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Anguis Maximus: La belva di Cartagine
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Ebook249 pages3 hours

Anguis Maximus: La belva di Cartagine

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About this ebook

Dopo una battaglia navale che ha spazzato via la flotta punica, le calighe dei legionari romani calpestano il suolo dell’Africa. Cartagine trema e Marco Attilio Regolo sente di avere la vittoria in pugno. In attesa di sferrare il colpo finale, il console decide di svernare nei pressi del fiume Bagrada, ignaro di un’oscura minaccia che incombe sui suoi uomini. Il compito di sventarla spetterà a Claudio Finio Palatino, un giovane optio, smanioso di riabilitare l’onore della propria famiglia. Accanto a lui si muovono il centurione Valerio, il cavaliere Sisinnio, il capo berbero Bani e la figlia Mira, affascinante e ribelle. Di fronte a una tremenda furia della natura, di origine forse divina, la forza delle armi di Roma sembra soccombere e Claudio dovrà ricorrere non solo al suo coraggio, ma anche all’ingegno per salvare se stesso e i compagni.
LanguageItaliano
Release dateFeb 23, 2021
ISBN9788832144772
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    Anguis Maximus - Francesco Giannetti

    Note

    Francesco Giannetti

    ANGUIS

    MAXIMUS

    La belva di Cartagine

    Anguis Maximus – La belva di Cartagine

    di Francesco Giannetti

    © 2020 Aporema Edizioni

    www.aporema.com

    Questo romanzo è un ’ opera di fantasia e quando si riferisce a personaggi realmente esistiti, il loro ruolo, le loro parole e loro azioni sono da intendersi come interpretate dall’autore ai fini della narrazione e non rispecchiano necessariamente l'esattezza storica.

    A mia moglie a mia figlia,

    le mie due ragioni di vita.

    Premessa

    La Prima Guerra Punica dura ormai da otto anni quando, nel l’estate del 256 a.C., una flotta romana parte da Siracusa al comando de i consoli Marco Attilio Regolo e Lucio Manlio Vulsone Longo . Lo scopo? I nvadere l’Africa e sconfiggere Cartagine nel suo stesso territorio .

    I cartaginesi cercan o di bloccarla all’altezza di Capo Ecnomo (l’odierno capo Sant’Angelo, nei pressi di Licata) dove, secondo Polibio, ha luogo la più grande battaglia n avale dell’antichità.

    I romani dispongono di duecentotrenta navi, quasi tutte quinqueremi, che imbarcan o circa cento mila uomini, fra rematori e legionari; i cartaginesi schierano duecento cinquanta navi, con a bordo centocinquanta mila uomini.

    Sono cifre da prendere con la dovuta cautela, perché la tendenza all’esagerazione è un vizio comune alla maggior parte degli storici antichi; ma è un dato di fatto che in questo momento le due più grandi potenze del Mediterraneo si stanno giocando il tutto per tutto.

    La flotta romana penetra come un cuneo nello schieramento nemico, che rie sce a dividere, trasformando così lo scontro in tante piccole battaglie, dove i romani, grazie soprattutto ai loro corvi, le temutissime passerelle di abbordaggio, riescono ad avere la meglio.

    I due consoli sbarcano in Africa alla fine dell’estate del 256 a.C vicino a capo Bon, non lontano da Cartagine, e consegu o no rapide vittorie nei dintorni del la città di Aspide (l’odierna Kelibia).

    Il Senato è così sicuro di un imminente trionfo da decidere di richiamare Lucio Manlio Vulsone, che riporta in patria gran parte della flotta, il bottino e circa ventimila schiavi. Roma gli concede pure l’onore di un grande trionfo.

    Marco Attilio Regolo invece rimane in Africa con tre legioni, quaranta navi e circa cinquecento cavalieri, vincendo con facilità anche la battaglia di Adys.

    Convinto di aver ormai piegato la volontà del nemico, invia a Cartagine i suoi ambasciatori per dettare pesanti condizioni di pace. Non sa, o preferisce ignorare, che i punici nel frattempo hanno già cominciato a preparare la riscossa.

