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il mistero della cattedrale
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il mistero della cattedrale

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About this ebook

Alfred Preston, ordinario di antropologia

presso l'Università di Stanford e la sua assistente Jeannie Madigan,

scompaiono nello stesso giorno dalla prestigiosa università americana.

Claire Freelander, investigatrice privata, riceve l'incarico dai vertici

dell'ateneo di indagare su quella che viene definita dai colleghi dei

due accademici, una inspiegabile scomparsa. Seguendo le tracce lasciate

dalla ricercatrice, giungerà in Toscana e più precisamente nella città

di Lucca: si troverà risucchiata da un vortice terrificante, all'interno

del quale opera da oltre duemila anni una pericolosissima setta, gli

Hod, e a rimpiangere il quieto tran, tran, del suo ufficio di Manhattan.

Clay Fergusson, ispettore della polizia metropolitana, sta vivendo un

momento terribile della sua esistenza: un proiettile uscito da una

semiautomatica di un balordo, ha interrotto l'esistenza della sua

compagna. Per non impazzire dal dolore Clay si rifugia nell'alcol. Prima

che si aprano definitivamente le porte dell'abisso nel quale sta

progressivamente scivolando, Clay s'imbatte per caso nel cadavere del

professor Preston e da quel momento in poi la sua vita non sarà più la

stessa.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 1, 2021
ISBN9791220324588
il mistero della cattedrale

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    il mistero della cattedrale - Lucio Gatto

    opera.

    Capitolo primo

    Un rumore si aggiunse ai frastuoni di New York.

    L’elicottero sfiorò alcuni edifici della Quinta strada, il Rockefeller Center, poi fu solo una fra le innumerevoli luci intermittenti sopra il cielo di Manhattan.

    Giù nel traffico caotico procedeva sobbalzando e sferragliando uno scalcagnato taxi giallo.

    Il conducente voltò all’improvviso in direzione del Queens, penetrò come una supposta il Midtown Tunnel e arrestò la sua incerta corsa tossendo come un tisico al numero civico 3528 di Wayne Stattner.

    Pagò il tassista, un afro americano sulla trentina, con un biglietto da venti dollari lasciandogli ben 50 centesimi di mancia. Fuori l’aria era fresca.

    Si calcò bene in testa il cappello, avvolse la sciarpa attorno al collo, poi sollevò lo sguardo in direzione del suo alloggio e quando finalmente scorse le tendine delle sue finestre, tirò un sospiro di sollievo. La giornata era stata maledettamente noiosa, in agenzia non era entrato nemmeno un cane. Desiderava solo entrare in un bagno caldo, tutto il resto poteva anche andare a farsi fottere.

    Quando apparve preceduta da una nuvoletta di vapore nell’ampio soggiorno del suo appartamento situato al venticinquesimo piano, si sentiva rigenerata nel corpo e nello spirito.

    Strinse bene in vita l’accappatoio bianco e iniziò ad asciugarsi accuratamente i lunghi capelli biondi, massaggiandoli. Così facendo raggiunse il frigo bar, prelevò una bottiglia ghiacciata di Martini dry, versò una generosa dose in una coppa di cristallo, aggiunse un discreto quantitativo di gin, un cubetto di ghiaccio, con uno stuzzicadenti infilzò una olivetta che mise all’interno, poi si distese sul divano.

    Finalmente si sentiva soddisfatta, in pace con se stessa, e mentre sorseggiava il trasparente liquore, le immagini più significative di quella giornata del cazzo presero a scorrere nel cielo nero di Manhattan. Lo squillo del telefono fu come un pugno nello stomaco, come graffio sulla lavagna. Irritata attese che si inserisse la segreteria telefonica e alcuni istanti dopo la voce di sua sorella Debby si manifestò forte e chiara come al solito.

    "Ciao Claire! Volevo solo sincerarmi che il tuo rientro fosse avvenuto senza intoppi.

    Quando vuoi, chiamami!"

    Si erano lasciate solo da alcune ore e Debby si era già fatta viva.

