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Contiene Tracce di Glutammato
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Contiene Tracce di Glutammato

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About this ebook

In questa raccolta di racconti brevi, talvolta brevissimi, sono

mischiati insieme sei generi diversi: fantaumano, giustizialista,

reality, favolesco per adulti, techno type e dramma rosa. Ad

accomunarli, l'imperfettibilità della condizione umana. Sono sempre

stato incuriosito più dai difetti delle persone piuttosto che dalle

virtù ed ho sempre ritenuto le persone "i miei giocattoli preferiti".

Sono loro il glutammato, quello che ci dà sapore e allo stesso tempo ci

avvelena, quello che è il segno dei tempi già superati. Questo libro è

per chi si sente ancora un po' bambino, per chi condivide come me uno

strabordante senso di giustizia, per chi è colpito dalle nostre

debolezze, per chi è travolto dai cambiamenti sociali, per chi è attento

a fotografare spaccati di vita "spaccata" e infine per quelli che non

riescono più a vedere un cartone animato pur non potendone fare a meno

nella vita, specie quelli di Mototopo & Autogatto. Ne bastano 50

microgrammi, tanti quanti sono questi racconti.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateFeb 16, 2021
ISBN9791220317665
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    Book preview

    Contiene Tracce di Glutammato - Giovanni Arunte Ducci

    Ducci

    MISSION IMPOSSIBLE

    A tutto posso rinunciare tranne che al superfluo

    (Oscar Wilde)

    Non è qualcosa che avevo programmato tanto tempo prima, non ne avrei retto la pressione dell’attesa. Si trattava semplicemente di svolgere una normale attività quotidiana dettata dal bisogno, che però mi avrebbe messo di fronte ad una fra le più difficoltose realtà dei giorni nostri. Avevo passato l’intera mattina a pensare bene a come attuare quel mio piano e alle conseguenze che avrei subito se avessi fallito; avrei provato vergogna di me stesso se fosse venuto meno il mio obiettivo, se non avessi resistito, almeno per una volta, alle tentazioni irrefrenabili a cui sarei andato incontro. Potrà anche sembrare una banalità, ma se fossi riuscito in quell’impresa, se fossi stato in grado di realizzare la mia missione impossibile, avrei camminato a testa alta per il resto della mia vita e avrei finalmente potuto interrompere queste mie costosissime sedute di analisi. Ormai era giunto per me il momento della verità ed io mi sentivo pronto.

    Entrai deciso, senza esitazioni, evitando di portare con me pesi inutili per camminare più leggero e sapermi muovere con maggiore agilità fra i corridoi dei vari reparti. Mi liberai di ogni spicciolo, una precauzione utile per evitare di prendere uno di quegli insidiosi carrelli che sembra quasi che si guidino meglio se sono riempiti di cose pesanti. Appena dentro, sentii subito che mi assaliva quella sensazione di freddo falsamente amichevole. Mi ero dotato di un abbigliamento adeguato: indossavo occhiali da sole di un modello avvolgente, per non farmi accecare dalle luci abbaglianti dei prodotti e dalle lampade al neon sfolgoranti. Avevo gli auricolari ben conficcati nelle orecchie, con musica rock al volume massimo, un po’ per darmi la carica e un po’ per non consentire agli annunci delle offerte promozionali di distogliermi dal mio obiettivo primario, cioè portare a termine con un’azione commando la mia missione, quella di comprare l’unica cosa di cui avevo veramente bisogno, in quel pomeriggio di giugno: una scatola di dadi.

    Avevo scelto di agire all’ora più calda, a quell’ora avrei incontrato meno gente, senza nessuno ad ostruirmi il passaggio, cosa che mi avrebbe costretto ad aggirare pericolosi banchi pieni di fulgida merce. Una delle tesi che sostengo e per la quale mi hanno dato del matto, è che alcuni clienti siano degli attori pagati appositamente per acquistare qualcosa davanti a te e farti venire voglia dei loro prodotti. Sarà pure una teoria supportata dal nulla, anzi nutrita da una buona dose di paranoia, ma io non mi fido di nessuno. Gli occhi li tenevo socchiusi, una fessura vigile quanto basta per non andare a sbattere contro qualche banco ed evitare così di essere sopraffatto dal nemico. Il luogo lo conoscevo come le mie tasche, non era certo la prima volta che vi entravo, quindi sapevo di poter tirare dritto fino a dove avrei potuto trovare l’oggetto del mio desiderio, senza prestare attenzione alla magnificenza di quei colori incastonati come in un mosaico perfetto. Anzi, una sola lieve disattenzione avrebbe costituito un passo falso, una tattica irrimediabilmente perdente e suicida. Sentivo che se avessi per un momento svuotato la mente, evacuato i pensieri, una volta caricato il corpo a molla e direzionato alla meta, avrei avuto più possibilità di farla franca.

