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Dove riposa la luce
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Dove riposa la luce

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About this ebook

La popolazione di Cayu ha vissuto una violenta pandemia, il sovrappopolamento, l’inquinamento e la battaglia giornaliera con il degrado morale. Convinta ancora una volta di farcela viene minacciata da un nuovo cataclisma, qualcosa che cambierà ancora le regole. La storia corale si dipana freneticamente attraverso gli occhi dei molti personaggi, messi di fronte allo specchio che mette a nudo le loro debolezze e il loro vero valore, tutti uniti dalla ricerca della salvezza. Un cammino che riserverà loro nuove sfide da affrontare e nuovi drammi, alla ricerca della pace e della giustizia per la rinascita del mondo e il sorgere di una nuova generazione.

Remy Bolt nasce nel 1977 e cresce alle porte di Roma. Da bambino amava scrivere brevi racconti, oggi continua a coltivare la passione per la scrittura con lo stesso obiettivo: raccontare storie, trasmettere emozioni. L’identità non è sempre necessaria per sognare.
LanguageItaliano
Release dateNov 30, 2020
ISBN9788830631748
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    Dove riposa la luce - Remy Bolt

    stelle

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo. Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Volume I - Estinzione

    Prefazione

    Ci ho messo tempo per decidere se scrivervi questo libro. Voi non mi conoscete e non mi conoscerete. Questo libro probabilmente non vi cambierà la vita, non in maniera significativa. Cambierà solo le vostre prospettive. Quel che davvero vorrei è che, guardando in alto, ci vediate, impegnati a sopravvivere per l’ultima volta, e ci salutiate come amici. Ma non siamo sopravvissuti solo per noi stessi, altrimenti saremmo vissuti persino qualche vuoto anno in più.

    ‘Anno’, ah giusto. Dopo aver deciso di mettere la nostra storia nero su bianco, quella che state per iniziare, è arrivato il momento di decidere quale fosse il mio scopo.

    Sì, perché vi avrei potuto subissare di informazioni e nozioni lontane ma che alla fine della storia non avrebbero fatto altro che confondervi. Potevo riferirmi a distanze con HAOS o KAOS, le nostre unità di misura per le distanze, o JAS, JAT per il tempo. Le nostre convenzioni sono sempre state più pratiche che poetiche.

    Ci è voluto più tempo per scrivere perciò utilizzando le vostre convenzioni, non è stato facile credetemi, e spero apprezzerete lo sforzo.

    Quando leggerete di ‘metri’, ‘ore’, ‘secondi’ quindi, non concludete che il mio mondo sia uguale al vostro. Siamo lontanissimi, eppure miracolosamente vicini.

    Le nostre giornate erano più corte, ventidue ore giornaliere a proposito, e i nostri anni più brevi. I nostri mesi erano sei e non dodici e le stagioni davvero molto diverse dalle vostre.

    Scusatemi, sto divagando inutilmente dato che tutto quello che vi scriverò è tradotto per il vostro pianeta.

    Vi parlerò di un mondo morto e rinato, poi morto ancora e ora redivivo, del quale non voglio dimenticare nulla. I nostri animali non sono i vostri, persino i nostri oggetti sono di materie diverse e il cibo beh… non lo ricordo più molto. Non spaventatevi quando vi scriverò di creature sconosciute, piante eleganti e possenti. Limitatevi a immaginarle, a immedesimarvi nel mio racconto, in fondo come vi dicevo siamo miracolosamente vicini.

    Leggerete queste parole quando non ci sarò, non esisterò più da molto, molto tempo. Lasciatemi illudere che quando sfoglierete l’ultima pagina mi vorrete bene, forse vi sentirete persino debitori verso di me. Non fatelo, c’è forse soddisfazione maggiore di aver dato sé stessi senza chiedere niente in cambio? So che questa caratteristica appartiene anche a voi, so che capite cosa voglio dire.

    È una storia lunga, scegliete voi la parte che vi appartiene di più, non avete ancora idea di quanto lo sia. Ora mettetevi comodi, cominciamo.

    Capitolo 1

    Non fu un cataclisma. Non fu qualcosa di annunciato, nessun profeta di professione ne parlò intonando versi o urlando nelle piazze. La fine più deludente di sempre.

