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Tra le braccia del capo
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Tra le braccia del capo
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Tra le braccia del capo

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About this ebook

Che cosa ha in mente il suo principale? Perché osa guardarla in quel modo? E, soprattutto, perché lei non fa nulla per impedirglielo?
All'inizio vuole licenziarla. Poi, metterla alla prova. Subito dopo, sapere tutto di lei, e invadere la sua privacy. Poi, di nuovo cacciarla dall'ufficio. Tessa Wilson, dipendente di un'importante società inglese, non riesce a capire il comportamento assurdo e incoerente del suo capo, il facoltoso e carismatico Curtis Diaz. Dal momento in cui si sono conosciuti, il loro è stato un rapporto burrascoso e incostante. E sempre più coinvolgente. Come se dietro quei litigi si nascondesse qualcosa di molto diverso dall'antipatia, come se, il bacio che Curtis dà a Tessa quella sera alludesse a...
LanguageItaliano
Release dateMar 10, 2021
ISBN9788830526464
Tra le braccia del capo
Author

Cathy Williams

Autrice originaria di Trinidad, ha poi studiato in Inghilterra, dove ha conosciuto il marito.

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    Tra le braccia del capo - Cathy Williams

    Copertina. «Tra le braccia del capo» di Williams Cathy

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Billionaire Boss’s Bride

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2004 Cathy Williams

    Traduzione di Laura Premarini

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-646-4

    Frontespizio. «Tra le braccia del capo» di Williams Cathy

    1

    Il primo giorno di lavoro di Tessa Wilson non lasciava presagire proprio nulla di buono. Era alla reception, nell’atrio del palazzo che ospitava gli uffici della società per la quale avrebbe dovuto iniziare a lavorare quel giorno, e il ragazzo dietro il bancone le rivolse un sorriso divertito. Lei gli lanciò un’occhiata sdegnata. Il suo tesserino diceva che si chiamava George Grafton.

    «Cosa significa che li ha visti tutti lasciare l’edificio questa mattina? Sono le otto e trenta! Di certo...»

    «Lei ha ragione. Di solito la gente a quest’ora arriva per iniziare la settimana, ma...» Il giovane, sconcertato, si strinse nelle spalle.

    Tessa si guardò attorno. La gente stava entrando a frotte nel moderno palazzo a cinque piani. Gente affaccendata, impegnata, che lavorava in altri uffici, mentre invece sembrava che tutti quelli impiegati alla Diaz Hiscock, una società di software, avessero misteriosamente deciso di prendersi un giorno di libertà senza alcun apparente motivo. Non aveva senso. Si chiese nervosamente se quello fosse una sorta di test, una specie di procedura di iniziazione che doveva superare.

    «Questo è il mio primo giorno qui. Guardi lei stesso.» Gli porse la lettera di assunzione e indicò la data in cui avrebbe dovuto iniziare il lavoro.

    «Sì. Lei è venuta nel giorno giusto, certo.» L’uomo sembrò un po’ più comprensivo. «Non riesco proprio a capire. Può salire al piano e dare un’occhiata lei stessa se crede, ma io ero qui alle sei e li ho visti uscire tutti dal palazzo.»

    «Forse sono andati a fare colazione» ipotizzò Tessa, ben sapendo che era un’idea assurda.

    «Terzo piano.» Fece un cenno verso i tre ascensori che incessantemente portavano gli impiegati alle loro destinazioni e rispose al telefono.

    Lei guardò dubbiosa la folla e si asciugò i palmi sudati delle mani nella gonna. Si era alzata alle sette un po’ nervosa, ma piena di entusiasmo e fiduciosa di riuscire a gestire qualunque cosa si fosse trovata davanti, visto che si riteneva una segretaria molto meticolosa.

    Ora non si sentiva più così sicura e di colpo si rese conto che tutto il colloquio era stato un po’ strano.

    La Diaz Hiscock era una società famosa. Era piuttosto piccola, ma potente ed era a gestione familiare. Ripensandoci però, era strano che il colloquio per quel lavoro si fosse svolto con la madre del capo, nell’elegante salotto di casa sua, davanti a tè e pasticcini. Sei settimane prima Tessa aveva trovato tutto l’insieme molto affascinante e di gran respiro, soprattutto se paragonato al ritmo frenetico della sua vecchia azienda. Adesso si stava chiedendo se lì fossero tutti pazzi e se avesse commesso un terribile errore a lasciare il suo vecchio lavoro in un ufficio contabile forse un po’ noioso, ma sicuro.

