Puoi portarli. Ma ti prego, vieni. So che è mezzanotte, so che non dovrei chiamarti, ma la situazione...» Giulio non riuscì a terminare la frase, scosso da un ulteriore accesso di pianto.

    «Sarò da lei tra venti minuti» disse Susanna. Colmo di riconoscenza verso quella ragazza, Giulio non ebbe nemmeno la forza di esprimerla con il più semplice e banale grazie e si limitò a riattaccare.

    Susanna si mise al volante, con il pigiama sotto il giubbotto di piume d’oca e le scarpe da ginnastica sui calzettoni doppi. Qiang e Astrid, quasi inconsapevolmente, montarono entrambi sul sedile posteriore. «Non hai proprio idea di cosa possa essere successo?» chiese Qiang.

    «Sicuramente qualcosa di grave, il padre di Matilde era sconvolto.»

    «Credi che abbia scoperto la verità su di lei? Sulla bambina?»

    Susanna non rispose, si limitò ad accendere i fari e a concentrarsi sulla strada. Dubitava fortemente che il signor Lovato che, come la moglie, trascorreva con la propria figlia non più di un paio d’ore al giorno, potesse aver scoperto la verità sulla sua natura. E, in ogni caso, non avrebbe avuto senso chiamare lei.

    Le costruzioni si diradavano mano a mano che l’automobile si allontanava dalla periferia milanese per addentrarsi nella provincia finché ai lati della strada, appena visibili nel buio, iniziarono a stagliarsi filari di betulle bianche. Il gelo penetrava dalle fessure dei finestrini i cui vetri apparivano ancora ghiacciati in alcuni punti. Susanna realizzò l’imprudenza di mettersi in marcia con l’automobile in una simile condizione, ma non si fermò per cercare di sbrinare i vetri. Lavorava per la famiglia Lovato da tre anni e poteva scommettere che, qualunque cosa rendesse Giulio così sconvolto, avrebbe scioccato anche lei. Il cervello della ragazza respingeva la presa in esame delle eventualità in grado di far piangere un uomo che non aveva mai visto meno che compito ed elegante.

    Gentili e formali, i coniugi Lovato avrebbero potuto figurare in una di quelle pubblicità che ritraggono coppie avvenenti e di successo. Co-fondatori di Ja.Lo, azienda di cosmetici, erano riusciti nell’impresa di conferire a questa un prestigio globale nel giro di meno di un decennio dalla sua nascita. Cinque anni dopo l’alba del loro primo capolavoro avevano messo al mondo Matilde che, dall’età di un anno, era cresciuta circondata soprattutto dall’affetto e dalla fantasia di Susanna. Studentessa in lingue alla ricerca di un impiego part-time, questa non aveva esitato a trasformarlo in full-time nel momento del bisogno, inteso ovviamente come necessità – per la verità, piuttosto ricorrente – dei suoi datori di lavoro.

    La strada asfaltata sembrava divenire sempre più ampia e nera di fronte ai tre giovani che sfrecciavano a bordo del fuoristrada della madre di Susanna. Il buio pesto e la piccola porzione di suolo illuminata dagli abbaglianti dell’auto, insieme al silenzio tipico della campagna, contribuivano all’atmosfera cupa e ansiogena che si andava intensificando dal momento della loro partenza da casa.

    «Perché persone ricche sfondate dovrebbero scegliere di abitare fuori dalla civiltà?» chiese Astrid rompendo il silenzio e fissando fuori dal finestrino alla sua sinistra.

    «Aspetta di vedere la casa» rispose Susanna.

    I tre ragazzi non dovettero attendere molto. Nel giro di un paio di minuti uno spiazzo asfaltato, circondato da una fitta vegetazione di abeti e betulle, si spalancò davanti a loro. Susanna proseguì fino all’enorme cancellata bianca che si ergeva per diversi metri in altezza e parcheggiò su un lato della piazza.

    Qiang e Astrid fissavano l’edificio che occupava la scena di fronte a loro con la bocca spalancata. Oltre il cancello, un giardino costellato da una miriade di cespugli disposti in cerchi sembrava il parco di una dimora signorile d’altri tempi. I lampioncini disposti a intervalli regolari nel prato permettevano di apprezzare, sebbene non in tutta la bellezza che avrebbe consentito la luce del sole, quello spettacolo suggestivo. Susanna premette il dito contro il campanello per il tempo più breve possibile, una frazione di secondo, consapevole che la bambina stava probabilmente dormendo e timorosa di svegliarla. Dopo un tempo altrettanto ridotto, il cancello piccolo si aprì e i tre amici entrarono.

