Una sconosciuta alla porta
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Una sconosciuta alla porta - Carola De Giorgi
Carola De Giorgi
UNA SCONOSCIUTA ALLA PORTA
Prima Edizione Ebook 2021 © R come Romance
ISBN: 9788893471824
Immagine di copertina su licenza Adobestock.com, elaborazione Edizioni del Loggione
img1.pngwww.storieromantiche.it
Edizioni del Loggione srl
Via Piave 60
41121 Modena – Italy
romance@loggione.it
http://www.storieromantiche.it e-mail: romance@loggione.it
img2.jpgLa trama di questo romanzo è frutto della fantasia dell’autore.
Ogni coincidenza con fatti e persone reali, esistite o esistenti, è puramente casuale.
Carola De Giorgi
UNA SCONOSCIUTA
ALLA PORTA
Romanzo
Indice
PREMESSA
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
26
L’autrice
Catalogo
Il concorso
PREMESSA
Pietra diede le spalle al corso e si appoggiò coi gomiti sulla ringhiera del balcone:
«Voce, sono stufa di guardare quelli che passano: mai nessuno che alzi lo sguardo per farmi un sorriso.»
Voce lasciò trascorrere qualche minuto, o forse un’eternità, Pietra non avrebbe saputo dirlo:
«Ti ho dato la capacità di conoscere da quale passato sono giunti a noi» tacque nuovamente per dare modo a Pietra di apprezzare la grandiosità di quel dono «non è abbastanza?» aggiunse poi in tono di rimprovero.
Pietra abbassò gli occhi.
«Penserai che sono un’ingrata però no, non mi basta! La verità è che mi sono stancata di spiare i segreti degli altri. L’eco di quelle esistenze di cui non ho fatto parte è come il profumo del pane se non puoi mangiarlo: un’autentica sofferenza» sospirò «il profumo del pane…» ripeté.
«Già, è una delle cose che mi è riuscita meglio, non credi?» Pietra non rise alla battuta. Aveva un progetto e voleva realizzarlo. Non poteva lasciarsi distrarre.
«Invece, se solo avessi qualcuno…» insistette «qualcuno che mi volesse bene, allora sarebbe tutto differente. Mi accontenterei persino delle sue bugie. E sarebbe abbastanza».
«Dunque vuoi lasciarmi.»
«Solo per un po’» si giustificò Pietra «e poi me lo avevi promesso. Mi avevi detto che avrei potuto farlo perché avevo diritto a una riparazione.»
«Allora va’.»
«Me lo lasci fare? Sul serio?»
«Sì. Però ti avverto: niente che appartenga a questo luogo ti seguirà.»
Petra considerò che questo non era giusto perché i ricordi, almeno quelli…
Voce vide i suoi pensieri e le rispose.
«I ricordi appartengono solo a te, fa parte della loro natura. Ma ti seguiranno di nascosto e affioreranno quando non te lo aspetti, come una filastrocca ascoltata da bambina e poi dimenticata.»
Pietra annuì, non serviva sapere altro. Si staccò dal balcone e si incamminò lungo il corridoio che portava all’uscita. I suoi passi risuonavano solitari nel buio dandogli una dimensione.
Aprì la porta e cominciò a scendere la scalinata di marmo rosso che era appartenuta all’era dei re e delle regine. Con le braccia strette attorno al corpo per non tremare, con gli occhi bassi per resistere alla tentazione di voltarsi indietro.
Poi, però, successe qualcosa.
Man mano che i piedi nudi assorbivano il fresco del pavimento, una misteriosa energia si propagava in ogni parte del suo corpo.
Gradino dopo gradino, sentiva nascere in lei una nuova determinazione.
Le ginocchia divennero salde. Mollò il passamano, drizzò la schiena e lo sguardo.
Proprio così: qualcosa di nuovo e di straordinario stava accadendo.
Gradino dopo gradino. Un tanto per volta.
Tanto, tanto, tanto… chissà perché queste parole continuavano a rimbalzarle dentro la testa.
Fa niente – si disse − adesso non è importante.
Fece l’ultimo gradino con un saltello. Leggera. Finalmente libera.
Quando giunse nel patio, all’ombra dei muri segnati da un tempo che non conosce vecchiaia, era sicura di sé come mai lo era stata nella sua breve, sfortunata vita.