    Un furto, uno scippo planetario. Ancora oggi non saprei dire quale nome si addica di più alla nostra morte.

    Il modo migliore per rapinare qualcuno? Distrarlo. Spingerlo a concentrarsi su qualcosa, che sia esso futile o meno.

    Purché la sua attenzione sia altrove. Possono bastare pochi secondi per renderlo impotente, incapace di difendere i propri beni, persino le cose più preziose della sua vita. E puff, in un attimo perse per sempre.

    Iniziammo quasi per noia, inebriati del nostro benessere e della nostra conoscenza.

    Poi il nostro ego divenne il centro della nostra vita. Avevamo dei problemi da affrontare, ma quelle minacce erano solo un pretesto per fare sfoggio della nostra superiorità.

    Continuammo a combattere le reciproche opinioni, a difendere il proprio utopico futuro.

    Eravamo ancora lì, occupati a convincerci che niente di quello che ci spaventava sarebbe arrivato durante le nostre vite, quando arrivò.

    La nostra orbita periferica nel sistema solare era motivo di orgoglio, perché il sistema solare ormai lo conoscevamo bene. Dal confine di esso, godendo della giusta quantità di luce, potevamo guardare ‘fuori’, ambire ad altri orizzonti. Abbiamo il cielo più bello dell’universo recitava lo slogan della Egos.

    Nessuno aveva mai temuto la minaccia più banale di tutte: quando sei in bilico su qualcosa basta un colpo di vento per cadere giù.

    Non eravamo stati con le mani in mano, anzi. Avevamo lottato contro l’inquinamento, ottenendo dei successi in favore di energie rinnovabili. Il nostro fabbisogno di energia dipendeva per il cinquanta per cento dai raggi solari. Riuscimmo a produrre energia dalle piante stesse che ora producevano per noi non più solo l’ossigeno ma anche l’energia. Il quindici per cento del fabbisogno energetico era coperto dalla combustione dei tronchi d’albero. Non mi dilungherò nello spiegarvi come riuscimmo, né vi racconterò i festeggiamenti che seguirono. Niente di tutto questo ha più importanza ormai.

    Certo, il fumo derivante dal processo produceva inquinamento ed un impoverimento della qualità dell’aria, il nemico che stavamo combattendo, ma nel bilancio ne uscivamo ancora nettamente vincitori.

    La produzione di cibo, del quale ad un certo punto tememmo l’improvvisa scomparsa, era ai massimi storici.

    Sacrificammo il gusto per produrne di più, sedotti dall’utopia di poter sfamare tutti gli abitanti del pianeta senza l’aiuto del sole.

    Solo i più ricchi potevano permettersi un piatto di merja fumante o un bicchiere di sanzo, ma tutti potevano beneficiare delle pillole alimentari, PA. Insapori, incolori ma altamente nutrienti. Ogni pillola conteneva il fabbisogno giornaliero di un adulto per quanto riguardava proteine, zuccheri, carboidrati, vitamine. I poveri avevano ancora un fisico incredibilmente esile, ma non si ammalavano più ed avevano molte più energie per lavorare.

    Il sovrappopolamento fu debellato, ma fu proprio lì che perdemmo la nostra umanità. Per decenni cercammo di bonificare i deserti, così come le zone meno popolabili di Cayu. Piccoli accampamenti cominciarono a vivere ad alte quote grazie a sistemi di ossigenazione dell’aria. I deserti regredirono per un po’, ma questo processo in breve tempo cominciò a cozzare contro la devastazione vegetale che portavamo avanti in favore della produzione di energia.

    Stavamo ancora lavorando alla produzione di un concime rivoluzionario, in grado di accelerare la crescita degli alberi ad alto fusto del cento per cento. Alberi che avrebbero svolto il loro compito senza fotosintesi solare. Questo avrebbe dovuto compensare la deforestazione in corso.

