La tenacia della Duchessa: Le Spose dell'Arcano, #2
By Erica Monroe
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About this ebook
La morte segna l’inizio di tutto in questo misterioso e terrificante romanzo d’amore gotico…
Dopo la morte della sua amata madrina, Felicity Fields si sente perduta, il futuro ormai incerto. Incapace di superare il lutto, progetta di usare le proprie conoscenze di alchimia per costruire la Pietra Filosofale e riportare in vita la donna che le ha fatto da madre. L’ultima cosa di cui ha bisogno la tenace scienziata è il ritorno di Nicholas Harding, Duca di Wycliffe e legittimo proprietario della tenuta sulle coste selvagge della Cornovaglia in cui lei vive. Felicity ne ha piene le tasche di cambiamenti e non gradisce la passione inaspettata che lui le desta dentro.
Quando erano bambini Nicholas non capiva la figlioccia intelligente ma insensibile di sua zia, né i suoi studi scientifici. Adesso dovrebbe portarla a Londra con sé, per introdurla in società e trovarle un marito adatto. Solo che non riesce a smettere di pensare a lei. Quando, però, gli esperimenti macabri di Felicity assottigliano il confine tra vita e morte, Nicholas sarà capace di convincerla che non è più sola e che il suo posto è accanto a lui?
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Già pubblicato in inglese nella raccolta CHARMED AT CHRISTMAS
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Book preview
La tenacia della Duchessa - Erica Monroe
Capitolo 1
Bocka Morrow, Costa della Cornovaglia
19 dicembre 1811
Felicity Fields aveva visto la Morte sottrarle tutti coloro che amava.
Presto, però, avrebbe ottenuto vendetta. Era sempre più vicina alla formula dell’Elisir della Vita, un siero che, secondo gli antichi alchimisti, non le avrebbe soltanto donato la vita eterna, bensì anche il potere di guarire gli altri.
Se la fortuna l’avesse aiutata e grazie a un processo chiamato palingenesi, avrebbe usato il siero per liberare i propri cari dalla presa soffocante della Morte.
Quella mattina, mentre camminava lungo il familiare sentiero che segnava il confine tra le terre di Tetbery e l’Oceano Atlantico, Felicity non riusciva a liberarsi dall’assalto dei ricordi. Erano passati sei mesi dalla morte dell’amata madrina, la Contessa di Tetbery. Il corpo di Margaret poteva resistere alla decomposizione ancora per poco grazie alla speciale miscela di Felicity e al freddo del mausoleo di pietra in cui si trovava. Una volta superato il punto di non ritorno, però, le ricerche di Felicity non sarebbero più valse a nulla.
Avrebbe perso Margaret per sempre, rimanendo così sola.
Di nuovo.
Strinse i denti per il freddo, desiderando di poter tornare al Natale dell’anno prima, quando la contessa era in piena salute. La casa aveva sempre riflettuto l’amore di Margaret per le festività con ghirlande di sempreverde attaccate alle porte e avvolte attorno al passamano delle scale e con bacche di agrifoglio e nastri dorati sparsi ovunque.
Tuttavia, Felicity non se l’era sentita di decorare quell’anno. Non senza Margaret. La dimora della contessa era vuota, teli bianchi stesi sui mobili nelle stanze che normalmente la madrina avrebbe fatto arieggiare per le annuali celebrazioni natalizie; i corridoi che sarebbero stati illuminati da mille candele, ora rimanevano bui, come se la casa, al pari di Felicity, fosse a lutto per Margaret.
Non che la scelta spettasse a lei, comunque. La casa e tutte le proprietà di Tetbery appartenevano al Duca di Wycliffe, a cominciare dai domestici, che Felicity considerava come parte della famiglia, fino alle scogliere selvagge che segnavano il confine della tenuta.
Per tutti i diavoli, a quel punto anche lei probabilmente gli apparteneva. Il duca era il suo familiare più prossimo.