Con uno spintone spalancò il portone che, ruotando sui cardini, andò a sbattere contro la parete. E fu fuori.
***
Benedetta si svegliò di soprassalto.
Aveva nelle orecchie l’eco di un rumore secco: come un colpo di pistola… o cosa?
Si sollevò sui gomiti per controllare. Niente. La casa era immersa nel silenzio. Quel rumore doveva averlo sognato.
Si stiracchiò facendo scricchiolare, ad una ad una, le vertebre. Chissà perché le sue notti erano diventate così agitate. Forse per via delle preoccupazioni, oppure era colpa dell’età.
Sbirciò attraverso le persiane. Fuori era ancora buio.
Sprimacciò il cuscino e si girò dall’altra parte. Le restava ancora un po’ di tempo.
1
Ore 6,30.
La giornata in casa Ritornello si preannunciava simile a tutte le altre.
Benedetta era schizzata fuori dal letto, incalzata dai miagolii di Barbanera: un vecchio gattaccio spelacchiato e mezzo rimbecillito che, però, aveva la precisione di un orologio svizzero quando si trattava di reclamare la colazione.
Lo aveva servito in fretta mentre fantasticava di tornare a dormire un’altra mezz'oretta visto che la sveglia ancora non era suonata. Poi però si era guardata intorno e si era detta che oramai tanto valeva…
Aveva cominciato a sfaccendare nell’unico modo che sapeva: freneticamente.
Del resto le cose da fare non mancavano: riporre le stoviglie lavate la sera prima, spazzare il pavimento della cucina, piegare il bucato e preparare la colazione per Sofia.
Sofia era la figlia di Benedetta.
Aveva quattordici anni appena compiuti e dunque era per principio imbronciata, insoddisfatta e incompresa. A chiederle la ragione di cotanto malcontento si beccavano solo rispostacce e, dunque, la madre aveva deciso che era meglio lasciar perdere.
In compenso la notte dormiva beata e pacifica come un sasso e convincerla a rimettersi all’impiedi in tempo per la scuola era un’impresa.
Quando, finalmente, si decideva, era in ritardo e attraversava la casa come un tornado, lasciandosi appresso una scia di roba messa a soqquadro. Tanto l’avrebbe tolta di mezzo sua madre che, se no, le madri che ci stanno a fare?
Nel frattempo, il trambusto aveva risvegliato Filippo, il marito di Benedetta.
Benché lui e la moglie vivessero nello stesso appartamento ormai da anni, Filippo si ostinava a ignorare i posti delle cose, pure di quelle − pantaloni, camicie, rasoi − che lo riguardavano personalmente; forse perché rifiutava l’idea che le cose potessero avere un posto tutto loro dove stare in santa pace in attesa di essere utilizzate.
Per Benedetta invece ogni cosa doveva avere un posto. Immutabile perché deciso da lei una volta per tutte, seguendo regole di razionalità illuministica.
Lo scontro tra quelle due visioni inconciliabili dell’universo domestico dava luogo ogni mattina a dialoghi surreali.
Quando anche Filippo usciva da casa diretto al lavoro, Benedetta era allo stremo delle forze anche se la sua giornata doveva ancora cominciare.
Per ricaricarsi si concedeva dieci minuti di lettura.
Lo faceva in bagno stando seduta sul wc perché non riusciva proprio a concepire l’idea di fare una sola cosa alla volta.
Per la stessa ragione, amava leggere più libri contemporaneamente e la scelta dipendeva dall’estro del momento.
Il suo sguardo frugava ogni mattina le coste dei volumi disposti sulla mensola del bagno, tra le tante cianfrusaglie. Certe volte le pareva quasi di sentirli mentre la adescavano: prendimi, sono io quello giusto, Dai aprimi
, poi, però, si dava una bella scrollata per rimettere a posto il cervello che evidentemente le aveva preso la mano e ne estraeva uno a caso.
Quella mattina era toccato a un saggio di neurologia.
Il caso che vi si descriveva era davvero interessante: una paziente, dopo l’asportazione di un tumore al cervello, aveva le allucinazioni. Il medico l’aveva avvertita, eppure lei non riusciva lo stesso a capacitarsi che quello che vedeva non fosse vero. Così restava sospesa tra il prestare fede alla scienza o a se stessa.
