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2119. La disfatta dei Sapiens
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2119. La disfatta dei Sapiens

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About this ebook

Ironico, visionario, profetico, entusiasmante. Il romanzo d’esordio di Sabina Guzzanti.

È il 2119 e la situazione, sul pianeta Terra, non è delle migliori… Ma un gruppo di eroi è in lotta per salvare il futuro.

Anno 2119. Dopo una lunga serie di catastrofi ambientali, pandemie e sconvolgimenti di ogni sorta i superstiti sono stati costretti a sottomettersi a un regime ingiusto ma stabile, liberamente ispirato al feudalesimo.
La società è formata da un centinaio di milioni di arcimiliardari onnipotenti e tre miliardi di migranti ambientali senza diritto di voto, raggruppati in grandi campi di accoglienza, sui lembi di terra risparmiati dall’innalzamento delle acque. Fra i ricchissimi la fanno da padroni gli azionisti del Consorzio delle multinazionali che controllano il web.

Gli unici che si oppongono al Consorzio sono i giornalisti di Holly, il solo organo di informazione concepito e scritto da esseri umani invece che da robot. E quando il Consorzio sta per mettere in rete un nuovo algoritmo, in grado di eliminare definitivamente il libero arbitrio, le poche speranze di salvezza sono nelle mani di Tess, bistrattata redattrice di una rubrica sui gattini…
Accanto a Tess e agli altri giornalisti di Holly, incontreremo famiglie di migranti europei e newyorkesi, ingegneri del marketing e dei big data, azionisti spietati e riccastri spiantati, bambini e algoritmi, hackers e haters. E saranno tutti coinvolti da una catena di avvenimenti che può portare alla fine della specie che si è autodenominata Sapiens…

Dopo i successi a teatro, al cinema, alla televisione, Sabina Guzzanti esordisce come narratrice. Lo fa con un romanzo che da un lato guarda alla grande letteratura distopica classica (da 1984 a Farenheit 451) e dall’altro affronta temi di straordinaria modernità, quali il mutamento climatico, la concentrazione della ricchezza, la dipendenza dalla tecnologia.

2119 - La disfatta dei Sapiens è divertente e appassionante, sperando che non risulti profetico (gli accenni alle pandemie sono stati scritti nel 2019!).

Il debutto letterario di una grande intellettuale italiana che, con la consueta ironia, coglie questioni fondamentali e fa riflettere.
LanguageItaliano
Release dateMar 11, 2021
ISBN9788830522695
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    2119. La disfatta dei Sapiens - Sabina Guzzanti

    Planisferio della Terra nel 2119

    AVVERTENZA PER IL LETTORE

    Non ho mai scritto un romanzo e non so giudicare se questo avrà il potere di catturarvi e farvi arrivare fino in fondo. L’ho riempito di sorprese per tenervi con me, pur sapendo che un semplice colpo di scena non può molto contro una notifica di WhatsApp o di un like. Io per prima faccio sempre più fatica a leggere e per questo non mi dilungo nei preamboli.

    Tutto sommato, è una sola la cosa che mi preme sappiate prima di cominciare, perché potrebbe generare confusione: la numerazione dei capitoli è nel sistema binario, non in quello decimale. Per esempio, troverete scritto 10 quando arrivate al capitolo 2 e 100 al capitolo 4. Se andate avanti con la lettura, capirete che c’è un motivo.

    Grazie, intanto, per essere arrivati fin qui.

    Antefatto

    0

    La diserzione

    Helene Mauer, ingegnere informatico figlia di ingegneri informatici, esce furtiva da una porticina laterale di una struttura gigantesca e scialba. Sotto contratto con il Consorzio delle multinazionali del web fin da prima della sua nascita, Helene è alta e sinuosa, ha capelli biondi e occhi da gatta, e indossa un soprabito di pelle nera sotto cui nasconde qualcosa che tiene ben stretto.

    Attraversa a passi rapidi il piazzale esterno del Centro Ricerche e, arrivata al posto di controllo all’uscita della recinzione, mostra le sue credenziali ai robot armati, che la salutano attivando la modalità cordiale.

    Si dirige verso il parcheggio delle sfere, si guarda intorno e sceglie quella più distante dalle altre. Un rampicante ostruisce l’apertura del portellone e lei lo strappa. Il ramo cade a terra e con movimenti impercettibili comincia a adattarsi al suolo, mentre Helene in un attimo si infila nella sfera e vola via. Sotto di lei appare la scintillante Butterfly con le sue meravigliose architetture avveniristiche, le installazioni d’arte sul mare, i giardini verticali.

