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La Venuta Delle Tenebre: Libro Secondo della Leggenda della Creazione e della Distruzione
La Venuta Delle Tenebre: Libro Secondo della Leggenda della Creazione e della Distruzione
La Venuta Delle Tenebre: Libro Secondo della Leggenda della Creazione e della Distruzione
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La Venuta Delle Tenebre: Libro Secondo della Leggenda della Creazione e della Distruzione

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About this ebook

Dopo quasi due anni dal mitico avvenimento ricordato come la Guerra del Protettore, il Distruttore Aizen Roth è sconfitto e il fantastico Regno di Celkrast pare finalmente essere in pace. L'Ovest e l'Est, cambiati forse in meglio, forse in peggio, sono infine in comunicazione fra loro e appaiono all'apice delle loro potenzialità.
Eppure, lontano, le Tenebre delle Terre Furenti si avvicinano a velocità indicibili, e fra Re inetti, nobili guerrieri e creature dalla fattura incomprensibile, solo una speranza sembra essere rimasta al Mondo per poter tornare a credere nella Vita.
La speranza di una spada vibrante di luce zaffiro fra le ombre inarrestabili dell'oscurità.
Perché un Creatore ancora vive.
Il Creatore del fulmine.
Il fumante nero tormento, divoratore di realtà, punitore di civiltà e flagello del creato, potrà davvero essere sconfitto dalla strillante energia celeste del Protettore?

Il Secondo titolo de "La Leggenda della Creazione e della Distruzione".
"L'essere, a pochi centimetri di distanza, lo vide, e la sua collera aumentò. Spalancò la bocca in un modo tanto disgustoso quanto disumano, fermando ogni suo altro movimento, e grumosa cera scarlatta ne sgorgò come in una cascata, fuoriuscendo persino da pori e orbite. Non impiegò molto a rimepire l'intera stanza di quella viscosa sostanza imperfetta, e dopo pochi istanti, il vetro, l'unica difesa fra quella creatura e i suoi aguzzini, s'incrinò."

-Mondo Incrinato-
LanguageItaliano
Release dateJan 12, 2021
ISBN9791220249720
La Venuta Delle Tenebre: Libro Secondo della Leggenda della Creazione e della Distruzione

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    La Venuta Delle Tenebre - Carlo F. Tropiano

    -Nota dell'Autore-

    A mia Madre, perché crede più di chiunque altro.

    Copyright © Carlo F. Tropiano 2023

    Tutti i diritti riservati.

    Questo romanzo è opera di fantasia.

    Ogni riferimento a persone, avvenimenti, o gruppi esistenti è puramente casuale.

    immagine 1

    -Prologo-

    -Ardwin-

    N el sogno, cammina senza forze. Cammina senza forze e senza meta, all'interno di una coltre interminabile di fumo nero come la notte, nero come il peccato; nero, come le tenebre. Tutto attorno a lui è morto. Morto, ma non sepolto, perché non c'è più nessuno che possa farlo. C'è solo lui.

    Vede un faro, fra le ombre. Un faro desolato e abbandonato. Pensa di conoscerlo. Pensa di esserci già stato.

    «Tutto comincia qui», dice una voce, e la voce è vaporosa, instabile, eterea come il fumo da cui proviene. «Ma forse, è cominciato prima.»

    «Di cosa parli?», chiede lui afflitto e abbattuto.

    Ma la voce non risponde.

    «Dove sono finiti tutti?», riprova quindi lui, disperato. Piange. Piange senza neanche sapere perché. «Dov'è la vita?»

    «Divorata. Inghiottita dalla Tenebra. Inghiottita dall'Odio.» La voce è più debole. Sta morendo. «Inghiottita dalla Pace di un Mondo rovinato.»

    «Non capisco», dice lui.

    La voce, per la seconda volta, non risponde. Non risponde perché non può. È morta.

    Sono tutti morti, in quel mondo di fumante nero tormento. Tutti, tranne lui.

    Cade in ginocchio, solo. Realizza che così resterà per sempre. Sente le lacrime rigargli la superficie del volto e ne rimane deluso e spaventato. Allunga una mano, per asciugarsi, e vede che quello non è comune pianto. Quello è sangue.

    Sangue nero.

    Lo scalpitare degli zoccoli risuonò nell'immensità della desolazione con secca convinzione frettolosa. Zolle di fango scuro e di nevischio inconsistente si alzavano ogni volta che la zampa ferrata del quadrupede posava le sue forme con estrema potenza nel terreno, umido a causa della continua pioggia. Tra gli alberi dalle verdi fronde lucenti, tinti da striature bianche ed incolore, frusciava come sospinto dal vento il rimbombo ritmico di un galoppo preoccupato.