    «Credo che farei meglio... Bene!» Piegò con cura la sua lettera e la infilò nella borsa. «Grazie per il suo aiuto!» Strinse la mano all’uomo e sorrise. «E scommetto che ci rivedremo presto!»

    «Di sicuro tra dieci minuti!» ridacchiò lui reggendo il telefono.

    Se credeva di sembrare rassicurante o spiritoso, si sbagliava di grosso.

    Tessa sentiva il viso in fiamme mentre aspettava l’ascensore, e quando le porte si aprirono s’infilò dentro a occhi bassi. Si chiese se ci sarebbe stato un boato di risa alle sue spalle quando sarebbe scesa al terzo piano, perché forse tutti sapevano che era vuoto.

    Nessuno fiatò, ma il piano era davvero deserto come le aveva anticipato George.

    Non era un ufficio molto vasto. Al banco del ricevimento non c’era nessuno e nemmeno alle scrivanie sistemate alle spalle. Tessa si avviò lungo il corridoio. I suoi piedi non facevano alcun rumore mentre sprofondavano nella moquette color caffè. Il cuore le batteva forte mentre camminava e si rendeva conto che tutte le stanze erano vuote. Gli enormi schermi dei terminali erano spenti e il debole sole invernale faceva capolino dalle finestre, dando a tutto un aspetto quasi spettrale.

    Si sentiva come un’intrusa, accese una luce e si schiarì la gola. «Salve.» Il suo saluto cadde nel silenzio più assoluto.

    «Troverà che lavorare per mio figlio è davvero interessante e si accorgerà ben presto che lui è un uomo speciale» le aveva assicurato la signora Diaz.

    Per interessante Tessa aveva supposto che alludesse alla responsabilità che le sarebbe stata data e questo le aveva fatto decidere di lasciare il suo incarico precedente, dove le possibilità di ampliare i propri orizzonti erano pressoché inesistenti.

    Il primo giorno si stava rivelando davvero interessante, ma non nel modo che lei aveva inteso.

    «Povero Curtis, non ha davvero avuto molta fortuna con le segretarie da quando Nancy ha deciso di trasferirsi in Australia con suo marito.» La signora Diaz aveva scosso la testa dispiaciuta mentre Tessa aveva aspettato che le spiegasse. «Sa, ha avuto una vera collezione di teste vuote, piccole bellezze che se ne andavano in giro sbattendo le ciglia. Decisamente inadatte a lavorare per mio figlio.»

    Da quello che vedeva, chiunque sarebbe stato inadatto a lavorare per un uomo che aveva deciso di chiudere baracca alle sei del lunedì mattina in cui avrebbe dovuto presentarsi la sua nuova segretaria.

    Tessa continuò ad avanzare nel lungo corridoio, guardando ovunque e convincendosi sempre più che non avrebbe trovato segni di vita. Stava per decidere se rimanere o andarsene, quando sentì un rumore. Proveniva dall’ultima stanza in fondo e lei si avviò decisa da quella parte.

    La targhetta indicava che si trattava dell’ufficio di Curtis Diaz. La porta era leggermente socchiusa, la spinse ed entrò in una piccola anticamera, attraverso la quale si accedeva a un ufficio più grande immerso nell’oscurità, perché le pesanti tende di velluto color crema erano state tirate sulle finestre. Immediatamente capì il perché: disteso su un divano contro la parete, c’era un uomo che dormiva profondamente. Il suono che l’aveva attratta era semplicemente quello del suo respiro pesante. Indossava un paio di jeans e una maglietta sportiva a maniche lunghe. Improvvisamente si voltò su un fianco schiarendosi la gola e spaventandola a morte.

    Tessa gli si avvicinò in punta di piedi e lo fissò con il cuore che batteva impazzito, poi cercò di calmarsi pensando che non si trovava da sola nel palazzo. Gli altri piani pullulavano di gente e le sarebbe bastato fare una telefonata a quel simpatico George. Velocemente oltrepassò la figura inerte sul divano, raggiunse la finestra e tirò le tende.

    «Okay, amico! Chi sei e cosa ci fai qui?»

    L’uomo emise un gemito, si agitò un po’ e poi si lasciò cadere di nuovo giù, coprendosi il viso con uno dei cuscini.

    Tessa gli si avvicinò, lo guardò con disprezzo e gli strappò il cuscino da sotto il braccio. Questa volta funzionò e lei rimase a osservare il tipo che pigramente si metteva seduto e cercava di focalizzare la sua immagine.

