L’Evento
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Attraverso colpi di scena, gioie e dolori, speranze e incertezze, vicissitudini e risvolti a volte anche tragici, le loro due vite si intrecciano, si sfiorano ma non si toccano, tra Italia, Regno Unito e Siria; Occidente e Medio Oriente: due aree del mondo forse solo apparentemente antitetiche, anch’esse lontane ma vicine.
E sullo sfondo, un’arcana celebrazione religiosa ricorrente ogni cinquecentosedici anni, che culminerà in un evento mistico il 23 dicembre del 2018 nell’abbazia del paese umbro immaginario di Sant’Ifermio, immerso nel dolce sfondo bucolico dei colli tra la valle del Nestore e Montarale. In paese, c’è chi è persino convinto che l’Evento sarà capace di influire sul corso dell’Umanità.
E proprio quando per Cesare e Karim le cose sembrano volgere al meglio…
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L’Evento - Toti Condorelli
Toti Condorelli
L’EVENTO
Elison Publishing
© 2021 Elison Publishing
Tutti i diritti sono riservati
www.elisonpublishing.com
ISBN 9788869632617
Indice
1. Ai blocchi di partenza
2. Le 7 del mattino del 20 luglio 2018
3. Le Poenitentiae
4. Verso il paese
5. In ufficio
6. Davanti allo specchio
7. L’azienda
8. Quello strano viaggio all’incontrario
9. Cesare
10. Verso la tenuta Spettali
11. Il sangue della terra madre
12. I Poenitentes
13. Un po’ di relax
14. Alla ricerca di altri indizi
15. Una chat per una vita
16. Il giorno del compleanno
17. Nel profondo nord
18. Un uomo qualunque
19. Nella tana del lupo
20. La strada della memoria
21. La regola del gioco
22. Un tarlo si insinua
23. Il nuovo fronte
24. Opération César
25. Il cucciolo Alfredo
26. Cronaca del 23 dicembre 2017
27. Da differenti punti di osservazione
28. Al di fuori del tempo
29. Dopo … niente è più lo stesso
30. Qualcosa da accomodare
31. Aria di casa
32. La buona stella di Anita
33. Il sogno di Anita
34. Chi ben comincia …
35. … è a metà dell’opera
36. La spietata regola del gioco
37. L’Evento
PARTE PRIMA
1. Ai blocchi di partenza
La mattina del venerdì 20 luglio 2018, Sant’Ifermio, Italia.
Quel giorno si preannunciava più o meno identico a ieri, pressoché identico all’altro ieri, sostanzialmente identico a tutti gli altri giorni che lo avevano preceduto, da un bel po’ di settimane a questa parte. L’ennesima revisione degli incartamenti, l’analisi di ogni dettaglio: la pratica doveva essere perfetta, tutte le voci avere un riscontro preciso nel quadro generale, nel totale delle somme; la scelta di materiali e attrezzature, il vaglio dei pro e dei contro, la predisposizione analitica di ogni comparto di spesa.
D’altronde mica è uno scherzo, predisporre la documentazione per il finanziamento di una start-up: ottimizzazione dei tempi, messa a punto di strategie di marketing, di contromisure, un occhio alle tecniche più aggiornate per stare al passo coi tempi, ma con l’altro dritto e ben puntato sulla tradizione.
Una torrida giornata estiva, una delle tante, innumerevoli; tante ore di luce e di caldo afoso, cui sarebbe seguito un lungo interminabile tramonto, con il rilassamento che ci coglie inesorabile dopo una gran faticata, a sera inoltrata.
Quanta dedizione ogni giorno, giorno per giorno, da quasi tre mesi a questa parte, non appena rientrati in Italia; d’altronde l’attenzione prestata non è mai troppa, quando hai per le mani il sogno di una vita intera, quando sei ai blocchi di partenza, con l’intenzione di procedere dritto filato fino al nastro d’arrivo, per tagliarlo vittorioso, l’agognato traguardo. Quanto amore e attaccamento, come quelli di un padre, di un uomo maturo, sicuro di sé, che con tenerezza prende per mano la sua creatura …
Forza! Zaino in spalla, signorino! Mica vorrai farti aspettare dalla maestra, vero? Lo sai che ogni mattina sta lì, davanti alla porta, alle otto in punto! Dai, che sennò facciamo tardi, finisci di pettinarti, su, e poi andiamo! Di corsa!