    Le prime insidie le trovai al banco delle verdure, dove un ingombrante signora, che sembrava messa lì apposta per distogliermi dalla missione, mi chiese di aiutarla a prendere qualcosa dallo scaffale alto, quello dove non ci si arriva mai senza notare almeno una cinquantina di altri prodotti imperdibili. La sbolognai con rapidità evitando la trappola dei ringraziamenti. Mi feci onore anche quando tirai dritto attraverso la zona delle offerte della settimana. L’ingorgo lo trovai nel corridoio delle superconvenienze. Fu lì che venni stordito dallo scintillio dei surgelati e disorientato dalla solennità delle didascalie; fui sopraffatto dalle promozioni sulle scatolette, ed infine fecero il resto i pacchi formato famiglia, io che una famiglia non ce l'ho, TRE X DUE, QUATTRO X TRE, e ne fui travolto senza giustificazioni. Per fortuna mi salvò la voce della signorina della cassa:

    - Mi dispiace, signore, il credito di questa carta risulta esaurito.

    Fu la prima volta che provai uno strano ma ben definito senso di sollievo a sapere che il mio conto era in rosso. Ridevo delle mie sventure mentre la cassiera si apprestava a far rimettere a posto tutti i prodotti inutili che stavo comprando, compresi i dadi. Ero entrato per quella misera unica scatola di dadi e ne ero uscito con cinquantasei, dico cinquantasei prodotti diversi, tutti generi di seconda, terza e quarta necessità.

    Faccio fatica ad ammetterlo, ma ancora una volta aveva vinto lui, l'ipermercato.

    LA PORTA DELL’AMORE

    Programmare tutto, aspettarsi sempre il peggio e far fronte alle situazioni sfavorevoli con spirito positivo.

    Per Mexico 70 era molto più che un motto, era uno stile di vita. Aveva pianificato ogni dettaglio sapendo che da quell’incontro sarebbe dipeso il destino del suo cuore.

    In fondo valeva la pena aver speso tutti quei soldi; l’agenzia a cui si era rivolto aveva veramente lavorato a dovere e aveva mantenuto le promesse dei tormentoni della pubblicità:

    "L’AGENZIA BONOCORE

    TI APRE LE PORTE DELL’AMORE!"

    Aveva provato e riprovato ogni sillaba da scandire al suo appuntamento al buio, frequentato esperti di comunicazione per imparare a pilotare discorsi su terreni a lui congeniali. Niente telefonini, erano le regole, perché avrebbero compromesso l’incanto del primo incontro, ma di certo non poteva permettersi di arrivare in ritardo, cosa che avrebbe suscitato una pessima impressione. Aveva perciò scartato da subito l’idea di prendere quel suo cassone di auto per giungere sul posto, anche perché non ci avrebbe fatto una gran figura; il pullman meno che mai, per la sua lentezza e inaffidabilità. Aveva optato per il treno.

    L’orario di arrivo coincideva con quello dell’appuntamento e poi la stazione è sempre un luogo romantico dove incontrarsi. Si recò a quella di partenza con un anticipo esagerato, fantozziano. Vide scorrere davanti a sé destini comuni di persone in affanno, così ripassò la scena che avrebbe vissuto di lì a poco, simulandola più volte con il pensiero, per non sbagliare. La cornice era perfetta: il bellissimo giardino pubblico appena fuori, ideale per una passeggiata di prima conoscenza, una pausa amena per il ristoro poi, se fra di loro fosse scattato qualcosa, il tramonto sul lungomare avrebbe fatto il resto e lì avrebbe cercato l’affondo declamando l’aforisma di Roberto Bolaño che si era preparato:

    Il cielo, al tramonto, sembrava un fiore carnivoro.

    Si sentì più tranquillo solo quando il suo treno fu annunciato e dopo che il display lo ebbe confermato visivamente. Nell’aria si spanse un forte odore di bruciaticcio, proveniva da una delle locomotive, scelse di non interpretarlo come un presagio, stavolta era sicuro che tutto sarebbe andato per il meglio, quella volta non l’avrebbe bruciata quella possibilità, stava andando incontro ad una vita condivisa, una vita felice.