    Susanna fece strada lungo un sentiero lastricato di pietre bianche e piatte, costeggiato sui due lati da due filari di abeti nani ai quali una continua e minuziosa opera di giardinaggio aveva conferito una forma perfettamente ovale e affusolata. Il sentiero si apriva in un piccolo spiazzo lastricato allo stesso modo, al centro del quale l’acqua stagnante nel bacino di una fontana rifletteva la luce della luna. Quando la fontana veniva attivata, era la statua equestre che, da entrambi gli zoccoli anteriori che si sollevavano in aria e dalla bocca spalancata in un nitrito selvaggio, spruzzavano acqua. Di fronte alla meraviglia dei suoi amici, Susanna non poté fare a meno di ricordare che era stata proprio lei a convincere la famiglia a sospendere l’irrigazione per la maggior parte del tempo, al fine di evitare quello che si stava rivelando uno spreco eccessivo e ingiustificato di risorse elettriche e idriche.

    Susanna fece segno con la mano agli altri di proseguire verso l’ingresso della villa vera e propria quando, appena superata la statuaria fontana, i tre furono raggiunti da un trafelato Giulio Lovato. «Signor Lovato, cos’è successo?» gli si rivolse Susanna saltando ogni convenevole.

    Dalla faccia interamente paonazza di Giulio, dai suoi occhi pesti circondati da occhiaie e dalla sua espressione vuota, risultava evidente a chiunque che avesse pianto molto e che stesse compiendo uno sforzo notevole per non ricominciare a farlo. Lui aprì la bocca per articolare una risposta, ma tutto quello che ne uscì fu un vagito, e riprese a singhiozzare rumorosamente, senza lacrime. Susanna rimase di fronte a lui, immobile, tormentata dal dilemma se fosse meglio abbracciare il suo datore di lavoro, con il quale non aveva alcuna intimità, oppure ignorare un uomo palesemente disperato. Infine optò per posargli una mano sulla spalla sinistra, muovendo leggermente i polpastrelli come in una rispettosa e distaccata carezza.

    Lovato alzò la testa e guardò Susanna con gli occhi marroni pieni di capillari rotti e stupita riconoscenza. «Susanna, Camille, lei è… lei era...» balbettò, poi prese un profondo respiro e attese qualche secondo, nel silenzio generale. «Camille si è trattenuta a lavoro più a lungo di me oggi, voleva controllare personalmente alcune faccende burocratiche.» Susanna annuì con un gesto ripetuto e deciso del capo, come a dire di proseguire. «Io ho preso la sua macchina e il nostro autista è rimasto ad aspettarla con la berlina e...» Giulio si interruppe nuovamente e una nuova, violenta scarica di singhiozzi lo scosse in tutto il suo possente fisico, dalla testa ai piedi. «Io non so come sia successo, ma entrambi...» L’orrore andava dipingendosi negli occhi sbarrati di Susanna, che cominciava a capire e il cui respiro, che diventava profondo attraverso le narici dilatate, cercava di regolarizzarsi nella paura di venire improvvisamente a mancare. «Io devo andare, resta tu con Matilde. Non l’ho svegliata, non sa niente. Non ho avuto il coraggio, Susanna.»

    Susanna tremava. I suoi occhi erano ancora sbarrati, lo sguardo fisso in un punto indefinito del collo di Lovato, più o meno sul pomo di Adamo che non accennava a smettere di vibrare. Un dubbio orribile si stava impadronendo di lei e non sapeva in che modo domandare. «Dove sta… In quale ospedale è ricoverata la signora Janin?» chiese in un bisbiglio, staccando la mano dalla spalla dell’uomo.

    Il signor Lovato alzò di nuovo la testa e nel suo sguardo Susanna lesse la risposta che cercava e che temeva. Avrebbe voluto dirgli di andare, che non le doveva alcuna spiegazione, ma le sue labbra tremanti non rispondevano alla sua volontà e la sua voce non superava la soglia dell’ugola. Per questo immaginò quanto difficile fosse per Giulio pronunciare quelle parole. Lui scosse la testa, fissandola negli occhi con un’espressione insana. «Mi hanno chiamato dall’obitorio» scandì con straordinaria chiarezza. Senza aggiungere altro, depositò le chiavi di casa nella mano di Susanna e si allontanò.

    Qiang e Astrid fissavano Susanna mentre lei, con lacrime ferme sul bordo degli occhi, che si rifiutavano di colare, si girava e osservava Giulio Lovato allontanarsi lungo il sentiero del suo maestoso giardino. Probabilmente era troppo provato anche per correre. Ma a che scopo affrettarsi, ormai?, rifletté Susanna con orrore. Deglutì, si voltò nuovamente verso la porta di casa e sussultò pesantemente. Matilde, nel suo pigiama verde con i dinosauri, era in piedi sullo scalino più alto davanti alla soglia. «Mati» mormorò Susanna, ricacciando indietro le lacrime che non riusciva a versare e salendo gli scalini per raggiungerla.

    «Chi sono loro?» chiese la bambina indicando il ragazzo e la ragazza alle spalle della sua tata.

    «Loro sono i miei migliori amici, Astrid e Qiang» rispose la ragazza indicando i due, i quali accennarono un timido saluto, più confusi che mai.

    La bambina soffermò il suo sguardo su di loro per qualche istante, senza dire niente, poi guardò in faccia Susanna di nuovo e domandò: «Dove è andato papà? E dov’è la mamma?»