E giù di fretta lungo la stradina, che verso sinistra portava dritta al paese, ai margini della campagna appena fuori l’abitato, poche centinaia di metri oltre le prime case.
Cesare la vedeva ancora oggi nella sua mente, quell’insegna sulla strada, proprio sopra il cancello della cascina, chiara e nitida come ogni mattina.
La fine degli anni Settanta, d’inverno, troppo freddo per andare a piedi, e la vecchia Panda bianca già accesa per riscaldare un po’ il motore, di fronte al cancello; ogni mattina come sempre, giù in strada … e il freddo … la Panda bianca … e la vecchia insegna all’ingresso del casale: ‘Spettali Venceslao Olio Extravergine di Oliva D. O. P. Sant’Ifermio – Perugia’; forse erano proprio quelle le prime parole che Cesare bambino aveva imparato a leggere.
Era un uomo semplice, suo padre Venceslao, da sempre dedito alla coltivazione dell’olivo; nessuno in famiglia si era mai chiamato così, e Cesare non aveva mai capito perché i nonni avessero scelto proprio quel nome, così strano, inusuale; forse anche per questo quell’insegna gli era rimasta indelebile nei ricordi.
Venceslao era un uomo tranquillo e metodico, i binari del suo tempo chiaramente tracciati; sapeva esattamente cosa dover fare al mattino, ogni santo mattino, dopo aver lasciato il figliolo davanti al cancello della scuola.
Venceslao era uno dei tanti a Sant’Ifermio, di carattere piuttosto chiuso, riservato: il suo ristretto nucleo familiare, lui e Cesare, e i pochi operai fidati all’uliveto, compagni di vita più che semplici braccianti, con cui condivideva ogni giornata.
Aveva un grande orgoglio, quello di essere italiano, orgoglio allora un po’ più diffuso di adesso, e aveva un grande amore per la sua terra, il bel paese, quella splendida campagna umbra che era tutta la sua esistenza, tutta la sua ricchezza. Il lavoro nei campi e l’organizzazione della squadra, la vita semplice ma schietta di un piccolo paese, incastonato come un diamante giusto nel centro dell’Italia, nella dolcezza della valle del Nestore. E sopra ogni cosa il lento ma inesorabile trascorrere delle stagioni, a incorniciare il paesaggio sacro e bucolico di quei colli.
L’azienda agricola di Venceslao non aveva mai mancato di assicurare alla famiglia quel minimo (o per meglio dire quell’appena poco più del minimo, che poi altro non è che il giusto necessario) per una dignitosa esistenza, senza d’altronde poter permettere loro chissà quale tenore di vita o lussi, o spese inutili, pazze o superflue, in perfetto accordo con le esigenze del tempo, con la maggiore schiettezza della vita di allora.
La fine degli anni Settanta.
Tutto era più facile, la quotidianità più semplice, poche cose chiare ed essenziali, punti di riferimento comprensibili lungo il percorso della vita di ognuno. C’erano i jeans Levi’s e i Fiorucci, orgoglio del casual tricolore nel mondo, e poche altre marche ancora; le inconfondibili Mecap, le scarpe da ginnastica, come si diceva allora, anelito di ogni ragazzino alla moda. E poi ancora il PCI e la DC, il diavolo e l’acqua santa, che per le ultime volte se le davano di santa ragione lungo le strade metropolitane, sulla via scoscesa del riflusso ormai prossimo, in caduta libera verso l’edonismo reaganiano. E tutt’intorno la rivolta urlata del punk e il disimpegno de ‘La febbre del sabato sera’, che impazzava anche nei più piccoli cinema di periferia.
Ancora un decennio di schermaglie fra USA e URSS, coi loro ridicoli reiterati giochetti di potere, e il mostro sovietico, gigante dai piedi d’argilla, fors’anche perché assalito da belve fameliche, ben nascoste all’ombra della macchia della disillusione, sarebbe crollato al suolo con un enorme fragore, portandosi nel baratro ciò che restava del socialismo europeo, e con esso ogni prospettiva di reale cambiamento.