    Ma questo era solo parte della lotta al sovrappopolamento. Perché per quanto provassimo a stare tutti su un pianeta disegnato per ospitare un miliardo di persone, due miliardi erano sempre troppi. Se un domani fossimo riusciti a migrare verso altri pianeti, nessun mezzo di trasporto avrebbe potuto portarci via tutti. Anche un miliardo era troppo, ma la selezione dei fortunati, soprannominati poi ‘benedetti’, fu rimandata a quando ci sarebbe stato bisogno e con una tecnologia in grado di realizzare i nostri sogni di sopravvivenza. Da che ricordo la vita su Cayu, i paesi più popolati erano anche i più poveri e i più testardi. Non ho mai creduto che questo fosse una coincidenza. Per natura i paesi più poveri sono quelli che vivono nelle zone più calde, e le zone più calde sono quelle in cui lavorare è meno attraente, offrendoti più opzioni che non siano la semplice affermazione lavorativa. Inoltre le persone indigenti non investono nel controllo delle nascite, una posizione miope se messa in relazione al crescente costo di mantenimento delle famiglie più popolose. Fatto sta che la popolazione di Vecchia Terra e Fosma continuava a riprodursi a ritmi insostenibili.

    Non c’è stato verso di spostare una parte di loro nei terreni bonificati, volevano crescere e morire lì. Da noi pretendevano la soluzione. E lo facevano con una convinzione e una costanza irritanti.

    E noi gliela fornimmo.

    Lo chiamammo Kufesma, madre degli orfani, perché sapevamo ne avrebbe prodotti molti. Il virus aveva due obiettivi, rendere sterili il trenta per cento degli obiettivi e uccidere il cinquanta per cento restante.

    Il target era di trecento milioni di persone distribuiti tra i continenti Fosma e Vecchia Terra.

    E pagammo la nostra arroganza. I primi risultati non tardarono ad arrivare, la conta dei morti era una creatura in continua evoluzione. Il virus attaccava il sistema riproduttivo femminile rendendo praticamente impossibile la procreazione. Ma lo stesso colpiva anche i centri nervosi, portando le vittime alla follia nel giro di pochi giorni.

    Inizialmente i malati soffrivano di schizofrenia, avendo allucinazioni più o meno potenti.

    Con l’avanzare della malattia la persona si sentiva pervasa da minuscoli insetti che le percorrevano il corpo sottopelle. Questo portò la gente a straziarsi la pelle e mutilarsi fino ad uccidersi.

    In breve le stime furono superate. Sottostimammo la reazione dei vecchiaterriani, perché nessuno vuole affogare da solo.

    Quando i bersagli realizzarono la disperata situazione, iniziarono a navigare verso i continenti circostanti, non solo per sfuggire al flagello che avevamo scatenato. Volevano portarlo da noi, punirci con la nostra stessa punizione.

    Imponemmo poco dopo dei posti di blocco, furono falciati brutalmente facendo uso di ogni tipo di armamento.

    Macchiammo di sangue tutte le barriere costruite per respingerli, colorammo di rosso tutti gli oceani dal Nero al Rosa, senza successo. Il virus diventò più aggressivo, perciò i pochi infetti che superarono le nostre difese ci misero poco, troppo poco, per lasciarci scampo.

    In poco più di un anno la popolazione mondiale precipitò dai due miliardi iniziali a quattrocento milioni nel momento in cui tutto finì. Questo avvenne cinque anni prima della fine.

    E non finì nel modo che avevamo sempre temuto.

    Era il cinque ferrik di un anno fa quando fummo derubati.

    La stella Besaur incrociò la rotta del nostro sistema solare. Eravamo impreparati all’imprevedibile. La sua velocità, ben superiore alla velocità di crociera del nostro sole ci impedì di prepararci anche se, a pensarci bene, non c’era molto da fare.

    Le forze gravitazionali fecero il resto. Eravamo contesi dai due giganti, una lotta silenziosa e mortale.

    Dalla quale non uscirono vincitori, solo uno sconfitto: Cayu.

    Il nostro pianeta fu sedotto da entrambe le forze ma alla fine abbandonato. L’orbita era cambiata irreparabilmente e non appartenevamo più a nessuno. Eravamo bruscamente andati a vivere da soli, abbandonati dai nostri genitori ed ancora troppo bambini per poter camminare soltanto con le nostre gambe.

