L'Indiano - Il Ponte Magico
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Book preview
L'Indiano - Il Ponte Magico - Pietro Giuseppe Ravanelli
Table of Contents
Prefazione
Capitolo Uno Il Lupo
Capitolo Tre I Colori
Capitolo Quattro L’ispirazione
Capitolo Cinque Lo Spirito
Capitolo Sei Il Santone
Capitolo Sette Il Bosco
Capitolo Otto Il Riparo
Capitolo Nove Il Ponte Magico
Capitolo Dieci Gli Amici
Pietro Giuseppe Ravanelli
L’Indiano
-
Il Ponte Magico
Youcanprint
Questa è un’opera di fantasia.
Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi ed episodi
sono frutto dell’immaginazione dell’autore e
non sono da considerarsi reali.
Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, veri o immaginari
è del tutto casuale.
Titolo originale: L’Indiano – Il Ponte Magico
Tutti i Diritti Riservati all’Autore 2020 Ravanelli Pietro
Copertina. Immagine fotografica presente in Internet senza riferimenti all’Autore.
Prima edizione digitale: Gen 2021
Edizione: Youcanprint
ISBN | 979-12-20317-01-6
Racconti precedenti:
L’Indiano Episodio I – 2015 – Youcanprint
L’Indicano Episodio II La Grotta dell’Orso
– 2020 Youcanprint
Racconto scritto nei voli
Milano – Catania, Catania – Milano di gen/2014
Milano – Buenos Aires (Arg), Buenos Aires (Arg) – Milano di mar/2014 e ott/2014
Milano – Dubai (UAE), Dubai (UAE) – Milano, di gen/2015
Racconto Rivisto nei voli
Milano – London (UK) – Accra (Gha) – Takoradi (Gha) del lug/2019.
Semplicemente
a chi,
ogni giorno,
non si piega alla banalità del male
A mio figlio Giacomo,
con Amore.
Che possa diventare nella vita quel grande uomo
che già traspare
dai suoi occhi da ragazzo
A mia figlia Corinna,
il cui straordinario sentimento per l’amicizia
ha ispirato questo racconto.
Che la vita possa restituirle tutto l’amore e la passione
che lei trasmette ogni giorno.
Un bacio.
Prefazione
Da piccolo, alla sera, quando accendevo la televisione e mentre aspettavo che il piccolo puntino luminoso al centro dello schermo lasciasse posto all'immagine in bianco e nero, speravo proprio che ci fosse quel tipo di film che mi piaceva tanto.
Avevano una trama semplice ma nello stesso tempo avvincente, la scenografia era approssimata, anche i dialoghi erano elementari. I personaggi di quei film diventavano però gli eroi nei nostri giochi.
Lo svolgersi era sempre lo stesso, una lotta, una guerra tra buoni e cattivi. E alla fine, comunque, dopo vari imprevisti, vicissitudini, cambi di fronte, alla fine, vincevano sempre i buoni.
Mentre la storia si svolgeva davanti a me e anche dopo, quando era finita, riflettevo. Magari nel mio letto, perché ci si doveva addormentare presto che all’indomani si andava a scuola, sentivo che qualcosa di queste semplici storie non mi convinceva.
Non ero proprio sicuro che le parti fossero quelle giuste.
Che la divisione tra buoni e cattivi fosse corretta.
Di sicuro avevo torto io perché i buoni lo erano veramente. Portavano la civiltà, le scuole, la ferrovia, il progresso, i generi alimentari, il commercio. Erano fisicamente simili a noi e come noi vivevano.
E i cattivi, anche loro lo erano davvero, perché si opponevano a tutto questo e con la forza difendevano le loro terre e le loro tradizioni.
Ogni bambino, quando guarda un film si immedesima. Inconsciamente sceglie un personaggio e vorrebbe essere lì, nella storia, per poterla vivere direttamente.
Anche io, vedendo passare quelle immagini, avrei voluto essere uno di quei personaggi. Uno di quei protagonisti che lottavano per imporre o difendere le proprie origini, le abitudini e le credenze, la propria terra e il proprio popolo.
Avrei voluto però essere dalla parte dei cattivi.
Si dalla parte di quelli che a me stranamente sembravano buoni.
Avrei voluto essere un indiano.
Avrei voluto magari assomigliare a quel personaggio, che tra i tanti preferivo e tenevo nella mia scatola dei giocattoli.
Quello sulla canoa.
Quel piccolo indiano che mi ha tenuto compagnia in tante ore di gioco e che segretamente non ho il coraggio di andare a ritrovare.
Capitolo Uno
Il Lupo
Questa storia l’ho sentita raccontare da mio nonno più e più volte. Nelle sere stellate, in cerchio attorno al fuoco, io e altri ragazzi della tribù, rimaniamo affascinati ad ascoltare quel fantastico racconto.
Ogni volta, come se fosse la prima.
Mio nonno, Avaguna Tatana, che vuol dire Il ragazzo che non sa mentire
, è molto vecchio ed è uno dei tre Santoni del Villaggio.
Il suo nome dice tutto del suo carattere e gli era stato dato dal vecchio Capo Tribù, quando mio nonno era più che un bambino, a causa di un accadimento speciale.
Era successo, a quell’epoca, che un gruppo di ragazzi aveva organizzato uno scherzo finito male. L’idea era quella di rubare la tintura rossa e blu utilizzata dai guerrieri nelle battute di caccia e colorare le piume delle oche della moglie del capo tribù. La temibile Uluta Appaluta che significa Donna con gli occhi che guardano in direzioni diverse
.