Ma allora sembrava ancora esserci un’opportunità per ognuno, e la società era apparentemente opulenta, leggibile: c’era il bianco e il nero, ed in mezzo ogni colore chiaramente ben definito. Persino un’insegna era visibile, pur se posta in un angoletto sperduto della campagna, e potevi star certo che qualcuno, imbattendovisi, ti avrebbe cercato per acquistarli, provarli, i tuoi prodotti.
E avresti avuto di che vivere.
Oggi il Cesare quarantenne e gli altri suoi coetanei, ancora in lizza per ritagliarsi un loro minuscolo spazio nella società, assistevano impotenti al desolante spettacolo di un mondo globalizzato, omologato, sommerso ogni giorno da quintali seriali di ciarpame, replicati all’infinito, utili solo a intasare discariche, a depauperare risorse a vantaggio dei pochi.
E ogni cosa era diventata macchinosa, le acque torbide in ogni settore, ormai saturo e nebuloso. Sparite le nette linee di demarcazione, le scelte consapevoli, i percorsi comprensibili. E i social, quanta smania di protagonismo … ma per dire cosa, poi? Come separare il grano dalla crusca? Visibilità per tutti, ma in realtà tutto più invisibile, e quante informazioni, davvero troppe, spesso inutili se non false, contraddittorie. Fake news.
Ma nonostante tutte le difficoltà dei tempi, Cesare e compagni avevano un sogno, avevano deciso di intraprendere la loro avventura, di avviare la loro azienda. Sì, ci stavano davvero provando, proprio adesso, proprio loro, ora: erano ai blocchi di partenza.
2. Le 7 del mattino del 20 luglio 2018
Il rumore del ventilatore era una frequenza bassa pressoché uniforme, e l’aria pesante e umida si spostava ritmicamente, come una massa solida, da una parte all’altra della stanza, da destra verso sinistra, e poi di nuovo all’inverso, con cadenza ciclica e ripetuta, per infrangersi a fine corsa contro la porta-finestra spalancata, e poi nuovamente indietro, ripetutamente, senza soluzione di continuità.
A volte, appena svegli, la mente elabora i pensieri più inconsueti.
Aperti gli occhi, Cesare tra sonno e veglia osservava fissamente quella strana porta-finestra, sul lato destro del letto, nella stanza parzialmente illuminata; chissà perché gli pareva curiosa, così com’era, completamente spalancata. Nel nord Inghilterra, dove aveva vissuto nei due anni precedenti insieme alla moglie Vittoria Ducresi, non ne aveva mai vista una, per di più tenuta così, aperta per tutta la notte. Da quelle parti gli infissi delle case, a che avesse visto, sono spesso costituiti da un unico telaio fisso, con appena una piccola porzione superiore apribile a vasistas verso l’alto.
Come cavolo faranno gli inglesi a non soffocare di caldo, in estate? Si era chiesto non appena arrivato, nel dicembre del 2016.
Be’, forse lo soffrono meno di noi, – ipotizzò Vittoria, sua compagna d’avventura a Kingston upon Hull, nello Yorkshire – e in fin dei conti, quanto vuoi che duri qui, l’estate, un mese? Un mese e mezzo al limite … di sicuro pochissimo.
Ok, pensava lui, magari sarebbe durata di meno che in Italia, ma il caldo, anche se per un po’, l’avrebbero sofferto comunque, senza spalancare le finestre. Lo scopriremo durante la nostra prima estate!
concluse Cesare.
Arrivato giugno, il tempo si manteneva ancora piuttosto fresco; probabilmente sarà più caldo a luglio, pensarono. Ma quando, dopo ferragosto, quella cosa che in Italia chiamiamo caldo da quelle parti proprio non si decideva ad arrivare, si resero conto che quegli infissi erano perfettamente confacenti alla latitudine.
L’estate, meravigliosa e violenta, data spesso per scontata. Al nord la gente neppure si accorge di non averla, questa stagione che ci stravolge e ci proietta per quasi metà dell’anno in un’altra dimensione; fortunati noi, ne fossimo consapevoli.
Eppure in UK li vendono i ventilatori … sì, da Boyle li hanno, mi ricordo … ma che se ne faranno mai, in fin dei conti …
Vagheggiando tra sonno e veglia, Cesare passò il braccio lungo il lato destro del letto; non sentì la presenza di Vittoria, che era già in piedi. Richiuse gli occhi; l’aria calda e umida continuava a girare ciclicamente dentro la stanza, il ventilatore a ronzare, e il torpore finì per avere il sopravvento.