    L’isola è tutto ciò che resta dell’India dopo l’innalzamento delle acque, ed è la sede del Consorzio delle multinazionali padrone del web, dei suoi centri di ricerca e del suo gigantesco database.

    Helene avvicina le labbra all’orologio: «Trenta secondi e atterro».

    La sfera si posa lieve nel porto secondario di Butterfly. Alla banchina l’aspetta un motoscafo. Helene salta a bordo. Un uomo con il volto coperto la accoglie e la invita a scendere nella stiva.

    La barca sparisce nel buio, planando sull’acqua a gran velocità.

    1

    La stampa libera

    Dall’altra parte del mondo, nel grande stanzone che ospita la redazione di Holly, sullo schermo di un computer un video mostra in primo piano gli occhi gialli di un gatto. È l’incipit della nuova puntata di Gattomat, la rubrica più popolare del giornale. Tess, l’autrice, ha montato le immagini del reportage come in un film western, alternando le pupille del gatto a quelle dell’uomo bello ed elegante che lo vuole catturare. Nel video l’uomo si avvicina, nonostante l’animale emetta un ringhio sordo e minaccioso. Tess ha utilizzato lo slow motion per il momento in cui il gatto con una zampata fa sanguinare la mano dello sconosciuto e ha usato la sua voce per far parlare l’animale: «Stai al tuo posto, paguro!».

    Il paguro in questione reagisce con un sorriso smagliante. Col dispositivo da polso, prima si cura il graffio facendolo scomparire in pochi secondi, poi scatta una foto al gatto che fugge e la trasmette al satellite.

    C’è qualcosa di visibilmente artefatto nella mimica dell’uomo, che pare costruita su modello di qualche attore famoso. È un tipico paguro che ha speso fior di quattrini per installarsi in corpo un J-JREX, la nuova generazione di impianti biocibernetici prodotti dal Consorzio. Nelle opzioni si possono scegliere fino a sessanta sfumature di sorriso; si può assumere l’atteggiamento più seducente, ambiguo o esplicito senza sforzarsi di trovare la fiducia in se stessi. L’ultimo modello, J-JREX.X1, regola perfino la produzione ormonale. Può farti profumare di sesso con l’intensità che decidi tu.

    Nel XXII secolo si può comprare davvero tutto. Tutto tranne la libertà. Il prezzo della perfezione è la rinuncia progressiva al libero arbitrio. Il nomignolo paguri con cui i dissidenti chiamano i Crem, la minoranza ultramiliardaria del pianeta, allude proprio a questo: i portatori di impianti sono come conchiglie vuote, abitate di volta in volta dai desideri pilotati dalle strategie di marketing del Consorzio.

    Tess si sforza di trovare una frase efficace per la conclusione. Vorrebbe ispirare gli utenti, ma è di cattivo umore, piena di recriminazioni per come viene trattata al giornale. Il motivo del conflitto è sempre lo stesso: lei ritiene che il successo di Gattomat dipenda dal fatto che attraverso i gatti è sempre riuscita a tenere vivo il gusto della libertà, in un momento storico in cui ogni destino è predeterminato dalla nascita; mentre gli altri redattori – compreso Jonathan, suo compagno e padre di sua figlia – non le riconoscono un valore politico e attribuiscono invece la sua fortuna alla stupidità della gente.

    La frustrazione fa sì che nella sua testa si ripeta sempre lo stesso discorso che le impedisce di concentrarsi: Anche io come gli altri ho donato il mio patrimonio alla causa dell’informazione libera. Anche io ho rotto i legami con la mia dinastia subendo ricatti e vendette. Anche io mi sono rifiutata di innestarmi un impianto con tutto quello che comporta e non l’ho messo nemmeno a mia figlia, pure se l’impianto la libererebbe dalla dipendenza dal Borinion. Però quando si discute la strategia del giornale la mia opinione non conta nulla. Vogliono solo che attiri la gente nel sito, poi sono loro a insegnargli a pensare. Antropocentrici di merda.

    Tess potrebbe infischiarsene della considerazione dei colleghi, essendo ormai una star del web, e invece si tormenta, perché lei, come i suoi compagni, è innanzitutto un’attivista.

    Holly, la testata per cui lavora, è l’unico organo di informazione del pianeta concepito e scritto da esseri umani. È un punto di riferimento per tutti coloro che si oppongono alla manipolazione delle coscienze e alla progressiva trasformazione degli uomini in automi senza volontà critica, che appare sempre più inesorabile.