    Quelle rare volte che trascorrevano un fine settimana assieme, i primi giorni si faceva sentire metodicamente. Poi col trascorrere del tempo la frequenza diminuiva fino a cessare del tutto, una volta esauriti gli argomenti.

    Debby abitava in una tipica casa americana tinteggiata di bianco, con il sottogronda di color rosso mattone, le tendine ricamate alle finestre, a un’ora di macchina da New York.

    Debby viveva da sola in quella casa, sola dal giorno in cui aveva beccato il suo ex marito a grufolare come un porco fra le cosce di Dorothy, la sua migliore amica.

    Da quel fatidico giorno erano trascorsi due anni, due lunghissimi e fottutissimi anni vissuti in prevalenza distesa sul lettino del suo psicanalista a tentare di rimettere in sesto la sua esistenza, a trovarne un senso, e da allora s’era imposta, riuscendoci, di chiudere definitivamente con l’altro sesso.

    Ultimamente però le accadeva durante il sonno, ma anche nei momenti più impensati del giorno, di vedere corpi nudi maschili assumere di volta in volta le sembianze somatiche di Gregory, il vicino di casa già in su con gli anni ma che dimostrava ancora una baldanzosa virilità, di Victor, il gestore del centro commerciale che aveva scatenato la sua fantasia erotica, in virtù della villosità del petto e della corporatura mastodontica del suo fisico che lo faceva somigliare a un gorilla.

    Si era aggiunto a questi due, Alfred, il suo capoufficio, nonostante avesse un fastidiosissimo problema di alitosi.

    Quando raccontò al suo analista ciò che le stava accadendo, il dottor Wilder accolse con vivo interesse la notizia, perché vedeva in quelle raffigurazioni notturne un segno di un’imminente guarigione, tanto da spingerlo a pronunciare queste confortanti parole:

    Credo che sia pronta a istaurare rapporti con l’altro sesso.

    Al pensiero di innamorarsi di nuovo, rabbrividì. Ma una volta metabolizzato e digerito il responso del dottor Wilder, convenne che effettivamente cominciava a mancarle un uomo.

    Il suo letto si era come allargato nel tempo e sempre più le sembrava di riposare in un deserto arido e sconsolato. Non cucinava più per sé, da qualche tempo aveva ripiegato sui cibi in scatola o alimenti precotti.

    Le mancava un uomo dentro casa.

    Le mancavano gli odori maschili.

    Le magliette sudate dopo un’estenuante partita di football, l’aroma del dopobarba e l’olezzo dei lubrificanti per motori. Ma soprattutto le mancava l’amore carnale.

    Debby era tutto ciò che le rimaneva, era la sua famiglia, la sua memoria storica, e questo fin dal giorno in cui i loro genitori avevano lasciato prematuramente questa terra.

    E da allora si erano sentite come delle naufraghe su una zattera, delle sopravvissute a una catastrofe nucleare. Avevano impiegato l’intero week-end a ricostruire il loro vissuto, a progettare quello futuro e a osservare dietro le tendine ricamate Gregory, l’aitante vicino di casa.

    Quel lunedì mattina, puntuale come un orologio svizzero, oltrepassò la soglia del suo ufficio determinata a risolvere una serie di annosi problemi che giacevano insoluti da tempo.

    Il primo, quello più urgente e più seccante sotto un certo punto di vista, consisteva nel porre fine alla relazione con Berry. Non si sentiva per niente addolorata, non provava alcun senso di colpa, temeva solo una reazione scomposta e di scorgere sul suo volto ciò che aveva cercato in tutti i modi di non vedere da molto tempo.

    Berry era il suo socio.

    E con lui scopava da un anno.

    Non ricordava il motivo.

    Quale fosse stato il sortilegio, ammesso che ci fosse stato davvero, a trasformare quel sodalizio professionale, in un rapporto di sesso. Molto probabilmente ci doveva aver influito la noia.

    La vita di merda che conduceva.

