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Il bagno penale di Gaeta
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Ebook136 pages1 hour

Il bagno penale di Gaeta

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Il bagno penale di Gaeta presenta gli esiti di ricerche storiche condotte all’interno del castello Angioino di Gaeta, già sede, nel 1800, del bagno penale borbonico. Ne riscostruisce le origini, la popolazione carceraria, gli ambienti, ma anche gli usi che ne sono stati fatti nel XX secolo. Particolare attenzione è posta alle scritte ritrovate all’interno delle celle di isolamento e che hanno fatto trapelare verità nascoste.
LanguageItaliano
Release dateFeb 22, 2021
ISBN9788833468006
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    Il bagno penale di Gaeta - Nicola Ancora

    Il bagno penale di Gaeta

    di Nicola Ancora

    Direttore di Redazione: Jason R. Forbus

    ISBN 978-88-3346-800-6

    Pubblicato da Ali Ribelli Edizioni, Gaeta 2021©

    Saggistica – Storia e cultura

    www.aliribelli.com – redazione@aliribelli.com

    È severamente vietato riprodurre, in parte o nella sua interezza, il testo riportato in questo libro senza l’espressa autorizzazione dell’Editore.

    Nicola Ancora

    Il bagno penale di Gaeta

    AliRibelli

    Sommario

    Nota dell'Editore

    Introduzione

    I – Il bagno penale di Gaeta

    II – Dopo l’Unità d’Italia

    III – Un’indagine antropologica nel bagno di Gaeta – L’uomo di Galera

    IV – Da bagno penale a reclusorio militare

    V – I graffiti ritrovati, inventario ed analisi

    VI – Conclusione

    Inventario graffiti e temi iconografici (celle borboniche) databili al 1900

    Inventario graffiti e temi iconografici (celle borboniche) databili al 1800

    Nota dell’Editore

    Ti mando a Gaeta!: per molti anni queste parole hanno rappresentato il principale rimando alla nostra città in lungo e in largo per lo Stivale, minaccia di pena infernale in un luogo che, per natura e clima, è realmente un paradiso in terra. Tragica dicotomia, quella del bagno penale poi divenuto carcere militare; posto com’era a strapiombo sul mare, non poteva che rendere più nitido lo stato di reclusione dei prigionieri che, nel buio di celle anguste, bramavano sopra ogni altra cosa la libertà dei gabbiani e il loro volteggiare sulle falesie di Monte Orlando…

    Ho visitato il castello angioino in più occasioni ma se oggi posso affermare di aver realmente visto il carcere militare è grazie a Nicola Ancora, guida d’eccezione che mi ha guidato, di cella in cella, alla scoperta dell’angoscia, dei desideri e delle paure dei prigionieri che in questo luogo scontarono la loro pena.

    Il principale merito di Nicola è stato proprio quello di soffermarsi, più di chiunque altro, sulle numerose testimonianze che i detenuti hanno lasciato in questo luogo tra il XIX e il XX secolo. Il volume che vi apprestate a leggere comprende infatti, in aggiunta alle informazioni di carattere storico sull’istituzione del bagno penale di Gaeta, anche una lunga serie di graffiti, ciascuno dei quali offre al lettore una testimonianza preziosa delle epoche in cui questi uomini vissero e penarono. Nicola li ha ricercati con la perizia e la pazienza di un archeologo che riporta alla luce antichi reperti; dove possibile e necessario, scrostando la patina di intonaco e rivelando una stratificazione di graffiti, messaggi che ha riportato alla luce anche a distanza di oltre un secolo.

    Quando si parla di carcere militare di Gaeta, l’attenzione dei media e del grande pubblico è quasi sempre rivolta a Herbert Kappler e Walter Reder, i due nazisti che qui scontarono la loro prigionia dorata. Pubblicando questo volume, il mio auspicio è che almeno parte di questo interesse sia rivolto alle tante storie straordinarie che questo luogo può raccontare, qual è ad esempio la testimonianza dell’obiettore di coscienza Claudio Pozzi¹ e di chi come lui trascorse in cella parte della propria vita solo per negarsi al fucile e alla logica della guerra tra uomini.

    Questo insieme narrativo, se esposto in maniera scientifica e al tempo stesso divulgativa, potrebbe contribuire ad attenzionare gli enti preposti ai fini di una corretta manutenzione e valorizzazione del sito, ad oggi purtroppo in larga parte abbandonato e inutilizzato al di fuori di sporadici convegni e occasionali visite guidate, restituendo a Gaeta e all’Italia intera un pezzo della sua storia recente, tra luci e ombre.