    Susanna deglutì, senza sapere cosa dire. Era una situazione più grande di lei, che non sapeva come gestire. Squadrò la piccola, pensò ai suoi quattro anni di vivacità e fantasia e alla sua innocenza che presto si sarebbe schiantata come aveva fatto sua madre qualche ora prima. Mentre cercava le parole da usare in un simile contesto notò i suoi piedi nudi. «Mati, sei scalza, fa freddo» disse, sollevandola e prendendola in braccio «entriamo in casa». La bambina si fece portare, seguita dai due sconosciuti. Susanna la adagiò sul divano e chiuse la porta a tripla mandata.

    «Susi, cos’è un obitorio?» chiese Matilde mentre Susanna si sedeva sul sofà accanto a lei. La ragazza la fissò senza dire niente. «Papà diceva che l’avevano chiamato dall’obitorio.»

    Susanna tremava, taceva e cercava di darsi un contegno. Non spettava a lei gestire una situazione del genere. Era arrabbiata con il signor Lovato per averla costretta a fronteggiare un’impresa più grande di lei, alla quale non era preparata, a gestire un dolore al quale si sentiva estranea, seppure toccata e sconvolta. «Matilde, è tardi, perché non vai a fare la nanna?»

    Gli occhi di Matilde iniziarono a riempirsi di lacrime. «È successo qualcosa alla mamma, vero Susi?» balbettò annaspando. «Non è tornata a casa oggi.»

    «Non lo so» mentì Susanna, tradita da un’unica, enorme lacrima che dall’occhio destro le scivolò sulla guancia e si infranse sulla gamba di Matilde, coperta dal pigiama.

    Dopo un minuto di teso silenzio, Matilde proruppe in un urlo lacerante. Susanna sbarrò gli occhi, impotente, mentre Astrid e Qiang si sentivano travolti dall’orrore. L’urlo proseguì per decine di secondi, poi Matilde sentì la sua voce mancare. Si fermò per prendere fiato, il viso paonazzo. Fu allora che strani eventi iniziarono a manifestarsi. Dapprima le luci del soggiorno cominciarono a spegnersi e riaccendersi a intermittenza. I tre adulti si guardarono, paralizzati dalla paura. La bambina invece sembrava indifferente a quello che accadeva nella sua dimora e si limitò a rannicchiarsi ulteriormente, puntando i piedi sulla fodera morbida del divano, premendosi le gambe al petto e nascondendo il viso tra le ginocchia. La televisione, da sola, si accese sull’edizione notturna del telegiornale, che annunciava nuove ondate di maltempo in arrivo nel Nord Italia. Susanna abbracciò Matilde. «Tesoro, stai tranquilla» le mormorò all’orecchio «non è successo niente. Domani papà ti spiegherà tutto» aggiunse mentre premeva il tasto rosso del telecomando nel tentativo di spegnere lo schermo fissato alla parete, senza alcun successo. Matilde si divincolò dall’abbraccio e scappò su per le scale, in direzione della camera dei suoi genitori. Susanna se ne rese conto sentendo il rumore di una porta che sbatteva e che non poteva essere quella della stanza della piccola, a scorrimento. Una frazione di secondo dopo quel suono ne irruppe un altro, un tonfo molto più vicino che fece letteralmente trasalire tutte le tre persone presenti in salotto. Susanna girò lentamente il collo dalla direzione delle scale a quella del salotto, constatando con orrore che il televisore non si trovava più al suo posto. I fili elettrici, nel silenzio, emettevano ancora un lieve e fastidioso rumore di corrente e un buco spiccava nel punto del muro da dove, fino a pochi istanti prima, fuoriusciva il supporto dello schermo. Questo era rovesciato, spento, sul tappeto.

    «Le preparo del latte caldo con il miele» pronunciò Susanna con uno sforzo, sentendosi la gola secca. Gli amici la seguirono in cucina e lei realizzò a pieno il grado dei suoi tremori nel rilevare che le sue mani non erano in grado di sostenere il peso di un pentolino vuoto senza essere scosse da spasmi. Un nuovo urlo assordante e acuto, proveniente dal piano superiore della casa, la spaventò al punto che la pentola cadde sul pavimento.

    «Susanna» si rivolse Qiang all’amica, parlando per la prima volta da quando aveva varcato quella soglia «so che normalmente riponi molta fiducia in quella bambina, ma in queste circostanze...»

    Susanna si voltò di scatto e squadrò Qiang con risentimento. «La conosco, è più forte di quanto credi» disse.

    «Susi, sei di parte» intervenne Astrid a sostegno di Qiang. «Hai visto cosa è successo al televisore? E alle luci? Se la bambina non riuscisse a controllarsi...»

    «Ci riuscirà» tagliò corto Susanna, alzando la voce e asciugandosi con il polso qualche lacrima. Nel farlo si rese conto che tutti e tre indossavano ancora i loro cappotti. Si tolse il suo e lo poggiò su una sedia. «Toglietevi i cappotti perché resteremo qui almeno tutta la notte» decretò, senza guardare in faccia i suoi amici «Riscaldate il latte, io vado da Mati.»

