Li chiamavano Coppi e Bartali
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About this ebook
Letteratura - racconto lungo (53 pagine) - Una nuova incursione nella narrativa sportiva dall’autore dell’acclamato “Democracia Futebol Clube”.
Nell’Italia del dopoguerra, i sogni passano anche attraverso il pedalare sulle strade sterrate e di campagna, all’inseguimento del mito di due grandi campioni simboli di un’epoca che caratterizzano la vita in piccoli paesi, dove il ciclismo è pane quotidiano. In uno di questi, ai piedi dell’Appennino toscano, nascono e crescono due ragazzi: Arturo e Giuseppe. I due ragazzi pedalano, corrono e sognano grandi sfide su quelle montagne di cui sentono le imprese dei due grandi campioni.
Arturo e Giuseppe sono legati da una grande passione comune e da una forte amicizia. Crescono e con loro il sogno arriva a portata di mano, il traguardo è vicino e basta solo alzare le mani. Ma, come scopriranno, le salite della vita, a volte, sono più dure di quelle della strada.
Con un'illustrazione originale di Cristiano Soldatich
Marco Di Grazia è nato a Pescia (PT) nel 1969. Esordisce negli anni ’90 come sceneggiatore di fumetti. Nel 2008 pubblica il romanzo L’Ottavina di Dio, scritto con Francesco Villari, così come il successivo Democracia Futebol Clube. Nel 2017 pubblica il racconto illustrato L’uomo che custodiva la musica con disegni di Cristiano Soldatich, con cui realizza, nel 2019 la graphic novel dedicata a Chet Baker: Cinque minuti due volte al giorno. È del 2018 la raccolta Fra la via Aurelia e il Mississippi, sei racconti in Blues, da cui nasce il recital My God is Blues in cui i racconti del libro vengono narrati alternandosi a musica, disegno e fotografia. Nel 2019 pubblica Le curve della memoria romanzo scritto con Bruno Soldatich. Per Delos Digital è uno degli autori del libro La vittoria impossibile con il racconto Gli operai che non fecero l’impresa, scritto con Simone Cola.
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Book preview
Li chiamavano Coppi e Bartali - Marco Di Grazia
Cola.
Illustrazione di Cristiano Soldatich
Maggio 2001
Il giovane cronista arrivò presto alla redazione del giornale, quel mattino. Troppo presto. Il sole non era ancora salito a illuminare la giornata, che anche quel giorno si sarebbe rivelata particolarmente calda. Il giovane cronista corse sugli scalini salendoli due a due e raggiunse il secondo piano, dove c'era la redazione. Entrò. Alla sua destra sentì un ticchettio familiare. Si voltò in silenzio. Il suo vecchio maestro era là, seduto alla sua scrivania, a battere le dita sui tasti della sua Lettera 22.
Il giovane si chiese se fosse arrivato così presto, oppure, più probabilmente, se avesse passato tutta la notte a scrivere i suoi pezzi. Il vecchio maestro non lo degnò di uno sguardo, impegnato nel suo lavoro, con la pipa stretta fra i denti. Il giovane sapeva che non doveva disturbarlo. Si portò alla sua scrivania e tirò fuori dal cassetto una cartella piena di fotocopie di vecchi articoli. Si mise a leggere, cercando di non fare troppo rumore nello sfogliare le carte.
Non era ancora arrivato a metà del primo articolo quando la voce roca del vecchio maestro si sparse nell'aria. Contemporaneamente i tasti della Olivetti tacquero.
– Che ci fai qua così presto, ragazzo?
Il giovane alzò gli occhi. Il maestro si stava stiracchiando, con le mani appoggiate sul fondoschiena. Sì, pensò il giovane, decisamente era stato là tutta la notte.
– Sto rileggendo questi vecchi articoli. Il direttore mi ha incaricato di scrivere delle storie sul ciclismo. Storie dimenticate, poco conosciute, personaggi strani e così via. Insomma, devo trovare qualcosa per…
– Lo so, lo so – interruppe l'altro – quest'anno è toccato a te. Ogni volta che ci avviciniamo al Giro d'Italia c'è sempre qualcuno a cui vengono in mente le vecchie e dimenticate storie.
Si alzò, prese la giacca marrone dall'attaccapanni e si diresse verso la scrivania del giovane mentre la infilava goffamente.
– Cosa stai leggendo? – Chiese.
– Vecchi articoli. Voglio vedere se c'è qualcosa che vale la pena di approfondire.
L'anziano maestro cominciò a giocare con la pipa, picchiettandola sulle labbra, poi la puntò verso il giovane, come fosse stata una pistola.
– Io ce l'ho una storia. Una storia di cui non si parla da tanto tempo. Una storia di tanti anni fa. Sono giusto quaranta dal momento in cui ebbe il suo epilogo. Sì, era il 1961. All'epoca non mi occupavo ancora di ciclismo, ero agli inizi, mi ero appena laureato e balzellavo da uno sport all'altro cercando di far notare qualche mio articolo.
– E questa storia… può raccontarmela? – Gli occhi del giovane brillavano di curiosa eccitazione.
– No, non posso raccontartela. Posso parlarti vagamente di quello che accadde seguendo i miei ricordi, ma se lo facessi non diventerebbe la tua storia. Posso solo darti qualche pillola, poi se la troverai interessante allora starà a te muoverti e andare a cercarla. Perché certe storie se ne stanno lì, in qualche angolino caldo a riposare e ad attendere chi possa farle uscire, sbocciare. Questa è una di quelle. E tu dovresti inseguirla, andare a cercare chi può raccontartela. Da chi c'era, o da chi l'ha vissuta. Insomma… dovresti fare un viaggio e cercare. Parlare. Chiedere. Ascoltare. Questo è il nostro mestiere, ragazzo.
– E se non ci fosse più nessuno in grado di ricordarla? Dopotutto ha detto che sono passati tanti anni.
– Fa niente. I luoghi conservano la memoria degli avvenimenti. A volte servono più delle parole.
La fronte del giovane cronista si aggrottò tentando di dare un senso a quell'ultima frase.
Due giorni dopo, al volante della sua utilitaria, il giovane reporter stava percorrendo una strada stretta che tangeva un bosco. Si trovava nel pieno della campagna toscana; aveva da poco attraversato la cittadina di Bescaglia e stava salendo sulle colline che facevano da contrafforte alle prime rampe dell'Appennino. Alla sua destra scorreva un fiume placido che ogni tanto faceva capolino quando gli alberi che contornavano la stretta stradina si diradavano. Giunto a un crocevia rallentò e svoltò a destra; superò un ponte in pietra e si trovò in una strada ancor più stretta e dalla notevole pendenza. Stava per arrivare nel paese di Bonsasso, là dove erano nati e avevano vissuto i protagonisti della storia che gli aveva suggerito l'anziano maestro.
– Qui il tempo sembra si sia fermato – rifletteva il giovane mentre continuava a guidare su quella stradina guardandosi attorno e incrociando le prime case che si incontravano lungo la strada. Case in pietra dall'aria antica e silenziosa, che sembravano un tutt'uno con la natura che le incorniciava.
Pochi minuti dopo faceva il suo ingresso nel paesino che era la sua meta. Parcheggiò nei pressi della chiesa, scese e si diede un'occhiata attorno. Aveva ancora nelle orecchie le parole del vecchio maestro, che gli