    Null'altro avrebbe osato disturbare la gelida perfezione della natura del nord, in quel giorno di calma e pace. O almeno, così credette l'Ultimo Daint.

    Ardwin spinse il cavallo oltre il massimo delle sue capacità motorie, spronando e accelerando, con in testa il solo e unico obbiettivo di arrivare al Faro Dimenticato in tempo. Era necessario, forse, addirittura vitale. Perché...

    ... Tutto comincia qui.

    Quello con cui aveva capito di avere a che fare non era problema da poter essere risolto da messaggeri o sottoposti, e in verità, neppure dal lato di lui che era il lord di Dainhood. Si necessitava dell’unica presenza del Creatore del fulmine. Del dono nascosto nei meandri del corpo e dello spirito di Ardwin Daint; controllabile, domabile, da lui solamente.

    In fin dei conti, per debellare una mostruosità ne serviva un'altra.

    ... Ma forse, è cominciato prima.

    Era da molto tempo che Ard non veniva richiamato con così tanta urgenza, fretta e premura. Solitamente avrebbe rifiutato o sorvolato, ma se era una questione talmente importante da richiedere l'intervento fisico della sua (altra) persona, doveva essere davvero grave, o quantomeno, preoccupante ben oltre la comune giurisdizione.

    Ardwin non era stato informato riguardo i dettagli, perché non ve ne erano. Ciò che vi era, in compenso, erano le parole e lo sguardo di Taulrin Lanskar, il fedele Gran Consigliere di Dainhood, entrato solo tre giorni prima nella sala del Trono del Corvo sudato e stremato. Parole spaventate, disperate e spezzate come l'espressione impressa in quegli occhi sconfortati dal mistero dell'inspiegabile. Ma sopprattutto... «Mio signore, gli uomini che aveva mandato in ricognizione alle spiagge a est hanno avvertito di un problema... oltre l'umano, per così dire. Non sono stati in grado di definire la situazione nel loro messaggio, e riferiscono inoltre che tre di loro sono periti al Faro Dimenticato per cause... innaturali e misteriose, che vanno ben al di là della loro comprensione.» ... Parole intente a chiedere aiuto .

    Improvvisamente, il vento e la pioggia sbatterono contro Ardwin in modo quasi ostile, facendo schioccare la mantella raffigurante il corvo blu zaffiro a due teste, blasone di Casa Daint, nel flusso senza senso dell'aria rarefatta. Lo riportarono alla realtà, strappandolo ai ricordi di un discorso privo di ogni scopo e fine.

    Dannazione!, imprecò furibondo Ardwin. Non avrei mai dovuto mandare loro. Non dopo quell'incubo. E aveva ragione, di questo ne era certo. I suoi sogni raramente si mostravano compiuti e significativi, ma quando lo facevano, bisognava prestarvi attenzione. Erano premonitori, accurati anche se puramente simbolici, e più di tutto, puntuali portatori di sventura.

    L'incubo, ovviamente, non era altro che frutto della sua fervida immaginazione. Ard di questo sperava vivamente di esserne certo, ma nello svegliarsi, in quella notte tempestosa di pioggia e neve e fulmini , aveva provato una forte sensazione indesiderata, di terrore misto ad insicurezza.

    E nel più grande errore da lui auspicabile, tramortito dalla fiducia e dalla sua solita e inseparabile ingenuità, aveva deciso di mandare otto tra i suoi uomini più fidati a esplorare la zona indicata dalle visioni della notte, invece di andare lui stesso.

    Quattro giorni dopo, al posto di ricevere una lettera che potesse scacciare ogni suo indigesto sospetto, ne era arrivata un'altra, che non aveva fatto altro che alimentare la fiamma dell'incertezza, insidiando nello spirito di Ard ancora più preoccupazioni e misteri di quelli già presenti, annunciando le morti inspiegabili di alcuni dei suoi migliori soldati e parlando di un luogo oramai disabitato poco fuori Dainhood quale il Faro Dimenticato come se fosse stato maledetto.

    Hanno fatto uso del loro migliore uccello messaggero per una lettera priva di informazioni rilevanti, chiedendomi solo di raggiungerli nei pressi della strada secondaria che porta al faro..., rimuginò Ard in un sintomo di esposizione introspettiva, ancora perplesso. Mi chiedo se non sia stata una cattiva idea l'essere voluto venire da solo. L'opinione di Taulrin mi avrebbe fatto comodo.