    Susanna salì le scale con il cuore il gola, pensando che l’ultima volta che aveva dovuto consolare Mati da un pianto apparentemente incontenibile era stata un paio di giorni prima, quando era inciampata su quelle stesse scale. Ma quel dolore non era paragonabile a quello attuale. Nessun elettrodomestico si era ritrovato in frantumi dopo quel piccolo incidente. Bussò alla porta della camera dei coniugi Janin e Lovato, che forse a quel punto avrebbe dovuto considerare solo del secondo. Non ottenne risposta. «Mati» chiamò, senza riscuotere maggior successo «Matilde, posso entrare?» Dopo aver udito un isterico «sì», Susanna aprì la porta per richiudersela subito alle spalle. Matilde era in ginocchio sul letto e fissava la parete opposta con sguardo vacuo. Susanna si tolse le scarpe e si sedette sul letto. Cinse da dietro la bambina, chiudendo la braccia sul suo addome e, stringendola, le baciò più volte i capelli. «Andrà tutto bene, Matilde» sussurrò, ormai piangendo a sua volta. Sapeva che non avrebbe potuto mantenere quella promessa e sapeva che le frasi fatte non attecchivano sull’intelletto vergine di una bambina ma si rese conto che, con tutta la sua sicurezza, la sua cultura e anche con tutto il suo amore nei confronti di quella persona fragile e indifesa, non era in grado di prodigarsi in una consolazione migliore.

    Matilde d’un tratto si liberò dalla stretta di Susanna ma solo per girarsi verso di lei, buttarle a sua volta le braccia al collo e iniziare a piangere rumorosamente, con vere e proprie grida. Susanna, scossa da quel dolore struggente, le baciava le guance, le accarezzava la schiena, i capelli, i piedi congelati. Nella sua presunta saggezza, non riusciva a pensare altro che ‘non è giusto’, ripetutamente, ostinatamente, e si disse che in fondo, di fronte al dolore, di fronte all’impotenza, di fronte alla morte, non esiste adulto in grado di resistere alla regressione all’infanzia. Passarono interi minuti, forse dieci, forse venti. I singhiozzi, sempre più deboli e provati, continuavano a scuotere la bambina, appiccicata alla sua baby-sitter. Poi la porta si spalancò e sulla soglia apparve Astrid. Susanna si trattenne dall’inveire contro di lei per non aver bussato. «I miei amici ti hanno preparato latte e miele» disse semplicemente a Matilde, che non ebbe alcuna reazione se non quella di bloccare temporaneamente i suoi singhiozzi.

    «Adesso arriva» replicò Astrid, che parve ricordarsi solo in quel momento delle istruzioni ricevute dall’altra. «Susi, scendi un attimo.»

    «Ti aspetto qui.»

    «Susanna» scandì Astrid, fissando i suoi occhi in quelli dell’amica «credo che dovresti davvero venire al piano di sotto.»

    Susanna promise a Matilde di tornare subito e si precipitò giù dalle scale insieme ad Astrid. «Che cosa è successo ancora? Cosa c’è di tanto importante da farmi lasciare Matilde da sola?» chiese tra i denti una volta giunta a piano terra.

    Qiang uscì dalla cucina e fissò Susanna con aria grave. «La situazione è fuori controllo» asserì. Poi le fece strada in quella cucina per lui tutt’altro che familiare e tirò la tenda della finestra con uno strattone. Susanna per poco non gridò per lo stupore e lo spavento. Fuori, un fuoco che sembrava estendersi fino all’orizzonte stava bruciando il bosco di pini e betulle.

    «Non penserete...» Susanna non riuscì a terminare la frase, la voce tremante per la paura e il magone.

    «Susi, ragiona» disse serio Qiang «prima l’elettricità, poi il televisore, e ora questo.» Susanna scosse energicamente il capo senza rispondere e, piangendo silenziosamente, si buttò a sedere su una sedia in legno accanto al tavolo della cucina. «Sarebbe una situazione insostenibile per chiunque, venire a sapere della morte improvvisa della propria madre» proseguì Qiang, cercando di mantenersi calmo. Astrid mescolava il miele nella tazza di latte bollente. «E Matilde ha solo quattro anni, ed è completamente ignara del suo immenso potere.»

    Susanna continuò a piangere senza rispondere, gli occhi fissi sulla tazza che Astrid teneva tra le mani. Sentì lo sguardo e il giudizio dei suoi migliori amici concentrati su di lei. «Cosa proponete?» chiese in un sussurro.

    «Quello che avevamo già ipotizzato» disse Astrid.

    Susanna si alzò in piedi e batté il palmo di una mano sul legno di faggio del tavolo, facendo sussultare gli altri. «Sarebbe un’ingiustizia. Chi siamo noi per privarla di tutto?» esclamò.

    «Susi, lei non lo saprebbe per molto tempo. Il tempo sufficiente perché diventi grande e consapevole» cercò di mediare Qiang. «So che tu la consideri forte e invincibile, e probabilmente un giorno lo sarà. Per ora lasciala vivere solo come una bambina. Deve già sopportare un dolore enorme.»

