Quale Sinodo per la Chiesa Italiana?: Dieci proposte
By de giorgi and Fulvio De Giorgi
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Quale Sinodo per la Chiesa Italiana? - de giorgi
L’arca di Scholé
15
Quale Sinodo per la Chiesa italiana?
Dieci proposte
Fulvio De Giorgi
Scholé
In copertina: elaborazione grafica di Monica Frassine – casamosama.it
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm), sono riservati per tutti i Paesi.
Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633.
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Scholé è un marchio dell’Editrice Morcelliana.
© 2021 Editrice Morcelliana.
Via Gabriele Rosa, 71 – 25121 Brescia.
LegoDigit srl – Via Galileo Galilei 15/1 – 38015 Lavis (TN).
ISBN 978-88-284-0343-2
La collana è peer reviewed
Sommario
Ci voleva un Sinodo? Sì
Le sfide storiche e le risposte pastorali
La forma: Nova
et Vetera
Il contenuto: vino nuovo in otri nuovi
Dieci proposte
Appendice
Francesco, Discorso per la commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del sinodo dei vescovi
Francesco, Discorso ai rappresentanti del v congresso nazionale della chiesa italiana
Francesco, Discorso alla conferenza episcopale italiana
Francesco, Lettera al popolo di dio che è in cammino in Germania
Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dall’ufficio catechistico nazionale della conferenza episcopale italiana
Gualtiero Bassetti, La via sinodale della Chiesa italiana. Un cammino di comunità
La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa
Introduzione
Il Kairós della sinodalità
Capitolo 1, La sinodali nella scrittura, nella tradizione, nella storia
Capitolo 2, Verso una teologia della sinodalità
Capitolo 3, L’attuazione della sinodalità: soggetti, strutture, processi, eventi sinodali
Capitolo 4, La conversione per una rinnovata sinodalità
Conclusione, Camminare insieme nella parresìa dello Spirito
1.
Ci voleva un Sinodo? Sì
In Italia, come in tutto il mondo, stiamo vivendo dal 2020 un tempo di emergenza sanitaria, di malattia e di morte: un tempo di tristezze e di angosce, di sofferenza, di difficoltà sociali ed economiche e di lutti.
Anche la Chiesa che è in Italia è stata duramente colpita: per le perdite di vite, per le difficoltà del culto, per le limitazioni alle relazioni comunitarie e in generale all’azione pastorale. Alcuni ambiti si sono fermati, altri – ove possibile – si sono ripensati a distanza. Le riprese di attività in presenza sono state, comunque e in vari modi, parziali.
Eppure il dolore è stato una scuola.
L’impossibilità di certe esperienze ha imposto ripensamenti e sperimentazione di forme nuove. È emersa la consapevolezza che siamo chiamati a vivere il tempo delle difficoltà, nella responsabilità, come un tempo di grazia: un’opportunità di conversione, una via di salvezza. Insomma un tempo di metanoia per tutta la Chiesa d’Italia.
Siamo ormai persuasi che questo tragico momento nazionale esige ed impone un vero e proprio salto di qualità. Per questo è stato necessario l’avvio di un percorso verso il primo Sinodo italiano. Si tratta di un’esigenza spirituale di conversione e, insieme, di una lettura responsabile dei segni dei tempi: un ascolto di ciò che lo Spirito dice alla Chiesa.
Tale esigenza, in realtà, giunge da lontano, precede la pandemia. Almeno dalla Evangelii Gaudium di papa Francesco era evidente l’opportunità di una seria ed esigente verifica pastorale, per riprendere a camminare, dopo una certa prolungata astenia. Perché questo era ed è ancora il problema!
Dopo essere stata per molto tempo immobile (vedremo, più avanti, perché), ecco che piano piano la Chiesa italiana era chiamata a rimettersi in movimento. Certo, le membra erano ancora anchilosate e il movimento provocava dolori, formicolio, senso di fastidio come di punture di spillo, fatica. Era chiaro che, dopo una paralisi
, ci voleva un po’ di ginnastica riabilitativa.
Come diceva Rosmini, nella Chiesa si alternano periodi di stasi
e periodi di movimento
. Ecco che il periodo di stasi si è troppo protratto e occorre passare ad un periodo di movimento: che significa avere una calda espansione evangelizzatrice (evangelizzando se stessi per proporre il Vangelo a tutti), e perciò una capacità di inculturazione nelle nuove forme culturali di oggi, un sapersi mettere in ascolto di tutti i cuori, per discernerne i moti profondi e sinceri da quelli indotti artificialmente e in modo estrinseco, riuscire a valorizzare ogni giusta istanza di soggettivizzazione e, insieme, demistificare ogni egoismo individualistico soggettivistico.