    I

    Autunno 256 a.C. 15 miglia a sud di Cartagine

    Claudio Finio Palatino , optio della Seconda Legione, morse con rabbia il bastoncino che il cerusico gli aveva infilato tra i denti. Nel guardarlo ricucire con perizia quella maledetta ferita a lla coscia sinistra , cercando di resistere al dolore, pensò che presto avrebbe potuto mostrarla a tutti come testimonianza del proprio valore.

    Il giovane stava osservando con sollievo quello che ormai pareva essere l’ultimo punto a trapassargli le carni, quando un lembo della tenda si aprì.

    «Allora, Androsino, come sta il nostro eroe?» la voce era quella stentorea e inconfondibile del centurione prior Valerio Tito Placido.

    «È una brutta ferita » rispose il cerusico, tagliando l’ultimo pezzo di filo e cominciando a riporre i propri arnesi, «ma tra qualche giorno guarirà: il ragazzo ha una fibra forte.»

    «Bene, non vorrei si perdesse la presa di Cartagine.»

    «Sono già pronto, centurione: mostrami la via più rapida per raggiungere la città» disse Claudio dopo aver sputato a terra il bastoncino; ma nel mettere un piede a terra, non riuscì a nascondere una smorfia di dolore.

    «Non così in fretta, altrimenti dovrò ricucirti!» intimò il cerusico.

    Valerio pose la mano sulla spalla di Claudio.

    «Calma, ragazzo, calma. Promisi a tuo padre d i tene rti d’occhio e intendo onorare quell a promessa . In ogni caso, te la puoi prendere comoda, perché penso proprio che avrai tutto il tempo di rimetterti. »

    «Non capisco centurione...» e aggrottò la fronte.

    «Pare che il nostro console abbia già spedito un’ambasceria per chiedere la resa dei cartaginesi. Presto arriverà l’inverno e quindi, anche se non dovessero accettarla, noi dovremmo comunque attendere la primavera, prima di riprendere la guerra.»

    Claudio lo guardò incredulo.

    «Che cosa? Ma li hai visti pure tu ritirarsi quasi senza combattere. E poi non gli abbiamo ammazzato neanche un elefante! Dobbiamo agire subito, non dobbiamo concedere loro respiro!»

    Il centurione stava per replicare, quando vide Androsino alla sua destra profondersi in un ossequioso inchino.

    «Console Regolo, entrando in questa tenda, voi mi onorate!» esclamò il cerusico portandosi la mano al petto.

    Claudio rimase impietrito, così come Valerio, timoroso che il supremo comandante avesse udito le ultime parole del giovane.

    Attilio Regolo si avvicinò ai due legionari, fissandoli negli occhi e sfregando il palmo della mano destra sul pomolo del gladio.

    «Caro Androsino, sei un cerusico fortunato! Sembra che tu stia curando uno stratega di comprovata abilità.»

    Valerio tentò di parlare, ma il nobile lo fermò con un perentorio gesto della mano.

    «Nome e grado» ordinò.

    «Claudio Finio Palatino, optio della Seconda Legione. Il mio diretto superiore è il centurione Rufo Caelio Caldo.»

    «E dimmi, quanti anni di battaglie hai sulle spalle?»

    «Combatto da tre anni, console.»

    «Ebbene, dall’alto della tua lunga esperienza, cosa suggerisci di fare per risolvere alla svelta questa guerra?»

    Claudio lanciò un rapido sguardo a Valerio, che lo fissò scuotendo appena la testa, ma il giovane non riuscì a trattenersi.

    «Suggerisco di inseguire subito i cavalieri, gli elefanti e il resto della fanteria, per annientarli tutti in un colpo solo.»

    Valerio scosse il capo:

    «Non fare caso alle sue parole, comandante: i giovani parlano senza riflettere.»

    «Non posso che darti ragione, centurione» annuì Regolo. «Anche perché il tuo caro protetto non capisce che a quest’ora i nemici saranno già al sicuro dentro le mura di Cartagine. L’esercito che abbiamo affrontato potrebbe essere solo una piccola avanguardia, sacrificata per studiare il nostro modo di combattere e per saggiare le nostre forze.»