Che crudele scherzo del destino. Il ragazzo che l’aveva tormentata durante l’infanzia teneva ora nelle proprie mani il destino di Felicity.
Si mise a sedere su un largo pezzo di legno lasciato dalla marea e poggiò sulla sabbia il cesto pieno di piante ed esemplari di vario genere. Ammirò la spiaggia attorno a sé, il posto preferito della contessa e sfondo dei propri migliori ricordi.
Felicity non era che una bambina quando i genitori erano morti in un incidente. Randall e Margaret Grantham, il sedicesimo Conte di Tetbery e la sua contessa, avevano subito accolto in casa la figlia degli amici defunti. Non avevano mai avuto figli e Felicity era stata un lieto arrivo per loro.
Dalle ceneri di una tragedia, i Grantham avevano formato una nuova famiglia, dando alla propria figlioccia una casa e il sostegno di cui aveva disperatamente bisogno. Margaret aveva sempre detto agli amici che Felicity era sua figlia per scelta e che questo la rendeva ancora più speciale.
Scelta. Che concetto strano, quando la Morte le aveva tolto qualsiasi scelta.
Margaret l’aveva sempre incoraggiata a fare ricerche, anche se non era decente
che le donne lavorassero come chimici. Lo stesso, aveva usato la propria ricchezza e influenza per garantire alla figlioccia un porto sicuro a Tetbery.
Lo stesso porto che avrebbe perso non appena Nicholas Harding fosse tornato a reclamare ciò che agli occhi della legge – ma non di Felicity – gli apparteneva.
Senza Margaret il destino di Felicity era segnato. Segnato dalle regole di una società che lei non comprendeva.
«Oh Dio, Margaret, quanto mi manchi.» Passò il pollice lungo l’anello d’oro da lutto che portava alla mano sinistra. Il cerchietto di vetro al centro, attorniato di diamanti, proteggeva ciocche di capelli adagiate sull’avorio a rappresentare le stesse onde che stava scrutando adesso.
Tecnicamente, Nicholas aveva ereditato la tenuta tre anni prima, quando suo padre era morto. Poiché il patrimonio non era legato al titolo e Randall e Margaret non avevano eredi maschi, avevano lasciato tutto in testamento al padre di Nicholas, fratello di Margaret. Come il padre prima di lui, anche Nicholas aveva permesso alla zia di rimanere nella tenuta e con lei Felicity, la sua unica famiglia.
Senza Tetbery e il suo laboratorio, a Felicity non restava alcuna scelta. Nessuna possibilità di condurre la vita che desiderava.
Con un sospiro, stiracchiò le gambe, strisciando i talloni degli stivali contro la sabbia. Si era adagiata sugli allori, credendo che la contessa sarebbe vissuta ancora per molti anni. Margaret era relativamente giovane e in buona salute, ma l’influenza se l’era portata via.
Come era stato nel caso dei suoi genitori e poi del conte, la Morte aveva colto Felicity di sorpresa.
Ma non sarebbe mai più successo.
Era convinta che la scienza potesse spiegare tutto, se solo si aveva la tenacia di cercare le risposte. E lei era più che determinata.
Quello che le mancava era il tempo.
Si alzò in piedi e lasciò vagare lo sguardo sul mare e la spiaggia, cercando di imprimere tutto nella memoria. Se non fosse riuscita a rianimare Margaret, allora quello sarebbe stato il suo ultimo Natale a Tetbery. Nicholas di certo non avrebbe continuato a permetterle di vivere lì, come aveva fatto invece per la sua zia preferita.
Erano troppo diversi loro due. Le avrebbe detto che la società poteva accettarla solo se avesse cercato di essere normale.
Pur se Felicity avesse saputo come diventarlo, non avrebbe comunque voluto essere diversa.
Non avrebbe dovuto essere diversa.