    L’illusione di trovare finalmente un approdo, il proprio posto nel mondo, un luogo sicuro, e non udire più il chiasso dei suoi sogni infranti.

    Claire sognava di fare l’attrice. Sogno ricorrente e per certi versi banale al quale ricorrono ragazze con un bel faccino come il suo. Di entrare nel firmamento di Hollywood, avere denaro da spendere, e di vivere così un’esistenza degna di essere vissuta.

    Ma appena Berry chiuse la porta, com’era sua abitudine col piede destro, della Fox Investigation e i loro sguardi inevitabilmente si incrociarono, entrambi compresero che della loro intimità e del loro rapporto non era rimasto un bel niente. Furono sufficienti poche parole e la loro relazione evaporò, esalò come per incanto.

    Tornavano a essere solo due soci in affari, che la vita aveva fatto incontrare per caso nel freddo inverno del 2018, e che gestivano con un discreto successo una delle tante agenzie investigative di New York.

    Emily, una delle tre segretarie della Fox Investigation, comparve tenendo stretto in mano un biglietto da visita. Salutò i suoi datori di lavoro, inviò un fugace sguardo languido all’indirizzo di Berry, che parve apprezzare particolarmente, poi disse:

    «C’è un signore che chiede di essere ricevuto, a quanto pare ha da sottoporvi una faccenda abbastanza delicata. L’ho fatto accomodare in sala d’attesa e questo è il suo biglietto da visita.»

    Carl Payton sembrava a disagio.

    Si guardava intorno con circospezione, soffermando il suo sguardo su ogni cosa di quell’ufficio, anche sugli oggetti più insignificanti, come se volesse trarne informazioni utili e da quelle farsi un’idea più oggettiva sui professionisti che operavano in quell’agenzia.

    Fin da piccolo Carl Payton aveva dovuto sviluppare tutte le qualità dell’intelligenza.

    Senza un padre che gli dicesse come doveva affrontare le difficoltà della vita, con una madre troppo impegnata a spingere la carretta per occuparsi della sua felicità, si era creato un mondo tutto suo e quando ne usciva per rapportarsi con gli altri assumeva un’aria di superiorità, un atteggiamento distaccato, dietro il quale si nascondeva.

    A Harvard era stato accolto con un certo distacco, quel distacco che la med-classe americana riservava a coloro che non ne facevano parte. Ma nonostante questo significativo dettaglio, col passare del tempo era stato sempre più apprezzato per la sua intelligenza e soprattutto la sua personalità. Una personalità poliedrica che gli consentiva di immergersi nei personaggi e di assumerne gli atteggiamenti. Come modello di riferimento, vuoi anche per il successo che aveva suscitato all’epoca l’uscita del film il Grande Gatsby, magistralmente interpretato da Robert Redford,aveva preso quell’attore, ricopiando ogni dettaglio del suo aspetto: dalle cinture di cuoio ai fazzoletti di seta, dalle giacche di tweed, alle sciarpe di cashmere, imparando a spiegare il tovagliolo e a porgere la sedia alle signore, meravigliandosi per il misto di disinvoltura e deferenza con cui trattava i professori, per il fascino superficiale e l’implicita freddezza dei rapporti che riservava alle altre persone.

    Quando si laureò e incominciò il master, tutti erano ormai convinti che anche lui provenisse da una famiglia ricca. Vestiva come sempre con sobria eleganza e quella mattina aveva aggiunto volutamente alcuni accessori che metteva in particolari circostanze.

    Indossava un abito gessato di color grigio antracite, di ottima fattura, cravatta rosa su camicia bianca inamidata, gemelli d’oro con le iniziali, così come l’orologio del nobile metallo.

    Il gentil sesso lo considerava un uomo decisamente affascinante: capigliatura folta e canuta, volto magro e abbronzato dai lineamenti delicati, occhi azzurro mare, statura media e fisico asciutto.

    «Cosa posso fare per lei?» disse Claire dopo avergli stretto la mano ed essersi soffermata a contemplare il colore di quegli occhi.