Il compito che papa Francesco ha dato al suo pontificato mi pare, appunto, essere questo: rimettere la Chiesa in cammino, rimetterla in uscita evangelizzatrice, con simpatia e con il sorriso, non in maniera severa e accigliata; ridarle la fiducia di poter essere all’altezza delle necessità spirituali dell’umanità contemporanea, semplicemente facendosi umile strumento dello Spirito.
È vero: guardando la cartella clinica
, possiamo dire che lo stress psicofisico, provocato dalla sorpresa storica di cui parleremo, ha causato una fibromialgia generalizzata, con rigidità muscolari diffuse.
La paura è stata probabilmente giustificata. Ma ecco che papa Francesco ha tratto fuori la Chiesa dalla paralisi e, con molta pazienza, la ha incoraggiata e la ha spronata: ce la puoi fare! il Signore ti è sempre vicino! lo Spirito non ti manca!
In particolare al Convegno nazionale della Chiesa italiana di Firenze Francesco aveva – come ama dire – avviato un processo. Ma la Chiesa italiana, dopo un primo entusiasmo, si era arenata. E così il 19 maggio 2019, parlando ai partecipanti al Convegno della Diocesi di Roma, il papa aveva osservato con bonaria ironia: «è proprio lo stile della nostra Chiesa. Che bello, quel discorso! Ah, il Papa ha parlato bene, ha indicato bene la strada
, e dagli con l’incenso… Ma oggi, se io domandassi: Ditemi qualcosa del discorso di Firenze
– Eh, sì, non ricordo…
. Sparito. È entrato nell’alambicco delle distillazioni intellettuali ed è finito senza forza, come un ricordo».
Ma Francesco non si arrendeva deluso o indispettito. E nel discorso del 20 maggio 2019 alla Cei aveva ribadito:
«Mi rallegro dunque che questa assemblea ha voluto approfondire questo argomento che in realtà descrive la cartella clinica dello stato di salute della Chiesa italiana e del vostro operato pastorale ed ecclesiastico. […]
Sulla sinodalità, anche nel contesto di probabile Sinodo per la Chiesa italiana – ho sentito un rumore
ultimamente su questo, è arrivato fino a Santa Marta! –, vi sono due direzioni: sinodalità dal basso in alto, ossia il dover curare l’esistenza e il buon funzionamento della Diocesi: i consigli, le parrocchie, il coinvolgimento dei laici… (cfr CIC 469-494) – incominciare dalle diocesi: non si può fare un grande sinodo senza andare alla base. Questo è il movimento dal basso in alto – e la valutazione del ruolo dei laici; e poi la sinodalità dall’alto in basso, in conformità al discorso che ho rivolto alla Chiesa italiana nel V Convegno Nazionale a Firenze, il 10 novembre 2015, che rimane ancora vigente e deve accompagnarci in questo cammino. Se qualcuno pensa di fare un sinodo sulla Chiesa italiana, si deve incominciare dal basso verso l’alto, e dall’alto verso il basso con il documento di Firenze. E questo prenderà, ma si camminerà sul sicuro, non sulle idee».
I tempi per metabolizzare ed elaborare questa proposta da parte della comunità ecclesiale nazionale non sono stati rapidi. Ma forse, ad un’analisi realistica delle inerzie storiche di medio e lungo periodo, a cui già ho fatto cenno, non ci si dovrebbe troppo meravigliare.
Rimettersi in movimento, dopo una protratta immobilità, causa dolori in alcune parti del Corpo, nelle giunture
¹. E queste parti
indolenzite e sofferenti non solo tardano a rimettersi in moto e fanno fatica, ma anche vorrebbero rimanere ferme. E vedono come problema non la patologia di cui soffrono, ma il medico che le vuole curare e risanare e le incoraggia a muoversi. È stato così fin dai tempi di Gesù: Medice cura te ipsum! Ma Gesù è paziente: va a casa del fariseo Simone; e quando Simone dubita della messianicità di Gesù perché egli non saprebbe leggere nel cuore, cioè nel cuore della peccatrice, Gesù gli dimostra che sa leggere nel cuore: nel suo cuore, nel cuore di Simone, mettendone in luce i pregiudizi, le chiusure, gli egoismi.
Certo, i problemi ci sono stati.
E tuttavia il tempo ormai è maturo.
Per questo il 30 gennaio 2021 il papa ha detto ai rappresentanti dell’ufficio catechistico della Cei: «Dopo cinque anni, la Chiesa italiana deve tornare al Convegno di Firenze, e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi: anche questo processo sarà una catechesi. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare».
