The First Boy Il Cigno Nero
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The First Boy Il Cigno Nero - Cristiano Pedrini
presente
Capitolo Primo
Il primo giorno
Scavare in quel mucchio di rifiuti abbandonati sul ciglio della strada, guardarsi attorno nella speranza che nessuno potesse vedermi. Sussultare per ogni piccolo rumore che faceva sprofondare il mio cuore nel terrore, sforzarsi di riconoscere ogni ombra che la luce della luna, alta in cielo, proiettava attorno a me.
Quante sensazioni mi accompagnavano ogni volta che mi avvicinavo a quel luogo. E anche se per molti quell'ammasso informe rappresentava lo scarto della società, per me era una miniera preziosa a cui attingere per saziare la mia fame. Mi ritrovavo a gioire davanti a una crosta di formaggio a un tozzo di pane raffermo, a uno spicchio di mela, che integravano in qualche modo quel poco che riuscivo a raccogliere nella foresta.
Per mia fortuna, l'inciviltà di alcuni aveva trasformato quel luogo sul ciglio della strada, a pochi passi dalla rigogliosa vegetazione che mi teneva al sicuro da giorni, in una discarica a cielo aperto che veniva rifornita di continuo, aumentando le mie speranze di sopravvivere.
Capitava a volte che, conclusa la mia ricerca, l'ansia e la paura si esaurissero come per magia, lasciando posto a un senso di sollievo per essere di nuovo riuscito a passare incolume un altro giorno. Mi sedevo ai piedi di un albero, con lo sguardo fisso al cielo limpido, nel quale spiccava timida la luna. Senza volerlo mi ritrovavo a domandarmi quale desiderio avrei potuto esprimere, nella speranza di vederlo avverato. Era lo scampolo di una fantasia che ancora non era stata vinta dagli eventi crudi e inesorabili a cui la sorte mi aveva sottoposto. Recriminare non serviva a nulla, l'unico da incolpare per quella situazione ero solamente io. La mia venuta, in quel mondo, era stata guidata solo dalla presunzione di sapere cosa fosse giusto, ignorando la storia e il passato di quella parte di me che aveva offuscato il mio giudizio, facendomi commettere un errore dietro l'altro… Errori a cui ora non sapevo rimediare…
Noah si lasciò vincere dalla stanchezza di quella giornata infinita, simile a molte altre che aveva vissuto dalla sua fuga… la flebile speranza che si sarebbe destato in un mondo diverso accompagnò i suoi ultimi pensieri.
***
Il Vice Ammiraglio Albert Hood amava fissare le onde che si aprivano davanti alla prua della sua nave, lasciando che un mix di orgoglio e soddisfazione animasse i suoi pensieri. Del resto, la Uss New York era una delle navi anfibie più grandi e potenti in servizio nella marina americana, le sue venticinquemila tonnellate e le sue forme squadrate incutevano un sano rispetto e il suo armamento era un valido deterrente per tenere a distanza ogni tipo di malintenzionato. L'uomo, un vecchio lupo di mare con una carriera ormai trentennale, era originario del nord del Texas, nato e cresciuto nella piccola cittadina di Perrynton, a uno sputo dal confine con l'Oklahoma. Spesso si domandava come aveva fatto un ragazzo nato a oltre seicento miglia di distanza dal mare ad arruolarsi in marina, raggiungendo quella importante posizione. Poi si ricordava che anche una leggenda come l'ammiraglio Nimitz, eroe della guerra del Pacifico, era un suo conterraneo.
Aveva supposto che il compito della sua unità, scortata da un cacciatorpediniere di classe Arleigh Burke, il Dewey, fosse quello di mostrare la bandiera e garantire la protezione della missione delle Nazioni Unite, che da un mese aveva assunto il controllo dell'isola nell'Oceano Pacifico. Fine diplomatico e abile negoziatore, Hood era stato facile profeta, ma un piccolo particolare era sfuggito alla sua perspicacia. C'era un ospite che, suo malgrado, aveva dovuto accogliere a bordo e con esso il suo piccolo seguito che occupava le cabine sul ponte A, a poca distanza dalla sua. Lo aveva visto di persona solo una volta, a un ricevimento alla Casa Bianca. Era accanto al Presidente e non riuscì ad evitare di immaginare che tutte le voci e le illazioni sul loro rapporto fossero vere. Il suo comandante in capo non aveva alcuna remora a tenersi accanto quel ragazzino che tentava di ricoprire un ruolo che molti mass media gli avevano tributato forse troppo in fretta.
