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Il regno del Plin
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Il regno del Plin

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About this ebook

Questa è la narrazione, con parvenze a tratti grottesche, della Restaurazione, nell’ Italia odierna, di un Regno, di cui sono emblema i «ravioli del Plin», una delizia della gastronomia del Piemonte. La regione dove, assieme alla Liguria, la vicenda ha origine, e si svolge a partire dai suoi risvolti più oscuri e drammatici.Il romanzo si forma nell’intreccio e delinea, con vividezza di chiaroscuri, la corruzione e gli intrighi, le invidie e i tradimenti, le guerre e le intese, gli amori e gli odi, le verità e le bugie di un humus di provincia.Tra le Langhe e il Monferrato, giungendo al mare della Riviera, la psichiatria si irradia in una diretta streaming, ne travolge i protagonisti, colti nel momento rivelatore dello sfascio morale e sociale inoculati dai miti falsi di un’era in cui convivono, contraddittoriamente, antico e moderno.Vige lo scontro fra le ragioni del potere nel Deep State, lo Stato Profondo, quelle di un’illecita organizzazione, con ramificazioni affaristiche impressionanti ovunque, e una zona grigia, sempre più ampia, in cui risulta improbodistinguere un’onestà residua.Con il tam tam mediatico, tramite gli apparentemente innocui social network, si scatena una lotta perversa, condotta a colpi di app e nuove tecnologie, i mezzi creati ad arte per manipolare le opinioni e orientare i consumi.È come una fogna che nasconde insidie, brutture e un fascino sinistro.Un tragico epilogo proclamerà la caduta di tutto nel silenzio e nell’oblio. E guardando a come in questi anni è andata o poteva andare la storia, tutto diventa plausibile, maledettamente verosimile.
LanguageItaliano
PublisherGPM EDIZIONI
Release dateJan 28, 2021
ISBN9791220256759
Il regno del Plin

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    Il regno del Plin - Antonio Rossello

    Antonio Rossello

    IL REGNO DEL PLIN

    IL REGNO DEL PLIN.

    Antonio Rossello

    GPM EDIZIONI

    www.gpmedizioni.it

    Prefazione di Sergio Bevilacqua

    e immagini di Igor Belansky

    In copertina:

    L’incoronazione, china su cartoncino, 15x21, 2020, Igor Belansky

    Dello stesso autore le altre immagini riportate nel volume.

    DISPONIBILE ANCHE IN FORMATO E-BOOK

    Sergio Bevilacqua. Sociologo dell’Arte e della Letteratura. Fondatore della Sociatria. Il suo sito ufficiale: https://ibuc.it/ibuc/products-category/sergio-bevilacqua/

    Igor Belansky, illustratore, genovese, classe 1968, diplomato del Liceo artistico, partecipa a mostre e collabora stabilmente con testate giornalistiche online.

    Quest’opera è esclusivamente frutto della fantasia dell’autore. Ogni riferimento a persone esistite, esistenti o a fatti accaduti è puramente casuale

    La storia del seguente volume è stata ispirata da Elisa Gallo

    © Copyright 2021 -Tutti i contenuti (Testi, foto, grafica) presenti all'interno di quest’opera sono proprietà di Antonio Rossello e sono protetti dalla normativa sul diritto d'autore, senza il consenso del quale, non potranno quindi essere tutti o in parte pubblicati, riscritti, distribuiti, commercializzati.

    PREFAZIONE

    INCORAGGIAMENTO ALLA LETTURA

    DI UN PULP POLITICO-GASTRONOMICO

    di Sergio Bevilacqua

    Il Regno del Plin è da considerare un pulp politico-gastronomico: la varia miscela di elementi in cui Rossello cala la sua trama distoglie da ogni considerazione logica e politologica.