Lo scherzo, a dire il vero, era anche riuscito in quanto le oche erano diventate, due di colore rosso, due di colore blu e una, che era riuscita a sfuggire durante la pittura, tutta blu con ancora le ali e la coda bianca.
Lo scherzo aveva suscitato molta ilarità. Per errore era stato incolpato un bambino che non c’entrava niente, che era innocente. Si chiamava Oppatu Patuto Sunilo, Bambino con la bocca mai stanca
, a significare un ragazzo grassoccio che passava la maggior parte del suo tempo a mangiare, di tutto. Era stato incolpato perché essendo stato il primo a scoprire le oche, toccandole, gli era rimasta la pancia e le mani di colore rosso e blu. La punizione era stata esemplare, un mese a ripulire il letame dei cavalli dal recinto più grande. A quel punto mio nonno era stato l’unico a farsi avanti presso il Capo del Villaggio e a dire la verità e quindi, assumendosi la colpa.
Il Capo Tribù aveva compreso le sue buone intenzioni e per la sua onestà gli aveva dato quel nome, Il ragazzo che non sa mentire
, come premio.
La pena, però, era rimasta comunque, anzi da un mese era passata a un mese e mezzo di pulizie dello sterco perché il Capo Tribù aveva ceduto alle pressioni di sua moglie che odiava mio nonno per precedenti scherzi che le aveva combinato.
Non era tuttavia andata così male in quanto mio nonno e il bambino incolpato a torto e altri ragazzi fondarono una banda e la chiamarono Oche Selvagge Colorate
con il simbolo proprio delle cinque oche della moglie del capo villaggio. Questo gruppo, con il suo strano simbolo, sarebbe diventato, quando mio nonno e gli altri ragazzi, diventarono adulti, il più forte gruppo di combattenti di tribù indiane del West delle Americhe.
Ma torniamo alla storia raccontata da mio nonno.
Si deve prima di tutto dire che, prima che il nonno racconti la storia, c’è tutto un rito preparatorio.
Inizia tutto nel primo pomeriggio. Quando la palla di fuoco è ancora alta nei cieli e i giovani guerrieri non sono ancora tornati dalla caccia ai bisonti, entro nella tenda di mio nonno. Lo trovo sempre seduto a gambe incrociate e braccia distese con le mani sulle ginocchia.
Schiena dritta, testa alta, sguardo fisso davanti a se, con le spalle rivolte all’apertura della tenda.
Mio nonno ormai, anche se non lo ammette, ci vede poco. Ma ha un udito con il quale può ancora sentire il passo di un bisonte che passa giù, in fondo alla vallata. Appena messo piede nella tenda, riconosce il mio piede che calpesta la terra e mi dice Piccolo indiano, come osi tu disturbare la preghiera di un Venerabile Santone?
.
So che scherza, ma ogni volta quella sua voce, forte e profonda, mi fa sobbalzare.
Io rispondo Venerabile Santone, Ragazzo che Non sa mentire e che adesso ci vede poco
scherzandolo posso disturbare la vostra meditazione ?
Lui si gira lentamente e mi guarda con quegli occhi un po’ allungati, di un colore marrone simile a quello delle foglie d’autunno, di una grande intensità.
Penso quanto quello sguardo così profondo avesse incusso paura ai suoi avversari nelle tante lotte che mio nonno aveva combattuto da giovane.
Dopo che ci siamo guardati, come se ci dovessimo sfidare, per alcuni istanti, scoppiamo tute e due a ridere e io gli corro in braccio abbracciandolo.
Quando mi tiene sulle sue ginocchia, in quel modo, so che posso chiedergli qualsiasi cosa. Mentre con un dito gli tocco una treccina colorata che ancora lega i suoi folti capelli grigi, gli chiedo: Venerabile Santone, stasera puoi raccontare a me e ai miei amici la Storia dell’Amicizia
. Lui mi risponde Se tu lo vuoi, certamente. Ma sai quali sono i nostri patti ……
.
Ce l’ho fatta, anche questa volta. Mio nonno ci avrebbe raccontato la storia e la sua magia.
Basta stare ai patti, anche se in realtà non è semplice.
Quello che mio nonno chiede è di andare, io e i miei amici, nel bosco a raccogliere la miglior legna per fare il falò, attorno al quale raccontare la sua storia. Ma non può essere un falò normale, deve essere grande e fatto bene
. Costruito a forma di piramide, con i legni più grossi in basso e intrecciati per poter sostenere quelli più leggeri, che man mano si mettono sopra. Il falò deve essere alto, almeno come un cavallo adulto, ma non fino al garrese, ma purtroppo, fino all’ultimo pelo della punta delle orecchie. Questo ci porta via la maggior parte del pomeriggio quando ancora la palla di fuoco si vede tra le chiome degli abeti.
Non è finita, altri compiti ci attendono. Mio nonno pretende che io e i miei amici ci pitturiamo la faccia come i guerrieri prima della caccia ai bisonti. Questa cosa è più difficile che fare il falò. Nessuno di noi ragazzi è capace di pitturarsi il corpo e la faccia. L’unica soluzione è quella, nostro malgrado, di chiedere aiuto a una ragazza. Telluna Lulla Lapasa Piccola Donna di Tante Parole
. Questa scout sa emettere una quantità di parole in poco tempo come nessun altro della tribù. Purtroppo per noi, anche le sue amiche non sono da meno.
Più volte avevo supplicato mio nonno "Per favore, Venerabile Santone, tutto, piuttosto di farsi pitturare