    «In effetti si sono comportati in modo inconsueto» confermò Valerio. «L’accampamento l’hanno piazzato nel punto giusto, ma quando si è trattato di scegliere il campo di battaglia, non sono stati altrettanto accorti, e la cosa mi pare strana.»

    «Vedi, giovane Claudio, il centurione Valerio Tito Placido ha capito cosa intendo dire.»

    «Avete ragione, magari il loro piano era proprio quello di farsi inseguire sino a Cartagine» dovette ammettere il giovane o ptio.

    «Hai detto di chiamarti Claudio Finio Palatino. Ho capito bene?» chiese il nobile osservando la ferita da poco ricucita.

    «Sì, console.»

    «La gens Finia... Se non sbaglio, tuo padre era Aulo Finio Palatino, un ufficiale che prima di morire aveva contratto parecchi debiti.»

    «Le tue parole corrispondono al vero, nobile Regolo, e io sono qui proprio per cercare di ripagarli.»

    Il comandante si grattò la barba ispida e attese qualche istante prima di parlare.

    «Valerio, non appena costui sarà guarito, vedi di fargli fare un po’ di turni di guardia notturni, così avrà modo di riflettere sulla sua arroganza e sull’arte della guerra.»

    Raggiunse alla svelta l’ingresso della tenda e fece per uscire, ma all'improvviso si voltò. «Ah, quasi dimenticavo il motivo della mia visita: mi hanno riferito che il tuo optio è caduto nello scontro, Valerio. È vero?»

    «È così, purtroppo: Velio Aulico è stato ucciso da un mercenario che aveva attaccato la nostra prima linea.»

    «È il tuo giorno fortunato, optio » sentenziò Regolo dopo aver riflettuto qualche istante. «Gli dei sono dalla tua parte. Ti assegno a Valerio come primo optio, ma non voglio più sentire critiche al mio comando. E i turni di notte te li farai comunque.»

    Il console se ne andò senza aggiungere altro.

    Valerio, ancora incredulo per il rapido susseguirsi degli ordini ricevuti, si rivolse a Claudio.

    «Per Giove, ragazzo! Ma che ti è preso? Non farlo mai più! Non devi mai permetterti di rispondere a un console, né tanto meno di contraddirlo!»

    Claudio allargò le braccia.

    «Lo so e me ne rammarico, ma è stato più forte di me.»

    «Già! Invece lui in pratica ti ha promosso. È incredibile. Ma non pensare che essere l’ optio del primo manipolo ti renderà la vita più facile! Ti farò sudare parecchio!»

    «Bene» disse Claudio poggiandogli la mano sulla spalla, «perché è esattamente quello che voglio.»

    Valerio gli diede un buffetto sulla testa e gli afferrò la nuca, proprio come un padre avrebbe fatto col figlio.

    «Farò di te un ottimo sottufficiale e soprattutto t’insegnerò a capire quando tenere la bocca chiusa!»

    Claudio rise a sua volta, mentre guardava il centurione lasciare la tenda. Sì, n’era convinto pure lui: sarebbe diventato davvero un ottimo sottufficiale, il migliore.

    II

    Il giorno seguente Claudio si svegliò di buon ora.

    L’emozione per essere il nuovo optio del primo manipolo della Seconda Legione a tratti gli faceva dimenticare anche il fastidioso formicolio della ferita, ricucita solo il giorno prima.

    Infilò la mano sotto il pagliericcio e tirò fuori il bronzeo medaglione di famiglia, ben protetto in un morbido panno; lo strinse tra le mani e cercò d’immaginare quanto il padre sarebbe stato fiero di lui. Aulo era morto quando lui aveva più o meno un anno di vita e quel pezzo di metallo era l’unico ricordo tangibile che li legava.

    Il monile era in condizioni eccellenti. Claudio lo custodiva sempre con la massima cura, come la più preziosa reliquia del sacro tempio di Vesta. Su un lato era impresso il volto di Cerere, la dea protettrice della sua famiglia, grazie alla quale, secondo la tradizione, gli avi avevano prosperato attraverso la coltivazione del grano. Sull’altro, un uomo a cavallo affondava il suo giavellotto contro un nemico, disarmato e a terra, giusto per ricordare che nel momento del bisogno la gens finia aveva sempre dato il proprio contributo alle cause belliche di Roma. Lo rimirò a lungo, tastandolo con le dita: era sicuro che quel giorno, così importante per lui, gli avrebbe portato fortuna.