    Il libro è godibilissimo e in alcune parti esilarante. Denota le abilità dello scrittore nel muoversi in un universo di apparenze, senza raccordo con la realtà organica, la quale viene ridotta a elementi materiali estremi, edili, tecnologici, burocratici, comunicazionali, geografici, e di ricondurre tutto il resto a una sorta di lasagna, farcita di ogni tipo di curiosità. A testimonianza di tale lasagna, i nomi dei personaggi, tutti presi dalla gastronomia piemontese, che si fondono, come un ragù, con la besciamella di casi personali e politici di mestatori, concussi e corrotti, faccendieri in una terra che forse si vuole ricondurre allo sfascio dell’Italia odierna. Difficile identificare il capo e la coda di un’opera così immaginifica e comico-grottesca. Potremmo ascriverla al genere dei divertissement da accolita di intellettuali annoiati, senza fiducia verso il futuro e senso di responsabilità per l’esistente. Oppure a una sorta di colorita e disimpegnata critica politico-morale, ove spiccano non i progetti di vita istituzionale, ma le goffe silhouette dei personaggi, ridicoli e caricaturizzati e il gioco letterario con elementi specifici come la burocrazia, l’organizzazione dei media, il potere, in un apparentemente consapevole atteggiamento di delirio.

    Nessuno si salva nello spaccato civile del Regno del Plin restaurato. Tutti marci, stupidi, esteriori, interessati, traditori, violenti, con congiunzioni che scatenano in alcuni passi dell’opera incontenibile ilarità, come la rapina condotta da Porcino, eloquente cognome del forse protagonista, a una banca svizzera appena di là dal confine di Como-Chiasso, come primo concreto tentativo di salvare il restaurato Regno del Plin del monarca Bagnacauda dalla bancarotta. L’establishment governativo putrescente e la cauta, opportunistica opposizione, rappresentata dal sociologo Libero Sputafuoco che, a disonore di una disciplina ormai inidonea all’oggi, si vende anch’egli al potere dominante per una poltrona, sono il nodo scorsoio in cui nell’opera si strangola il buon senso, il senso civile e la sana visione manageriale della politica e della democrazia.

    Nessuna speranza, dunque. Una civiltà umana stritolata dalla povertà mentale e da poteri provinciali e grossolani, mentre una sorta di brigata ebete del Deep State, disancorata dal potere civile in cui la coscienza istituzionale lo vuole radicato, si comporta come una specie di massoneria incappucciata, tra il Ku Klux Klan e Sturmtruppen: all’assalto, Tigrotti delle Langhe, sembra invocare un ideale Sandokan gonfio di vino Barbera, mentre la giungla piemontese e del nord-ovest italico intorno produce ogni tipo di nequizia, escluse le pregevolissime ricette e notazioni gastronomiche, per fortuna molto frequenti.

        i.PROLOGO

    (Casa di correzione e pena della Torre di Vengore,

    Roccaverano, 2 giugno 2022)

    Ho la matricola No. 117111. Mi lasciai rinchiudere in questa torre duecentesca, un luogo che non potete immaginare e del quale non parlerò molto spesso, per sfuggire al maleficio che mi perseguitava. Le mie emozioni restano ora a galleggiare nella mia anima come tante domande mute, come tante piccole voci che mi porto dentro.

    Riecheggiano una vicenda di cui sono l’unico sopravvissuto. I miei ricordi sono trascritti su fogli sparsi qua e là nel tempo. Qualcuno un po' offuscato ma altri ancora nitidi. Non sono nemmeno più capace di dare un ordine cronologico preciso agli eventi. La fantasia riempe spesso i buchi della trama.

    Me ne rendo conto, ma non credo abbia molta importanza: la memoria degli uomini è corta. Se non fossi il misogino eremita che mi ritrovo a essere, probabilmente non mi perderei in tutto quest'onanismo psicologico.

    Ma tale sono o da tale mi comporto perché mi hanno ridotto a credere di esserlo. Oggi non si celebra ormai più la festa nazionale della Repubblica ma è l’anniversario della sua Caduta. I restauratori dell’ordine precedente hanno promesso di rimettermi in libertà.