    Non c’era nessuno a cui rivolgere il proprio odio o la propria rimostranza. Ci era stata staccata la spina e come un ventilatore avevamo iniziato il nostro inesorabile spegnimento. Il cuore di ogni essere vivente congelò simbolicamente in attesa del congelamento letterale.

    Piansero, tutti i superstiti della nostra presunzione, piansero e si disperarono.

    Lo scoramento durò per un paio di giorni nei cuori dei più coraggiosi, i più codardi morirono invece di disperazione come se fosse una malattia venerea.

    Ci vollero un paio di giorni prima che in molti decidessero di trovare una soluzione.

    Erano anni che lo facevano, perché smettere ora?

    Cercarono qualcosa che ci facesse prolungare anche solo di poche ore la durata delle nostre vite. Perché finché c’è vita c’è speranza. E noi avevamo per l’ultima volta bisogno di sperare.

    Capitolo 2

    La rotazione verticale di ottantotto gradi di Cayu attorno al suo asse completa il suo ciclo ogni ventidue ore come equivalente terrestre.

    Il raddoppio solare inizialmente sconvolse le fonti di calore ed idriche, facendo evaporare parte degli oceani, delle sorgenti e degli specchi d’acqua.

    Fosma, l’enorme vulcano in costante eruzione, fu colpito per primo dall’innalzamento di calore e non poté di conseguenza contenere il suo magma.

    La temperatura si innalzò di venti gradi su tutto il globo in occasione del doppio irradiamento rendendo buona parte del continente vulcanico un’arida superficie di terra.

    L’irradiazione resettò definitivamente e persistentemente la vita sul continente emerso più povero del nostro pianeta.

    Pithia subì anch’essa gravi conseguenze ma non ne fu annientata, lasciando i suoi abitanti in preda ad una repentina disidratazione.

    Ancora una volta ci disinteressammo degli altri, ipnotizzati dall’irripetibile fenomeno.

    Nella nostra disperazione, gioimmo nel vedere che a seguito della ‘lotta’ il sole continuava a fornirci energia così essenziale per le nostre vite.

    Ma le radiazioni solari devastarono Fosma trasformandola da un continente rigoglioso, concimato dalle periodiche eruzioni vulcaniche, in una terra bruciata, prosciugata di ogni sorgente di acqua dolce, in preda a perenni incendi boschivi. Ma non era tutto qui.

    Le periodiche eruzioni, stimate in una per decennio, raccontano di una enorme ed esuberante camera vulcanica. Il magma del nucleo si era fatto strada nel corso dei secoli stabilendosi alla base del Gajer, il gigantesco vulcano alto oltre tremila metri che costituiva il continente stesso.

    Ebbene, le radiazioni e il potente picco di temperatura non fecero altro che stimolare ulteriormente il cuore del vulcano che ancora una volta eruttò. ‘Eruzione’ non è il termine che lo può descrivere meglio. Il vulcano esplose, superando le capacità del camino principale di espulsione. Tutta la geostruttura fu sconquassata, spaccandosi in innumerevoli punti, anche a basse quote, facendo quindi franare l’intera montagna. L’eruzione perciò non si sviluppò in altezza, non avendo più un canale di espulsione, ma fuoruscì dalle migliaia di macrofratture della crosta. Il risultato non lasciò spazio a dubbi, l’intero continente era irrimediabilmente ed integralmente inondato di magma, che divorava e carbonizzava tutto quello che incontrava.

    Fosma morì, ed al suo capezzale non c’eravamo e non volevamo esserci.

    Di cosa preferivamo morire? Bruciati dal sole o congelati dalla sua assenza?

    Anche in questo caso, non avevamo potere decisionale, da tempo lontani dall’essere arbitri della nostra sorte.

    Volevamo fare qualcosa, potevamo ancora. Ma di nuovo la nostra umanità fuggì da noi.

    Nessuno intervenne in soccorso di Pithia est, mentre annaspava alla ricerca di acqua potabile.

    In preda alla disperazione gli abitanti della zona orientale, la più colpita, bevvero l’acqua del mare con le previste tragiche conseguenze.

