L’uomo a pedali
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Book preview
L’uomo a pedali - Roberto Bonfanti
Roberto Bonfanti
L’uomo a pedali
Copyright© 2021 Edizioni del Faro
Gruppo Editoriale Tangram Srl
Via dei Casai, 6 – 38123 Trento
www.edizionidelfaro.it
info@edizionidelfaro.it
Prima edizione digitale: marzo 2021
ISBN 978-88-5512-117-0 (Print)
ISBN 978-88-5512-820-9 (ePub)
ISBN 978-88-5512-821-6 (mobi)
Il titolo L’uomo a pedali
è un richiamo all’omonima canzone di Pino Marino
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Il libro
Vincere o perdere è solo un dettaglio assolutamente insignificante
: questa è la consapevolezza a cui Sergio sente di essere giunto alla soglia dei trent’anni, dopo aver passato l’adolescenza a inseguire un sogno a cavallo di una bicicletta e aver trascorso la seconda parte della sua vita a cercare di tenere a galla il suo animo inquieto sul filo di un’esistenza assolutamente ordinaria. A fare da spartiacque fra il prima e il dopo c’è stato un brutto incidente che ha mandato in frantumi il suo ginocchio sinistro insieme a ogni possibile illusione. Proprio in occasione del suo trentesimo compleanno, però, Sergio ha scelto di risalire in sella per riassaporare le sensazioni che lo avevano accompagnato da ragazzino e fare definitivamente pace con il proprio passato e il proprio presente. Così, nel corso di una lunga pedalata nel cuore della notte, i ricordi dell’intera sua vita gli scorrono nella mente come chilometri di una lunga corsa su quella bicicletta che ha tanto amato.
L’autore
Roberto Bonfanti è nato in un sabato pomeriggio di fine giugno dell'anno in cui morirono Piero Ciampi, Henry Miller e Riccardo Mannerini. Ha pubblicato la raccolta di racconti Tutto passa invano (Uni Service, 2007) e i romanzi L'uomo a pedali (Falzea, 2009), In fondo ai suoi occhi (Falzea, 2010), Suonando pezzi di vetro (Edizioni del Faro, 2012) e Alice (Edizioni del Faro, 2015).
Ama girare l'Italia per raccontare, con uno stile poco convenzionale, le sue storie in ogni tipo di contesto, dalle librerie ai bar e dai circoli culturali ai locali rock.
L’uomo a pedali
L’ultima salita
Dio, quanto gli sono mancate queste sensazioni. Solo ora se ne rende davvero conto. Come ha potuto farne a meno in tutti questi anni? Possibile che le avesse completamente dimenticate? In quale angolo della memoria le aveva sepolte? Eppure per tanto tempo erano state le sue compagne più fidate e forse persino una delle sue ragioni di vita.
La catena scivola docile fra la corona e il pignone lasciando galleggiare nell’aria un impercettibile fruscio metallico, una brezza delicata gli accarezza la faccia e la striscia nerissima d’asfalto scorre costante sotto le ruote quasi come se fosse la strada a muoversi sotto di lui e non viceversa. Esiste al mondo qualcosa di più bello? Forse solo il senso di leggerezza che porta nel cuore in questo istante. La convinzione di vivere un momento perfetto in cui ogni cosa è finalmente nel posto giusto e nulla potrebbe essere diverso da com’è. L’impressione di essere tornato solo al comando della propria vita e di volare finalmente verso un vero traguardo dopo essersi lasciato alle spalle tutto quanto: paure, rimpianti, inquietudini, delusioni, rimorsi e soprattutto quel maledetto vuoto che si è troppo spesso sentito in fondo all’anima senza mai riuscire a capirlo o ad arginarlo. Tutte cose che adesso non hanno più nessuna importanza. Nulla può turbarlo ora. E niente gli può far paura. Niente. Nemmeno la fine di questo istante. Perché questo non è uno degli istanti che possono finire.
Il ginocchio sinistro gli fa un male cane. Da anni è così quando prova a sforzarlo più del normale o quando il clima si rinfresca o diventa più umido, eppure anche questo dolore che ha tanto condizionato la sua vita stasera sembra solo uno scomodo bagaglio da doversi portare dietro: poco più di un fastidio e poco meno di un compagno di viaggio.
Il buio è rotto solo dal bagliore della luna che si riflette nel telaio viola metallico della sua bicicletta, da qualche casa o lampione sempre più sporadici le cui luci ingigantiscono il disegno della sua ombra sull’asfalto e dalla torcia elettrica che ha montato in modo assolutamente artigianale sul manubrio con tre giri di nastro adesivo nero. Ma nemmeno questo importa. Non ora. Adesso tutto è perfetto. Non lo hanno sfiorato nemmeno gli improperi dei pochi automobilisti che nei chilometri precedenti lo hanno superato riuscendo solo per miracolo a vederlo e non investirlo. Ma lui lo sapeva che non lo avrebbero investito. Nulla può andare storto oggi. Questa è la sua notte. Il suo momento perfetto.
La stanchezza inizia a farsi sentire ma Sergio non può permettersi di rallentare il passo: l’orologio dice che mancano ventisette minuti a mezzanotte e lui non vuole certo rischiare di arrivare in ritardo alla sua festa. Quanto meno non a una festa così speciale organizzata per il suo trentesimo compleanno. Non può.
