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Felicità Effimera
Felicità Effimera
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Felicità Effimera

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About this ebook

Ottavia, una ragazza di diciannove anni, vive con la sorella Emma e il padre, vedovo da qualche anno. La sua vita, negli ultimi tempi, procede, a causa di incomprensioni familiari, all’insegna del turbamento: i suoi assillanti pensieri convergono tutti nel desiderio di scappare dalla sua opprimente casa, con un padre che intende progettare il suo futuro senza considerare la sua felicità e una sorella che spesso cova nei suoi confronti rabbia, invidia e rancore. Per quanto tempo, si chiede Ottavia, riuscirà a vivere in questo modo pressata dalla volontà del padre e subendo le angherie di Emma?
La svolta per lei sembra arrivare da un incidente in un castagneto, quando viene soccorsa da Antonio, un affascinante e misterioso ragazzo. Tra i due nasce un sentimento che diventa sempre più forte e che, però, è minacciato dal rifiuto categorico del padre della ragazza. La lontananza non servirà a spegnere la fiamma del loro amore; lotteranno con ostinazione per riuscire a stare insieme, ma la vita avrà in serbo per loro dei continui sconvolgimenti. Vedranno una possibile riconquista della serenità familiare e la stabilità di un lavoro sicuro; toccheranno con mano la promessa della felicità, ma dovranno anche accettare che non sempre i sogni si realizzano come abbiamo sperato perché, a volte, gioia e dolore sono le facce della stessa medaglia.

Salvatore Patanè vive ad Acireale (CT) dove è nato il 5 maggio 1948. Laureatosi in Materie Letterarie al Magistero di Catania nel 1973, ha insegnato Lettere in Istituti professionali e tecnici per un lungo periodo in provincia di Brescia e, successivamente, nella sua città natale fino al 2009, anno in cui è andato in pensione.
Felicità effimera è la sua prima opera.
LanguageItaliano
Release dateOct 31, 2020
ISBN9791220104715
Felicità Effimera

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    Felicità Effimera - Salvatore Patanè

    Salvatore Patanè

    Felicità effimera

    © 2020 Europa Edizioni s.r.l. | Roma

    www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it

    ISBN 979-12-201-0308-4

    I edizione ottobre 2020

    Finito di stampare nel mese di ottobre 2020

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.

    Felicità effimera

    Ai miei genitori,

    per sempre riconoscente.

    Tutte le famiglie felici sono simili tra loro,

    ogni famiglia infelice è infelice a modo suo.

    Lev. N. Tolstoj, Anna Karenina

    Capitolo I

    Ottavia, quella mattina di fine ottobre, non aveva proprio voglia di alzarsi. Continuava a girarsi, di quando in quando, ora sull’uno, ora sull’altro fianco nel vano tentativo di riposarsi gli occhi, stanchi per aver trascorso l’intera notte insonne. In verità, quella non era la prima volta che la ragazza non riusciva a prender sonno; sin da quando aveva terminato gli studi al commerciale, parecchie erano state le notti trascorse in quella maniera e la causa di ciò era sempre la stessa: un fiume di assillanti pensieri convergenti tutti nel desiderio di evadere dalla sua opprimente casa, di lasciare l’ormai invisa sorella, Emma, così come il padre dal quale è convinta di essere voluta bene sempre molto di meno. Ma scappare di casa e andare così, senza meta, questo no, non lo voleva assolutamente fare, ben sapendo le conseguenze che le sarebbero potute derivare per il suo avvenire; non le restava, a conforto, che attendere il realizzarsi di almeno una delle due speranze che era riuscita a inventarsi: l’impiego o l’amore. E intanto continuava a vivere.

    A fare alzare Ottavia dal letto doveva essere il brusco richiamo della sorella: «Ottavia, vuoi deciderti ad alzarti? Sono due volte che ti chiamo... Bada bene che non ti permetto di rovinarmi la giornata!».

    «Mi alzo subito» le rispose la ragazza, «e in meno di quanto tu possa immaginare sarò pronta».