… Sì, eccolo, lo scaffale dei ventilatori, lì in fondo … ma da Boyle ci sono pure … i … climatizzatori! Sì, air … conditioner? … no, no, come cavolo li chiamavano? … no, conditioning. Sì, ‘air conditioning’, sì, così dicevano. Sono svitati ‘sti inglesi, completamente! Vanno in giro in T-shirt persino a gennaio, figuriamoci se non montano i condizionatori!
E la sua mente lo riportò a fine luglio scorso, quando si imbatté nel vicino che ne stava appena montando uno in casa; c’erano circa venticinque gradi, e di lì a qualche settimana, uscendo, sarebbe stato meglio portarsi dietro uno spring jacket, uno spolverino.
… Ma che imbecille, quel tipo, sì, l’ho sempre sospettato, un perfetto idiota! …
Rimuginava Cesare, mentre l’aria calda e umida muovendosi continuava ad investirlo, prolungando il suo torpore.
… Ma che pensieri balordi che mi vengono in testa, a volte! Ma dico: sono mica diventato scemo? Ognuno in fondo è libero di comprarsi tutti i condizionatori che vuole! Mica deve passare conto a me, poi! … Bah. È tutta una questione di fissazioni, comunque; sì, di pensieri ricorrenti che ci ossessionano, ogni giorno: c’è chi vive con l’idea fissa, che so, dei compleanni, delle ricorrenze, e non fa altro che consultare il calendario, aspettando con ansia il momento in cui potrà fare gli auguri a parenti e amici … a proposito: dopodomani ne avrò racimolato quarantacinque, di compleanni! 23 di luglio! Alla faccia, come passa il tempo!
I suoi pensieri si andavano confusamente articolando.
… E queste idee fisse, questi pensieri ricorrenti, nascono dal disperato bisogno che ha la gente di trovare delle cose, dei sistemi, per dare un senso al proprio tempo, per riempire le proprie giornate, cercando diversivi alla noia, sterili rituali giornalieri coi quali colmare il vuoto vacuo che risiede in profondo, quella grigia presenza invadente che sta lì, di sottecchi, sempre sul punto di ripresentarsi, sempre pronta in ogni occasione a saltarci addosso, appostata dietro ogni angolo, appena percepibile ma pervicacemente pervasiva …
Sempre ad elucubrare sui massimi sistemi e sulle sfere dell’universo, eh? Oltrepassata la soglia della Via Lattea? O sei ancora dalle parti di Plutone?
Il caterpillar Vittoria irruppe prepotentemente nel bel mezzo delle sue fantasticherie; lo guardava dall’alto in basso dondolandosi irridente, con le braccia curve protese in avanti, come a simulare un mappamondo, che oscilla misterioso in un infinito universo immaginario. Dirigendo lo sguardo verso il soffitto sorrideva beffarda, sfidando di primo mattino il suo assonnato assorto interlocutore: le bastava guardarlo un attimo per intuire quando era immerso nelle sue solite bizzarrie a sfondo filosofico. I piccoli occhi di un banale color nocciola brillavano nella penombra, illuminandole il volto lentigginoso e paffuto, e preannunciando una fragorosa risata, che di lì a poco sarebbe arrivata senza farsi attendere, puntuale come al solito. Pelle chiara e seni pesanti, una figura un po’ goffa ma al contempo esile, incorniciata da folti biondastri capelli ricci, e un acutissimo senso di intuizione.
Cesare la seguì di sottocchio dileguarsi velocemente verso la cucina, mentre continuava a ridacchiare di gusto. Riassopitosi, ripiombò nelle riflessioni appena interrotte, quasi non le avesse prestato attenzione.