    Il suo treno arrivò fischiando, come se fosse un richiamo, e l'uomo salì a bordo dopo essersi accertato mille volte che fosse quello giusto, sul binario giusto e soprattutto verso la donna giusta, quella selezionata perché il grado di compatibilità delle sue caratteristiche fisiche e psicologiche era risultato corrispondere per il 98,2% a quelle sue, una percentuale quasi unica. Merito di quello slogan, merito di quell'agenzia …

    "L’AGENZIA BONOCORE

    TI APRE LE PORTE DELL’AMORE!"

    Scelse uno dei vagoni centrali, era di un tipo piuttosto vecchio ma consolatorio e Mexico 70 ci si sentiva più a suo agio; un treno ultramoderno gli avrebbe fatto pesare troppo il fatto che fosse trascorso tutto questo tempo prima di decidersi a passare all’azione.

    Il viaggio durò poco e più il treno decelerava per entrare nella stazione di destinazione, più il suo cuore aumentava i battiti. Si posizionò davanti alla porta, come in rampa di lancio. Pensò a quale piede mettere fuori per primo, per evitare di inciampare ed esordire in modo maldestro. Guardò fuori per scorgere la sua preda, mentre il treno lentamente rallentava la sua corsa. Poi lo scossone della frenata e l’ansia crescente della discesa. Armeggiò su quella maniglia con impazienza, tentò e ritentò più di una volta senza successo, imputando al proprio nervosismo il fatto che non fosse capace di aprirla, quella maledetta porta.

    La scritta GUASTA era piccola, troppo piccola per essere notata da una mente offuscata dall'emozione come la sua, nonostante ci si fosse posizionato proprio davanti. E mentre fuori gli altri passeggeri gli passavano davanti incrociandosi, lui era ancora lì che tentava disperatamente di aprire. Quando se ne accorse fu troppo tardi.

    Si cercò una via di fuga rapida attraverso il corridoio, scavalcando con fatica enormi borsoni appoggiati per terra alla bell’è meglio, cercando la porta di discesa più vicina, peccato che fosse anche quella meno praticabile. Tentò di aprirsi un varco coi gomiti, urlando:

    - Permesso, permesso! La porta! La porta dell’amore!! L’agenzia Bonocoree…

    Ma il treno ripartì inesorabile.

    Quella porta guasta è ancora lì, nessuno della ferrovia si è mai preoccupato di segnalare la necessità di una riparazione, pur avendo essa causato qualcosa di irreparabile. Qualcuno ha provvidamente messo un cartello con una scritta più visibile. In seguito qualcun altro pensò bene di apporre alle maniglie di quella porta un lucchetto, uno di quelli adoperati dagli innamorati come sigillo d’amore. Mexico 70 inoltrò addirittura una causa alla società delle ferrovie per quel mancato appuntamento. Per la sua singolarità e l’eco mediatico che ne derivò, il suo caso arrivò anche in tv.

    Fu discusso anche a PORTA A PORTA.

    UN VIAGGIO

    Mi aspetta una fatina, un po’ più in là, il mio premio per essere stato buono. Ma il viaggio è lungo e ci sarà da soffrire, come se dovessi meritarmelo. A tenere la mente impegnata so che posso farcela, però temo per le mie gambe.

    E poi questa gente che io detesto, è meglio non fidarsi di nessuno; ho con me poche cose, ma trenta ore sono quanto basta per farsi derubare di tutto. Mi è venuta già la nausea; l’odore del carburante annulla ogni buon sapore. Ecco il pullman; a guardarlo sembra quasi che imponga le condizioni, massiccio e pesante come appare; non arriveremo mai.

    Si parte, senza fretta. Comincio a pensare a quello che ho fatto ultimamente, tanto per passare il tempo. Getto un’occhiata all’orologio, ma sono passati solo cinque minuti, mentre mi sembrava un’eternità. Raccogliamo altre persone, nemici. Potrebbero insidiare il sedile accanto al mio, devo scoraggiarli e mi faccio più grosso di quello che sono per difendere la mia già scomoda posizione. Affondo nella lettura e mi stordisco con le cuffie. Sono ancora all’inizio ma non è male, in fondo, questo dolce far niente e lascio dietro di me chilometri di scenari diversi, che si combinano bene con la musica che ho scelto e mi sembrano tutti gradevoli. Dall’alto del mio sedile, scorgo gli automobilisti. Riesco a vederli bene all’interno della loro latta, sono veloci. Alcuni discutono mentre guidano e mi diverto ad immaginare la ragion d’essere del loro argomentare; sarà perché forse li osservo da quassù, ma non li invidio affatto, anzi provo uno strano senso di superiorità.