    Da qualche tempo poi, il Consorzio ha lanciato in rete Alq, una nuova bestia tecnologica le cui capacità sono ancora in buona parte oscure. Presentato al pubblico come un algoritmo di nuova generazione, è evidente che in realtà sia un’intelligenza artificiale a tutti gli effetti. Un’intelligenza artificiale diffusa, senza corpo, che esiste solo nella rete. Una specie di cervello potentissimo ideato per soggiogare gradualmente il web divenendone l’unica volontà, pilotata dagli azionisti di maggioranza del Consorzio.

    Il progetto Alq è stato salutato dal 99,9 per cento dei media del globo come una straordinaria innovazione che avrebbe fermato ogni deriva violenta della rete. Holly è stata l’unica voce dissidente.

    «Tess, sei pronta?» le domanda Usserl, il grafico, seduto a qualche metro di distanza.

    «Arrivo» risponde lei, e torna con la mente sul lavoro, fa un bel respiro e rivolge la webcam verso di sé. «I gatti sono a rischio di estinzione e con loro l’idea stessa di libertà.»

    Si interrompe, non è troppo convinta. Riprova: «I gatti hanno personalità ben distinte, non ne trovi due che scodinzolino insieme…».

    Cestina e registra ancora e ancora, mettendo l’accento una volta sull’indipendenza dei gatti, una volta sul fascino misterioso che esercitano sugli umani, una volta su tutto ciò che ci possono insegnare.

    L’espressione del suo volto muta dalla dolcezza alla tenacia. Di origini persiane, mescolata con molte altre etnie, la bellezza di Tess colpisce per la sua originalità: testa a forma d’uovo, naso curvo e pieno, occhi grandi ben distanziati e bocca rosso scuro a forma di cuore. Quando appare in video è quasi ipnotica per quanto è aggraziata, ma il segreto del suo successo dipende soprattutto dal tema di cui è esperta: i gatti, che in rete sono più popolari che mai da quando nella realtà sono diventati una specie rara. Tess è stata avvantaggiata dalla fortuna di averne avuto uno, e molto speciale. Si chiamava Ulisse. Una malattia alle ossa lo aveva reso deforme, camminava barcollando e non poteva nemmeno masticare bene, ma aveva una voglia di vivere travolgente, tanto da diventare un esempio per milioni di persone in gravi difficoltà. Ulisse era vissuto più di sedici anni, superando ogni aspettativa, e la sua sepoltura era stata seguita in streaming in tutto il globo.

    Tess si guarda intorno in cerca di ispirazione. Gli altri sono quasi tutti in piedi a chiacchierare del più e del meno. Segno che hanno già consegnato il loro pezzo.

    La redazione di Holly è composta da una quindicina di ragazzi e ragazze fra redattori, grafici, inviati e amministratori. In un angolo della redazione è stato allestito anche uno spazio per i bambini, la cui presenza abbassa ulteriormente l’età media. Solo Janin, la direttrice, e il suo braccio destro Udo hanno superato la sessantina.

    Janin è di origini curde, ha un volto pieno di rughe, occhi verdi magnetici, ed è vestita sempre alla maniera tradizionale: fazzoletto colorato in testa, maglione infilato nella gonna lunga, scarpe con la punta all’insù.

    Udo invece è di origini tedesche, ha incontrato per la prima volta Janin su una sequoia, dove era salito anche lui giovanissimo per proteggerla dai bulldozer. Da quel giorno hanno combattuto insieme tutte le battaglie e oggi sono entrambi leggende viventi del giornalismo indipendente.

    Da un paio d’ore Udo e Janin si sono appartati nella stanza della direzione e discutono animatamente sforzandosi di non alzare la voce.

    «La legge parla chiaro» dice lei, «quello che abbiamo scritto è incontestabile, se ci condannassero si scatenerebbe una rivolta…»

    «Può darsi, ma intanto il giornale chiuderebbe» replica Udo pieno d’angoscia.

    «Non è possibile! Abbiamo fornito delle prove schiaccianti!» Janin scatta in piedi come se la sua indignazione potesse fare la differenza.

    Qualcuno bussa, ma i due non ci fanno caso. Allora Ettore, un redattore grassottello e brufoloso, si decide a entrare senza permesso.

    «Il video è pronto!» esclama quasi tremando dall’impazienza di mostrare il suo lavoro. «Ho avuto una soffiata su una coppia di paguri che esce dal castello tutti i giorni. Sono arrivato fino in Cile con il drone per filmarli!»

    «Che fortuna! Bravo, Ettore» commenta Udo, sapendo che i paguri raramente mettono piede fuori dai loro feudi.

    «Li ho registrati per giorni, finché non sono riuscito a beccarli durante l’aggiornamento.»