    La parte occidentale si chiuse a difesa delle loro risorse idriche dando vita alla prima guerra civile del nuovo mondo. Fu una guerra breve, in funzione del migliore stato emotivo degli occidentali, che potevano permettersi un assedio infinito mentre l’avversario doveva far velocemente breccia con ogni mezzo.

    In poche ore dietro le barriere artificiali venne a formarsi una ulteriore barriera di corpi esanimi.

    Neanche allora intervennero, a difesa delle loro ricchezze.

    La ricchezza. Parola associata da sempre a quarzo, picos, una bella casa, abiti eleganti e raffinati. Quella parola non esisteva più. Allora la vera ricchezza tornò ad essere qualcosa che già possedevamo e che avevamo sempre sottovalutato.

    Acqua, ossigeno, abiti invernali, qualunque cosa potesse riempirci lo stomaco. Questa è la nostra eredità, tutto quello che lasceremo in eredità ad una generazione che non esisterà.

    Se non fossimo stati occupati a commentare gli eventi ed urlare, avremmo potuto forse sentire il sospiro di sollievo dei tanto disprezzati rossi, così erano chiamati i Vecchiaterriani a causa della loro pelle rossiccia, indurita dal calore.

    Le loro terre erano ancora aride, ma i loro corpi vivevano e bramavano conquista.

    La scalata alla nuova ricchezza iniziò subito dopo la scomparsa di Fosma, con un occhio alla ricerca dei beni essenziali ed uno ai rottami solari.

    Le comunicazioni erano interrotte ovunque e non sarebbero state ripristinate finché l’onda solare non fosse svanita.

    Orfani dei media i superstiti non ricercavano più notizie provenienti dai media, erano pronti a dare tutto a qualcuno con un piano, una visione, una speranza da vendere.

    Dopo millenni di storia alla ricerca delle modalità di provvedere tutto il necessario a tutti, ora avevamo tante risorse per pochi esseri viventi. In condizioni tuttavia molto più estreme.

    Eravamo meno di duecento milioni (stimare il numero post apocalisse è impossibile ma era evidente che dai quattrocento milioni iniziali la popolazione si era drasticamente ridotta) a godere delle risorse di un miliardo di vite. Eravamo ricchi.

    Eppure, persino nella povertà, non siamo mai stati in grado di condividerle equamente. Ed ancora una volta trovammo qualcuno da mettere più in alto nella catena alimentare. Ciarlatani, senzatetto che avevano da sempre profetizzato la fine, convertiti bruscamente in guru infallibili dalle masse, arroganti, fanatici, violenti e militari, questi erano i nuovi leader, le luci nel mondo che si avviava a sprofondare nel buio. Nella maggioranza dei casi, non dovettero nemmeno sottomettersi ad una elezione o combattere per la leadership, il potere gli fu lanciato addosso dai deboli come palle di neve. Perché nessuno sapeva cosa fare, chiedevano disperatamente di essere guidati. E chi, se non un arrogante o un folle poteva pretendere di conoscere la via d’uscita da quel cataclisma?

    E solo degli irresponsabili avrebbero gestito la situazione in quel modo. Sfruttarono il caos per godere di tutto quello che potevano, si vestirono da imperatori, presero tutte le donne, o uomini, che volevano, riempirono i loro stomaci gonfi del cibo che ancora abbondava, si diedero a tutte le follie ed esperienze possibili, vissero oltre il limite.

    Non lavorarono a soluzioni, pensarono solo ad accumulare mentre le folle li acclamavano. Il centro di ogni città, grande o piccola che fosse, divenne un enorme magazzino sotto il cielo. Buffo come quasi tutti agirono nello stesso modo: localizzarono il quartier generale in centro città, o quartiere nel caso delle metropoli, per accumulare e raggiungere più facilmente gli obiettivi strategici: ospedali, centri commerciali, caserme.

    Quei giorni furono dichiarati i cinque giorni della sconsideratezza, dell’ottusità delle folle.

    Cinque giorni in cui tutti i paesi potettero osservare la fuga dal sole, in cui godettero delle ultime alternanze giorno/notte, in cui potettero salutare il nostro amico celeste.