L'ufficiale appoggiò le braccia sul bordo del parapetto osservando attorno. Certo era lieto che Christopher Lowen avesse salvato il Presidente, ma il suo apprezzamento non andava oltre, e ora si ritrovava a scarrozzarlo per l'Oceano. A quel compito se ne aggiungeva un secondo, molto più impegnativo: garantire la sua protezione in una delle zone più rischiose del pianeta. Fortunatamente l'idea che restasse a bordo della New York per tutta la durata della missione, eccezion fatta per una breve visita a terra, lo rassicurava.
«Buongiorno ammiraglio», udì una voce giungere alle proprie spalle. Si voltò osservando Christopher uscire dalla plancia di comando, cosa che suscitò in lui un'espressione di fastidio. Aveva raccomandato ai suoi sottoposti in più di una occasione che a quel ragazzo fosse suggerito di non entrarci, ma a quanto pare il suo ascendente e quel sorrisetto scanzonato che sfoggiava continuamente riusciva a far breccia nella rigidità del protocollo. Lo vide asciugarsi la fronte madida di sudore con la salvietta che aveva al collo.
«Signor Lowen. Alle tredici approderemo ad Atlantia. L'Alto Rappresentante Koller ci ha comunicato che la attende con impazienza a Nuova Roma», lo informò avvicinandosi.
Christopher appoggiò le mani sul parapetto inspirando l'aria salmastra del mare. Ancora non riusciva a credere di aver convinto Lawrence a spedirlo in quel posto, lontano diecimila chilometri da casa, ancora gli tornava alla mente quella giornata in cui tutto era iniziato.
Ogni attimo di quel che aveva visto, sentito e provato era il frutto di scelte che il suo compagno aveva condiviso con lui. Quello che gli aveva rivelato gli aveva ricordato quanta responsabilità avesse sulle spalle e lui si sentiva così piccolo, come un ragazzino che si intestardiva a voler restare accanto all'uomo più potente del mondo e che credeva di poterlo, rassicurare con la sua sola presenza.
Che ego smisurato. Tre parole che si era ripetuto decine di volte anche quando era entrato nella grande aula del Congresso degli Stati Uniti. Era rimasto a pochi metri da Lawrence che si era avvicinato al podio salutando il Presidente dell'assemblea che contraccambiò con un cenno del capo e un sorriso rasserenante. Era la prima volta che entrava in quella grande sala; alla fine si era lasciato convincere ad accompagnarlo perché era l'unica cosa giusta da fare, voleva restargli vicino in un momento così importante per la sua carriera politica e forse anche perché Lawrence non avrebbe accettato un semplice no. Non poteva offrirgli chissà quale aiuto, ma in qualche modo si sentiva sereno nel sapere che Lawrence avrebbe potuto in qualsiasi momento distogliere lo sguardo dal discorso che si era preparato e indugiare sul suo sorriso benevolo. «Per tutti ormai tu sei il first boy, sanno che sei l'unica persona dalla quale non potrei mai separarmi» gli sussurrò mentre stavano raggiungendo il Congresso in automobile.
«E per te… cosa sono?» gli chiese fissandolo intensamente negli occhi, attendendosi la risposta che già sapeva avrebbe udito dalla sua voce. Lo vide avvicinarsi e con quella dolcezza che racchiudeva un affascinante enigma, gli sussurrò: «Sei la mia luce, inesauribile, capace di rischiarare i momenti più bui, accompagnandomi a ogni mio passo…».
Erano dichiarazioni come quelle che avevano il potere di fargli battere il cuore all'impazzata, ma quando le labbra di Lawrence si posarono sulle sue, impedendogli di rispondere, si sentì trasportare di nuovo verso quel mondo in cui i loro cuori e i loro sentimenti erano l'unica cosa importante. Chiuse gli occhi, centellinando la somma di tutte quelle sensazioni che lo stavano investendo.
La mano di Lawrence si posò sulla gamba del ragazzo, accarezzandola ripetutamente. Per alcuni attimi Christopher sorrise, immaginandosi la reazione di molti nel vederli in quel momento di intimità, protetti in quel mastodonte d'acciaio nero che sfrecciava verso il tempio della democrazia del Paese.