    Susanna proruppe in un nuovo eccesso di lacrime silenziose. La scelta era completamente nelle sue mani, adesso. Un rumore improvviso giunse da fuori, facendo voltare di scatto i tre ragazzi. Fuori dalla finestra, a poche decine di metri dalla casa, una betulla in fiamme si schiantò da un lato, abbattendo per effetto domino altri due alberi. Susanna respirò profondamente e raccolse le proprie forze. «Normalmente quando devo contenere la forza di Matilde in modo che lei non se ne accorga invento una fiaba in cui lei è la protagonista. Di solito però si tratta di un ginocchio sbucciato o di battibecchi con le amiche dell’asilo. Questa volta mi servirà una storia particolarmente complessa e potente. E avrò bisogno di voi.»

    Astrid e Qiang annuirono con aria seria e Susanna fece loro segno di seguirla su per le scale. Bussò alla porta socchiusa della camera dei genitori di Matilde: la bimba rispose immediatamente. Susanna entrò per prima. «Mati, ci siamo tutti. Possiamo entrare?» La bambina annuì. «Qiang ti ha portato il latte.»

    Matilde posò sul letto il pupazzo che stringeva tra le mani per prendere la tazza calda. Susanna notò che insieme al gatto di pezza la bimba aveva portato nella camera dei genitori, probabilmente mentre lei si trovava al piano inferiore, una serie di giocattoli. Così un’idea folgorante, che le parve allo stesso tempo geniale e terribile, provvidenziale e orribilmente ingiusta, iniziò a farsi spazio nella sua mente. «Mati, ti va di creare una della nostre fiabe?» chiese Susanna.

    Matilde sollevò gli enormi occhi color nocciola dalla tazza al volto della tata. «Sarò nella storia, vero?» domandò. «Come sempre.»

    Susanna in cuor suo esultò nel sentirle pronunciare un’intera frase. «Certo» rispose con un sorriso, cercando di trattenere il pianto che ricominciava a spingere con prepotenza, annuendo vigorosamente. «Saremo tutti nella storia. Vuoi cominciarla tu?»

    Matilde scosse la testa. «Racconta tu, sei più brava» rispose.

    «Va bene» acconsentì Susanna. Indicò ai suoi amici di sedersi sul lettone e si accomodò lei stessa, facendo appello a tutte le sue forze mentali, alla sua fermezza e alla sua immaginazione. Non poteva sbagliare niente. Prese fiato e, come se dovesse guarire il dispiacere di una storta alla caviglia presa al parco, iniziò a raccontare.

    «Matilde aveva solo quattro anni, ma non era una bambina come le altre. Viveva in una casetta azzurra in cima alla montagna più alta della sua enorme città, da dove poteva vedere i bambini giocare al parco o intingere i piedi nel fiume, così sapeva sempre quando precipitarsi fuori di casa per raggiungere i suoi amici. Da lì poteva scorgere anche i molti mercati colorati che pullulavano di donne e uomini intenti a fare i propri acquisti, a contrattare o anche solo a conversare, a incontrarsi.» Susanna cercava sempre di mischiare il linguaggio colloquiale a termini aulici per arricchire il vocabolario della bambina, che ormai era in grado di comprendere molte più parole di quante ne impiegasse correntemente. «La città era enorme e sempre attiva e Matilde poteva vederla tutta, ma non lo faceva per il semplice piacere di spiare le vite altrui. La bambina amava la felicità degli altri e non poteva sopportarne il dolore. Conoscere tutto a volte è un peso perché, quando ci si trova nella posizione di vedere tutto, l’unico modo per evitare di vedere il male consiste nel chiudere gli occhi, e questo la piccola Matilde non era in grado di farlo. Ma lei scoprì presto che, solo desiderandolo, con la sua bacchetta magica» Susanna si interruppe un secondo solo per scegliere, dal mucchio di giocattoli di Matilde, una bacchetta in plastica con una grossa stella azzurra fissata a una della estremità, e passarla alla bimba «poteva cancellare il dolore. Non tutto, certo, ma buona parte di quello che poteva essere evitato. Matilde era una fata.»

    «Poteva volare?» domandò la piccola emozionata, alzandosi in ginocchio sul materasso e agitandosi tanto da lasciar cadere buona parte del suo latte caldo sulle coperte.

    «Certo, poteva volare» ammise Susanna «aveva molti poteri, e tutti dipendevano da un grande potere essenziale.»

    «Cosa vuol dire essenziale?»

    «Significa che non se ne può fare a meno. Era il potere che le permetteva di controllare gli eventi e guidare le persone» spiegò Susanna. «La sua magia si suddivideva poi in tre grandi poteri. La prima grande abilità di Matilde era quella di fare amicizia con tanti tipi di persone, anche molto diverse, e di farle piacere le une alle altre. In secondo luogo, la giovane fata sapeva capire molto bene chi la circondava e quindi piaceva a tutti. Era brava a convincerli a seguirla. Grazie al suo terzo dono, infine, Matilde capiva la sofferenza degli altri esseri viventi e la alleviava.» Susanna tacque un secondo, solo per riprendere fiato.