    Ardwin Daint non era nuovo alla mancanza di un compagno di viaggio, eppure, in quel frangente desiderò incessantemente il minimo conforto di un qualcuno con cui discutere lungo il tragitto, maggiormente per cercare di scacciare le malsane idee intente a passargli per la testa. Idee del Regno di Celkrast nel panico e di lui stesso, definito da ben due anni il Protettore, privo dell'abilità di poter fare qualcosa.

    Ard scosse il capo, come se quel gesto sconsolato potesse veramente aiutarlo a svuotare la sua contorta mente dilaniata dal dolore. "Quelle dannate visioni sono sempre di cattivo auspicio, realizzò rigidamente, correggendo i suoi stessi, distratti pensieri contrastanti. Mi avevano annunciato della mia rinascita e... della sua morte." Per neppure mezzo secondo, concentrò i sentimenti sulla cicatrice presente sulla sua spalla destra, sperando bruciasse, o almeno, lo irritasse. Tornò alla realtà fin troppo in fretta, rilasciando un sospiro. Lei era oramai deceduta. Era morta a causa sua, e non l'avrebbe mai più rivista. Non doveva illudersi.

    Non doveva dimenticare .

    Ard portò nuovamente l'attenzione al presente. Dopo così tanto tempo, non aveva più senso aggrapparsi alle speranze del passato, indipendentemente da quanto potessero essere le uniche cose in grado di aiutarlo a dormire la notte.

    Questo, sempre che sognare un mondo senza vita e lacrime di sangue nero potesse considerarsi dormire.

    Non va bene. Il mistero del Faro Dimenticato stava assillando i suoi pensieri più di quanto in cuor suo desiderasse. Non va bene per niente. Cercò di comprendere, di dare vita ad una teoria, ad una ipotesi sull'accaduto, ma capì quasi immediatamente che così avrebbe rischiato solo di arrivare a conclusioni premature, infondate e sicuramente scorrette, quindi rinunciò. Avrebbe valutato di persona una volta giunto a destinazione. Non poteva permettere che la fretta lo trascinasse nell’oblio dell’incertezza.

    Eppure, lo aveva già fatto così tante volte...

    Sono vicino, si disse prontamente Ardwin, scacciando le facezie più scomode con gelido controllo. Spero solo di essere stato abbastanza rapido. Guardò i dintorni alla ricerca di un qualcosa che lo potesse rassicurare, che gli dicesse che si trovava in prossimità dei suoi uomini e che avrebbe fatto in tempo a salvarli da quella misteriosa minaccia preannunciata da lettere e incubi.

    Non si sarebbe dovuto sorprendere quando, invece di ciò che stava cercando, trovò semplicemente il nulla della naturale normalità.

    Era da poco passato il venticinquesimo anno di vita di Ardwin Daint, e lì a nord, nel territorio esterno a Dainhood, il freddo e la neve persistevano come sempre facevano, anche se in quantità ridotte, persino durante la primavera. Le chiazze biancastre di nevischio erano rade, sparse, in alcuni rari punti a malapena accennate, ma pur sempre presenti e vivide di umidità. Gli alberi verdi e marroni ai lati della strada erano lucidi come non mai, e a causa della pioggia, anche il terreno era divenuto oramai molle, inconsistente e difficile da percorrere senza una cavalcatura appropriatamente addestrata. La neve sfaldata si era disciolta in diversi punti, lasciando solo pozze d'acqua sporca a riflettere, come in un miraggio, la visione distorta del cupo cielo grigiastro.

    Ard, in un momento fuori dal tempo, trattenne il fiato e chiuse gli occhi. Vai!, pensò incitando sé stesso e il suo fidato destriero. Vai! Vai! Vai! Speronò ulteriormente, raggiungendo una velocità tale da osservare il mondo intorno a lui scorrere come in un ricordo, sfocato e incerto anche se presente e visibile. Un tornado verde, bianco, grigio e marrone, instabile come il flusso battente della pioggia scura sotto la quale si trovava.

    Continuò a cavalcare a lungo, sperando e pregando gli Dèi Evanescenti per la vita dei suoi uomini. Ardwin Daint non era a conoscenza della gravità della situazione, ma ciò che in cuor suo covava fermamente, in un'assoluta certezza immutabile, era il desiderio di non avere ulteriori cadaveri sulla coscienza... Visto che il suo passato, così come il suo futuro, ne era ricolmo.