… Il vero problema è la noia, sì, la noia. C’è chi s’illude di combatterla con l’esasperata attenzione per il proprio aspetto, di placarla con la celebrazione edonistica della propria apparenza …
Il suo cervello aveva ripreso a macinare: … vestiario, creme, profumi, chirurgia estetica, magari … chissà: botulino, addominoplastica … e quant’altro! Edonisti maniacali! Ogni minuto libero della loro giornata sperano di colmare quel nulla che sta lì, appostato al varco ogni mattina. Sempre alla ricerca di qualcosa, qualcosa di nuovo, di frivolo, stimolante, qualsiasi stupida inutile cosa, anche la più banale, capace, anche se per poco, di dare pienezza alla propria smaniosa esistenza. Sì! Quanti se ne vedono oggi di tipi così! O magari … o magari altri ancora, con la passione, non so … per gli oggetti antichi, sì, il collezionismo sfrenato, ad esempio! Quadri, mobilio, pipe, francobolli, strumenti musicali … VINO! C’è chi colleziona persino bottiglie di quello, sì, di vino. Ma dico: il buon vino è fatto per esser bevuto o collezionato? Cose davvero belle, senza dubbio di valore; ma perché in fondo accatastarle in modo compulsivo, tutte quelle cose?
Era ancora con gli occhi semiaperti, tra sonno e veglia, a elaborare i suoi concetti, che evidentemente dovevano sembrargli importanti, tra le lenzuola stropicciate e umidicce per il gran caldo della notte. Vittoria nel frattempo, tanto per cambiare, si era chiusa di nuovo in bagno; borbottava allegramente tra sé e sé, mentre finiva di lavarsi, ridacchiando di tanto in tanto, di buon umore come al solito.
Ci risiamo: sto di nuovo pensando ai fatti degli altri! Ma che mi passa per la testa oggi?
Però riprendeva imperterrito: … ovvio, è proprio per vincere la noia che molti pongono una determinata cosa al centro della propria esistenza, eleggendola a oggetto di culto, organizzando collezioni, archivi, rivolgendovi ogni energia, risorsa e attenzione. Antichità, modellismo, modernariato, feticci, esperienze totalizzanti e irrazionali: trovare quel pezzo, per ripartire subito dopo alla ricerca del prossimo, e poi l’eterno mancante e inafferrabile, il più agognato di tutti! Abile stratagemma per ingannare la vita, in fondo, il tempo, con un’infinita sequenza di cose utili, inutili, illusioni di eternità che ci rigiriamo avidamente fra le mani, che ci riempiono di gioia! Eccoli, sotto i nostri occhi: il nostro tesoro! E inspiegabilmente tutto questo dà senso, pienezza alla nostra vita, almeno per i prossimi dieci minuti. Avanti! Tutti in pista! Riprende la ricerca, si parte! La sequenza è infinita, dura giusto il tempo di un’esistenza, con lo stesso senso di vuoto e insoddisfazione sempre lì, in agguato, che rischia di prenderci alla sprovvista, dietro ogni angolo …
Cesare alla fine si riebbe del tutto e sedette sul letto; c’era molto caldo anche oggi, com’era prevedibile, e il da fare come ogni giorno non sarebbe mancato; la routine dei preparativi del mattino stava finalmente per coinvolgere anche lui. Nel frattempo continuava a viaggiare con la mente, chissà perché si era svegliato con quegli strani pensieri, oggi. Vittoria, uscita dal bagno, passando rapida da una parte all’altra della stanza, ogni tanto lo incrociava e continuava a punzecchiarlo, ridacchiando e facendogli le smorfie da dietro con aria beffarda.
Lo sai bene che senza la mia illuminata persona non saresti in grado di fare nulla, mia cara! Tutto ciò che sai e che sei lo devi a me: io sono il faro della tua grama esistenza, la luce assoluta che segna ogni giorno il cammino del tuo misero peregrinare, in questa insulsa e vuota valle di lacrime!
fece Cesare, che raccogliendo la sfida salì goliardicamente sul pulpito, riuscendo però a stento a trattenere una risata. Si dava spesso per gioco arie di grande uomo, perfettamente consapevole della sua totale mancanza di autorevolezza, specie nei confronti di quell’irrispettoso uditorio, che gli si parava davanti con assoluta irriverenza. Vittoria, già al solo guardarlo, e prima ancora che avesse concluso il suo magniloquente soliloquio, finì come al solito per sganasciarsi dalle risate, manco avesse davanti il più grande dei comici nella più brillante delle sue esibizioni. Sarebbero potuti andare avanti così, per ore: si conoscevano da una vita, il loro rapporto era perfetto, la loro intesa assoluta. Avessero partecipato ad una