Le parole del Presidente acquietarono gli applausi dei convenuti e riportarono il ragazzo al presente. La ricostruzione di Lawrence in quelle ultime settimane era stata impeccabile e la scelta che aveva deciso di compiere era coraggiosa e chiara. Aveva preso quella decisione senza neppure consultare gli alleati europei e asiatici, spinto forse dalle immagini che, come per milioni di altre persone, avevano squarciato il velo che nascondeva i crimini commessi dal governo Limanese e costretto il mondo ad accettare una realtà che nessuno era pronto a vedere.
Era una spinta alla quale non volle sottrarsi. Quella fu il primo passo: l'appoggio incondizionato a una missione delle Nazioni Unite. E anche se Lawrence non lo avrebbe mai potuto ammettere, vedere il viso di Christopher fisso sulle immagini dei reportage, che mostrava lo smarrimento per quanto era stato tenuto nascosto per mesi.
«È tutto così irreale, sembra di vivere in un film di fantascienza», sussurrò il ragazzo che per tutto quel pomeriggio era rimasto incollato alla televisione, passando da un network all'altro mentre nugoli di inviati e giornalisti, mandati in fretta e furia su quella lontana isola del Pacifico, documentavano quanto era accaduto. «È tutto vero?» chiese, osservando il Presidente avvicinarsi e sedersi accanto a lui sul divano. Christopher gli fece spazio prima di sollevare le gambe, posando i piedi nudi sul cuscino del divano, cingendole con le braccia.
«Temo di sì», gli rispose, allentandosi il nodo della cravatta. Era reduce dall'ennesimo briefing. Ormai non li contava più. Chiuse gli occhi massaggiandosi le palpebre.
Christopher abbassò l'audio del televisore posando il telecomando sul bracciolo. «Sei stanco… dovresti riposare un po'».
«Non preoccuparti. Tra un'ora vedrò l'ambasciatore Cochrane. Vuoi passare a salutarlo?» Lawrence sapeva bene quanto il suo giovane compagno amasse la compagnia di quello scorbutico inglese e la reazione non tardò ad arrivare.
«Mi farebbe davvero piacere!» esclamò. «Di cosa dovrete discutere?».
Il Presidente si sporse in avanti sfregandosi le mani. «Le forze inglesi si uniranno alle nostre e a quelle giapponesi per garantire la protezione del personale delle Nazioni Unite presente a Limania. Designeremo anche un Alto rappresentante per la gestione di questa prima fase».
«Prima fase?»
«Dopo il discioglimento del governo le nostre forze prenderanno il controllo del paese e inizieremo la difficile missione di riportarlo alla normalità, gestendo la questione dei ragazzi Sanat».
Quell'ultima parola scatenò in Christopher un'insolita frenesia. «Cosa sai di loro? E non dirmi che non puoi parlare!».
L'espressione sorpresa di Lawrence non gli impedì di proseguire. «Ho sentito ogni sorta di assurda ipotesi. Ma penso che tu abbia le idee ben chiare».
Lawrence, superato lo smarrimento iniziale, accolse quella tracotanza giovanile con un sorriso sincero; come accadeva spesso, l'irruenza del compagno animava gli austeri ambienti della Casa Bianca, facendo distorcere qualche naso, ma poco importava, non l'avrebbe mai barattata con nulla al mondo. Amava quel ragazzo, giunto una mattina per un semplice stage, e ora sapeva di non poter trascorrere un solo giorno lontano da lui. «Mi spiace deluderti piccolo… nessuno ha le idee chiare su questa storia. Ma conto che ora, con la nostra presenza laggiù, potremo averle».
«Sei sicuro che chiunque manderai in quel paese saprà comprendere quello che incontrerà e, soprattutto, saprà essere sincero nel riportare ciò che scoprirà?» osservò il ragazzo.
In un qualsiasi altro momento Lawrence si sarebbe burlato di quelle domande, ma dopo quello che lui e tutto il mondo avevano scoperto su Limania, non riusciva a rispondere con tanta sicurezza a quelle osservazioni. Si rialzò, massaggiandosi il collo indolenzito. Avrebbe potuto commentare in molti modi ma era certo che Christopher non avrebbe impiegato molto per scoprire che le sue parole non erano dettate dalla certezza.