    Dopo un’altra mezz'ora, Ard lo vide. Il Faro Dimenticato. Un luogo abbandonato, oramai in decadimento, un tempo usato dalle grandi navi mercantili per commerciare al nord dell'isola dell'Ovest i più ricchi gingilli e le più particolari spezie e profumazioni.

    Sarebbe dovuta apparire come una scena incoraggiante, rassicurante e amica, che implicitamente avrebbe indicato l’arrivo definito alla meta.

    Ma invece di aiutare con il conforto delle illusioni, la visione della struttura proiettò il cuore nell'incubo più totale della realtà. Oltre le fronde degli alberi, dove il faro s'innalzava fiero per sfiorare il cielo nonostante la vecchiaia, qualcosa era terribilmente sbagliato, forse, persino inumano .

    Fumi neri come la buia notte salivano fruscianti ben oltre il Faro Dimenticato in termini d'altezza, ben oltre la pioggia, ben oltre le nuvole, spingendosi lì dove l'occhio umano non sarebbe stato in grado di arrivare neppure se allenato o sforzato.

    Ardwin, turbato, non poté resistere alla tentazione di ripensare al suo sogno. Imprecò e spronò il cavallo ancora una volta. Doveva avvicinarsi, doveva vedere. Più il faro diventava nitido, chiaro e grande rispetto all'orizzonte, più i fumi si allargavano insieme ad esso, e presto ne capì la terribile motivazione.

    Una volta che fu abbastanza prossimo alla meta, Ard scorse infatti con maggiore attenzione il punto d'origine di quei cupi vapori divoratori. Era il Faro Dimenticato stesso. Dalle crepe, dalle finestre, dagli anfratti meno evidenti e dai più miseri buchi nelle pareti, fuoriusciva in un movimento dolce, quasi ammaliante, il fumo che sinuosamente andava a sfiorare il cielo.

    Quindi, la fonte si trova all'interno del faro..., rimuginò Ardwin ancora più preoccupato. Non oso immaginare cosa sia successo. So solamente che devo muovermi, e in fretta. Abbassò lo sguardo e lo riportò al terreno, come se vedere qualcosa di normale potesse cancellare la visione impossibile del terrore. Cercò di non pensare, ma ovviamente, non riuscì a rimuovere dalla mente le immagini di orrore decise a passargli per la testa. E se fossero già morti tutti?, si domandò con accentuata ostentazione, trattenendo un respiro affrettato.

    Preferì non darsi risposta.

    Ard continuò a galoppare verso lo spiazzo al fondo del faro, irremovibile nel suo ideale, ma prima che potesse raggiungere tale destinazione, inaspettatamente, fu costretto a rallentare e, eventualmente, a fermare il cavallo.

    «Mio signore!» Fu un urlo improvviso, possente e amico, che risuonò persino nella foresta, a bloccare il lord di Dainhood.

    Ardwin Daint, nel vedere nel bel mezzo della strada sterrata che stava percorrendo uno dei suoi più fidati uomini, uno di quegli stessi uomini che stava così ardentemente cercando, fu colto da una tiepida scossa di particolare tranquillità.

    «Mio signore. È... È arrivato! Siano ringraziati gli Dèi.» Era ser Duncan Lisboun a parlare.

    Ard lo riconobbe immediatamente. «Duncan, sei tu», disse con la sua solita, gelida freddezza, celando abilmente l'eccitazione del ritrovamento. «E per fortuna sei vivo. Gli altri?»

    Il cavaliere dai rossicci baffoni arricciati e gli occhi vispi ansimava e sudava, ma presto ricompose (per quanto possibile) il nobile aspetto, così da discutere con il suo lord nel più appropriato dei modi. «Holand, Teyr e Andorin sono deceduti, mio signore. Galbard e Ysgrom sono vivi e vegeti, e con me sostano in un accampamento di fortuna non lontano da qui. Reiner e Esadrol avevano detto che sarebbero tornati a Dainhood due giorni fa seguendo la strada secondaria, sperando d'incontrarvi.»

    Ardwin ascoltò attentamente ogni singola parola. Per un istante, abbassò il capo. «Tre morti...» Nonostante fosse già stato informato, l'amaro aumentò nella sua bocca quasi a voler straripare. Sospirò silenziosamente, senza farsi notare. «Dove sono i cadaveri? Meritano una degna sepoltura.»

    Il volto di ser Duncan, nell'udire quella temibile frase, cambiò di colore e di espressione, come avvinghiato dalla morsa incontrastabile di un’angoscia primordiale. «Mio signore... Noi... Noi non vogliamo avvicinarci a quei corpi.» Chiaramente, la ragione aveva cominciato a venire meno nella mente del nobile cavaliere di Dainhood. «Che gli Dèi Evanescenti ci perdonino. Nemmeno lei dovrebbe andare lì. Sono stati maledetti! Maledetti!»