    Ettore li precede alla propria scrivania, dove lo aspettano Jonathan e Mila, invitati pure loro alla visione. Poi avvia il filmato fremendo dall’emozione.

    Appaiono un uomo e una donna che, ripresi da lontano, sembrano due formiche davanti alla famosa Mano del Desierto, la gigantesca scultura che raffigura una mano che spunta dal suolo arido di Atacama come se emergesse dalle viscere della Terra. Quando il drone di Ettore si avvicina, inquadra bene i due: sono belli ed eleganti, dai modi aristocratici, con una gestualità talmente fluida che sembrano danzare anziché parlare del più e del meno. Segno evidente che hanno innestato in corpo un J-JREX.

    L’uomo, parlando come in una pubblicità, dice alla donna che ha voglia di mangiare un certo prodotto, sostenendo con fervore che fa bene alla salute e nutre anche l’anima. Lei lo guarda sognante e risponde che ha voglia esattamente della stessa cosa. Non ha finito di dirlo che si blocca, il suo sguardo diventa vitreo per qualche secondo. Quando pochi istanti dopo si rianima, il suo atteggiamento è completamente cambiato: parlando dello stesso prodotto, sostiene che si è scoperto che fa malissimo. Con una risata di scherno afferma di trovare sacrosanto che sia appena stato messo al bando. L’uomo replica che anche lui ha sempre pensato che fosse una porcheria, e su questa battuta il reportage finisce.

    «Bel colpo! Complimenti» dice Janin con gli occhi che brillano.

    «Una bomba, avevi ragione!» Jonathan, un bel ragazzo alto e forte, matematico prestato al giornalismo, con la pelle scura e una coda lunghissima di dreadlock, lo abbraccia.

    «Voglio vedere questo come lo spiegano» commenta Udo. «Per far cambiare idea così alla gente, altro che il 45 per cento… qui secondo me la manipolazione va oltre il 60.»

    «Ma direi pure oltre l’80!» aggiunge Mila, una giovane biologa che collabora con Holly da un paio d’anni.

    È difficile filmare il momento esatto in cui un soggetto viene condizionato, e il video di Ettore è la prova inconfutabile che il limite è stato superato.

    A Holly non hanno dubbi che Alq sia stato realizzato in violazione dell’articolo terzo della Costituzione Federale, che stabilisce che la mente umana non può essere manipolata oltre il 45 per cento. Più volte il giornale ha raccolto milioni di firme chiedendo che il funzionamento di Alq venisse pubblicamente condiviso. La politica ha fatto finta di non sentire, mentre si sono sentiti, eccome, i legali del Consorzio, che per l’ennesima volta hanno querelato Holly. Le accuse sono pesantissime: vanno dalla cospirazione al terrorismo.

    La sentenza si aspetta a giorni: le imputazioni sono pretestuose, ma la giustizia privatizzata è più arbitraria che mai. Anche se sono abituati a difendersi in tribunale, per la prima volta gli attivisti sentono di essere davvero in pericolo. Nessuno può permettersi di attaccare Alq, progetto su cui il Consorzio ha puntato tutto e da cui si aspetta profitti inimmaginabili.

    «Questo farà agitare anche i paguri, vedrete…» commenta Janin guardando orgogliosa Ettore.

    «Tessy, vieni a vedere anche tu! È incredibile!» grida Jonathan alla sua compagna, e nel voltarsi la massa di dreadlock colpisce il viso di Ettore.

    «Ehi, sta’ attento, sei pericoloso!»

    «Quanto sei delicato! Se sono pericolosi i capelli questo come lo chiami?» Jonathan gli dà uno scappellotto, un po’ per scherzo un po’ per ricordargli che ha davanti la firma più autorevole della nuova generazione.

    L’arrivo di Tess interrompe la scaramuccia. Ettore, segretamente innamorato di lei, la invita arrossendo a guardare il video. Dopo averlo visto anche Tess si complimenta.

    «Ottimo lavoro, Ettore! Bravissimo!»

    «Grazie, Tess» dice lui con le mani sudate.

    «Non si sono nemmeno resi conto di aver cambiato idea…» continua lei con stima sincera. Poi aggiunge con un briciolo di frustrazione: «Anche io sono riuscita a filmare un paguro fuori dalla sua residenza, ma io mi occupo di gatti, non vale niente…».

    «Ottima notizia. Il tuo servizio è pronto, quindi?» chiede Udo ignorando deliberatamente la sfumatura polemica nel tono della giovane.

    «Sto sistemando il commento finale.»

    «Non è il momento di fare i perfezionisti, siamo in guerra… Posso vederlo?»