Insomma: Alzati e cammina!
Ma per alzarsi non basta la sinodalità come stile? No, è necessaria ma non sufficiente. Ci vuole proprio il Sinodo? Sì, non è detto che basti: e tuttavia è necessario. La amorevole pazienza verso la Chiesa rattrappita e convalescente ha un limite, poi non farebbe più bene: il medico pietoso, a questo punto, farebbe l’ammalato cancrenoso.
Siamone consapevoli: o ci alziamo e camminiamo, per quanto possa essere faticoso all’inizio, o ci avviamo alla cancrena ecclesiale. O non opponiamo resistenze al soffio dello Spirito e ci alziamo, o ci avviamo alla desertificazione spirituale, cioè a ridurci al campo di ossa aride.
Ma l’alzarsi ha due dimensioni. La prima è quella del figlio minore prodigo
della parabola: dopo aver imboccato la strada della perdizione, «rientrò in se stesso» (Lc 15, 17), cioè fece un esame di coscienza vero, si accorse dei suoi errori e, allora, si alzò e prese una strada di redenzione
. La seconda dimensione è quella dello splendore della fede. L’accoglienza della liberazione e l’annuncio della salvezza sono un alzarsi, ma non nelle tenebre, bensì nella luce: «Alzati, rivestiti di luce. La gloria del Signore brilla su di te» (Is 60, 1-2).
Innanzi tutto ci è richiesta una revisione di vita ecclesiale: capire le difficoltà che si sono incontrate e – eventualmente – gli errori commessi. Se non si fa con onestà questa analisi, si rischia di commettere sempre gli stessi errori e di condannarsi all’inefficacia e alla frustrazione depressiva: un alzarsi nelle tenebre. E allora anche il Sinodo sarebbe stato inutile: anzi forse dannoso.
Questo rischio, riconosciamolo, c’è: il rischio di un Sinodo incartapecorito, da sepolcro imbiancato, solenne nelle liturgie e nelle enunciazioni e vuoto di contenuti. E allora si capiscono i timori di alcuni Pastori, seriamente pensosi e forse preoccupati dal livello della Chiesa italiana.
Ma bisogna avere fiducia nello Spirito! E naturalmente aprire sinceramente il cuore al suo soffio. Il Sinodo-nulla-di-fatto, il Sinodo che scrive bei testi di carta che rimangono sulla carta, insomma il fallimento sinodale si previene lavorando intensamente e bene, preparandolo con cura e verità, guardando i problemi in faccia.
I malanni della Chiesa si curano, si possono sicuramente curare, conoscendoli. Le terapie sono efficaci se si sono fatte, con accuratezza, anamnesi e diagnosi.
¹ La Chiesa è un Popolo che ha una costituzione gerarchica e carismatica. La gerarchia ha un ruolo preciso ed essenziale: i pastori sono le giunture
che collegialmente guidano e tengono insieme il Corpo. Quando Rosmini scrisse Delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa individuò una piaga
centrale, la piaga del cuore: la disunione dei vescovi. Qualche secolo prima era stato un cappuccino, p. Bonaventura da Recanati, predicatore al papa e alla Curia, ad usare l’immagine della Chiesa-crocifissa e delle Cinque Piaghe. Anche lui indicava la stessa piaga del costato, al cuore della Chiesa: la disunione dei pastori. Certo, oggi, non siamo nelle gravi situazioni di un tempo: lo Spirito non ha lavorato invano, lo Spirito ci ha dato il Concilio Vaticano II e il rinnovamento conciliare ha portato ad una maggiore collegialità episcopale. E tuttavia oggi si percepisce questa fatica delle giunture
.
2.
Le sfide storiche e le risposte pastorali
Per capire, dunque, quali linee pastorali siano oggi opportune e adeguate è necessaria una lettura non superficiale dei segni dei tempi. È necessaria un’analisi storica per situarci
. Questa analisi, pur nella necessaria sinteticità (una ricostruzione storica approfondita esula infatti dagli obiettivi di questo intervento: rimando per tale ricostruzione al complesso delle mie ricerche), avrà due crinali: le sfide alla fede cristiana che vengono dai principali cambiamenti storici profondi e di lungo periodo e la valutazione delle risposte pastorali messe in campo.
I problemi attuali della Chiesa, infatti, possono avere, anzi a mio avviso hanno, una origine duplice: i grandi processi storici esterni
; ma anche, all’interno
, la risposta pastorale, totalmente sbagliata, a tali processi.