    E mentre Ottavia si avviava a chiudersi nel bagno, Emma rientrava nella sua stanza; aveva pensato di dare un’occhiata, nel frattempo, al nuovo fotoromanzo che aveva posto sul comodino, ma passando dinanzi alla specchiera, d’improvviso cambiò idea: si avvicinò allo specchio e poi, immobile, indugiò a guardarsi. Non si era sbagliata: sarà stata, forse, la sua espressione ancora adirata, ma per la prima volta la giovane aveva notato sul suo volto e tra i capelli la presenza, seppure minima, di quei segni che sono crudeli testimoni dello sfiorire della giovinezza. E sì! Trent’anni li aveva compiuti da una settimana e, facendo in quel momento il bilancio tra i buoni propositi avveratisi e le speranze deluse, doveva giungere alla conclusione che anch’essa, come tantissime altre persone, non era riuscita a sfuggire agli inganni della vita. E dopo che un tremito improvviso l’aveva scossa in tutta la persona, le venne in mente di pensare ai Parisi: Per quale motivo diceva a se stessa, i Parisi hanno voluto invitarci a casa loro dopo una lunga interruzione dei rapporti amichevoli tra le due famiglie? Forse perché mentre un dolce sorriso cancellava il pallore del viso forse..., ma non riuscì a completare il pensiero perché distratta dalla voce del padre che la invitava a scendere giù nel garage.

    «Emma, portami, per favore, la spugna che trovi dentro l’armadietto nel ripostiglio e poi vai a vedere a che punto si trova quella tua sorella... Se deve fare ancora colazione, dille che si sbrighi, perché non mi va di arrivare là giusto all’ora di pranzo».

    Ottavia, che intanto aveva approntato la colazione, all’udire quella tua sorella ebbe un attimo di risentimento. Di certo non vi avrebbe dato peso se i suoi rapporti col padre non fossero mutati da non molto tempo a quella parte; cioè, da quando essa aveva osato opporsi alla sua volontà, rifiutando di sposare un giovane di cui credeva di non potersi innamorare. E, buttando il latte non ancora gustato nel lavello, mormorò sottovoce: «Perché continui a portarmi rancore? Non hai affatto pensato che io, assecondando il tuo volere, non avrei mai avuto la felicità, quella stessa felicità che tu, forse, vorresti ritrovare? Egoista! Egoista!».

    Aveva appena terminato di sfogarsi, quando si vide comparire la sorella che, visibilmente seccata, le chiese: «Ottavia, hai fatto colazione?».

    «Sì, ho terminato proprio in questo momento».

    «Vedo che hai gli occhi gonfi... Che ti ha preso? Non ti sarai certamente offesa per quel mio rimprovero!».

    «Oh no, Emma... Stavo pensando cose non tanto belle e...».

    «E, allora, smettila di pensare... Chiudiamo le porte e scendiamo giù, dove già c’è il papà che ci attende in auto».

    Dopo qualche minuto tutti e tre si trovavano dentro la loro Lancia diretti a Zafferana, dai Parisi. In meno di mezz’ora giunsero al villino degli amici. L’avvocato Parisi stava ad attenderli appoggiato alla ringhiera della terrazza giocando col fumo della pipa, mentre sua moglie, in cucina, preparava il pranzo. Gli ospiti furono fatti entrare nel salone dove trovarono Giorgio, il figlio dei padroni di casa, seduto al piano intento a dilettarsi con Chopin. E, dopo i saluti, fu senz’altro ascoltando un po’ di quella musica che Ottavia sembrò dimenticare gli incubi della notte e i rancori del mattino; sul suo volto era tornata la serenità e di ciò ben si accorsero tanto il padre, che la sorella con i quali essa cominciò a scambiare qualche parola. La ragazza, quindi, si diresse sulla terrazza da dove si compiacque di ammirare tutti quei paesi compresi tra Taormina e Catania e, giù in fondo, il blu del mare confondersi con l’azzurro del cielo.