    Tess acconsente e lo accompagna alla sua scrivania, ma il suo malumore è tangibile.

    Udo guarda il video senza troppa concentrazione e conclude che funziona anche con il commento che c’è già.

    «La situazione si spiega da sola.»

    «Ma è il commento che dà il senso politico ai gatti» protesta Tess.

    «Purché sia pronto entro dieci minuti…» le concede Udo. «E già che ci rimetti le mani, evita per favore di chiamarli paguri. La tua rubrica la seguono anche loro, e la leggono pure i migranti ossequiosi del potere.»

    «E il video di Ettore, allora?»

    «Che c’entra? La tua rubrica serve a portarci il pubblico meno impegnato.»

    «Vorresti dire il pubblico dei deficienti, di’ la verità!»

    Jonathan ha sentito che Tess sta alzando la voce e si avvicina.

    «Che succede?»

    «Non ti ci mettere anche tu» dice lei aggredendolo.

    «La solita storia…» Udo lancia un’occhiata a Jonathan, che capisce al volo e lo lascia parlare.

    «Dài, Tess, stiamo chiudendo il numero… Ti pare il momento?» dice il tedesco nel modo più conciliante possibile.

    «Nessuna polemica, ma paguri non lo tolgo. Primo: ormai si chiamano così anche tra di loro. Secondo, terzo, quarto, quinto e sesto, per la centesima volta: LA MIA RUBRICA È POLITICA.» Le ultime parole le scandisce per bene.

    Udo sorride. «Te lo abbiamo sempre riconosciuto, Tess. Se non fosse per i tuoi gatti, il motore di ricerca…»

    Tess lo interrompe imitando il suo accento: «Confinereppe Holly nelle uldime pacine… Ma se mi seguono in tanti forse ci sarà anche un motivo, non può essere? Forse dovresti domandarti perché, e se non trovi una risposta forse il deficiente sei tu… Non può essere?».

    «Tutto può essere…» Udo non abbocca alla provocazione, ma Jonathan interviene in sua difesa.

    «Non ti pare di esagerare, Tessy? Non devi essere insicura, il tuo lavoro è importante…»

    A questo punto lei si arrabbia davvero. «Io sono perfettamente consapevole dell’importanza del mio lavoro! Siete voi che pensate di essere avanti chissà quanto e invece siete ancora antropocentrici fino al midollo senza neanche accorgervene!»

    «Su, Tess, non puoi dare dell’antropocentrico a me, dài… Tu non eri nemmeno nata quando abbiamo iniziato a fare questi discorsi…» dice Udo, che comincia a fare fatica a restare calmo.

    Ma Tess, senza curarsi della disapprovazione che trapela dai due, si tuffa davanti alla webcam e registra la frase per concludere il video: «La diffusione dei gatti sul web è l’unico fenomeno che gli algoritmi non riescono a regolamentare. È come se i video, i meme e tutto quello che c’è in rete sui mici ne condividessero lo spirito di indipendenza. Cercano di catturarli per mettere un impianto anche a loro, dobbiamo proteggerli. I gatti trasmettono il seme della libertà».

    Udo e Jonathan si scambiano uno sguardo complice, trovano il commento non particolarmente acuto, ma sanno che farà presa. Tess coglie il giudizio nei loro occhi e ci soffre. Col volto teso si accinge a caricare il video quando Solongo, una giovane dai lineamenti orientali a capo della segreteria, irrompe sconvolta come se avesse sentito una scossa di terremoto. Le sue guance paffute sono arrossate e la voce tradisce angoscia.

    «È appena arrivato un messaggio ologrammatico. È di un hacker che è entrato nel sistema. Il suo nick è Quotto. Ho controllato la sua bio, è un attivista postumanista che si è distinto per diversi sabotaggi ben riusciti. Purtroppo è affidabile.» Solongo è palesemente in affanno.

    «Perché purtroppo, Solongo?» chiede Janin, che inizia a preoccuparsi.

    «Ha crackato il sistema del tribunale. Ci ha inviato il file con la sentenza che ci riguarda. Pare che il processo contro di noi si sia concluso nel peggiore dei modi.»

    Janin si avvicina a Solongo e le mette una mano sulla spalla perché si calmi. Un minuto dopo sono tutti assembrati davanti alla schermata al centro degli uffici di coordinamento.

    La prima cosa che si nota di Quotto è che l’aspetto non è la sua qualità migliore: il fermo immagine che aleggia sopra la postazione di Solongo lo mostra senza collo, con le spalle strette e un capoccione dagli occhi sporgenti e il naso aquilino.