    Un drappo della tenda si scostò, distogliendolo da quei pensieri.

    «Ah, vedo che sei già sveglio» disse Valerio.

    Claudio si alzò, riavvolse il cimelio e lo mise in una bisaccia che si legò al cingulum.

    «Centurione, ai tuoi ordini!»

    «E la gamba?»

    «È a posto. Non fa troppo male.»

    «Allora preparati, devo presentarti ai tuoi nuovi legionari» annunciò con orgoglio l’ufficiale e se ne andò.

    Claudio assentì col capo, ma non disse nulla.

    Dopo essere rimasto orfano, il centurione era stato l’unica persona sulla quale aveva potuto fare affidamento. Era stato lui a far commutare il restante debito della sua famiglia, ormai a corto di beni materiali, in sei anni di servizio militare per l’erede della gens finia. Le sue importanti amicizie gli avevano consentito di portarlo con lui nella Seconda e ora, grazie a un inaspettata decisione di Regolo, era diventato addirittura il suo optio.

    Senza ulteriori indugi, il ragazzo si sistemò, uscì dalla tenda e si diresse verso lo spiazzo dove era sparpagliato il primo manipolo, giusto in tempo per vedere Valerio rimproverare con durezza un legionario per la sua panoplia, troppo logora e sporca.

    «Manipolo, ad signa!» gridò l’ufficiale ai suoi per farli mettere in riga. Tutti gli uomini si schierarono e serrarono le fila col mento in alto e lo sguardo fiero. «Questi è Claudio Finio Platino. Sarà il vostro nuovo optio . Eseguirete ogni suo ordine come se fosse il mio. Intesi? »

    I legionari continuarono a fissare il vuoto e non degnarono nemmeno di uno sguardo il nuovo sottufficiale, fin quando uno di loro, un certo Celio Pelicio, si permise di fare lo spiritoso.

    «Ecco un altro ragazzino raccomandato» biascicò in un latino scorretto, «che crede di poterci comandare.»

    Gli uomini che aveva intorno sghignazzarono.

    Valerio, avendone riconosciuto la voce, gli si piazzò a un palmo dal naso, stringendo il nodoso bastone di vite, simbolo del suo potere.

    «Non ho ben compreso quello che hai detto, Celio. Puoi ripetere?»

    Il milite, temendo una dura punizione, s’incupì.

    I legionari sapevano che con i superiori c’era poco da scherzare: la disciplina era il pilastro portante della forza di Roma. Quando qualcuno azzardava troppo, proprio come aveva appena fatto Celio, doveva cercare di recuperare in fretta la situazione.

    «Chiedo scusa, centurione; volevo solo dare il benvenuto al nuovo sottufficiale» e rivolto a Claudio: «Perdonami, optio, non volevo mancarti di rispetto.»

    Il ragazzo si mostrò sicuro di sé e parlò cominciando a passare in rassegna ogni legionario.

    «Per me non c’è nessun problema. So bene che devo guadagnarmi il tuo rispetto, così come quello di tutto il manipolo. Mi auguro solo che mi giudicherete per il mio lavoro, o per il mio modo di combattere, e non per la mia età.»

    Celio si portò il pugno al petto e raddrizzò ancor di più la schiena.

    «Per stavolta passi» sentenziò Valerio, «ma tenete bene a mente che insultare un optio equivale a insultare il vostro centurione, il nostro console e persino Roma stessa! Siate consapevoli di chi siamo e di qual è il nostro dovere. »

    Il rimprovero fu interrotto dal passo svelto del centurione posterior, Mario Tiburzio Bibulo.

    «Centurione prior» disse abbassando leggermente il capo verso il suo orecchio, «Regolo ha convocato una riunio ne con i tribuni e i centurioni: pare che ci s iano novità.»