    Era una bellissima giornata, quell’ultima domenica di ottobre. Intanto era giunto il momento di pranzare e tutti, su invito dell’avvocato Parisi, presero posto a tavola. Emma si sedette al fianco di Giorgio, Ottavia tra i padroni di casa e l’avvocato Cappellini di fronte all’amico collega. La conversazione tra i commensali non tardò a iniziare; e così, in successione irregolare, mentre gli avvocati, entrambi appassionati di caccia, discutevano su questioni inerenti alla stagione venatoria ed Emma e Giorgio parlavano dei propri hobby, Ottavia e la signora Parisi si scambiavano tra loro ricette di gustosi piatti. Di tanto in tanto il padrone di casa si lasciava scappare qualche battuta spiritosa rendendo, in tal modo, allegra l’atmosfera. Tutti, tranne Ottavia perché astemia, non trascurarono di bere qualche bicchiere di vino; taluno forse più del solito, ma non tale da farsi vincere dall’alcool. Poco dopo aver finito di pranzare, le donne si apprestarono a mettere ordine in cucina per poi prendere posto accanto agli uomini che già, da parte loro, avevano cominciato a giocare a carte. Si giocava da qualche ora quando Giorgio, ultimato l’ennesimo giro di carte, propose alle ragazze: «Che cosa direste se andassimo a cercare delle castagne? Ho voglia di caldarroste».

    «Volentieri» rispose Emma.

    «Sì, ci vengo anch’io» soggiunse Ottavia.

    «Lei, avvocato» replicò Giorgio, «spero che ce lo permetterà».

    «Solo a patto che non indugiate molto» si limitò a rispondere il padre delle ragazze.

    Promettendo di ritornare presto, tutti e tre si avviarono verso il castagneto. Giunti sul posto, si misero alla ricerca delle castagne frugando anche tra le foglie. Ne aveva raccolto una certa quantità, quando Ottavia si accorse di aver perso di vista la sorella e Giorgio; vistasi smarrita, pur in presenza in quell’area di altre persone, chiamò ripetute volte i loro nomi senza sentire, purtroppo, alcuna voce risponderle. Udì, invece, un rumore di alberi che bruciavano e, voltandosi indietro, vide del fumo innalzarsi non lontano da lì. Pensando che si fosse trattato sicuramente di un incendio e che gli incoscienti vi si fossero avvicinati per curiosare, la ragazza si diresse a passo spedito verso quella direzione. Ma, non vide né Emma, né Giorgio tra le numerose persone che erano accorse per impedire che il fuoco si avvicinasse troppo a una villetta. Ottavia, non vedendo le persone cercate, tornò subito indietro e di corsa, nonostante per l’accresciuta preoccupazione si sentisse le gambe rotte; e stava per chiamare nuovamente la sorella quando, inciampando con un pezzo di legno, ruzzolò andando a sbattere la testa contro il tronco di un albero. Cadendo, la sua voce si tramutò in un forte grido.

    Intanto Emma e Giorgio, di certo non dispiaciuti di essersi casualmente separati da Ottavia perché fiduciosi di riunirsi con lei, presto e senza alcuna difficoltà, dopo aver riempito i loro contenitori di castagne, si erano seduti su un tronco d’albero posto lungo un viottolo da dove pensavano che sarebbe ripassata la ragazza. Seduti da alcuni minuti, continuavano a parlare di loro con pacatezza e guardandosi negli occhi; vicini com’erano, stavano per unire le labbra dell’uno a quelle dell’altra, quando udirono quel grido.

    «Sarà successo qualcosa a Ottavia!» disse Giorgio staccandosi di colpo da Emma.

    «Non è stata Ottavia a gridare» rispose Emma.

    «Io temo di sì» replicò Giorgio; «come ci presenteremo a tuo padre se a Ottavia è capitata qualche disgrazia!».

    «Oh no, stai pure tranquillo!» soggiunse Emma; «sono certa di non sbagliarmi. Mia sorella è troppo accorta perché possa trovarsi nei guai e poi di lei conosco bene anche le grida... e quello che abbiamo sentito non era il suo... Che lei in questo momento sia preoccupata lo credo bene, ma non potrà tornare a casa da sola... Ci attenderà, come concordato, all’ingresso principale del castagneto e si prenderà un rimprovero... Intanto, andiamo subito ad aspettarla là».