    Che significa?, si chiese Ard confuso, rialzando la testa di scatto. «Duncan, calmati. Non ragioni lucidamente», apostrofò seraficamente, scendendo da cavallo e avvicinandosi in segno di amicizia e comprensione. «Ora andremo da Galbard e Ysgrom, a quel campo di cui mi hai parlato, e una volta che saremo tutti insieme cercheremo di capire cos'è successo agli altri, va bene?» Vista la condizione scioccata del compagno, preferì usare un tono meno rigido e più condiscendente.

    Il cavaliere baffuto annuì tremando; poi, ancora scosso, indicò la via da seguire per raggiungere i suoi compagni.

    Quando Ardwin rivide gli altri due cavalieri di Dainhood, era ormai pomeriggio.

    Ser Galbard era seduto sul ceppo di un tronco mozzato, con la placca pettorale dell'armatura raffigurante il corvo a due teste di Casa Daint tra le gambe, mentre ser Ysgrom era impegnato a cercare di ripararsi dalla pioggia sotto un albero poco distante. Nel vedere il loro compagno, mossero entrambi lo sguardo.

    «È stata una buona caccia?», chiese ser Galbard in un grumo di voce raffreddata.

    «Ottima, direi», rispose ser Duncan mostrando i due conigli che teneva appesi alla cintola. «Ho trovato questi e...» Nell'accennare una pausa breve, sembrò venire colto da un minimale tremito. «... il nostro lord.»

    Ardwin Daint mostrò la sua figura spostandosi da dietro il cavaliere baffuto. «Miei uomini», salutò gelidamente.

    Ser Galbard saltò in piedi. «Mio signore!»

    Ser Ysgrom scattò per avvicinarsi al resto del gruppo. «Mio signore!», urlò anche lui con emotivo tono rassicurato, quasi gioviale. «È arrivato!»

    Ard alzò la mano, in un gesto abituale che richiedeva il più totale silenzio. «Ho sentito dei nostri tre caduti...», tagliò corto quasi insensibilmente. «Dove sono i loro corpi?», domandò con una strana, insolita freddezza sfumata, acida di tristezza. «Desidererei seppellirli per i cavalieri investiti quali erano.»

    Ser Galbard si voltò e guardò negli occhi prima ser Ysgrom e poi ser Duncan. «Sei stato tu, Lisboun? Sei stato tu a mettere in testa al nostro signore la malsana idea di avvicinarsi a quei...» Deglutì rumorosamente, spudoratamente teso, mentre una goccia di sudore gli lasciava il volto e si andava a nascondere con il resto della pioggia sul suolo inumidito. «... Quei cosi

    Il viso di ser Duncan mutò al paonazzo e fu scosso da un nuovo tremolio convulso, causando una minima vibrazione nei folti baffoni. «No! Assolutamente no!», affermò con tenace ostinazione contrariata. «Nemmeno io voglio tornare lì!»

    Ardwin si trovò ad essere genuinamente perplesso. Cosa poteva spaventare a tal punto uomini adulti che avevano già sofferto i dolori della guerra? Uomini che, oltre ad aver già affrontato alcuni tra i peggiori pericoli del Regno di Celkrast, vivevano rispettando e seguendo il volere di un Creatore, considerato abominio dagli dèi antichi e nuovi.

    «Milord. Lei... Lei non vuole realmente assistere a ciò che abbiamo visto noi tre», sentenziò ser Galbard scuotendo la testa.

    Ser Ysgrom tossì copiosamente, poi si schiarì la possente voce tonante coprendosi le labbra con il dorso guantato della mano. «Non è cosa buona, mio signore. Per il suo e nostro bene, non dovremmo più avvicinarci a quei freddi corpi morti. Maledetti dal fumante nero tormento ; dannati dagli Evanescenti, da Holshor il Magnanimo e dèi tutti.»

    " Fumante nero tormento ..., rilevò immediatamente Ardwin Daint, sapendo perfettamente che non era la prima volta che udiva e processava tale nome. ... Dannazione." Fece un paio di passi in avanti con la mantella nera raffigurante il corvo a due teste blu zaffiro più pesante del solito a causa della pioggia incessante, mantenendo il cappuccio alzato anche se oramai zuppo. «Dove sono morti?», domandò nuovamente, ancora più gelidamente, senza perdersi in ulteriori convenevoli.