    Così, entro sera potrò finalmente uscire e prendere il primo treno per andare incontro al mio folle destino. Ma è meglio intanto che mangi quella che sarà qui dentro la mia ultima ciotola di ravioli del Plin e barbera: il premio che nelle grandi occasioni danno a chi dà veramente prova di essersi convinto della bontà del nuovo sistema.

    Matricola No. 117111 prigioniero a Vengore, china su cartoncino, 15x21, 2020, Igor Belansky

    ii.UN DESTINO SOSPESO

    (inizi agosto 2013)

    Il mese più torrido era arrivato. In Piemonte, il lungo periodo di siccità stava rendendo critica la situazione degli alpeggi; forti erano anche i timori per la raccolta di frutta, uva e nocciole. In Liguria, si aggiungeva invece l’incubo degli incendi. Con la mente invasa a tratti dalla bellezza dei paesaggi di queste due regioni, sudando come un pulcino, aveva trascorso intere giornate a fare progetti futuri.

    Il suo era rimasto a lungo un destino sospeso, un gioco da equilibrista fra la terra e il mare. Aveva da poco compiuto una scelta di vita, se così la si poteva definire. Consisteva nel fatto che egli, rinunciando alla tranquillità di una mansione imboscata, o comunque da pensionando, avrebbe cercato di essere formalmente incaricato di una delicata indagine. Nella fattispecie, il suo superiore diretto, il Reggente compartimentale di Roccaverano, un po’ temendo conflitti di competenza territoriale con l’omologo parigrado di Albisola e un po’ conoscendo il pollo, e i suoi trascorsi non proprio eccellenti, gli aveva al momento concesso soltanto un benestare semiufficiale ed un congruo periodo di dispensa dai servizi ordinari.

    Così lui, più che altro per spirito d'iniziativa individuale – ma chi fra i suoi colleghi avrebbe ambito a prendersi una simile rogna? – aveva iniziato a mettere il becco in un caso di cui, quasi fosse stato un vizio intrinseco, era stato testimone, fra tanti, come utente multimediale. Ripercorrerne lo sviluppo dei fatti nella sua allenata memoria di segugio, lo avrebbe fatto presto dubitare di sé stesso. La sua percezione del tempo, dello spazio, della prossemica delle persone implicate era stata evidentemente relegata al campo limitato di una diretta streaming.

    A questo stadio delle indagini, ogni dettaglio mi può essere utile per chiarire fino in fondo la dinamica dell’accaduto e soprattutto il movente, lui aveva pensato.

    E, per benino, poi aveva iniziato a scrivere note sul proprio tablet, dando prova del suo talento grafomane.

    La conduttrice riversa in mezzo alla platea. Il viso spento in una smorfia grottesca, le palpebre rinserrate in nere fessure cinesi, schiuma rosea alla bocca. Attimi di imbarazzo, più che di panico, si susseguono a ritmo vertiginoso sul monitor. Una voce sovrasta dialoghi tumultuosi: ... Regia! Interrompete la diretta!

    Ovunque, in ogni casa, in ogni angolo, ci sia un ci sia un computer al sito, lo schermo diventa scuro buio, quindi, in un lampo, echeggia un jingle triste, inusuale, solo armonica a bocca, e in sovraimpressione appare finalmente la scritta: "Sito fuori uso. Il problema tecnico sarà risolto nelle prossime ore».

    Un rapporto come quello, che stava redigendo sulla base di flussi di memoria, riportava informazioni obiettive, sebbene intrinsecamente potesse essere oggetto di manipolazione letteraria nelle parti più lacunose. Per tale ragione, fautore ostinato della propria credibilità, volendo fiutare l'aria in cerca di altri elementi importanti, il nostro era pertanto ritornato da qualche ora sulla ribalta del fattaccio.

    La Pubblica Sicurezza aveva attuato un piano-security delimitando l’area circostante, per non consentire ai media di occuparsene a lungo, nemmeno con droni dotati telecamera in cerca di qualche succosa ripresa. Al di là della sua indignazione di facciata, una certa intellighenzia si era immediatamente prodigata affinché la vicenda fosse sommersa nel massimo riserbo.