Con naturalezza fa scattare la leva del cambio per togliere un dente al pignone appena prima di alzarsi sui pedali ignorando la fitta al ginocchio e il respiro affannoso. Anni fa questi pochi chilometri di salita li avrebbe divorati in un lampo senza nemmeno accorgersene e i tornanti gli sarebbero scivolati addosso come la brezza fresca della notte d’inizio estate. Oggi invece per arrivare in cima deve sudare e spremere ogni grammo di energia residua, eppure l’eleganza con cui spinge sui pedali non sembra poi così lontana da quella degli anni migliori e a guardarlo in faccia, se la penombra permettesse di scorgere i suoi lineamenti, lo si vedrebbe sereno come se la fatica non esistesse. Solo qualche smorfia appena accennata gli sfugge di tanto in tanto, nei momenti più impegnativi o quando a un cambio di ritmo corrisponde un dolore più intenso alla solita articolazione.
***
Dio quanto fa male quel fottuto ginocchio. Ma non importa. Le gambe lanciano segnali ma non hanno una propria volontà: è la testa che gli ordina cosa fare. È stata una delle prime cose che ha dovuto imparare ed è uno di quegli insegnamenti che non si dimenticano mai, nemmeno nei momenti peggiori. E la testa oggi dice di andare avanti, di continuare a spingere sui pedali come non faceva da anni, di non smettere di scaricare su quei due pezzi di metallo tutto ciò che ha dentro di sé. Non per fuggire da qualcosa né tanto meno per inseguire chissà cosa. Di spingere e basta. Perché è giusto così, perché vuole gustarsi fino in fondo ogni singolo metro di questa salita, perché questo per lui è un momento irripetibile e anche la strada lo sa.
La strada può essere rivale o compagna. La strada è saggia e conosce sempre la verità. La strada ha sempre stimato e rispettato gli uomini come Sergio e, chissà, forse anche lei aveva nostalgia dei suoi colpi di pedale ed è contenta di tornare a sentire quelle due ruote sottili scorrergli sul dorso. Sarà per questo che oggi la striscia d’asfalto ha scelto di rendergli onore inchinandosi docile al suo passaggio, cercando di non rendergli la vita troppo difficile ma nemmeno troppo facile, perché fra gente che conosce il significato autentico della fatica è così che si fa e per questo la storia del ciclismo è costellata di racconti di rivalità spietate ma anche di gesti di enorme altruismo, di tregue silenziose concordate con uno sguardo, di borracce scambiate, di favori concessi senza clamore e di un’infinità di momenti in cui l’agonismo ha dovuto cedere il passo all’umanità o al rispetto per la dignità di un avversario in difficoltà.
***
La salita è quasi finita. Ancora un solo tornante. Solo poche centinaia di metri poi il pendio spianerà, Sergio potrà tirare un po’ il fiato e di lì a poco sarà arrivato. Sembra in orario impeccabile. Tutto non smette di essere assolutamente perfetto.
Che magnifiche sensazioni. E che meraviglioso cielo stellato veglia su questa nottata, come se anche le stelle sorridessero felici di rivederlo pedalare dopo tanto tempo e lo applaudissero silenziose, convinte anche loro che vincere o perdere sia solo un dettaglio assolutamente insignificante. Sergio ci ha messo una vita intera a capirlo ma ora lo sa. Per questo pedala sereno, nel cuore della notte, su una strada isolata, con l’animo leggero e la testa piena di ricordi che non fanno più male.
Partenza
Fabrizio glielo diceva già anni prima, quando ancora bambini scorrazzavano per le vie del paese su vecchie biciclette sgangherate immaginando di essere sulle strade del Giro d’Italia, del Tour de France o delle grandi Classiche: «Sergio, non puoi scattare come un pazzo ogni volta che vedi una salita. Ogni tanto puoi anche stare in gruppo e pedalare tranquillo insieme agli altri. Devi dosare le energie, altrimenti poi scoppi! E gli altri si stanno stancando di doverti rincorrere e tornare ogni volta a casa distrutti. Di questo passo ti troverai davvero solo. Solo senza nessuno a inseguirti.»
Fabrizio è sempre stato molto più saggio di lui. Lo era allora e non ha mai smesso di esserlo. Ma a quei tempi nessuno dei due poteva capire. Non potevano immaginare quanto, in quella smania irrefrenabile di alzarsi sui pedali e andarsene via da solo ogni volta che la strada lo consentiva, ci fosse in realtà la perfetta sintesi della sua vera essenza e del suo modo di approcciare la vita intera. Il suo destino. La sua condanna. Anche se all’epoca tutti pensavano che quell’incontenibile brama di affrontare ogni salita come se fosse lo strappo decisivo di un campionato del mondo nascondesse solo l’arroganza di volersi dimostrare più forte degli altri oppure, nel migliore dei casi, il fascino antico del mito dell’uomo solo al comando che Sergio aveva assimilato fin da piccolo grazie al nonno che lo aveva svezzato raccontandogli come fiabe le storie delle fughe impossibili di Coppi, della tenacia incrollabile di Magni e della grinta sanguigna di Bartali.
***
«I velocisti non sono ciclisti» ripeteva spocchiosamente agli amici come una filastrocca imparata a memoria.
Già a pelle non poteva provare simpatia per chi sta in mezzo al gruppo senza rischiare nulla per duecento chilometri per andarsi poi a prendere la gloria nei duecentocinquanta metri finali. E ancor prima di finire le scuole medie aveva scoperto di non riuscire ad amare nemmeno gli uomini da corse a tappe: troppe primedonne e troppa tattica. Era inconcepibile per lui pensare di limitare i danni oggi per poi sperare di recuperare domani o, peggio ancora, accontentarsi di controllare la corsa per giorni in attesa di una cronometro, di una determinata salita o di chissà cos’altro. Al contrario provava un’ammirazione sconfinata per la dedizione dei grandi gregari, per la folle tenacia dei corridori eternamente in fuga e soprattutto per il romanticismo senza tempo