    Con un comando vocale Solongo mette l’ologramma in play e Quotto comincia a parlare.

    «Scusate l’intrusione, ma è a fin di bene. Da vostro accanito lettore mi sono permesso di introdurmi nel sistema del tribunale e devo darvi una brutta notizia: il Consorzio ha vinto la causa. La sentenza verrà comunicata domani alle 10 e voi verrete immediatamente arrestati. Per Janin, Udo, Jonathan ed Ettore c’è una condanna all’ergastolo.»

    Nella stanza si diffonde un brusio di angoscia e panico che si trasmette anche ai bambini.

    «Per tutti gli altri le pene vanno dai sette ai dodici anni. L’unica assolta è la deliziosa Tess: per fortuna occuparsi di gattini non è stata ritenuta una minaccia.»

    Tess, già sconvolta per la notizia della condanna di Jonathan e degli altri, crolla di fronte all’umiliazione di essere stata risparmiata.

    Jonathan l’abbraccia disperato mentre Ayla, la loro bimba di soli otto anni, scoppia a piangere. L’ologramma di Quotto continua a parlare.

    «Vi faccio una proposta: trasferitevi da me. Sono su un’isola degli Stati Disgregati nell’Europa meridionale. Si chiama Flutur, è perfettamente schermata dai radar, sulle mappe risulta sommersa. Qui nessuno vi può geolocalizzare. Ho attrezzato un laboratorio informatico di altissimo livello, grazie al quale potrete connettervi e continuare a pubblicare più liberi che mai.»

    Janin guarda Udo come se avesse appena assistito a un miracolo, lui le fa cenno di aspettare a entusiasmarsi. L’ologramma di Quotto prosegue a parlare.

    «Ho già fatto preparare una barca nella baia. È roba del secolo scorso, credo sia addirittura degli anni Trenta, ma funziona senza connettersi alla rete, così non vi potranno tracciare. A bordo troverete le indicazioni per la rotta. Ma soprattutto, se accetterete il mio invito, vi consegnerò documenti e testimonianze per mettere il Consorzio in ginocchio. La vostra condanna si trasformerà in una gloriosa vittoria.» Fa una pausa, poi prosegue: «Mi sembra di non aver dimenticato nulla. Mi auguro di accogliervi presto a Flutur e di fare insieme a voi i primi passi verso la riscossa! Per inciso, non potete tornare a casa a fare i bagagli; vorrà dire che sarete costretti a ricomprarvi il guardaroba online».

    Janin, ascoltato il messaggio, apre immediatamente l’allegato con la sentenza. Sfoglia velocemente e constata che Quotto ha detto la verità: quattro ergastoli e dieci condanne pesantissime, più l’obbligo di chiusura della testata.

    Si guardano tutti ammutoliti per la violenza e l’ingiustizia subite.

    Ettore legge qualche riga delle motivazioni: «Condotta recidiva… informazione irresponsabile… terrorismo mediatico…». La rabbia gli annebbia lo sguardo, non riesce a proseguire.

    Interviene Mila: «C’è poco da discutere, o partiamo o siamo spacciati».

    «Un momento, c’è sempre da discutere» la corregge Udo. «Parliamone.»

    «È una splendida opportunità» afferma Janin.

    «Ma non sappiamo niente di questo Quotto» replica Udo.

    «Ma poi, ragazzi, gli Stati Disgregati… Rischiamo di trovarci in un inferno di detriti tossici, di bande di selvaggi affamati!» dice Chris, un ragazzo alto e magrissimo.

    «Sempre meglio che marcire nelle carceri federali» obietta Janin.

    «Guardate! C’è uno spazio per le domande» dice Solongo accorgendosi che a mezz’aria è apparso un punto interrogativo.

    «Riconosce il vocale?» domanda Udo.

    «Direi di sì» risponde Solongo.

    Udo parla per primo, rivolto alla schermata. «Negli Stati Disgregati non ci sono servizi, come potremo sopravvivere?»

    Mentre davanti a lui appaiono immagini a supporto della spiegazione, la voce registrata di Quotto risponde: «Servizi: sull’isola non manca nulla. Acqua potabile, cibo, abitazioni confortevoli, nessun pericolo. Gli abitanti sono fin troppo pacifici. È un sistema perfettamente autosufficiente, un paradiso, credetemi».

    Una clip mostra bagni, letti, computer avanzati, acqua corrente che sgorga da rubinetti smaltati, una sala operatoria, una dispensa con cibo sintetico e qualcosa di organico.