    E lui, senza fiducia nelle istituzioni ma sfegatato paladino di verità e giustizia al punto d'impegnarsi solo dove c’era puzza di bruciato, sembrava stanco e ancor più smunto, aggirandosi in quello studio di produzione deserto, tornato ora ben rabberciato. Immaginò come potesse essere stato subito dopo l’accadimento, quando era parso emergere l'impeto fiammeggiante d'uno spettacolo pirotecnico...tutto in frantumi, come vi fosse passato un uragano. Peggio di una tempesta di grandine in Langa capace, in meno di mezz'ora, di portarsi via il lavoro in campagna di un anno.

    Realizzò, da particolari trovati come tra antiche rovine, che prima le file di sedie salissero diagonalmente dal livello del pavimento e in mezzo vi fosse un palco con due sedie anteposto ad uno scenario verde brillante. Con il suo fare da investigatore navigato, il Capitano Trifola non era riuscito a resistere alla tentazione di tornare di nuovo, senza preavviso. Fiutando come un cane da caccia con le narici l'odore della preda, avrebbe voluto scoprire indizi - schizzi di sangue rappreso, probabilmente – del tragico evento di due settimane prima. Quello, per intenderci, dello studio di produzione, che tanto lo intrigava perché per lui era un enigma. Voleva gestire da solo tutta la faccenda. Però non doveva avere fretta. Non avrebbe potuto certamente di tracce o testimonianze affidabili, ma gli restava la possibilità di reperire registrazioni dello streaming multimediale.

    Sapeva di essere già compromesso per il suo accesso, più propriamente classificabile come irruzione, senza un vero e proprio mandato, sul set della diretta e, se l'avessero denunciato, poteva subire un rigoroso procedimento giudiziario, fino al limite di essere persino passato per le armi per eccesso di iniziativa personale. La proprietà della Web TV, conoscendolo per la sua fama di rompicoglioni di prima categoria, ancora peggio di tutti quei segaioli della scientifica messi insieme, gli aveva in realtà concesso scarso credito, malgrado le sue caparbie insistenze. Si era così fatto per l’ennesima volta l’idea di non essere stato anche in quella sede malvisto e mal sopportato per via del suo passato. Erano letteralmente rimasti tutti a bocca chiusa! E se n’era dovuto andare via con le pive nel sacco. Ma d'uopo sarebbe stato rassegnarsi per un segugio della legge in cerca di tracce giuste da fiutare? Se non altro per non farci la figura del fesso, uno che sitava come una chiavica. Costretto fin troppo a vivere nell' ombra, perseguiva l'agio di smascherare i maneggi d'una trama non più a lui occulta, ma palese, facendola cessare di essere una piaga sociale. In tanto zelo indomito, poteva magari celarsi qualche motivo in più: una quasi insana curiosità o una forma di personale vendetta?

    Per di più, tra le sue tante manie capricciose annoverava anche quella, davvero bizzarra per un uomo di legge, di annotare le proprie riflessioni, sperando che in tal modo lo aiutassero a districarsi nel labirinto di mille domande e di pensieri contraddittori, la quale era divenuta la sua ossessione. Se soltanto le avesse lette un qualunque galantuomo di suo superiore, le avrebbe considerate alla stregua intelligenti di follie di un Don Chisciotte impersonato fino in fondo, fino alla morte e alla sepoltura.

    Questi erano i presupposti in base ai quali si era accinto a stendere la sua relazione, al di là di ogni aspetto importante a giustificarne, in termini amministrativi, la redazione. In tal senso, per stabilire un punto di partenza su cui, ragionevolmente, non sembrassero esservi dubbi, Trifola sentenziò allora a sé stesso: Potremmo dire che tutto prese avvio in un tranquillo primo pomeriggio.

     III UN TRANQUILLO PRIMO POMERIGGIO

    (21 ottobre 2011), verso le 14

    Siccome non voleva appesantirsi con piatti fritti e troppo conditi, aveva evitato di pranzare alla mensa, portandosi una banana da casa. Si slacciò la camicia della divisa svincolando i bottoni dalla morsa degli occhielli, arrotolò le maniche e si sfilò le scarpe. Poi tirò via i calzini e, più che mai incapace di ragionare su di sé, sul proprio destino, si sdraiò sul suo sgangherato canapè che gli prometteva il riposo dei beati.