    «Dirigo il dipartimento di antropologia della Stanford University e vorrei affidare a quest’agenzia un compito estremamente delicato.»

    La voce le risultò estremamente seducente, come del resto tutto di quella persona.

    Si sentì avvampare.

    Capitolo secondo

    Un vento caldo soffiava da giorni sulla Contea di Santa Clara.

    I sobborghi verdeggianti venivano rinfrescati da migliaia di irrigatori, ma gli abitanti più ricchi se ne stavano chiusi in casa con l’aria condizionata a palla.

    Era settembre e l’autunno sembrava un sogno irraggiungibile.

    Una vecchia Ford bianca attraversò lentamente il quartiere dove vivevano principalmente proletari bianchi. La macchina era priva di aria condizionata e la guidatrice aveva abbassato tutti i finestrini.

    Claire indossava jeans tagliati, una T-shirt bianca: la giacca di lino blu giaceva dimenticata sul sedile posteriore, era incazzata nera con quelli dell’auto noleggio per il bidone che le avevano rifilato… e il sedile di finta pelle sotto le sue cosce era bagnato di sudore.

    Costeggiò il campus alberato di eucalipti della Stanford e mentre passava davanti all’imponente ingresso, un gruppo di ragazze in tenuta da jogging le passò di fianco correndo.

    L’università si estendeva su una quarantina di ettari di verde, con giardini e boschi.

    Gli edifici erano prevalentemente di mattoni rossi, faceva eccezione qualche struttura moderna di vetro e cemento, tutti collegati da un dedalo di stradine strette delimitate da parchimetri.

    Fermò la macchina davanti a un parchimetro, radunò dei fogli che aveva sparso sul sedile anteriore, indossò con riluttanza la giacca di lino e si guardò bene da inserire monetine per la sosta.

    Carl Payton era seduto alla scrivania e respirava a fatica.

    Aveva un ufficio molto spazioso, ma a parte questo particolare la stanza era monastica: pavimento di linoleum, pareti leggermente avorio, schedari semplici e funzionali, una libreria dozzinale, frutto della più abusata distribuzione.

    Il salva schermo del suo computer mostrava un’immagine di Piazza Navona, sulla scrivania abbondavano fogli e fotografie che ritraevano alcuni episodi della sua vita, tutta roba del secolo precedente.

    Il telefono squillò.

    La voce di Filippa Harpenden, una delle segretarie dell’Istituto si materializzò:

    «Professor Payton, c’è la signorina Claire Freelander.»

    «Bene, falla passare.»

    Mentre l’aspettava, si chiese con quante donne fosse finito a letto. Su due piedi calcolò che non sarebbe stata un’impresa facile.

    Nei dieci anni in cui era stato sposato, si era comportato come un perfetto marito innamorato della propria consorte, poi c’era stata quella storiella di lei con un suo collega, che a sentirla si era trattato solo ed esclusivamente di sesso, così gli aveva giurato piangendo, che aveva finito per rovinare tutto. L’aveva perdonata, in un primo momento, ma poco dopo si era rifatto.

    Con la signorina Freelander come sarebbe andata a finire?

    Si sarebbe trattata di un’altra cosa?

    Comunque l’affare Madigan aveva priorità assoluta.

    Dopo, una volta risolto il mistero, allora sì che avrebbe potuto giocare tutte le sue carte.

    Il mistero in questione aveva un nome e cognome, Jeannie Madigan, studentessa al secondo anno di specializzazione, un master in antropologia criminale, scomparsa senza lasciare tracce di sé da venti giorni.

    Nessuno aveva saputo fornire spiegazioni utili sulla scomparsa della studentessa, ma tutti concordavano nel mettere in correlazione la scomparsa della Madigan con quella del professor Alfred Preston, ordinario di storia antica alla Falls University da oltre venti anni.

    L’aspetto che non riusciva a spiegarsi verteva su questo punto di domanda: cosa accomunava un professore di cinquantotto anni portati tra l’altro malissimo, con una studentessa di ventidue, molto, molto carina e avvenente?