    Valerio annuì, prese Claudio in disparte e gli suggerì di iniziare a conoscere ognuno dei centoventi uomini del manipolo; poi, senza perdere altro tempo, si allontanò con il collega Mario, amico di lungo corso.

    L’ optio cominciò a prendere confidenza con i nuovi sottoposti. Alcuni avevano molti anni più di lui. Sapeva che per costoro accettare un superiore più giovane non sarebbe stato facile. Doveva conquistare la loro fiducia, ma le parole non bastavano: le azioni avrebbero parlato al posto suo.

    Nel frattempo Valerio e Mario camminavano a grandi falcate verso la tenda consolare. Il prior era uno a cui piaceva essere sempre preparato, perciò non seppe resistere e dopo pochi passi chiese:

    «Allora, quali sarebbero queste nuove?»

    «Si vocifera che il nostro console voglia spostare le legioni verso occidente, sulle sponde del fiume Bagrada» rispose con un po’ di fiatone Mario.

    Valerio rimase alquanto sorpreso.

    «Ma Cartagine è a nord! È sempre così sicuro di avere la vittoria in pugno e invece ora vuole andare a ponente. Chissà che cosa gli passa per la testa...»

    Mario si guardò attorno e si fermò in un punto del castrum dove nessuno poteva ascoltare i loro discorsi.

    « È solo la mia opinione» disse guardandosi intorno, «ma io non credo proprio che i cartaginesi si arrenderanno facilmente, non dopo le pesantissime condizioni che gli abbiamo imposto. Sarà un miracolo se uno dei nostri ambasciatori tornerà con la testa attaccata al collo.»

    «Non so che dirti, Mario: pure a me questa storia non piace affatto. Forse ha ragione il mio nuovo optio.»

    «Ah sì? Perché? Cosa dice?» chiese il posterior.

    «Anche lui ha notato la cavalleria cartaginese mettersi in salvo, così come gli elefanti e gran parte della fanteria. Pensa: voleva inseguirli e trucidarli tutti!»

    «Ancora non lo conosco bene, ma già mi piace questo Claudio.»

    Valerio lo guardò di traverso.

    «Non incoraggiarlo: quel ragazzo è una testa calda, in più è sotto la mia responsabilità.»

    «Va bene, va bene. Dico solo che forse stavolta avremmo dovuto rischiare; adesso temo che questa guerra andrà per le lunghe. E poi, cosa ancora più importante, a quest’ora avremmo già potuto essere in qualche lupanare di Cartagine!» e mosse i fianchi avanti e indietro mimando un coito rapidissimo.

    I centurioni sorrisero e si diressero al conciliabolo.

    «Era ora! Pensavo vi foste persi» esclamò Regolo nel vederli varcare la soglia della nobile tenda, «mancavate solo voi due.»

    Valerio chinò il capo.

    «È colpa mia, console. Stavo presentando il mio nuovo optio al manipolo.»

    «Ah, il giovane Claudio! Mi auguro proprio che riuscirai a raddrizzarlo» commentò Regolo, prima di srotolare la mappa della zona.

    «Veniamo a noi. Allora... domani ci dirigeremo verso il fiume Bagrada, lo guaderemo e marceremo verso settentrione, fino alla grande montagna che i numidi chiamano El Akber. Lì ci accamperemo e, agli dei piacendo, sverneremo al sicuro. Ci sono domande?»

    Nessuno parlò, men che meno i tribuni, che nel corso di quella campagna bellica da lui non avevano di sicuro ricevuto un trattamento di favore. Il console perciò tagliò corto e, dopo aver distribuito le consegne, congedò tutti alla svelta. Il suo nervosismo era così palese, che neanche Valerio, da tutti considerato il suo braccio destro, osò chiedere spiegazioni per quella decisione.

    Appena fuori la tenda, Mario lo affiancò.

    «Rapido e indolore» commentò.

    «L’attesa per il ritorno degli ambasciatori sta mettendo alla prova i suoi nervi, ma il suo piano è intelligente» osservò il prior.

    «Non lo metto in dubbio» replicò Mario, «vuole accostarsi a Cartagine ma al contempo tenersi al riparo. Noi però dobbiamo essere realisti: Amilcare, Asdrubale e Bostare non accetteranno

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