    Ser Duncan sgranò gli occhi fino a spalancarli, fissando il suo signore con un'espressione a dir poco stupefatta e la larga bocca aperta di dissenso. «Milord... Non vorrà davvero andare laggiù?»

    «È un luogo invalicabile per noi comuni Umani! Moriremmo tutti!» Ser Galbard era scioccato; su questo, il lord di Dainhood non aveva alcun dubbio.

    «Galb ha ragione, mio signore», affermò ser Ysgrom con un tono pieno di paura mascherata da cruda cortesia. «Non può parlare seriamente.»

    Il corpo di Ardwin Daint, il lord di Dainhood, venne improvvisamente circondato da un instabile reticolo fulminante. Le sue mani e la cicatrice scavata nella schiena intenta a percorrere sulla pelle la forma della spina dorsale, così come i suoi occhi color della notte, mutarono immediatamente nel più acceso azzurro-bluastro che il mondo conoscesse; lo stesso colore dei fulmini e dell'energia distruttiva del cielo. Una tonalità pulsante e vibrante, che circondata dal flusso scattante della scarica folgorante, avrebbe inquietato persino il cuore del più coraggioso degli uomini comuni.

    I tre cavalieri investiti, fino a poco prima intenti a cercare di persuadere il loro lord e a confabulare silenziosamente tra loro per il bene della loro personale volontà, arretrarono zittendo sia le loro bocche che i loro pensieri.

    «Vi ricordo che, come potete constatare, al contrario vostro io non sono più Umano. Non temo ciò che voi chiamate fumante nero tormento, né i presagi che avete indegnamente affibbiato ai vostri compagni caduti. Dovremmo proteggere il Regno da ogni tipo di minaccia, non favorirne la crescita, e questo richiede anche lo sfidare situazioni simili a quella in cui ci troviamo.» Il Creatore del fulmine camminò verso i suoi uomini circondato da scariche scattanti e strillanti dedite a formare una sorta di aura incerta, quasi invisibile ad occhio nudo, che si esprimeva in lassi di tempo istantanei, di neppure un secondo. «Non vi sto chiedendo di accompagnarmi fin laggiù. Vi sto semplicemente ordinando di riferirmi dove si trovano i corpi, così che possa analizzarli per poi tornare al problema più pressante, ovvero ciò che infesta il Faro Dimenticato.» Gli occhi del lord di Dainhood, delusi dal comportamento lui dimostrato e intrisi della superiorità dei potenti, azzurri e luminosi come l'energia celeste, scrutarono la paura dei suoi cavalieri con esperto fare gelido.

    Ser Galbard fece un passo in avanti, impettito e nobile nonostante la scavata faccia apparentemente paonazza e il naso chiaramente impegnato a gocciolare. «Milord», cominciò con tono flebile, incerto ma obbediente, saldo nella vergogna. «I corpi di Holand, Teyr e Andorin si trovano proprio vicino l'entrata del faro.»

    Ardwin Daint ritirò il fulmine dentro di sé e il suo corpo tornò normale, perdendo ogni sorta di mistica lucentezza. Fece un cenno semplice con il capo, per salutare i suoi uomini, e si voltò per tornare al cavallo. I suoi passi risuonarono affondando nella fanghiglia mista a neve, lasciando impronte che la pioggia riempì d'acqua quasi subito.

    «Mio signore!», urlò poi la voce di ser Duncan, alle sue spalle. «V-Verrò con lei.»

    Ardwin mosse appena il capo, quanto necessario per osservare con la coda dell'occhio il soldato rosso di capelli e di baffi raggiungerlo correndo.

    «Ho tradito la sua fiducia rintanandomi nella foresta nonostante gli ordini fossero di ispezionare il Faro. Non intendo commettere lo stesso errore due volte, né tantomeno insudiciare la memoria di tre miei valenti compagni deceduti.» Il cavaliere avanzò in un tremito graduale, muovendosi lentamente. «Milord, non valgo nulla, ma intendo rimediare, se me lo concederà, attraverso la forza della sua presenza.»

    Ard non tardò a notare la paura ancora impegnata ad annidarsi nel cuore di ser Duncan Lisboun, ma ciò non svalutò la dimostrazione di coraggio, anzi, la concretizzò. Per neppure un secondo e senza farsi intravedere, il lord di Dainhood sorrise, poi mosse il capo per indicare al soldato di raggiungere la propria cavalcatura.

    Ser Ysgrom, chiaramente interessato e rapito dalla scena, fissò il suo signore e il camerata stringendo i pugni, solo per poi muovere lo sguardo verso ser Galbard. Sbuffò dopo pochi istanti, come convinto da un qualcosa di insito e primitivo, coinvolgente, e alzando gli occhi al cielo, si mosse anche lui per raggiungere la giumenta legata.