    Tess prende la parola. Spiega che sua figlia Ayla non può vivere senza il Borinion. La piccola Ayla abbassa il musetto, triste. Pur essendo molto vivace, è tanto pallida che spesso la scambiano per una bambina di pelle bianca. La sua magrezza eccessiva e l’inappetenza costante sono segni evidenti della malattia genetica che la rende dipendente dal farmaco salvavita.

    Ed ecco che nella schermata tridimensionale appare una specie di bunker pieno di scatoloni di Borinion con la voce registrata di Quotto che commenta: «Borinion: ci sono abbastanza pillole fino a quando Ayla compirà diciott’anni. Sono un tuo fan, Tess, te lo confesso, so tutto di te».

    Tess, sollevata, sorride alla bambina percependo il suo entusiasmo.

    «Che ne dici di andare a vivere su quest’isola, tesoro?»

    «Sììì!» Ayla evidentemente non ha dubbi.

    «Questo Quotto sembra ben organizzato» ammette Udo positivo.

    «Forse non è poi così rischioso» azzarda Jonathan.

    «Potrebbe essere anche una magnifica avventura» dice Mila eccitata.

    All’improvviso si scatenano tutti insieme con le domande: quanti abitanti ci sono sull’isola? Parlano la nostra lingua? Quanto dura il viaggio? Cosa dovranno portare con loro?

    «Ci sono alcolici? Io vino sintetico non ne bevo» dichiara Udo perentorio.

    Dalla schermata nessuna risposta.

    «Se parlate tutti insieme non funziona» spiega Solongo.

    «Posso fare io una domanda?» chiede Janin ad alta voce per interrompere la confusione. «C’è spazio sulla barca per la nostra insegna?»

    La voce risponde subito, mentre appare l’immagine della stiva della nave che li aspetta.

    «Insegna: ho scelto una barca d’epoca anche perché un tempo le facevano belle grandi. Del resto, erano ancora i tempi del turismo.»

    «Se le cose stanno così, io parto» dice Janin risoluta e raggiante. «Chi mi segue?»

    Domanda retorica: è evidente che si sono convinti tutti. La decisione è presa. Restano poche ore per la fuga, Solongo organizza velocemente il trasloco assegnando un compito a ciascuno. Un gruppetto di forzuti sale sul tetto a imballare l’insegna che, avvolta in teloni enormi, con fatica e cautela viene fatta passare dalla scalinata esterna per essere calata a terra con delle funi.

    Tess e Jonathan si fermano a parlare in disparte. Lei è molto agitata, lui cerca di controllarsi.

    «Qui in redazione ne ho solo due scatole. Devo tornare a casa a prenderne altre.»

    «Tess, non possiamo rischiare di farci beccare dai droni di sorveglianza, dobbiamo avere fiducia, del resto il viaggio dura quattro giorni… quando arriveremo a Flutur ci darà altro Borinion, hai visto quanto ne ha?»

    «E se le foto fossero false? Se fosse una trappola?»

    «Se fosse una trappola saremmo tutti condannati. Non abbiamo scelta, Tess.»

    Mancano un paio d’ore all’alba quando si ritrovano nella baia davanti a una specie di nave da crociera di piccole dimensioni. Caricano per prima l’insegna, che occupa tutta la stiva, poi i computer e i materiali d’archivio e qualche borsa con le loro cose.

    Nella cabina di pilotaggio, Udo, Janin, Chris e Mila osservano perplessi la consolle. Negli anni Trenta si usavano ancora dei pulsanti e altri strumenti manuali che non hanno mai visto. Chris avvia il tutorial. Appare in ologramma una ragazzina nerd sui dodici anni, tanto saputella da risultare offensiva.

    «La differenza fondamentale fra le barche di allora e le nostre è che le nostre si guidano da sole, quelle del Trenta le dovete guidare voi. Facile da capire, ma è altrettanto facile dimenticarsene: vi mettete davanti a un videogioco, perdete la cognizione del tempo e finite contro uno scoglio.

    «Dovete mettervi in testa che questa barca non ha una volontà sua, questa barca non sa dove volete andare e perché. Non conosce i vostri dati sanitari né le vostre preferenze musicali. Questa barca non sa un cazzo di voi, perché questa barca – reggetevi forte – è solo una barca. Scusate la digressione, ma sono stanca di sentire gente che si fa male e poi se la prende con me.

    «Cominciamo dall’inizio: premere il pulsante rosso per tre secondi. Sentirete un rumore: è il motore. Non vi interessa sapere cos’è, almeno finché funziona…»

    Il tutorial continua spiegando cos’è una bussola e cos’è un radar, mentre la barca esce dalla baia e si avvia verso il mare aperto.