Il lungo Ottocento europeo (dalla Rivoluzione francese alla Prima guerra mondiale: 1789-1914) vide un complesso di processi storici che determinò quella che è stata chiamata la grande trasformazione
: fu un secolo borghese, con il tendenziale affermarsi di regimi costituzionali liberali (e perciò generalmente favorevoli all’uguaglianza giuridica di tutti i cittadini senza differenze di religione: quella che si chiama laicità
).
Quando si parla di borghesie europee, cioè dei ceti che, da una parte, soppiantarono l’aristocrazia, già dominante nelle società di antico regime, e, dall’altra, guidarono l’affermazione in Europa del sistema economico capitalistico-industriale, gestendo conflitti sociali di classe con i ceti subalterni, si parla di un mondo molto complesso. E variamente articolato. Borghesia
è termine che può riferirsi a fenomeni storici reali tra loro molto diversificati: differenze tra borghesie urbane e ceti agrari; tra borghesia dell’industria, del commercio, della finanza, delle professioni; tra grande
borghesia e un vasto, molto ampio, ambito di piccola o piccolissima borghesia, classi medie
(a loro volta molto stratificate), ceti di confine
(al confine cioè con il proletariato e gli strati sociali più bassi).
È molto difficile, su questo sfondo, dare immediatamente una connotazione sociale ai processi di secolarismo o, se si vuole, di scristianizzazione. Andando per grandi approssimazioni (non semplificatrici), la Chiesa cattolica otto-novecentesca articolò una pastorale abbastanza efficace verso i ceti medi
(prima di campagna, poi anche di città) e almeno verso una parte dei ceti subalterni
(con l’impegno del cristianesimo sociale
). Più difficoltà ebbe tale pastorale verso la grande borghesia, cioè verso quei ristretti strati, di censo più alto (e/o di livello di istruzione più elevato), che – nei sistemi elettorali censitari dei regimi liberali – detenevano il potere. Ecco dunque la nota polemica cattolica del Paese reale contro il Paese legale.
Ma qui è necessario – sia pure sinteticamente – distinguere attentamente tra due processi storici, che si svilupparono ma che erano già precedentemente avviati: la secolarizzazione e il secolarismo. Anche se talvolta si intrecciarono o rinforzarono a vicenda, si trattava di due fenomeni storici diversi: la secolarizzazione era l’autonomizzarsi delle sfere dell’agire umano dal campo religioso (comprendeva perciò la laicizzazione dello Stato, ma anche l’autonomizzarsi delle altre sfere: le scienze, l’economia, la politica, il costume); il secolarismo era invece un orientamento culturale, mentale
, teso all’ateismo materialista.
Il secolarismo poi aveva un doppio aspetto: teorico e pratico. A fronte cioè degli ambiti intellettuali orientati in senso ateo-materialista (tanto tra alcune correnti culturali scientistico-positiviste quanto nelle ideologie politiche marxiste) vi fu pure un materialismo pratico, che assegnava di fatto la priorità ai valori materiali (soldi, successo, sensualità), pur ammantandosi di retorica spiritualistica o talvolta perfino cristiana.
Accanto dunque all’ateismo-materialista teorico, che andava popolarizzandosi, si ebbero così altri due fenomeni molto insidiosi per il cristianesimo: il rispetto umano
e il perbenismo cristiano-borghese
.
Il primo – condannato e combattuto dal papa, dai vescovi, dai parroci – era determinato dall’egemonia socio-culturale del secolarismo ateo (nelle fabbriche, nelle officine, nelle osterie, nelle scuole) che portava le persone semplici, di ceto sociale più umile e poco istruite, a nascondere la loro fede cattolica, a vergognarsi a dirsi cattolici, sentendo il peso dello stigma culturale.
Il secondo era la forma principale assunta dal materialismo pratico. Tale materialismo pratico si diffuse, dalla fine dell’Ottocento, tanto in settori dell’alta borghesia, quanto anche del ceto medio più benestante. Ma tale materialismo pratico del perbenismo cristiano-borghese
svuotava lentamente dall’interno lo spirito evangelico, l’anima stessa del cristianesimo. Se ne accorsero, già nel primo Novecento, osservatori attenti come Romolo Murri o come il card. Alfonso Capecelatro.
Una forte svolta storica si avviò con quello che è stato chiamato il secolo breve
(1917-1989) e cioè con i totalitarismi. Le ideologie totali (comunista, fascista, nazista) si fecero Stato, dando una grande forza al secolarismo, inteso nella sua forma di materialismo teorico: il regime comunista imponeva il materialismo storico e dialettico; il regime fascista imponeva il nazionalismo assoluto; il regime nazista il razzismo. Le ideologie totali facevano del secolarismo la religione politica del materialismo teorico: il comunismo con l’ateismo di Stato; il fascismo con lo Stato etico, con la statolatria; il