    Approfitto di una sosta per sgranchirmi e faccio un giro intorno al bus. Ha una linea moderna e un viso amico. Anche gli autisti, malgrado i modi ruvidi, mi danno sicurezza sotto quei loro baffi. Cambia il tempo attraverso le montagne.

    So che questo rallenterà la marcia, ma mi piace veder piovere, come quando sono a casa sotto le coperte. Vedo la pioggia trasformarsi in neve, ed è sotto la bufera che superiamo il primo confine. Lo speaker annuncia qualcosa in una lingua che non è la mia, ma in quelle parole colgo una grande gentilezza, che mi tranquillizza.

    La notte, la parte più difficile. Vedo poche luci senza contorni che senza lenti diventano milioni. Poi, i grandi nodi stradali diventano uno spettacolo di bagliori che su di me hanno un effetto psichedelico. Sorpassiamo un altro pullman; al suo interno qualche fioca luce verdastra e una mano che ci saluta, con discrezione. L’atmosfera sembra simpatica. Mi guardo intorno. Anche i passeggeri intorno a me ora sembrano diversi: tutti raccolti in strane posizioni, appena illuminati dalle luci interne, li trovo bellissimi ed io comincio a non avere più paura di loro. Qualcuno dorme e disegna un’espressione buffa sul volto, come un sorriso. Non si parla e abbiamo fatto l’orecchio anche al rumore di fondo, tanto che ci si accorge del silenzio irreale durante le soste. Un pensiero a qualche anno fa, quando passare una frontiera da queste parti metteva una certa inquietudine.

    È quasi mattino, siamo stanchi ma teniamo duro. Ormai abbiamo coperto un lungo tratto. Qualcuno si sente già a casa ed io mi sento incredibilmente a mio agio, tanto che non sono più ansioso di arrivare. Mi piace questa sensazione.

    Qua e là, nei posti più impensati, scorgo chi già sta andando a lavorare e provo per ciascuno di loro un senso di grande rispetto e di profonda dignità. Ma devo pensare a chi mi aspetta, a quella fatina. Eccomi alla fine, molte facce nuove, pochi gatti per strada e poi l’arrivo, che sembra trionfale dopo tutto questo tempo. Ed è a questo punto che comprendo di aver pensato molto, come mai forse ho fatto e come dovrei fare più spesso. Questo viaggio mi ha illuminato. Apprezzo tutto di più adesso, perché il tempo si è quasi fermato durante questo lungo percorso ed io mi sono fermato con esso.

    I passeggeri scendono, composti. Io attendo il mio turno. La mia fatina, avvolta in un cappuccio, mi viene incontro, con un sorriso. Ci si dirama in varie direzioni, ma quando qualcuno trova il modo di salutarmi rispondo al saluto, con garbo. Poi mi incammino, mano nella mano con la mia fatina. So che teneva per mano anche suo fratello, poco prima che lui mi donasse il cuore e con un gesto mi fa capire che gli assomiglio anche un po’. Finalmente ho smesso di odiare questo popolo e ho smesso di odiare me stesso. Ora mi sento davvero tutt’uno con il mondo.

    PAUL BRADY

    La squadra del Fortunas era formata da bravi calciatori. Il pubblico l’amava e seguiva tutte le sue partite. Paul Brady aveva il numero quattro ed era il capitano, era uno dei migliori, uno di quelli che segna un mucchio di gol. Segnava di destro, di sinistro, di testa, di tacco, una volta segnò anche di petto. Eppure da un po’ di tempo le cose non andavano bene per lui, non riusciva più a fare gol così facilmente. C’era sempre qualcosa che all’ultimo momento glielo impediva: o colpiva il palo o tirava fuori a causa di un rimbalzo fasullo del pallone, insomma succedeva sempre qualcosa. Una volta calciò a colpo sicuro, a un metro dalla porta e fu un suo compagno di squadra che, suo malgrado, con la prominenza del suo naso deviò il tiro sopra la traversa nel tentativo di spostarsi. Addirittura ci fu una volta che Brady segnò un gol bellissimo da trenta metri, scagliando un tiro folgorante, ma l’arbitro lo annullò perché la palla era stata deviata in porta, pensate un po’, da un bradipo che un momento

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