    Qualcuno del gruppo è sul ponte a salutare la città che si allontana.

    Le prime luci dell’alba rischiarano Taur, la capitale delle Federazioni che sorge dove un tempo c’erano le Montagne Rocciose. Una volta la città si chiamava Salt Lake City, ed è qui che le famiglie più facoltose, provenienti soprattutto dalla California, avevano cominciato a costruire le loro residenze man mano che la West Coast finiva sott’acqua.

    Tutte le zone Crem sono strutturate come feudi: una o più famiglie di ricchezza smodata ospita a proprie spese eccellenze di ogni campo dello scibile umano, con cui convive come a corte. Arche di Noè in cui però sono stati i ricchissimi a scegliere chi meritava di salvarsi.

    Le aree Crem sono piccoli borghi di altissima tecnologia, dotati di tutto: ospedali, scuole, spazi per la socialità e gli hobby, musei, stadi, palestre e qualunque altra cosa si possa desiderare. Sono i robot per lo più a svolgere i lavori faticosi. Ciò che gli androidi non riescono a fare – soprattutto i lavori che richiedono abilità manuale, come certe forme di artigianato – viene affidato ai migranti degli Agglomerati, che in cambio ricevono cibo sintetico, un’istruzione base e un minimo di assistenza sanitaria.

    Le città dei Crem sono isole di lusso in mezzo a deserti e campi di accoglienza ammodernati.

    Taur si distingue dagli altri feudi Crem perché è la sede del governo, ma il Parlamento ha una funzione più che altro di rappresentanza. Il suo compito principale sarebbe vigilare sul rispetto della Costituzione, che però di fatto, come Holly ha più volte dimostrato, viene costantemente violata senza che i cittadini Crem se ne curino troppo.

    Quando Taur scompare dall’orizzonte, i giornalisti rientrano sottocoperta a riposare, mentre nella cabina di comando si concentrano sulla navigazione.

    «Ma non possiamo impostare la rotta in modo che poi la mantenga?» chiede Janin a Udo, che sta studiando una vecchia mappa cartacea.

    «L’ha spiegato il tutorial, dobbiamo guidare noi tutto il tempo» risponde lui quasi assente.

    «Assurdo» dice Janin. «Ce la faremo?»

    «Basta stare attenti» replica Udo fingendosi sicuro di sé, poi domanda ad alta voce: «Ma perché secondo voi dobbiamo passare per la costa della Nuova Madrid e poi scendere a sud?».

    «Magari ci saranno pericoli, correnti, che ne sappiamo…?» risponde Chris, che si è preso il primo turno al timone. «A ogni modo, arriveremo a Nuova Madrid fra un paio di giorni. Per essere un reperto archeologico, è piuttosto veloce questa barca.»

    «Posso chiedervi perché continuate a chiamarla Nuova Madrid? È una questione di rispetto.» Mila si è inserita nella conversazione con un piglio polemico.

    «Va bene, Vilinder!» dice Udo spazientito. «Che palle questa storia.»

    «Anche Flutur, la nostra isola, vuol dire farfalla in albanese, ho controllato» risponde Mila con aria di sfida.

    «E ti pareva che ce la facevamo mancare.»

    Udo detesta gli aspetti più sentimentali della retorica anticatastrofe. Pensa che non si dovrebbe colorare il mondo di rosa ma, al contrario, fare in modo che la gente si renda ben conto del pericolo.

    Invece sia i ricchissimi che i miserabili tengono molto alla tradizione nata dopo le Catastrofi di ribattezzare, in segno di speranza, ciascun insediamento urbano farfalla, ognuno in una lingua diversa. E guai a chi si permette di scherzarci sopra.

    La navigazione procede senza intoppi. Quando arriva l’ora di dormire, stabiliti i turni al timone, si sistemano chi in terra, chi nelle cabine, chi sui divani. Le ore trascorrono veloci in un clima di grande eccitazione, in cui si alternano speranza e terrore per l’ignoto. Gli unici che dell’esperienza colgono solo il lato positivo sono i bambini.

    Oltre ad Ayla, figlia di Tess e Jonathan, ci sono i gemelli Ruber e Pap, figli di Chris; c’è Marta, figlia di Elsa dell’amministrazione. C’è Juno, figlio di Usserl, il grafico forzuto e pieno di interessi. E la piccola Koko, orfana di una redattrice uccisa durante un reportage, adottata da Solongo e un po’ da tutti. Le età variano dai sette anni di Koko ai dieci di Marta, la più grande.

    Il secondo giorno, verso le sei del mattino, Jonathan stacca dal turno al timone e sveglia Tess e Ayla per portarle sul

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