    Nell'angusto ufficio l'ora di pranzo stava già trascolorando nel primo pomeriggio. Sprofondato nella penombra dell'ambiente, lui così cadde in quel soporifero letargo, che costituiva uno dei privilegi derivanti dalla sua lunga parentesi di servizio nell’Amministrazione in quel di Albisola. Si trattava da sempre di uno degli aspetti della una normalità che scandiva il tempo nella piccola Stazione di vigilanza costiera della Pubblica Sicurezza. Essa era situata nel fabbricato, piuttosto fatiscente, adibito a stazione ferroviaria, lungo il vecchio tracciato a binario unico della linea Genova-Ventimiglia, fino al 1977.

    In quell’anno, poi, era stata dismessa insieme al relativo tratto di ferrovia a causa dell’entrata in servizio del nuovo tratto a doppio binario, ancora funzionante ma ritenuto insufficiente per le più recenti esigenze. Con la sua vista a mare, questo luogo non aveva mai rappresentato per lui il centro di segregazione a cui lo avevano destinato - invidia? Macché, solo un pochino -i capi per punizione. Anzi, qui, senza volerlo, aveva avuto l’occasione di fare indirettamente conoscenza con una realtà pericolosa e molto più grande di lui.

    E questo perché si era potuto dedicare alla lettura di migliaia di fascicoli, nei quali figuravano notizie che avevano un legame con tanti misteri del passato. della vita pubblica e privata non solo di politici, imprenditori e militari. In essi compariva una schiera di implicati in complesse macchinazioni ordite dall'insieme di quegli organismi, legali o meno, che grazie ai loro poteri economici o militari o strategici condizionano l'agenda degli obiettivi pubblici, di nascosto e a prescindere dalle strategie politiche degli Stati del mondo, lontano dagli occhi dell'opinione pubblica.

    Al secondo piano di quell’edificio che svelava la bieca faccia delle istituzioni, oltre un pennone arrugginito da cui penzolava una bandiera sbrindellata, v’era dunque il suo ufficio. Dottor Erminio Trifola di Mango, ufficiale come i più venuto dal Piemonte, laddove era nuovamente prevalso il costume della cooptazione dei rampolli delle rinate nobiltà locali negli alti ranghi delle Forze Armate e della Pubblica Sicurezza.

    Primo tassello della sua difficile e tortuosa carriera era pertanto stato di aver praticamente vinto d’ufficio tanti anni prima un concorso bandito dall’allora Polizia di Stato ed ora ritrovarsi senza rimpianti al servizio della Pubblica Sicurezza. Era stata la conseguenza del processo di ristabilimento del potere da parte di un sovrano assoluto e del tentativo anacronistico, in seguito alla volontà di mettere in quarantena malapolitica e malaffare una volta per tutte, di ritornare in Italia all'Ancien Régime precedente alla Repubblica. La cura draconiana di tutte le magagne storicamente vigenti moltitudine dei polverosi uffici pubblici, sia ai livelli intermedi che a quelli massimi, che noti advisor, obbedendo a una labirintica legge che non ammetteva intralci, si erano sbizzarriti a raccomandare e poi fare imporre al governo era consistita nella trasformazione e ridenominazione di tutti gli Enti statali e locali.

    Ecco l’emblema del nuovo corso, il logico e naturale effetto del profondo cambiamento politico avvenuto con l’attuazione completa della «Restaurazione del Plin». Una procedura surreale, in cui prima era stata presa la decisione finale e poi montato un percorso ad hoc per mostrare un simulacro di legittimità.