    «Mi auguro che sia come pensi tu» concluse Giorgio.

    Il forte grido di Ottavia fu udito pure da un giovane, accorso anche lui sul luogo dell’incendio, il quale, temendo che fosse successa una disgrazia a quella stessa ragazza che qualche attimo prima aveva visto allontanarsi di corsa, non indugiò ad accorrere in suo aiuto. Cercò un bel po’, ripassando pure più volte per uno stesso sentiero e stava proprio per tornarsene indietro, quando i suoi occhi si volsero verso colei per la quale si era impensierito. Ottavia, con i capelli rivolti in avanti che le nascondevano gli occhi, giaceva a terra vicino all’albero contro il quale era andata a sbattere violentemente la testa e non era ancora del tutto rinvenuta, nonostante fossero passati alcuni minuti dal momento di quella caduta. Il giovane si avvicinò subito alla ragazza, le sollevò delicatamente la testa adagiandola, quindi, sul suo braccio e le spostò i capelli dal volto; sulla fronte aveva solo una piccola graffiatura senza una goccia di sangue.

    «Signorina! signorina!» la chiamò il giovane, divenuto d’un tratto timoroso per essere capitato in una situazione abbastanza imbarazzante e, pensando che sarebbe stato meglio portarla in ospedale, le posò la testa a terra e si alzò per correre a chiamare qualcuno in suo aiuto. Ma non aveva fatto più di tre passi quando vide gli occhi di lei a poco a poco aprirsi; le si avvicinò nuovamente e, passandosi la mano per la fronte, bagnata di un insolito sudore, le disse: «Signorina, come si sente adesso? Oh stia tranquilla e non abbia paura di me... Ho temuto per lei come se fosse una mia sorella, anche se questa è la prima volta che la vedo... Si sarà certamente spaventata, ma in fondo deve reputarsi non tanto sfortunata se pensa che avrebbe potuto magari...».

    «Non aprire più gli occhi!» rispose Ottavia, rendendosi presto conto della gravità della caduta.

    Volle, quindi, alzarsi da sola, seppure non senza difficoltà; ringraziò il giovane e, dopo averlo rassicurato che sarebbe stata in grado di muoversi, lo salutò. Rispose il giovane al saluto e fece per andarsene. Ma Ottavia si era ingannata credendo di essere capace di camminare senza aiuto; il suo piede sinistro, impotente a sostenere il peso della persona, le procurava un forte dolore. In quelle condizioni non avrebbe potuto camminare da sola; senza perdersi d’animo, seppur con un comprensibile rossore in volto, chiamò il giovane che ancora non si era tanto allontanato: «Oh signor lei... Per gentilezza».

    «Torno subito» rispose il giovane e, tornando, affrettò il passo.

    «Non ce la faccio a camminare» continuò la ragazza con un tono di voce debole. «Sia così gentile da accompagnarmi fino all’ingresso del castagneto... Là, aspetterò mia sorella... Le ho chiesto troppo, lo so, ma il suo aiuto mi è indispensabile».

    «Sono a sua disposizione, signorina» replicò il giovane, porgendole il braccio.

    Camminando lentamente e, lei, a fatica, dopo aver fatto alcune centinaia di metri giunsero all’ingresso del castagneto senza vedere, tra le tante persone che stavano uscendo da quel luogo, Emma con l’amico.

    «Siamo arrivati» disse la ragazza puntando gli occhi in quelli del suo soccorritore. «Può lasciarmi qui senza alcun timore... Penso che mia sorella da un momento all’altro arriverà, visto che si era concordato che, nel caso ci fossimo separati, ci saremmo ritrovati qua... Non trovo parole per ringraziarla del suo gentile aiuto...».

    «Non è necessario che le cerchi» la interruppe il giovane. «Sono io che devo ringraziare lei per avermi dato l’occasione d’incontrare proprio... la ragazza che avrei voluto conoscere. Non posso, pertanto, lasciarla senza esserci prima presentati. Io mi chiamo Antonio... La Torre, di Acireale... per esattezza, di Aciplatani».