    «Non so come tu sia arrivato qua, ma ora te ne andrai immediatamente! Questo non è un dormitorio aperto a qualunque vagabondo di passaggio che decida di entrare per un sonnellino!»

    «Co...?»

    «Oh, sì, mi hai sentito bene!» Tessa ritrovò la propria sicurezza nel poter finalmente fare qualcosa di utile. Era arrivata lì puntuale, elegante nel suo abito nuovo per fare buona impressione, ed era finita a vagare come una stupida in un ufficio vuoto. Come se questo non bastasse, eccola lì ad affrontare uno sconosciuto che russava disteso sul divano del capo, probabilmente per smaltire qualche sbornia che si era preso la sera prima.

    «Guardati!» continuò. «Dovresti vergognarti!»

    «Davvero?»

    «Certo! Un uomo giovane e in salute come te, che s’infila in un ufficio vuoto per dormire! Non dirmi che non puoi cercarti un lavoro!»

    L’uomo giovane e in salute la stava fissando in un modo che cominciava a farla sentire molto imbarazzata. Adesso che lo vedeva bene, si accorse che, al di là dell’aspetto trasandato, era decisamente bello. Il viso dalla carnagione scura, aveva lineamenti risoluti, ma perfetti e gli occhi erano di un blu incredibile.

    «Temo che dovrò denunciarti» dichiarò, mentre lui la osservava divertito. «Non lo troverai molto divertente quando la polizia arriverà e ti getterà in qualche cella!»

    «Cella?» Lui non poté fare a meno di scoppiare a ridere. «Questa non è New York, questa è Londra! Credo che lei abbia visto troppi film sulla polizia americana.» Controvoglia si alzò.

    Sconcertata, Tessa fece un paio di passi indietro. L’uomo, che ora si stava massaggiando il collo con la mano e si guardava attorno con fare sicuro, era davvero molto alto e con un fisico decisamente atletico.

    «Può darsi» rispose osservandolo preoccupata.

    «Che ore sono, comunque?»

    «Sono passate da poco le otto e mezzo.»

    «Non c’è da stupirsi allora che mi senta uno straccio» mormorò, voltandosi a guardarla.

    «Credo che dovrò chiamare George...» iniziò Tessa, sentendosi un po’ ridicola.

    «Si può sapere chi è lei?»

    «Chi sono io?» Tessa fissò l’uomo stupita. «Diciamo che sono la persona che l’ha trovata addormentato su un divano in una proprietà privata.»

    «Sì, ma ha un nome?» Si lasciò cadere sulla sedia dietro la scrivania. «Oh, Dio, no! Dimentichi la domanda, mi è venuto in mente. So chi è lei.»

    «Davvero? Vuole dire che è anche un chiaroveggente? Sono impressionata! Non so se George sarà...»

    «Lei è la signorina Wilson.» Lui sorrise. «Prenda una sedia, la prego. Ha tutta l’aria di stare per cadere a terra.»

    «Preferirei chiamare George...» mormorò Tessa incerta.

    «Se proprio vuole possiamo anche farlo, ma mi creda, sarà solo fonte di grande imbarazzo per lei. Senta, mi permetta di presentarmi e di chiarire questo equivoco...» Si alzò e assunse un tono formale. «Sono Curtis Diaz.» Le porse la mano e sorrise con nauseante gentilezza.

    «Lei... lei non può essere...» Tessa ignorò la sua mano tesa e strinse spasmodicamente il manico della borsetta che teneva in grembo.

    «Perché no?»

    «Perché...»

    «Lo so. È per via dell’abbigliamento, vero? Gli uomini a capo di importanti società di solito indossano abiti impeccabili con cravatte in tinta e sono sempre molto attenti al loro aspetto.»

    Mortificata, lei lo guardò con la bocca semiaperta e le guance leggermente arrossate. Non si era mai trovata in una circostanza simile e, soprattutto, amava avere sempre il controllo della situazione. Considerava deboli le persone che si facevano travolgere passivamente dagli eventi e spesso si chiedeva cosa sarebbe accaduto se anche lei fosse stata così. Nella sua vita, infatti, l’imprevisto era arrivato quando meno se lo aspettava con la morte improvvisa dei suoi genitori. Lei vi aveva fatto fronte prendendo in mano la sua vita e quella di sua sorella e andando avanti. Si sentiva ferita, coperta di ridicolo e non sapeva cosa fare.

    «Non capisco più niente» mormorò tesa.

    «E io mi scuso profondamente, mi permetta di spiegare. Io e il mio staff abbiamo appena terminato un weekend di duro lavoro. Siamo riusciti ad arrivare al

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