    Poi la battaglia per restare in orbita finì, e Cayu si avviò verso una diversa direzione, una strada mai battuta.

    Fummo noi i partenti, ma dal nostro punto di vista il sole ci stava abbandonando, per sempre!

    Se la sua feroce aggressività ci aveva spaventato e gettato nel panico, la sua stessa dipartita ci paralizzò lasciandoci con un nuovo interrogativo: possiamo vivere senza di esso?

    Giorno: 5 Ferrik

    Capitolo 3 – Keryl

    All’istituto di protezione mondiale Egos, creato sessantacinque anni fa, per far fronte alle emergenze vitali del pianeta e dei suoi abitanti, le principali attività riguardano:

    Produzione e fornitura di generi alimentari, per lo più focalizzati oggi sulle PA.

    Progettazione e fabbricazione di nuove fonti di energia sicure.

    Sorveglianza sanitaria, produzione di vaccini, medicinali.

    Genetica, predisposta alla creazione di virus e altre sostanze strategiche.

    Il complesso Egos si estende per chilometri nell’entroterra alematico, duecento chilometri a sud di Aloes, la capitale.

    L’enorme struttura è suddivisa secondo uno schema preciso ed efficace:

    al centro il quartier generale che coordina l’impianto, un edificio di otto piani a pianta cilindrica.

    Tutto intorno al centro, a mo’ di cornice, si trovano i magazzini rettangolari di dimensione costante, in grado di stoccare tutta la produzione mensile e dalla quale partono le spedizioni verso ogni angolo del pianeta.

    Più esternamente il perimetro è diviso equamente in quattro parti, ognuna per la ricerca relativa alle quattro attività principali ovvero medicina, alimentazione, energia, genetica.

    Intorno a noi, si elevano duecento metri di mura in kolos, un materiale pressoché impenetrabile, lavorabile solo ad altissime temperature. Ovviamente tutto il perimetro esterno è sorvegliato senza sosta, con sensori pronti a catturare ogni attività sospetta. Se i supervisori non intervengono a bloccare il sistema di difesa, il fuoco viene esploso automaticamente da cannoni, raggi laser e onde d’urto. Niente può sopravvivere a quel fuoco incrociato.

    Le mura ospitano anche gli alloggi, piccole camere che possono accogliere un massimo di due persone. Farsi una famiglia è un’espressione fortemente proibita e mai meditata da chi fa domanda di lavoro all’Egos. Le camere sono dotate di un bagno, un cucinino e due letti singoli.

    In più punti del complesso sono inoltre presenti generatori ad energia solare, idrica ed eolica che forniscono l’intero fabbisogno energetico. Questo ci permette di essere indipendenti dall’esterno.

    Non siamo provvisti di generatori a combustione, in quanto la loro progettazione e costruzione avvenne proprio grazie all’Egos. Ed in quel periodo il perimetro era stato già riempito interamente dalle altre strutture.

    Nel sottosuolo una rete di corridoi collega le dodici panic rooms disposte in ordine regolare tutto intorno al punto di accesso verso l’esterno. Le stanze sono a base rettangolare ed in grado di ospitare ognuna un decimo della popolazione Egos. Questa parte è la più vecchia di tutto il centro, essendo stata costruita per prima. Le sue attrezzature sono gestite meccanicamente, compresa illuminazione, bagni e controllo accessi. La chiamiamo la Grotta.

    Tornando alle quattro aree di ricerca, quella dedicata alla medicina, gode di politiche di sicurezza molto più elevate.

    La scansione di retina, impronte digitali e una veloce ma precisa analisi del sangue sono i controlli minimi per poter accedere a qualsiasi area interna o esterna della Farmacia, come la soprannominiamo.

    E pur provvedendo tutte queste informazioni, l’accesso va sempre validato dal personale addetto alla sicurezza.

    Inevitabilmente nella farmacia gli spostamenti sono più lenti, a volte snervanti, tuttavia necessari. Un’epidemia sfuggita al controllo sarebbe la nostra fine. La fine di tutto quello che l’Egos è progettato per fare.

    Al momento dell’impatto solare, Alema era ancora al buio, appena sprofondata nell’oscurità della notte.