    «Come è possibile fare queste cose?» chiese Matilde, sempre più partecipe di quel racconto.

    «Be’, non è semplice» rispose Susanna «solo le persone molto speciali ci riescono» aggiunse facendo l’occhiolino, e poi continuò: «speciali come te». Susanna non poté fare a meno di ricordarsi dell’ultima volta in cui aveva potuto ammirare tutti i poteri di Matilde in azione, poche settimane prima. Erano al parco insieme e, sotto a un albero, c’era un gatto ferito. La bambina aveva iniziato a piangere e cercava di avvicinarsi al felino ma Susanna aveva provato a trascinarla via, rendendosi conto dell’aggressività con cui l’animale soffiava loro contro. Tuttavia, la piccola non si era data per vinta e il gatto, trovandosela a pochi centimetri di distanza, si era subito calmato. Con una carezza di Matilde, il taglio sul suo ventre si era immediatamente rimarginato e, sorprendentemente, il gatto aveva accettato di seguirla fino a casa. Da quel momento non si era mai allontanato troppo dai paraggi, azzuffandosi con gli altri animali del vicinato, ma solo quando Matilde non era presente.

    Susanna si risvegliò dai suoi pensieri con Matilde che la scuoteva per incitarla a continuare il racconto. «I doni della bambina erano enormi, ma dovevano ancora affinarsi, che vuol dire che sarebbero migliorati con il tempo, rinforzandosi» proseguì la tata «e purtroppo Matilde non era l’unica ad avere grandi poteri. Un giorno l’equilibrio del mondo fu attaccato da due persone, molto più grandi di lei.»

    «Maschi o femmine?» domandò interessata Matilde, che si trovava in quell’età durante la quale si iniziano a classificare gli esseri umani i maschi e femmine con conseguente associazione di idee più o meno stereotipate.

    «Una femmina e un maschio» decise Susanna, cercando di emozionarsi a sua volta per quel frutto della sua immaginazione e di reprimere l’ansia che le faceva fremere tutto il corpo. «Una donna e un uomo, moglie e marito. I due erano molti potenti, ma anche molto perfidi. Venuti a conoscenza degli immensi poteri della fata bambina, cominciarono a considerarla una minaccia. Allora iniziarono a cercarla, ma avevano paura di combattere contro di lei. Così decisero di attaccare non lei, ma ciò che le stava a cuore. Facevano del male a chiunque, ma si concentravano soprattutto sui più deboli. La fata cercava di curare tutti quei danni, senza sapere da dove arrivassero. Tuttavia era ancora molto piccola e non riusciva a rimediare a tutti gli avvenimenti terribili che avvenivano sotto il suo sguardo, senza contare quelli esistenti nel resto del mondo, dei quali non era a conoscenza.»

    «Ma Matilde è magica» protestò la bambina, sentendosi offesa personalmente da quella sottovalutazione del suo personaggio. «Avrà qualche trucco segreto, qualche pozione o polvere magica, come tutte le fate e le streghe.»

    Susanna cercò di non farsi prendere dal panico mentre cercava un escamotage. «Certo, le aveva. Ma purtroppo la magia cattiva aveva influenzato anche la polvere magica di Matilde, che iniziò da quel momento a sortire l’effetto opposto a quello desiderato. Infatti stordiva la fata, facendola sentire potente e invincibile, mentre in realtà dimenticava i problemi che la circondavano. Nel frattempo i suoi perfidi nemici collezionavano vittorie, e avevano a loro volta grandi poteri dalla loro parte.»

    «Avevano i draghi!» esclamò Matilde, saltando sul letto.

    «I draghi erano cattivi?» chiese Susanna, incoraggiando la partecipazione attiva della bambina.

    «I draghi non erano né buoni né cattivi» stabilì Matilde. «Erano grossi e potenti, di solito pacifici e silenziosi, ma i cattivi li avevano conquistati e quindi controllavano il loro fuoco, usandolo per i loro scopi malefici.»

    «Certo» concordò Susanna «con nemici così potenti, Matilde non sapeva come comportarsi. Fortunatamente, la piccola poteva contare su tre fidati consiglieri: Susanna, Astrid e Qiang.» La ragazza fece un momento di pausa, durante il quale la piccola squadrò con sospetto i due estranei che adesso, in quella bizzarra fiaba, diventavano i suoi consiglieri. Infine si convinse e annuì. Reprimendo un sospiro di sollievo, Susanna riprese. «I tre erano sempre pronti ad aiutare Matilde, e quella volta decisero che la fata doveva cedere i suoi poteri se non voleva rischiare di perderli per sempre.»

    Matilde non sembrò prenderla bene. «Cederli? Cioè darli a un’altra persona?»