    Riteneva alquanto improbabile una love story tra i due e quindi la decisione di fuggire via lasciandosi alle spalle tutto e tutti.

    Il professor Preston non era certo il tipo che faceva per principio il cascamorto con le studentesse, si trattava di un mormone ultra moralista, e mai c’era stata su di lui un’ombra a tale proposito, una voce discordante. Così la contemporanea scomparsa di entrambi appariva un mistero per certi versi inspiegabile.

    La famiglia della studentessa alla fine era stata costretta dalle circostanze a denunciare la scomparsa alle autorità e così aveva fatto da poco anche la moglie del professore.

    Lo sceriffo della contea, sollecitato dalle circostanze a dire la sua ai familiari che pendevano letteralmente dalle sue labbra, si era fatto sfuggire prima un beffardo sorriso, e dopo un laconico commento:

    «Avete un’idea di quante persone scompaiono nelle nostra contea in un anno?»

    E a dimostrazione di quanto detto, aveva gettato sulla scrivania un tabulato con più di mille nominativi. E aveva aggiunto subito dopo con una puntina di malizia:

    «Sono entrambi maggiorenni! E la loro fuga potrebbe essere il risultato di un piano ben congeniato: ci avete mai pensato bene? Capite a cosa alludo?»

    La signora Preston a quelle supposizioni iniziò a risentirsi indignata, e con fervente passione prese le difese del marito e della sua onorabilità.

    Lo sceriffo, resosi conto di averla sparata grossa, s’inoltrò in un ginepraio di strampalate supposizioni che finirono per gettare nell’angoscia e nella disperazione più nera i familiari.

    Comunque sia, quella semplice congettura prese col passare del tempo una sua consistenza, e come un fiume carsico iniziò a scorrere e a portare con sé illazioni che divenivano, col trascorrere del tempo, certezze.

    Ecco quindi spiegato il ricorso a un’agenzia di investigatori privati.

    Payton, l’accademico più illustre, direttore del dipartimento in comune accordo con il rettore dell’Istituto, aveva sentito l’esigenza di prendersi un impegno nei confronti delle famiglie, ma va detto che lo aveva fatto soprattutto per motivi di opportunismo: mettere a tacere una volta per tutte quel chiacchiericcio che il caso stava sollevando, ipotesi che avrebbe influito negativamente sul buon nome di quella prestigiosa Università e soprattutto sui suoi finanziatori privati.

    Claire bussò alla porta ed entrò.

    Quando vide la sua T-shirt bianca s’immaginò la forma dei seni e li trovò estremamente sexy.

    «È stata molto gentile a venire fino qua.» Le disse.

    La fece accomodare su una sedia, poi spostò la propria da dietro la scrivania perché non ci fossero barriere tra di loro. Si sedette e le rivolse il più disarmante dei sorrisi.

    «Questo è il mio lavoro, e intendo affrontarlo al meglio.» Gli rispose contraccambiando il sorriso.

    «Bene, molto bene. Le metterò a disposizione la signora Filippa Harpenden, una delle segretarie più efficienti di questo Istituto; le mostrerà tutto quello che c’è da vedere, le aprirà ogni porta, le farà vedere i luoghi in cui vivevano e operavano i due scomparsi.

    Inoltre le darà qualsiasi informazione che lei riterrà utile per le sue indagini.

    Potrà fare affidamento anche sul sottoscritto in ogni momento, quando lo riterrà opportuno.

    Inoltre la signora Harpenden sarà felice di farle vedere l’alloggio che è stato per lei assegnato, ovviamente all’interno dell’Istituto.»

    Payton guardò l’orologio.

    «Ora purtroppo ho un appuntamento improrogabile, ma se vuole discutere ancora, fra un’ora sarò in grado di riprendere la conversazione; magari potremo cenare assieme stasera: che ne dice?»

    Ravvisò che Claire esitava.

    Quell’invito gli era scappato di bocca all’improvviso, non c’era stata nessuna premeditazione, si era trattato di una sorta di riflesso incondizionato che faceva capire quale razza di predatore seriale era lo stimatissimo professore.