    Gaeta, li 16 febbraio 2021

    Jason R. Forbus

    ¹ Uno spicchio di cielo dietro le sbarre, Centro Gandhi Edizioni

    Introduzione

    Quanti di noi avranno guardato al mare contemplando la libertà. Spazi aperti, incontro con nuovi mondi e con nuovi popoli; come lo fu per il Mare Nostrum dei Romani e come lo è ancora oggi il Mediterraneo. Nella nostra inconsapevolezza ed indifferenza, dimentichiamo che il mare diede i natali alla galera.

    Termine noto ed utilizzato ai giorni nostri per indicare il carcere, nel Medioevo la galera (dall’antico nome galea, datole nel IX secolo d.C.) era un’imbarcazione da guerra in legno, ove, chi si fosse macchiato di gravi reati, sarebbe stato impiegato come manodopera ai remi.

    Dal Tardo Medioevo, il prigioniero, condannato a morte, poteva vedersi commutare la pena in quella ai lavori forzati; una premessa, non tutti potevano beneficiarne, ma soltanto chi era fisicamente adeguato: nessuna malattia, ma soprattutto forza fisica. Chi remigava era detto galeotto, altro termine, questo, usato ancora oggi per indicare chi è rinchiuso all’interno delle carceri. Questi, che andavano a formare la ciurma, erano facilmente riconoscibili dai capelli e dalla barba rasata.

    C’erano, però, anche i bonavoglia, che erano cittadini che liberamente sceglievano di essere addetti ai remi; spesse volte erano gli stessi galeotti, che, a pena finita, decidevano di restare operativi sulle galere. Quando il viaggio in mare era particolarmente duraturo, i galeotti si davano il cambio. Andavano a riposare in un locale molto ristretto nella parte bassa dell’imbarcazione, chiamata sentina, tra lo scolo delle acque nere della galera e tra quelle del mare. Anche lì i detenuti sarebbero stati sorvegliati a vista da un incaricato, che prendeva il nome di sentinella.

    Il bagno penale o penitenziario marittimo nasce sempre nel Tardo Medioevo, come luogo di appoggio per le galere e per la ciurma; quando il mare in tempesta non permetteva di salpare o quando si necessitava di interventi di manutenzione.

    Erano ricavati all’interno di antichi porticcioli, in darsene o fortezze. La ciurma dei galeotti, con i piedi ai ferri, era fatta riposare in locali molto umidi, datane anche la posizione al di sotto del livello del mare; da qui si ha il termine bagno.

    Penale derivava dalla pena che essi avrebbero dovuto scontare. Erano tipici di tutti gli stati preunitari, italiani ed esteri. La prima istituzione si deve a Carlo V nei Paesi Bassi. In Italia invece bisognerà aspettare il 1540; ove a Livorno, nella Fortezza Vecchia, fu istituito un bagno per l’appoggio alle galee e alla ciurma medicea.

    Sul finire del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, con l’invenzione dei primi battelli a vapore, non c’era più bisogno di incaricati ai remi e fu così che il bagno da luogo di approdo e ricovero, divenne una vera e propria istituzione penitenziaria, ove il detenuto non solo scontava la pena in stanze in comune (dette cameroni o camerate), ma anche lavori molto duri, sempre con catene ai piedi.

    Questi, insieme ai penitenziari marittimi, furono aboliti con il codice Zanardelli del 1889.

    I – Il bagno penale di Gaeta

    Il bagno penale di Gaeta sorge all’interno del castello Angioino, nello stesso, ove nel Novecento, fu costruito un carcere militare. Con i Borbone, la parte francese (XIII secolo) e la parte aragonese (XV secolo) divennero un unico forte, fino al 1861. In quell’anno le truppe garibaldine, dopo tre mesi di assedi con inizio nel novembre 1860, conquistarono la penultima cittadella borbonica; il re al trono era Francesco II con la consorte, Maria Sofia di Baviera. La parte angioina ricopre circa settemila metri quadri di suolo; quella aragonese, altrettanto. La parte francese si può dire che è sempre stata adibita a prigioni, quella aragonese un po’ meno in quanto vi erano sale regali e dove anche i Borbone spesso alloggiavano.

    Se nell’Ottocento gli ambienti destinati al carcere erano nella parte superficiale del castello, nel Medioevo non poteva dirsi così. Si pensi che non solo il Medioevo, ma anche l’antichità non seppe esprimere il concetto di detenzione e di pena.

    Il carcere in quel tempo avrebbe dovuto essere utilizzato per rinchiudere il detenuto in attesa di giudizio; pena capitale o pena ai lavori forzati; ciò che bisognava è

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