    «Ad altre tre persone, i suoi tre consiglieri» specificò Susanna. «Loro sarebbero diventati i suoi reggenti, che vuol dire che avrebbero custodito i poteri della bimba solo per un po’ di tempo. Matilde un giorno sarebbe diventata grande e allora la magia le sarebbe stata restituita, più forte di prima. Solo in questo modo la fata avrebbe potuto salvare il mondo, sconfiggendo i suoi nemici una volta per tutte. Ma Matilde doveva decidere da sola se distribuire i propri poteri, altrimenti niente sarebbe stato possibile. I reggenti non potevano in alcun modo agire contro la sua volontà.»

    Susanna fece una nuova, lunga pausa, durante la quale gli occhi di Matilde si fissarono nei suoi, in attesa, come se la piccola pendesse dalle sue labbra. Susanna raccolse la bacchetta giocattolo, che era finita nuovamente tra le pieghe delle coperte, e la porse alla bambina, che la afferrò. Matilde si alzò in piedi sul materasso e assunse un’espressione divertita che si sforzava di risultare solenne. «Io, Matilde, bambina magica, decido oggi, per il bene del mondo, di affidare i miei poteri ai miei fidati reg… reggi…» iniziò, chiudendo gli occhi. Poi ne aprì uno, trattenendo qualche risata.

    «Reggenti» suggerì Susanna, sussurrando appena.

    Matilde camminò incerta sul materasso e si fermò davanti ad Astrid. La ragazza sussultò vedendosi puntare la stella in plastica in mezzo agli occhi. «A te, Astrid con i capelli rossi e il naso a punta, affido il mio secondo dono. Saprai convincere gli altri a seguirti e potrai soddisfare i tuoi capricci quando vorrai.» Astrid sussultò nuovamente, con più violenza. Matilde si spostò quindi verso il ragazzo, che non si spaventò nonostante il rischio di vedersi cavare un occhio con la punta della stella. «A te, Qiang con gli occhi allungati e la pelle perfetta, ho deciso di dare il terzo potere. Lotterai contro le ingiustizie e saprai guarire gli altri quando saranno malati o tristi.» A questo punto, anche Qiang parve preso alla sprovvista e il suo corpo sembrò subire una lieve scossa. Matilde si lasciò sfuggire un’altra risatina ma diventò realmente seria quando si avvicinò a Susanna. Si sedette sul letto e incrociò le gambe. «E a te, mia amata Susanna con i capelli neri più belli che esistano, regalo il primo dei miei poteri. Farai fare la pace anche ai più testardi e sarai la più potente di tutti, perché di te mi fido di più.» Susanna dovette mettersi una mano sul petto e compiere un consistente sforzo per non esternare la sensazione di respiro mozzato che la stava attraversando. Fece cenno ad Astrid e Qiang di abbandonare la stanza e lasciarla sola con la bambina.

    Matilde, sorprendentemente, si addormentò nel giro di pochi minuti, senza più piangere o accennare in alcun modo alla sorte della madre. Susanna si domandò se avesse solo intuito la perdita o se avesse compreso che Camille era morta. Ma anche in questo caso, come si percepisce la morte a quell’età? Susanna ricordò di avere perso uno zio quando frequentava ancora l’asilo. Non aveva pianto, non aveva pienamente realizzato cosa fosse successo. Lo zio Franco era esistito, l’aveva portata a cavalluccio e le aveva preparato dolci, e poi un giorno non c’era stato più. Dal comportamento degli adulti aveva intuito che fosse una cosa brutta, e che lui non sarebbe tornato, mai più. Ma le nozioni del ‘mai’ e del ‘sempre’, che ancora adesso le sfuggivano nella loro essenza più profonda, durante la sua infanzia non avevano mai assunto alcun senso. Ma come sarebbe stato se si fosse trattato, anziché dello zio, della mamma?, si chiese. Forse Matilde avrebbe dovuto fare i conti troppo presto con la scoperta, sempre imprecisa, sfuggente e parziale, del ‘sempre’ e del ‘mai’.

    Susanna uscì dalla stanza lasciando la porta aperta, pronta ad accorrere a qualsiasi richiamo di Matilde, qualora si fosse svegliata. Con passo felpato scese le scale e seguì la luce accesa sino alla cucina. Astrid e Qiang sedevano vicino al tavolo. Susanna notò che piangevano entrambi. Decisa a non cedere di nuovo alle lacrime a sua volta si avvicinò e, senza sedersi, strinse una mano di Astrid nella sua destra e quella di Qiang nella sua sinistra. Entrambi strofinarono le proprie dita sul dorso delle mani bianche di Susanna, come in un segno di affetto e sostegno reciproco. «Alzatevi in piedi» ordinò Susanna. I due, seppur straniti, obbedirono senza fare domande. «Prendetevi anche voi per mano» continuò. Qiang e Astrid eseguirono. Susanna si preparò a un ulteriore discorso. «Quello che abbiamo fatto questa notte non è né nobile né corretto» iniziò.

    «Susi...» provò a intervenire Astrid.