    Tutto ciò alla fine era stato di scarsa importanza per Trifola, buon militare ligio al dovere di mantenersi estraneo alla politica. Il servizio era sempre lo stesso. Anche l’umanità con cui aveva a che fare non era nel frattempo mutata. Soprattutto, la comodità del posto pubblico e fisso aveva mantenuto il suo fascino, in quanto, seguendo gli alti principii a cui si era sempre inspirata, l’Amministrazione aveva continuato a pagare lo stipendio ai propri dipendenti e sovvenuto tutte le iniziative civiche e patrie di assistenza. In quest’immarcescibile realtà (e icona) nazionale che nessuno avrebbe ormai osato relegare a fenomeno trash, Trifola on aveva dovuto mai pensare troppo al proprio passato, presente e futuro. Ma non era felice. Questo cortocircuito interiore era andato avanti a oltranza, finché non l’aveva visto, compreso, interrotto. Cosa c'era che si interponeva tra lui e la realizzazione del suo benessere?

    Ebbene quella giornata del piovoso ottobre del 2018 era andata abbastanza bene, e Trifola non aveva voglia di rovinarla. Lui decise pertanto che era abbastanza sereno per raggiungere quella pura consapevolezza di sé che trascende la mente e la cui realizzazione può essere agevolata da apposite tecniche Si sentì più a suo agio del solito nel constatare l’assenza di alternative che gli avrebbe offerto protrarre la sua permanenza in quel dimenticatoio.

    Egli aveva appena finito scrivere una richiesta di trasferimento. Ambiva, o meglio sperava, di essere assegnato al comando di Bubbio, dove gli sarebbe stato possibile di concludere più decorosamente la sua carriera. Seppur non lontano dai suoi luoghi d’origine, nonostante le sue distese verdeggianti di noccioleti alternati a vigneti ubertosi, non più il solito piccolo paese dove non c'è proprio nulla, il centro della Langa astigiana non era certamente un posto che gli piacesse molto, ma - ubi maior minor cessat? - in quella decisione c'era stato lo zampino della moglie. Ognuno aveva la sua croce e lui male sopportava la donna a cui si era legato attraverso una di quelle unioni tra appartenenti a famiglie nobili, anche semi decadute, che erano spesso decise alla nascita dei futuri eredi. Spesso tali matrimoni venivano anche celebrati ancor prima che gli interessati fossero in grado di capire cosa stessero facendo. Quando i tempi erano divenuti maturi, se non decotti, la cerimonia sacra si era tenuta in forma privata, con ristretta presenza di pochi e selezionati ospiti, nella cappella della residenza estiva della famiglia di lei o forse – chi più se lo ricordava? - al Santuario dei Caffi, in quel di Cassinasco.

    Un paese tra i più belli della Langa Astigiana, uno migliori punti panoramici di una zona, da cui la visuale, sulla dorsale che va in direzione di Loazzolo, si apre sull’arco delle Alpi e della Valle Belbo a destra. A sinistra, invece, lo scorcio degli Appennini Liguri e della Valle Bormida, ove da Monastero Bormida mancano 22 km a Cortemilia e con qualche saliscendi si passa nei paesi di Bubbio, Cessole e Vesime.

    Di certo, Trifola non avrebbe avuta alcuna intenzione di sposare una lontana cugina, praticamente un'estranea, se non fosse stato perché tutti in famiglia lo avessero ritenuto la cosa più opportuna da fare. Insomma, per lui, nonostante gli innumerevoli tentativi di cambiare la propria indole conoscendo la propria natura, sarebbe stato meglio restare celibe per tutta la vita.

    Aveva poi cercato a fatica di mantenere la fedeltà coniugale, soltanto perché ad un certo punto era stato tempo di mettere a tacere certe voci, prima che potessero ulteriormente pregiudicare la sua carriera in polizia. Per la signora, proveniente da una dinastia di spiantati di sangue vagamente blu, il matrimonio aveva invece la facile occasione di evacuare finalmente dal guscio della provincia piemontese, approfittare dei suoi studi ancora freschi per trovare un posto fisso partecipando ai concorsi per i quali era richiesto un blasonato calcio in culo più che la laurea in giurisprudenza.