    Ardwin fu felice di vedere due uomini apparentemente privati del proprio coraggio farsi forza per cercare di rimediare agli errori della paura. Scrutò con la coda dell'occhio, senza voltarsi, l'ultimo rimasto: ser Galbard. E tu che farai?, avrebbe voluto domandare, ma rimase in silenzio, per far sì che fosse l'eloquenza della quiete a decidere. "Le decisioni che dimostrano il vero carattere delle persone sono proprio queste... Quelle difficili ."

    L'ultimo cavaliere rimasto, afferrando il proprio scudo senza staccare gli arroganti, ora palesemente irridenti occhi da quelli gelidi del lord di Dainhood, iniziò a camminare lentamente in avanti. «Lord Protettore», cominciò inamovibile, usando l'appellativo onorifico di Ardwin Daint quasi come sinonimo di scherno. «Buona fortuna, laggiù.» Distolse lo sguardo. «Ne avrà bisogno più di me.»

    E mentre i due uomini in compagnia del Creatore voltavano le spalle al buon senso e alla ragione del possibile, ser Galbard voltò le sue all’onore, dirigendosi silenziosamente, ma con un misero riso di sopravvivenza impresso sulle labbra, verso Dainhood.

    Solo la vicinanza con il faro dimostrò realmente l'immensità della costruzione. Un'altezza immane, che però, una volta confrontata con il flusso oscuro dei fumi neri che scaturivano dalle crepe presenti su essa, sfigurava in maniera abnorme.

    Ardwin, che come ricordo fisico di quel luogo non aveva altro che una sfuggente occhiata data quando ancora aveva cinque anni, lo aveva immaginato più grande. Ovviamente, quello non era certo il momento per concentrare i pensieri all’architettura, ma più a ciò che così silenziosamente e orribilmente ne risiedeva all'interno.

    Il fumante nero tormento .

    Ard chinò il capo verso ser Duncan, alla sua destra. «Siamo davanti al faro, ma io non vedo corpi», pronunciò cupamente.

    Il cavaliere baffuto parve scosso da brividi. «Il corpo di Teyr...», ansimò tremolante. «Il corpo di Teyr è vicino alla porta posteriore, dall'altro lato... Voleva cercare di entrare da lì, visto che l'entrata principale è crollata... ma...»

    Ard non volle perdere tempo in ulteriori e inutili chiacchiere. Spronò il suo cavallo per portarsi nel luogo indicatogli, ma fu costretto a scendere e a continuare a piedi per via dell'impervia salita che si frappose fra lui e la meta. Scalò abilmente sei piedi di macerie, seguito dai suoi uomini. Cupo fumo color corvino si trovava sopra di lui, sopra di loro, ma non prestò mai particolare attenzione a quello...

    Perché la sua mente, prima di tutto, fu rapita dall' orrore .

    Ardwin raggiunse la porta designata arrampicandosi su ammassi di rovine, ignorando lo spiazzo semi-distrutto un tempo portato ad essere l’entrata secondaria al faro, evitando l’afflizione caotica del trambusto dell’inspiegabile, eppure, una volta che assistette alla visione di quella indesiderata immagine di sola morte e disgusto, nulla ebbe più importanza.

    Ser Ysgrom, appena arrivato, rigurgitò rumorosamente, maledicendo apertamente il luogo dannato nel quale si trovava. Ser Duncan parve invece preferire distogliere lo sguardo, evitare del tutto i contatti con l’irreversibile. Nessuno dei due, indipendentemente dall’esperienza o dalla presenza già stabilita, proferì parola.

    Ard rimase sconcertato per un paio di secondi, cedendo un minimo la gelidità allo sgomento, poi tornò (per quanto emotivamente fattibile) ad essere inviolabile come al solito. S'inginocchiò per analizzare meglio le gravi ferite del deceduto dinanzi a lui, ormai in decomposizione, spettacolo nauseabondo e mortalmente disumano.

    Il lezzo era insopportabile, ma Ardwin si costrinse comunque a impegnarsi fino in fondo per ricostruire la scena, capire le verità nascoste dal mistero.

