La Nonna
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Book preview
La Nonna - Elena Bernabè
cuori.
- 1 -
Nascondeva, tra le pieghe della sua pelle, una saggezza profonda. Ogni volta che mi rivolgevo a lei andava a frugare in ogni sua ruga per trovarci le parole da donarmi. E come semi quelle parole riuscivano a fecondarmi. A ogni incontro.
Le sue guance, sempre fresche e cadenti, mi accoglievano a ogni abbraccio. I suoi occhi parlavano una lingua a me sconosciuta, ma avevano il potere di comunicarmi le verità dell'esistenza. Le sue mani erano sproporzionate rispetto al resto del corpo, come se avessero dovuto lavorare, sentire e maneggiare più delle altre parti. Forse è per questo che le mani dei vecchi sono così grandi, perché le hanno sprofondate negli abissi della vita.
Sono certa che, in quei profondi abissi, la donna dai lunghi capelli bianchi sia riuscita a trovarvi immensi tesori, custoditi poi nella pelle, nel cuore, nello sguardo, nelle sue unghie annerite e spezzate.
Era una donna di poche parole, quelle giuste. Dalla sua bocca fiorivano solo sorrisi sinceri. Ho sempre pensato avesse un setaccio dentro di sé, in grado di far scivolare via l'inutile e di accogliere l'essenziale. È un'arte che ho ereditato da lei, che vive nelle nostre radici da sempre.
Una mattina come tante andai a trovarla, nella sua casa in paese. A quel tempo, le case assomigliavano tutte a casolari di campagna, pur essendo situate in altri contesti. Tutti curavano l'orto, ospitavano piccoli animali, avevano mura fatte di sasso. Crepe, spifferi e mattonelle rotte erano gli ornamenti di ogni casa. Se mancavano, c'era da sorprendersi. Erano come fessure dalle quali poteva passare il vento, la pioggia, il sole. Forse è per questo che i vecchi sono così abituati a vivere il dolore: sanno che se non c'è ferita, se non c'è apertura, non c'è spazio per far entrare la luce. Lo hanno sperimentato, vissuto, compreso. Fa parte del loro vivere.
Nella casa di mia nonna tutto era esagerato. Sul pavimento, tra un freddo sasso e l'altro, spuntavano fili d'erba. Dal tetto, durante i forti temporali estivi, scendeva un'enorme quantità d'acqua. Il sole riusciva a penetrare prepotentemente durante i mesi caldi trapassando facilmente le sottili tende ricamate a mano. Quella casa era una calamita di vita. Si veniva attirati a entrare, a stare, a fermarsi più del dovuto. E lei non opponeva resistenza. A niente e a nessuno.
Appena entrai in cucina la vidi indaffarata come sempre. Le sue mani erano già sprofondate in qualche miscuglio culinario. Il suo grembiule già indossato. Ho sempre pensato che fosse uno dei primi indumenti infilati appena sveglia e uno degli ultimi che si toglieva prima di andare a dormire. Ormai era divenuto una parte di lei. Come quelle collanine d'oro o quei bracciali regalati in qualche occasione importante che non si tolgono mai. Per lei, quel grembiule era il gioiello più prezioso, come la corona di una regina, lo strumento essenziale di un artigiano, il più bel vestito. Ne aveva tanti, tantissimi, piegati ordinatamente nel cassetto dell'armadio in cucina. In quel cassetto che profumava di lavanda.
Appena mi vide sorrise delicatamente, come si fa quando si incontra un bambino.
Sapeva che andavo da lei perché amavo la sua compagnia. E anche perché la giovane donna che mi abitava aveva sempre tante domande da porle. I miei fuochi interiori non la spaventavano. Forse rivedeva in me la sua giovinezza. Solo lei sapeva come non spegnere questi fuochi, come alimentarli, come non trasformarli in incendi distruttivi.
Parlandoci riuscivo a entrare in contatto con la mia parte saggia, antica, maestra. I nostri dialoghi erano incontri d'amore, appuntamenti con me stessa preziosi e formativi.
E quella mattina, vestita di verde come un fiore che attende di sbocciare, ricambiai il suo tenero sorriso. Poi mi accomodai accanto a lei, alle sue mani, al suo profumo di rosa. E senza dire alcuna parola la respirai, come si respira aria pura, genuina e fresca. Non è facile trovare persone da respirare. Solitamente avevo un senso di soffocamento con la maggior parte del mondo umano. Con lei invece tutto in me si rilassava. E mi piaceva rimanere in quella pace.
Non era un disagio il silenzio tra di noi. Al contrario, facevamo fatica a interromperlo. Quando due persone si connettono così profondamente, si rispettano e si amano in modo incondizionato, scelgono con cura le parole da pronunciare. Il nostro patto mai verbalizzato era quello di provare sempre a rompere il silenzio in modo delicato ed elegante, per ricamarlo con intenzioni potenti, per dargli un valore aggiunto. Ci è capitato molte, moltissime volte, di trascorrere interi pomeriggi in silenzio. Lei a contenere le mie lacrime con le coppe delle sue mani, io a osservarla nei suoi rituali quotidiani di cura della casa, che poi ho compreso essere in realtà rituali di cura di se stessa.