    Mentre Fosma scompariva dalle carte geografiche tutti i dispositivi elettronici attivi furono compromessi dalle intense radiazioni della prima fase.

    Fu come essere imbavagliati, legati e parzialmente accecati. Tutti i sistemi dedicati alla scansione e al monitoraggio dei sensori dislocati in tutto il pianeta erano offline, e lo sarebbero rimasti.

    Se anche fossimo riusciti a reperire nei magazzini tutte le parti di ricambio per riattivare le macchine, i backup stessi contenenti le configurazioni necessarie al collegamento erano comunque andati perduti irrimediabilmente.

    Inoltre i sensori sono stati progettati per resistere ad un largo spettro di temperature, all’acqua, agli urti ed alla manomissione, ma non per sopravvivere all’apocalisse. Questo per l’assunto che essa avrebbe cambiato il modo in cui avremmo rivisto le priorità. A seguito di quelle considerazioni, mini-locali all’interno delle mura erano stati adibiti ad uso religioso, per un’ultima, fervente preghiera.

    Per noi la notte, intesa in termini lavorativi, non esisteva. La produzione e la parte di progettazione e ricerca erano attive costantemente. Tre turni coprivano l’intera durata della giornata, con un turno aggiuntivo di riposo.

    Stanotte, il cinque ferrik, è l’inizio del mio turno di riposo. La sirena ci ha fatto sobbalzare tutti dal letto, pronti a combattere una invasione zombie o una guerra nucleare che per tanto tempo abbiamo scongiurato. Come da procedura d’emergenza, avanziamo ordinati e al tempo stesso rapidi verso le scale interne.

    Arrivati al livello del suolo, procediamo verso il treno che ci condurrà in breve all’ingresso della Grotta.

    Intorno a me tutti si scambiano opinioni sul motivo dell’emergenza:

    La guerra con Vecchiaterra era annunciata da tempo!

    Non credo. Il mio responsabile piuttosto parlava di una breccia nella Farmacia, quegli stupidi infermieri sono riusciti finalmente a condannarci. Devono andarne molto fieri.

    Fosma avrà eruttato ancora? Quanto si deve essere stupidi per abitare su una polveriera?

    Io riesco solo a pensare a lei, che stanotte è di turno. Le sarà successo qualcosa?

    Il treno giunge al capolinea, da lì procediamo a piedi. Entriamo nel quartier generale ma invece di procedere verso l’alto ci avviamo verso la cupola che cela l’ingresso alla Grotta.

    La scala procede verticalmente verso il sotterraneo, gli scalini in metallo rimangono freddi al contatto pur essendo continuamente sfregati dalle nostre mani. La discesa avviene velocemente aprendoci la vista verso i corridoi in cemento rinforzato.

    Non è la prima emergenza che viviamo, da quando lavoro qui siamo alla terza evacuazione, per non parlare delle continue esercitazioni.

    Ma qualcosa mi dice che stavolta è diverso. Me lo suggerisce lo sguardo vuoto del personale addetto all’emergenza, sembrano essere stati colpiti duramente da qualcuno, un ignoto assalitore troppo veloce perché potessero identificarlo.

    Continuo a guardarmi intorno alla ricerca della sua chioma bionda, eppure in tutto il tragitto non ne scorgo la presenza. Trovo senza neanche sforzarmi la Panic Room, conosciuta con l’acronimo PR, numero 2 quella dedicata al mio dipartimento: Energia.

    Più precisamente io sono nella squadra di progettazione di nuove fonti di energia. Sì, l’energia a combustione del legname l’ho progettata io.

    All’interno ci sono già tutti i miei colleghi che godono come me del giorno di riposo. Nessuna traccia di quelli ancora in turno. Devo trovare lei.

    Jiga lavora nel reparto Farmacia, la sua PR è la 8, dal lato opposto alla mia nella mappa circolare della Grotta.

    Mi accodo alla fila che si forma in direzione delle stanze dai numeri più alti.

    Arrivo alla PR8, ma di Jiga nemmeno l’ombra. Neanche un’altra chioma bionda di spalle che possa darmi la confortante ed effimera illusione dell’avvistamento. Per ironia della sorte sembra l’unica nativa di Hellor di tutto il complesso, l’unica di cui mi interessi.