    Convenne poi che un invito a cena poteva anche concludersi in un altro modo: riaccompagnare a casa la bella Claire e rimanere in auto giusto il tempo per un cordiale saluto di commiato.

    Certo sarebbe stata dura, veramente dura, perché Claire era un bel bocconcino.

    «Certo» disse lei alla fine.

    «La porterò nel migliore ristorante di San José, così potrà degustare le nostre specialità.»

    «Bene» replicò lei alzandosi.

    «La passo a prendere alle otto?»

    «D’accordo.»

    Mentre Claire si voltava per uscire, Payton ebbe un’improvvisa visione della sua schiena nuda, liscia e tonica, delle gambe ben tornite; deglutì.

    Lei si chiuse dietro la porta.

    Payton scosse la testa per allontanare quella fantasia erotica, si sedette alla scrivania e gettò lo sguardo su una fotografia che lo ritraeva con il suo nipotino di appena due mesi in braccio.

    Capitolo terzo

    Payton ordinò champagne.

    Claire avrebbe preferito della vodka ghiacciata, visto il caldo patito dal momento che era scesa da quell’aereo per giunta surriscaldato. Ma bere superalcolici come aveva preso a fare recentemente per lenire le sue delusioni esistenziali, non era certo il modo migliore per fare bella impressione su un cliente come Payton.

    Lo champagne significava seduzione e questo lei lo sapeva benissimo.

    Payton era stato, fin da quando si era presentato nel suo ufficio, più affascinante che seducente.

    Che avesse intenzione di farle delle avances?

    L’idea la metteva a disagio.

    Si riproponeva la solita storia, specialmente quando le situazioni le capitavano all’improvviso. Aveva sempre avuto bisogno di tempo, di farsene prima un’idea, una ragione, di vedersi in un possibile rapporto, mai l’aveva data alla prima uscita.

    Anche con Barry era iniziato così.

    Una mattina lo aveva visto diverso; ed era rimasta a osservare in particolar modo il suo comportamento, a soppesare ogni minimo dettaglio della sua persona e del suo atteggiamento.

    Dopo un opportuno periodo di corteggiamento, aveva deciso che avrebbe accettato l’invito di cenare con lui in un tipico ristorante italiano.

    Barry si era presentato all’appuntamento tutto impomatato, un po’ troppo per i suoi gusti; ma nonostante questo eccesso di profumi che dimostrava una certa insicurezza, aveva apprezzato il suo sforzo e durante la serata si era manifestato carino e simpatico.

    Quando la macchina di Barry si era fermata sotto le finestre di casa sua, al momento fatidico del commiato e dopo aver superato un iniziale imbarazzo, il bacio sulle labbra era scaturito spontaneo, come suggello conclusivo della serata; non lo aveva trovato sconveniente ma scontato sì, del tutto naturale, come ritenne normale che il cameriere avesse portato il conto della cena a Berry, e che lui non avesse commentato l’importo, ma che gli avesse dato senza indugio la sua carta di credito.

    Una sorta di gioco delle parti insomma, l’esibizione di un rituale antico come il mondo.

    Non aveva mai conosciuto un uomo che accettasse di buon grado di non essere ricompensato. Quindi qualcosa doveva concedere o al limite promettere al professor Payton?

    Inizialmente avevano ampiamente parlato della scomparsa dei due, poi la discussione era scivolata sugli studi da lei compiuti e finalmente era approdata a comunicargli i suoi sogni.

    Evidentemente lo champagne iniziava a fare il suo effetto.

    «Com’era il Pokè?» chiese Payton, interrompendo le sue elucubrazioni che vertevano su come si sarebbe da quel momento in poi comportato.

    «Fantastico! Ho fatto bene a darle retta.»

    Lui si lisciò con la punta del pollice il labbro superiore destro.

    Per qualche motivo Claire avvertì nel gesto una sorta di autocompiacimento.