    «E io» rispose la ragazza quasi balbettando, «mi chiamo Ottavia... Cappellini... Anch’io abito ad Acireale, vicino al Collegio Santonoceto...».

    «Credo di aver capito» continuò Antonio; «se me lo permetterà presto mi farò vedere da lei».

    «Non so risponderle, anzi... glielo permetto» replicò Ottavia senza riuscire a nascondere di trovarsi in imbarazzo, «ma adesso può lasciarmi... Stia tranquillo... non voglio che lei perda altro tempo per causa mia... Ancora, tante grazie».

    «Senz’altro» concluse Antonio. «Ora sì che posso lasciarla; arrivederla signorina... anzi, scusa... arrivederci Ottavia».

    «Buonasera» rispose la ragazza, «buonasera... signor, anzi... arrivederci Antonio».

    Si lasciarono senza dire nessun’altra parola. Sedutasi su un muretto, Ottavia stette ad attendere fiduciosa l’arrivo della sorella e di Giorgio, così come era stato precedentemente concordato. Non dovettero sicuramente trascorrere tranquilli, per la ragazza, quei momenti d’attesa, dal momento che si presentarono contemporaneamente nel suo animo diversi e contrastanti sentimenti: di preoccupazione, di dolore, di gioia. Fortunatamente erano passati solo pochi minuti quando Ottavia vide arrivare Emma e Giorgio, entrambi vistosamente agitati e seriamente preoccupati. La povera Ottavia non ebbe neanche il tempo di spiegare loro quanto le era capitato perché fu subito investita da una gran quantità di violenti e pesanti rimproveri da parte della sorella, tale da restare per qualche attimo ammutolita. Ma pianse. Soltanto dopo averla severamente rimproverata, Emma notò che la sorella aveva un graffio sulla fronte e che, nello stesso tempo, si muoveva con difficoltà. Le chiese scusa e si dispose ad ascoltarla mentre tutti e tre si avviarono verso casa dove, fra gli altri, particolarmente preoccupato e impaziente già da un bel po’ di tempo, li aspettava il padre delle ragazze. Ottavia, che durante la strada di ritorno era riuscita a raccontare la sua disavventura, giunta a casa non fu capace, per quanto si sforzasse, di riferire interamente quanto le era capitato al padre; per lei completò il racconto la sorella. Intanto, la ragazza venne fatta sdraiare su un divano perché si riposasse un po’ e per consentire alla signora Parisi di prestarle adeguate cure; il padre, comunque, si riservò di fare effettuare opportuni accertamenti medici, una volta ritornati a casa. Qualcuno di loro poi, così, casualmente, accennò alle castagne. Non ne avevano portate non perché non ne avessero trovate, ma per quanto era successo: Ottavia le aveva lasciate a terra al momento della caduta; Emma e Giorgio le avevano buttate per rabbia, allorquando si erano accorti di essere veramente preoccupati per Ottavia.

    Intanto stava scendendo la sera e i tre ospiti, dopo aver ringraziato e salutato gli amici, si apprestarono a far ritorno a casa.

    Quella giornata volgeva al termine. Per Ottavia era stata proprio brutta? Forse sì... o... forse no. Di sicuro, quanto quel giorno capitatole avrebbe segnato, nel bene e nel male, il suo destino.

    Capitolo II

    I giorni che seguirono furono gradualmente determinanti nell’accelerare quella svolta radicale nella vita di Ottavia, il cui primo segno si era manifestato al momento dell’incidente nel castagneto. Essi non le sembravano più noiosi e non le era più fastidiosa e insopportabile la presenza stessa dei suoi congiunti. Un senso di serenità la pervadeva al punto da farle accettare e ammirare tutto ciò che, da un po’ di tempo a quella parte, aveva disprezzato se non proprio odiato. In breve, si sentiva serena perché era felice e felice perché innamorata. Quel giovane, Antonio, aveva mantenuto fede al suo proposito manifestato proprio in quella triste

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