    La popolazione di Hellor è caratterizzata da pelle chiarissima, capelli chiari, soprattutto biondi, e dall’altezza spiccata. Nessuno che conosco ha mai usato l’aggettivo ‘minuto’ parlando degli Helloriani. Queste caratteristiche li rendono particolarmente riconoscibili in mezzo ad una folla, specialmente se composta da individui dalla pelle bluastra, rossa e scuri di capigliatura. Eppure lei non c’è.

    Non riesco ad abbandonare l’ingresso della PR8, qui e l’entrata della Grotta sono gli unici posti sicuri dove posso incontrarla.

    Mi intrufolo nella stanza, sperando che nel caos del momento nessuno decida di fare l’appello. Le direttive sono molto chiare, ogni reparto deve dirigersi e restare nella propria PR.

    Non sta arrivando più nessuno dall’esterno, il personale è quasi tutto qui.

    La stanza è stranamente capiente, meno della metà dello spazio normalmente utilizzato.

    Jiga dove sei?

    A tutto il personale, comunicazione urgente. A tutto il personale, comunicazione urgente.

    La comunicazione nella Grotta è affidata ad una ottima amplificazione naturale oltre a canali di propagazione del segnale studiati per trasmettere la voce del responsabile Egos o del suo incaricato. La postazione di comunicazione è in prossimità dell’ingresso del complesso sotterraneo.

    Riconosco la voce di Karien Magar, responsabile dell’intera struttura da ormai sette anni. Una istituzione.

    Cayu è attualmente attratto dall’orbita di un altro corpo spaziale, la stella Besaur. La sovrapposizione delle due stelle ha significato un picco di radiazioni e di temperatura sulla superficie del pianeta causando l’eruzione incontrollata e la totale distruzione di Fosma. Le stesse radiazioni hanno investito in maniera più lieve il resto del pianeta, per questo motivo tutte le strumentazioni elettroniche non sono utilizzabili. Vi preghiamo di restare qui al sicuro finché non verranno diramati nuovi annunci.

    Nella stanza il nostro sguardo è fisso nel vuoto, senz’altro anche la mia espressione è sbigottita come quella dei miei compagni di stanza. Ogni pausa nell’annuncio accentua l’atmosfera di totale shock, provocando un silenzio insopportabile nelle nostre orecchie.

    Il personale del dipartimento Medicina è stato momentaneamente confinato all’interno degli edifici stessi a causa del guasto elettronico agli accessi. Il personale sta lavorando alacremente per mettere in sicurezza le possibili cause di epidemie presenti al suo interno. Non abbiate timore, riporteremo ordine e sicurezza su Egos. Per ora è tutto.

    Jiga!

    La mia mente vola subito agli scenari peggiori, potrebbe essere stata infettata da qualche virus letale, schiacciata dai colleghi nel caos della evacuazione o ferita da qualche macchinario fuori controllo.

    Calmo, devi restare calmo se vuoi essere utile a qualcuno.

    Cerco di riprendere il controllo delle mie emozioni. Mi concentro su quello che posso ancora fare. La fine non arriverà finché ne sarò cosciente.

    Non posso fare nulla qui, devo andare alla Farmacia. Lì mi inventerò qualcosa. Sono un esperto di energia, ci sarà qualcosa che posso fare durante un allarme energetico no?

    Mi alzo di colpo sorprendendo i miei vicini ancora anestetizzati dal trauma emotivo.

    Mi sento lucido, freddo, e mi chiedo se è quello che sentono anche loro. Come faccio a sapere se sono sotto shock o no? Pazienza, lo scoprirò più avanti.

    Esco dalla PR e con passo sicuro mi dirigo verso l’uscita. Alle scale di accesso ci sono due guardie, senz’altro incaricate di evitare la nostra fuga ma anche per prevenire accessi indesiderati nel caso che il black out avesse spinto malintenzionati a fare irruzione nella struttura.

    I due uomini sono imponenti, inamovibili. Ma devo uscire di qui comunque.

    Salve comincio in tono amichevole.

    No risponde

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