    «Ti prego, lasciami finire. Non è né nobile né corretto, ma le circostanze lo hanno reso necessario. Adesso possiamo solo sigillare un patto per assicurarci che il nostro non sia un inganno ai danni di una bambina né un ignobile furto, ma un atto di responsabilità.» Susanna si interruppe con un sospiro. «Astrid» disse guardando l’elegante profilo dell’amica alla sua destra, i cui occhi brillavano, riflettendo le lacrime che le imperlavano le ciglia, «Qiang» continuò, fissando il volto rotondo e onesto, dai tratti orientali del ragazzo, gli occhi rimpiccioliti dalle lenti allungate di occhiali dalla montatura sottile. «Voi siete i miei migliori amici da quando ho memoria. Siete stati gli unici a fidarsi di me quando, all’asilo, dicevo ai bambini di mangiare la terra del giardino per le sue notevoli proprietà nutritive.» Tutti scoppiarono a ridere tra le lacrime. «Ovviamente siamo finiti tutti all’ospedale ma questo non vi ha impedito, in seconda media, di seguirmi nuovamente quando vi ho proposto di avventurarci insieme nella ricerca di un mondo soprannaturale della cui esistenza dubitavo io stessa.» Susanna si interruppe brevemente, riflettendo se non dovesse maledirsi per quel giorno in cui, dodicenne, aveva deciso di complicare la propria vita, all’inizio facendosi prendere per pazza e poi scoprendo, con suo stesso sbalordimento, di non esserlo affatto. «Siete le persone di cui mi fido di più al mondo. Stanotte abbiamo dovuto addossarci una responsabilità e un peso, e non possiamo affermare con certezza che riusciremo a sopportarlo. Ma dobbiamo stringere un patto; un patto a cui mai, in alcuna circostanza, qualcuno di noi potrà sottrarsi.» Susanna si interruppe nuovamente, il fiato corto. Astrid e Qiang la fissavano, pendendo completamente dalle sue labbra. «Tra poco più di quattordici anni, il diciannove febbraio del duemilaquattordici, Matilde compirà diciotto anni.» Susanna deglutì rumorosamente prima di riprendere a parlare. «Non importa dove saremo in quel momento, dove vivremo e dove ci porteranno le nostre rispettive vite. Quel diciannove febbraio noi tre ci ritroveremo nella mia casa, ovunque sarà, e stabiliremo un piano di azione per restituire a Matilde i suoi poteri. Giurate.» Stringendosi più forte le mani, con le sei braccia sollevate a formare un cerchio impreciso, i tre confermarono, uno alla volta, il giuramento che li avrebbe legati per gli anni a venire.

    Settembre 2016

    I

    Matilde uscì dalla porta a vetri girevole dell’aeroporto Charles de Gaulle. Sapeva che si sarebbe dovuta sentire sopraffatta dall’emozione dirompente di una nuova avventura. Lo sarebbe stata davvero se non si fosse intromessa quella sua tendenza a innervosirsi terribilmente per futili motivi. In quel momento a mettere alla prova la sua pazienza era la grossa borsa, che si ostinava a scivolarle dalla spalla lungo il braccio destro, non considerando minimamente che lei avesse entrambe le mani impegnate a trascinare, con la destra, una valigia enorme e, dal lato sinistro, un trolley più piccolo. Una volta sul marciapiede esterno, lasciò andare i due trolley, prese un respiro profondo e rumoroso e si concesse persino un sorriso. Matilde sollevò lo sguardo e, nonostante la visuale del cielo direttamente sopra la sua testa fosse impedita dalla tettoia dell’aeroporto, la distesa tinta di azzurro pallido che si estendeva verso l’orizzonte appariva illuminata da un sole di fine estate che scacciava parzialmente quella sfumatura grigia tipica di tutti i cieli di città.

    Matilde decise di concedersi una sigaretta prima di cercare un taxi. A giudicare dal viavai di queste macchine di diversi colori – avrebbe dovuto abituarsi al fatto di non identificarli dalla vernice bianca – non si preannunciava come un’impresa difficile. La ragazza, trascinando i bagagli sino al ciglio del marciapiede, sedette a terra. Aprì l’enorme borsa bianca che tanto l’aveva innervosita, e si mise alla ricerca delle sigarette. Come sempre quando viaggiava, il bagaglio a mano conteneva di tutto, senza alcun ordine né divisione: tappi per le orecchie, caricatore del cellulare, burrocacao, due custodie degli occhiali, preservativi, cuffie per la musica, uno smalto rosa per le unghie, pinzette per le sopracciglia, portafogli, un libro, riviste.

    Matilde ne approfittò per togliere gli occhiali da vista dalle lenti grandi e rotonde e dalla montatura sottile per cambiarli con quelli da sole. Finalmente trovò un pacchetto di sigarette e ne accese una. Aspirò profondamente, emettendo un leggero rumore dalle labbra. Era liberatorio fumare, ma le trasmetteva anche una strana sensazione. Aveva ripreso soltanto da due settimane. Nel corso della prima giornata aveva consumato, in modo quasi frenetico, un intero pacchetto. Per i due giorni successivi si era semplicemente dimenticata di

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1