Nonna, come si fa a mandare via la confusione?
Pettinandola, bambina mia! Inizia osservando i tuoi capelli, ogni mattina: sono lo specchio della tua anima. Prendendoti cura di essi ti prenderai cura delle loro radici, che sono la tua interiorità! I tuoi capelli sono fili che nascono dal tuo cuore e si manifestano nel mondo.
Come possono aiutarmi i capelli?
Quando pettini i tuoi capelli stai accarezzando la tua anima. Prenditi il giusto tempo per farlo: con calma e lentezza, altrimenti si spezzeranno e rimarranno dei nodi che faranno fatica a sciogliersi. Tagliali quando li vedi sciupati: è importante capire quando è il momento di lasciare andare una parte di te per fare spazio alla tua crescita. Accoglili per quello che sono e non volerli diversi: ogni tuo singolo filo d'anima ha un tesoro da donarti. Osservando i tuoi capelli osserverai ciò che c'è dentro di te. E riuscirai ad amare la tua confusione che ti rende spettinata: è un invito a fare ordine, a crearti una nuova acconciatura.
Basta così poco per trovare armonia?
È già molto, bambina mia. Se riesci a trovare il divino in ogni piccola parte di te, la magia arriva. Non serve scalare grandi montagne o avere chissà quanto tempo a disposizione: la nostra missione è rendere le nostre giornate una celebrazione di tutto. Il lavaggio dei capelli, per esempio, può essere svolto come uno sbrigativo compito di pulizia oppure un vero e proprio rito di contatto con la nostra anima. La confusione giunge per dirci che la fretta e l'incuria con cui agiamo nel mondo ci stanno togliendo troppa energia vitale. Inizia a benedire ogni cellula di te e diventerai accogliente con la tua confusione, perché saprai che è arrivata per donarti il più prezioso dei balsami: quello per la tua anima.
Le sue parole avevano il potere di trascinarmi nel più buio degli abissi. E di farmi emergere con il più grande dei tesori.
A volte mi osservava intensamente mentre mi porgeva questi doni verbali, come per accertarsi che fossero giunti a destinazione nel profondo del mio cuore. Altre volte mi parlava continuando a compiere le sue azioni di sempre, impastando il pane, stendendo i panni al sole, rammendando qualche abito.
Non aveva avuto una vita facile. Come tutte le persone che hanno vissuto sulla propria pelle la guerra, la fame, la povertà, il freddo. Ma un sorriso come il suo non sono mai più riuscita a incontrarlo. Forse riesco a scorgerlo un po' quando mi guardo allo specchio e inizio a vedere le stesse rughe vicino alla bocca, quelle stesse pieghe che mi hanno accolto per così tanti anni.
All'epoca in cui è vissuta mia nonna non si poteva avere la certezza di quanti fratelli e sorelle si avessero. Nascevano tanti bambini in una famiglia e alcuni morivano da neonati per le più svariate ragioni, altri venivano allevati da zii o parenti. Si era figli del mondo. Non si apparteneva a nessuno. Forse è anche per questo che ci si sentiva più selvaggi, meno addomesticabili di oggi, che si era più a contatto con i ritmi naturali.
Mia nonna me lo diceva sempre: Voi giovani siete cresciuti con il guinzaglio al collo. Come può un cane allenare l'istinto e fidarsi di esso se non ha mai avuto la possibilità di viverlo?
.
Grazie a lei ho ritrovato la mia forza selvaggia.
- 2 -
Se chiudo gli occhi riesco ancora a percepire l'odore della sua pelle e ad ascoltare le sue parole che mi conducono in un tempo lontano, quando lei era ancora una bambina.
Quando gli uomini s'improvvisavano muratori e costruivano le loro stesse case, quando le donne con le gonne larghe e lunghe trascorrevano le loro giornate tra lavori nei campi e impasti in cucina, quando i bambini imparavano presto a lavorare e ad essere indipendenti.
Gran parte del tempo da neonata lo ha trascorso in una cesta di vimini a inizio delle vigne, mentre i suoi genitori lavoravano nei campi. Una volta i bambini erano accuditi dalla natura, crescevano con il profumo dell'erba e la melodia delle cicale.
E la saggezza silenziosa di quel mondo veniva inalata dai neonati che la respiravano. Me lo ripeteva sempre mia nonna: Basta che respiri ciò che ti accade, non tentare di capirlo. Se lo respiri lo porti dentro di te senza ostacoli, lo assimili, entra a far parte delle tue cellule. E tutto accade. Senza sforzo o fatica.
La sua infanzia è stata tutta un respiro. Di sapori, profumi, lavori, suoni e storie. Ah, le storie… quante ne venivano raccontate ai bambini intorno al fuoco. Leggende, credenze, fiabe popolari. Si parlava, allora, attraverso i proverbi, in un dialetto antico. Era come sentire una musica diversa di paese in paese, con accenti, intonazioni e pronunce che mutavano da un borgo all'altro. Era questa la scuola dei bambini allora. La scuola della vita.
Mia nonna cresceva tra le vigne, nel profumo di torte e pani sfornati, nei cortili, arrampicandosi sugli alberi in cerca di nidi, seduta nelle calde serate