«Manda me». La voce del ragazzo sbaragliò ogni suo pensiero, facendogli accelerare il battito del cuore. Si voltò verso di lui, osservandolo perplesso.
«Non se ne parla proprio» gli rispose ridendo.
«Perché no? Io potrei riferirti tutto quello che scoprirò, senza filtri, senza ipocrisie… e tu lo sai bene, altrimenti mi avresti risposto in altro modo».
«E come ti avrei dovuto rispondere? Sentiamo», Lawrence rise nervosamente, sedendosi di nuovo accanto a lui.
In certe situazioni gli occhi vivaci di Christopher erano uno specchio in cui lui poteva scorgere nitidamente ogni sensazione che quel ragazzo celava in sé. E questa volta riusciva a mostrare la determinazione e la convinzione di quell'idea.
«Avresti potuto raccontarmi qualsiasi cosa, anche una bugia, ma non saresti rimasto chiuso nel silenzio. Io credo che tu voglia capire cosa sta succedendo, ma non puoi farlo di persona. Io potrei essere i tuoi occhi e le tue orecchie».
Lawrence avrebbe potuto esprimere mille e più obiezioni, ma su tutte prevaleva l'unica che riteneva davvero importante. Quel ragazzo seduto a pochi passi da lui, con quella t-shirt sbiadita di Amazon e i pantaloni grigi di una tuta con le toppe sulle ginocchia, era l'unica persona in cui avrebbe potuto riporre piena fiducia. Ma nonostante questo, non poteva immaginare di spedirlo dall'altro capo del mondo, in un luogo pieno di incognite. Se gli fosse accaduto qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato.
«Credi davvero che io possa seriamente pensare di mandarti laggiù?»
Christopher si rialzò. Scosse il capo, posando l'indice contro il petto del Presidente. «Stai spedendo centinaia di uomini armati fino ai denti e scommetto che presto una flotta circonderà l'isola di Limania. Credi che io non sia sufficientemente protetto? Inoltre, immagino che mi metteresti alle costole una scorta che mi seguirà anche al gabinetto. Quindi, di che ti preoccupi?»
Lo sguardo disarmante di quel ragazzo… sarebbe bastato quello a far recedere Lawrence dalle sue intenzioni. Vide le mani di Christopher salire lungo il torace, accarezzandogli il viso prima di soffermarsi sulle sue labbra sottese. «Siamo insieme da quasi due anni. Mi hai mostrato, giorno dopo giorno, quanto sia importante avere la consapevolezza di poter fare le scelte più giuste e di sapersi assumere le proprie responsabilità. Ora ho la possibilità di aiutarti in tutto questo e al tempo stesso di vivere dei giorni che saranno irripetibili. Potrò entrare nella storia, e non assistervi come un banale spettatore, o essere ricordato come il primo first boy… non che mi dispiaccia ovviamente», ammiccò il ragazzo.
«Quanti universi ci sono in uno sguardo? Io li baratterei tutti pur di conservare il tuo nel mio cuore per sempre», sussurrò Lawrence «e se ti accadesse qualcosa…».
Le labbra di Christopher arrestarono i timori dell'uomo, concedendogli un dolce bacio che ebbe il potere di rassicurarlo, ricordandogli che ciò che li univa potesse superare i loro timori. «So che in questo momento, più che mai, sei destinato a compiere delle azioni che tutti ricorderanno e capiranno… e mi riempie di orgoglio sapere che, in una minuscola parte, io ti avrò aiutato e sostenuto».
Il Presidente annuì. Gli passò le mani tra i folti capelli rossicci inspirandone il profumo. Una delle caratteristiche che più amava in quel ragazzo era la sua semplicità. La stessa che lo aveva portato a decidere di instaurare un rapporto che avrebbe spaventato chiunque. Al contrario, lui aveva deciso di affrontare il mondo sorretto unicamente dalla certezza che ogni suo passo era guidato solo dall'affetto che provava per lui.
I ricordi di quel giorno si spensero nella mente di Christopher che si ritrovò a osservare l'ufficiale che scrutava la distesa blu delle acque che circondavano l'isola di Limania, duecento chilometri a est della Nuova Zelanda. La loro meta era ormai vicina e faceva fatica a contenere le emozioni. Non si accorse neppure dell'avvicinarsi dell'agente Logan, che si accostò alle