Maledizione, era un’alchimista brillante. Non che il mondo lo sapesse, visto che di rado riceveva risposte alle lettere inviate ad altri chimici. Inoltre, Septimus Locke, Conte di Carwarren, e gli altri scienziati a Bocka Morrow si rifiutavano di incontrarla. Secondo il conte, Felicity non era una vera scienziata e lui non voleva più avere nulla a che fare con lei dal momento che sei mesi prima aveva cominciato a studiare l’alchimia.
Se solo tutto il resto del mondo non avesse concordato con lui, sia nel considerare l’alchimia solo roba da stregoni, sia nel non voler condividere la compagnia di Felicity. Nel complesso, la gente la trovava strana, fredda, troppo brusca per ispirare affetto.
Ecco perché non poteva sperare che Nicholas la salvasse.
Da bambino, l’aveva sempre considerata troppo meccanica
e incomprensibile. D’altra parte, Felicity odiava i modi raffinati di Nicholas e l’istinto che lo guidava sempre su come reagire in modo appropriato a qualsiasi situazione. Le aveva ricordato di continuo tutti i modi in cui lei era carente. Era troppo anormale, troppo insensibile per potersi mai sentire a proprio agio nell’Alta Società.
Felicity raccolse il cesto e si avviò lungo la costa. Per anni aveva percorso lo stesso tragitto con la madrina, lo stesso cesto che le dondolava tra le mani.
Margaret avrebbe saputo confortarla. Intuiva sempre le necessità di Felicity, anche quando nemmeno lei sapeva esprimerle.
Cosa le avrebbe consigliato?
Prima di tutto risolvi ciò che puoi controllare e poi pensa al resto. Finché Nicholas non l’avesse buttata fuori, cosa che lei sperava non sarebbe successa ancora per qualche mese, era lei a fare le veci della padrona a Tetbery. Presto sarebbero arrivate delle ospiti. Di solito, odiava avere compagnia, ma questa volta avrebbe accolto Lady Hettie Hughes e la nipote, Mallory, tra le poche persone sulla faccia della terra a non essere infastidite dai discorsi scientifici di Felicity, altrove ritenuti indecenti.
Affrettando il passo, pescò l’orologio dalla tasca e vide che mancavano all’incirca due ore all’arrivo delle Hughes, minuto più, minuto meno, poiché con l’aristocrazia non ci si poteva aspettare puntualità. Non era una cosa che le piacesse. Il ritardo indicava una mancanza di rispetto per gli altri, di solito accompagnato dalla convinzione che il tempo, e quindi la vita, individuale valessero di più.
Felicity non aveva bisogno di altro che le ricordasse il proprio posto nel mondo.
Voltandosi, ripercorse i propri passi con più celerità. Era quasi a metà della spiaggia quando una figura apparve in distanza, inducendola a fermarsi di colpo.
Si fece ombra con le mani davanti agli occhi e inclinò lo sguardo. Sì, era certa che ci fosse un uomo che camminava tra le dune a grandi passi e verso di lei. Fortunata com’era, significava che le ospiti erano arrivate in anticipo e Lady Hetty doveva aver inviato un valletto a cercarla.
Corrucciando la fronte, Felicity lasciò cadere la mano e riprese a camminare. L’uomo era troppo vicino alla parte rocciosa della spiaggia, là dove la marea a volte creava pozze nei crepacci. Non stava bene che il povero valletto dovesse inzupparsi la livrea, visto che la sabbia era impossibile da scrollare via dalla stoffa inamidata.
Sollevando le gonne sulle caviglie con una mano, Felicity si affrettò verso di lui. Conosceva la costa così bene che fu presto vicina abbastanza da vederlo chiaramente.
E in quell’istante ogni sua supposizione venne capovolta.
Era Nicholas.
Per tutti i diavoli dell’inferno.
Non ebbe nemmeno il tempo di ricomporsi prima di ritrovarselo di fronte. Quando era diventato così alto? Lo ricordava diverso, ma non lo vedeva da sei anni.
Accidenti a lui, era così… muscoloso. La giacca nera era tagliata in modo perfetto a enfatizzare le spalle larghe che si stringevano verso la vita e altre parti del corpo cui Felicity non aveva