    Innamorata o meno, non si era curata minimamente delle malelingue di corte che la criticavano subdolamente. Malignavano che quella del suo malandato casato non fosse stata altro che una messinscena per spillare al promesso sposo, confidando in una rapida dipartita dello stesso, non solo un po' di soldi ma una lauta eredità di figlio unico: case, orti, quadri…quasi mezzo paese.

    Ecco chi era la donna ostinata a cui non aveva potuto fare obiezioni, nel momento in cui lei gli aveva intimato che doveva andare via finalmente da Albisola. Sapeva che avrebbe definitivamente rinunciato della città dei papi: Sisto IV (Francesco Della Rovere), che veniva da Celle Ligure, e Giulio II (Giuliano Della Rovere), nipote del primo, da Albisola, ma entrambi della famosa famiglia savonese. Personalità eccelse che avrebbe desiderato studiare in ogni singola vestigia, immortalare nella sua mente appassionata di storia antica. Il pensiero dominante di Trifola era però divenuto quello di assecondare la, talvolta cornuta, consorte.

    Dunque, via da questa Comprensorio, in cui stava in servizio e senza fortuna da troppi anni, ma di cui aveva imparato a conoscere il tipico vento da sud. Rendendo difficoltoso persino respirare, già alle dieci del mattino, aveva cominciato a soffiare un vento caldo, libeccio o scirocco, lui non se ne intendeva molto, che portava con sé i rumori del porto antistante e le sirene dei piroscafi che lasciavano gli ormeggi.

    Proprio incurante dell’insistente fischio di un rimorchiatore salpato alla volta della rada, Trifola smise quindi di cogitare. Seduto alla scalcagnata scrivania che misera campeggiava davanti ad un finestrone semiaperto, fu distolto dal trillo del vecchio cellulare imboscato in un cassetto. Era un rito che si ripeteva ogni giorno. Alle tre del pomeriggio, sua moglie gli stava telefonando in ufficio, e lui aveva finito con il pregustare quel momento come il più angoscioso della sua giornata.

    iv.  UN MÉNAGE CONTROVERSO

    (21 ottobre 2011), verso le 15

    Momenti angoscioso sì, ma impregnato di improvvisi cambi d'umore, come nubi in avvicendamento rapido. Come profondi silenzi chiusi in vuoti di nicchie, assordanti. Com'era assordante, una volta raggiunto dai trilli della coniuge, balzare virtualmente al centro di un meccanismo scenico di una tipica una relazione isterica di coppia, prodiga di equivoci, imposture, se non infedeltà. Oh, sì! Ma vedete, tra i due c'era una bella differenza di età. Nella sua bruttezza, non solo prettamente fisica ma spesso interiore, d’altra parte, se non gelosa, ma farnetica e scimunita assai più dell’attempato coniuge, la madama Trifola credeva di sopravvivere meglio in funzione della conferma quotidiana che lui non fosse a gozzovigliare con qualche amichetta nei dintorni. Anche se onestamente non riponesse più molta fiducia nel cellulare. Il Lupo perde il pelo, ma non il vizio. Mai detto era stato più azzeccato!

    Oh, tesoro!, esordì la donna con voce stridula, che non volò nel vento, ma restò in qualche stanza dell'Ufficio Tributi, il quale conservava pressoché immutata ancora la sua, tanto cara ai contribuenti, denominazione. Guarda caso, sede secondaria di Bubbio, subordinata al centro provinciale di Roccaverano, che era costantemente presidiato con i carri armati perché non fosse turbata con aggressioni di un popolo esasperato, la parata degli avvoltoi di Stato.

    Senza impegnare tutta la volontà nel rispondere alla chiamata, uomo dai movimenti bruschi, da marionetta disarticolata, Trifola fece scivolare rumorosamente la sedia sul pavimento. Quindi, si alzò e si spostò vicino alla finestra ove c’era più campo.

    Ah! Ciampòrgna ... devi fare la spesa? le domandò lui, lentamente.

    "Sì, bonòm , ho solo mezz'ora di tempo e tante cose da comprare. Mi cronometrano al lavoro. Ehm... vedi di farla

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