    «Ora le farò una domanda, e lei dovrà rispondermi con la massima sincerità» disse Payton sorridendo, in modo che lei non lo prendesse troppo sul serio.

    «D’accordo.»

    «Le piace il dolce?»

    «Mi ha preso per il tipo di donna che mentirebbe su una cosa simile?»

    Lui scosse la testa. «Non credo siano molte le cose sulle quali mentirebbe.»

    «Mi rimproverano spesso d’essere priva di tatto.»

    «È il suo peggior difetto?»

    «Potrei essere migliore se ci facessi un po’ d’attenzione. E qual è invece il suo peggior difetto?»

    «Mi innamoro» rispose Payton senza la minima esitazione.

    «E lo considera un difetto?»

    «Lo diventa se accade troppo spesso.»

    Claire rise, ma non voleva che il discorso rimanesse su un terreno che riteneva essere estremamente scivoloso. Sorbì un sorso di champagne. Decisamente non si trattava di una cena di lavoro.

    Payton si strinse nelle spalle e Claire si rese conto che quello poteva essere un giochetto per far colpo sulle donne. Tra non molto sarebbe stata costretta a prendere una decisione su quale piega dare alla serata.

    Non baciava un uomo che non fosse stato Berry da più di un anno.

    Alzò lo sguardo verso Payton che con molta delicatezza stava mangiando mele caramellate.

    Le piaceva. Era in gamba. Intelligente, e aveva modi affascinanti.

    Era magro e in buona forma fisica, probabilmente sarebbe stato un amante abile e pieno d’esperienza, e aveva dei magnifici occhi azzurri.

    Ma era troppo vecchio. A lei piacevano gli uomini maturi, ma non fino a quel punto.

    Si chiese come avrebbe potuto respingerlo senza farlo rimanere male.

    Pensò così di fingere, di interpretare le sue attenzioni come gentili e paterne.

    In quel modo avrebbe potuto evitare di respingerlo direttamente.

    Bevve un altro sorso di champagne.

    Sentiva montare la frenesia che le bollicine scaricavano nel sangue.

    Ordinarono il caffè.

    Lei chiese un doppio espresso per schiarirsi la mente.

    Dopo che Payton ebbe pagato il conto, scesero con l’ascensore nel parcheggio e salirono sulla sua Lincoln.

    Costeggiò il porto poi imboccò la superstrada.

    Payton si voltò verso di lei con fare compiaciuto.

    Si rese conto che di quell’uomo non sopportava la sicurezza, e la consapevolezza di sapere d’essere affascinante e quindi anche lei, come del resto tutte le donne del pianeta, fossero destinate a cadere ai suoi piedi. Come poteva andare a letto con un tipo simile?

    Si vergognò persino d’averlo pensato.

    Quando la macchina si fermò davanti al padiglione dove era situato il suo appartamento, disse con decisione:

    «Professor Payton, grazie per la magnifica serata.»

    Appena pronunciate quelle parole, rimase in attesa.

    Le avrebbe stretto la mano. Si chiese Claire, oppure avrebbe tentato di baciarla?

    Se l’avesse fatto, lei gli avrebbe porto la guancia.

    Payton non fece nulla di tutto questo.

    «Il telefono a casa mia è guasto e il mio cellulare scarico; devo mettermi urgentemente in contatto con un mio collega prima che diventi troppo tardi» le disse spiazzandola decisamente.

    «Potrei usare il suo?»

    Non poteva certo dirgli di no, sembrava proprio che lui avesse programmato tutto.

    «Certo» rispose, soffocando un sospiro.

    Payton dormì male.

    Da quando si era svegliato strani pensieri gli stavano affollando la mente.

    La dannata faccenda legata ad Alfred Preston gli stava provocando inquietudine e un presentimento, come se si dovesse abbattere sull’Istituto e su lui stesso un’immane catastrofe.

    Eppure la serata non era andata così male.

    Aveva goduto immensamente delle occhiate invidiose degli altri uomini della sua età che cenavano con le rispettive consorti vecchie e brutte.

    Poi

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