2
Benedetta si era alquanto immedesimata nella storia della povera malata, al punto da dimenticare se stessa e dove si trovasse, quando un trillo insistente si fece strada tra i righi costringendola a sospendere la lettura.
Qualcuno si era attaccato al campanello della porta e non intendeva desistere.
Chiuse il libro con un moto di stizza, si diede una ravviata veloce al cespuglio di capelli che le si intrecciava sulla testa e, brontolando, si avviò verso l’ingresso.
Vediamo chi rompe le scatole di prima mattina
Guardò dallo spioncino. L’effetto ottico, a cannocchiale rovesciato, rendeva l’immagine lontana, come se provenisse dall’altro mondo.
È Pina! Filippo sostiene che sia la portinaia perfetta ma, a me, la sua perfezione comincia a starmi...
Tirò un sospiro di rassegnazione e sfoderò un sorriso plastificato di circostanza col quale contava di liquidare, in quattro e quattr’otto, la disturbatrice. Poi aprì.
«Buongiorno Pina, che succede? Come mai …»
«Dove sono i miei vestiti?» la investì quella senza lasciarle il tempo di terminare la frase
«Co-cosa?» balbettò Benedetta
«Cos’è? Non hai capito la domanda? Vuoi vedere che a forza di riempirti il cervello con le stramberie che leggi, ti sei persa il senso comune?»
Benedetta fece appello alle reminiscenze del corso di yoga, inspirò profondamente e improvvisò una piccola manovra per sciogliere i muscoli del collo: meglio mantenersi calmi e disaccati – si disse – mai mettersi a tu per tu col personale di servizio!
«Signora Pina, guardi che io non so nulla dei suoi vestiti, per cui…»
E andò per richiudere sbrigativamente. Ma la vecchia, più veloce di un venditore a domicilio, infilò il piede rinsecchito nello spiraglio. Poi riprese a parlare a raffica.
«Sono stata in via delle Mosche e ho scoperto che hai dato la casa in affitto. D’accordo, gli inquilini sembrano essere brave persone, però ci sono rimasta male lo stesso…»
«Sia gentile, Pina» la esortò Benedetta che, nel frattempo, era stata costretta a riaprirle per non fratturarle una tibia «torni giù in portineria» e tentò di spingerla per le spalle verso fuori.
Meglio provare a prenderla con le buone ’sta qua.
«Lei è confusa ma è normale, lo hanno detto pure al telegiornale: col caldo di questi giorni la testa può fare brutti scherzi, è normale dopo una certa età…»
«Il caldo non c’entra e neppure l’età. La testa mi funziona perfettamente grazie a dio, e se proprio devo trovare una pecca è questo corpo che non mi va a genio» si passò le mani addosso «troppo tozzo, non è vero? Ma che ci posso fare?» proseguì accorata «ho preso quel che c’era, non mi sembrava il caso di fare la difficile, per giunta così» aggiunse «ero già nello stabile dove ti sei trasferita. Ho pensato che la vicinanza avrebbe facilitato i contatti tra di noi.»
«Corpo? Contatti? Ma di cosa sta parlando?»
Benedetta si domandò se per caso fossero su scherzi a parte
oppure sul set di un film di fantascienza. Tutto questo non ha senso, concluse. Però la questione andava risolta e alla svelta.
«Perché tu…» stava intanto dicendo l’altra
«Ma si può sapere perché stamattina mi dà del tu?», la interruppe stizzita. «Per carità, non dico che non vada bene, lei mi conosce, sa che sono una persona disponibile, come dire? …Ecco, democratica.»
Non come certuni – pensava intanto Benedetta - che passano dritto senza degnarti di un’occhiata, brutta vecchiaccia che non sei altro!
«…però non mi pare che tra di noi ci sia mai stata tanta confidenza.»
«Democratica tu?» rispose la portinaia con tono di scherno. «Classista! Come tuo padre sei, e delle peggiori risme! Di quelle che fingono, con la gente umile, una cordialità tanto ostentata quanto fasulla; così che tutti, osservandoti, possano esclamare: ma quant’è alla mano quella signora!
. E invece dentro sei sempre stata una inguaribile snob!»
Riprese fiato. Annuì: «Anche se, devo concedertelo, badi più alla sostanza che alla forma. Gli amici li hai sempre scelti per la loro intelligenza e non perché i loro genitori avevano fatto i soldi. Infatti da ragazzina riempivi la casa di disadattati che,