Demonologia di Dante
By Arturo Graf
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Demonologia di Dante - Arturo Graf
DEMONOLOGIA DI DANTE
Una dottrina demonologica ordinata e compiuta negli scritti di Dante non si trova, e nemmeno poteva esserci; ma da molti luoghi della Commedia, e più particolarmente dell'Inferno, nei quali o sono introdotti demonî, o si parla di demonî, e da alcuni altri sparsi qua e là per le rimanenti opere, confrontati fra loro e aggruppati opportunamente, si ricava un certo numero di credenze e di opinioni che giova esaminare congiuntamente e conoscere. E come appena siensi esaminate alquanto, una cosa anzi tutto si rileva, ed è che la demonologia del poeta, in parte è dottrinale e dommatica, si rannoda cioè alla speculazione e alla disquisizione teologica, in parte è popolare, conforme cioè a certe immaginazioni comuni ai credenti del tempo; senza che manchino per altro qua e là, dentro di essa, vestigia di un pensar proprio e personale. Per ciò che riguarda la parte dottrinale, il poeta l'ha senza dubbio attinta dalla teologia scolastica, di cui egli si mostra, come tutti sanno, assai ampio conoscitore, e più particolare delle opere di S. Bonaventura, di Alberto Magno, di S. Tommaso d'Aquino, il suo dottor prediletto. Non è improbabile tuttavia che egli abbia udito in una od altra Università d'Italia, forse anche di fuori, lezioni e dispute sopra un argomento di tanta importanza quale si era nel medio evo la dottrina dei demonî, intimamente congiunta con quella degli eterni castighi, e intorno a cui s'erano sino dai primi tempi della Chiesa esercitati gl'ingegni più acuti e più alacri. Se non che sono così scarse ed incerte le notizie tramandateci degli studii e delle peregrinazioni di Dante, che nulla si può affermare in proposito. Se fosse vero quanto afferma Giovanni Villani, e infiniti ripeterono dopo lui, che Dante, sbandito di Firenze, se ne andò allo studio di Bologna; quivi avrebbe potuto il poeta apprendere di molte cose circa l'essere e le operazioni di Satana e degli angeli suoi. Una ragione per crederlo si ha in quelle parole che egli pone in bocca a frate Catalano de' Malavolti:
Io udi' già dire a Bologna
Del diavol vizj assai, tra i quali udi'
Ch'egli è bugiardo, e padre di menzogna¹.
Ma comunque se la procacciasse, il poeta del mondo invisibile non poteva non avere una dottrina demonologica: senza curarci d'altro, vediamo qual sia².
I
Gli è noto che il mito della ribellione e della caduta degli angeli si fonda sopra alcuni luoghi del Nuovo Testamento, i quali non sono di troppo sicura significazione. Un mito parallelo, e che ha radice nel Testamento Antico, narra di angeli, che avendo avuto commercio con le figlie degli uomini furono cacciati dal cielo. Entrambi i miti trovarono credito fra i Padri dei primi secoli; ma poi il primo soperchiò e fece in qualche modo dimenticare il secondo. Dante osserva su questo punto la comune credenza del tempo suo. Nel Convivio egli chiama in generale i demonî intelligenzie che sono in esilio della superna patria³, e piovuti dal cielo li dice nel c. VIII dell'Inferno⁴; di Lucifero,
Che fu la somma d'ogni creatura,
dice nel XIX del Paradiso, che
Per non aspettar lume cadde acerbo⁵;
ma nel VII della prima cantica allude alla parte più drammatica del mitico racconto, alla cacciata dei ribelli, vinti dall'arcangelo Michele, che
Fe' la vendetta del superbo strupo⁶;
e cacciati dal ciel, gente dispetta, li chiama nel IX⁷. Essi corsero in colpa immediatamente dopo la loro creazione:
Nè giungeriesi, numerando, al venti
Sì tosto, come degli angeli parte
Turbò il suggetto dei vostri elementi⁸;
e ciò avvenne fuori della intenzione divina, benchè non fuori della divina prescienza⁹. Cagione della colpa fu la superbia; e invidia e superbia sono, secondo S. Tommaso, i due soli peccati, che possano propriamente capire nella diabolica natura¹⁰.
Principio del cader fu il maledetto
Superbir di colui che tu vedesti
Da tutti i pesi del mondo costretto,
dice Beatrice al poeta¹¹; di colui che fu primo superbo¹², e
Contra il suo Fattore alzò le ciglia¹³.
Di tutti gli ordini degli angeli si perderono alquanti tosto che furono creati, forse in numero della decima parte; alla quale restaurare fu l'umana natura poi creata¹⁴. I cacciati dal cielo furono precipitati sopra la terra: Lucifero cadde folgoreggiando¹⁵, dalla parte dell'emisfero australe,
E la terra, che pria di qua si sporse,
Per paura di lui fe' del mar velo,
E venne all'emisperio nostro; e forse
Per fuggir lui lasciò qui il loco voto
Quella che appar di qua e su ricorse...¹⁶
Questa mirabile immaginazione è, per quanto io so, tutta propria di Dante, e dà luogo ad alcune difficoltà sulle quali io non intendo di trattenermi¹⁷. Ma non tutti gli angeli tristi peccarono egualmente: alcuni di essi si serbarono neutrali;
non furono ribelli,
Nè fûr fedeli a Dio, ma per sè foro.
Cacciati dal cielo, e rifiutati dal profondo Inferno, essi scontano la loro pena nel vestibolo, insieme con
l'anime triste di coloro
Che visser senza infamia e senza lodo¹⁸.