    Il corpo morto, riconosciuto dopo attenta analisi come quello di ser Teyr Dranq, era stato devastato dall'interno, esploso in parte in una miriade di pezzi oramai introvabili. Restavano solo il lato destro del torace, con un braccio cosparso di pustole nere e fumanti, una gamba a due piedi di distanza, e la testa del povero cavaliere, ancora con l'elmo, a fare da testamento al valore. Tutto era cosparso da sangue raggrumato e viscoso, come schizzato insieme all'uomo, e da particolari polveri grigio-scure che Ard né riconobbe né credette di aver mai visto prima di allora.

    L’analisi proseguì per un po’.

    «Cosa gli è successo?», chiese dopo un paio di minuti Ardwin, senza spostare lo sguardo dal cadavere.

    Ser Duncan Lisboun rispose, ma non riuscì comunque a guardare il corpo del suo compagno. «Ha... Ha provato a varcare la soglia, mio lord. Appena ha aperto la porta ed è entrato in quei fumi neri... Ecco... Non sappiamo nemmeno noi cosa sia realmente successo. Io, p-poi, meno di tutti.» Chiuse gli occhi, apparentemente tradito dal semplice sentore di un ricordo incompleto. «Sappiamo solo che dopo, Teyr non c'era più.»

    Ser Ysgrom tossì copiosamente. «Il fumante nero tormento», sentenziò cupamente una volta ripreso un fiato quasi regolare, chiaramente più informato del suo compagno d'armi. «Teyr non doveva né toccarlo né respirarlo. Appena ha mosso il piede per entrare, è stato come gettato via, mio lord, spinto da una qualche forza ancestrale. Una volta caduto a terra, lì dove tutt'ora giace, l'intero lato sinistro del suo corpo, quello che è entrato nel fumo, è diventato nero, armatura compresa, e poi ha cominciato a gonfiarsi fumando e... fischiando e pulsando. Teyr ha cominciato a contorcersi... A... A gridare... A urlare...» Scosse il capo, assumendo un’amara espressione contrariata. «Alla fine i suoi versi non sembravano neppure più appartenere a questo mondo. Holand e Andorin hanno provato ad aiutarlo, ma...» Socchiuse gli occhi marroni in due fessure, ingollando un boccone tanto pesante quanto evidentemente amaro. «... alla fine sono scoppiati insieme a lui.» Finito il discorso rigurgitò nuovamente, forzatamente, anche se stavolta il suo non parve disgusto, ma dolore. «Dèi Evanescenti, perdonateci.»

    «Io ero rimasto di guardia giù, quindi non ho assistito alla scena; ho soltanto udito quei disumani lamenti», affermò ser Duncan. «Ma Ysgrom e Galbard, mio lord... Loro hanno visto. Loro hanno realmente visto quell'orrore.»

    Ardwin ascoltò meticolosamente ogni singola parola del racconto. Qualcosa non quadra, rimuginò immediatamente. «I corpi di Holand e Andorin qui non ci sono», dichiarò rapidamente in quella che sembrò più un’accusa che una delucidazione. «Secondo la tua versione, loro sono esplosi con Teyr, più precisamente proprio per averlo avvicinato, quindi non è possibile che abbiano riscontrato sintomi peggiori di quelli di chi ha toccato il fumo, sbaglio?»

    Ser Ysgrom si ripulì il mento gocciolante con la manica del farsetto. «Loro non sono morti come Teyr, mio signore. Quando lui è esploso, Holand e Andorin gli erano attaccati, lo stavano toccando. Prima si sono come pietrificati, diventando immobili come statue. Poi...» Volse gli occhi verso il lord di Dainhood con umile inquietudine, palese e sincera desolazione. «... Poi sono diventati dello stesso colore del fumo anche loro! Ma non come Teyr, no. Tutto il loro corpo era diventato nero, anche all'interno! E alla fine, si sono spaccati, crepati, incrinati, mio lord. Fumante nero tormento è fuoriuscito dai loro corpi tramutati in polvere!»

    Quindi, questa specie di cenere grigia..., capì in un brivido gelato Ard. Sono Holand e Andorin. «Grazie, Ysgrom. Ora tutto ha senso.» Per quanto tutta questa storia in generale, in realtà, di senso non ne abbia.

    Ardwin sfoderò una daga dalla cinta. Sollevò con la lama di essa parte del torso del cadavere, per scrutare meglio i danni causati da quella inspiegabile serie di eventi. Gli organi interni che non sono esplosi sono esposti e chiaramente visibili, perciò il danno è stato particolarmente ingente. Non ci sono tracce di ulteriori esposizioni al fumo su di essi, tanto meno segni di contatto. Girò di schiena il corpo sempre con l'ausilio dell'acciaio. L'armatura, così come il tessuto muscolare, la pelle e le ossa, non riporta cambi di colore come quelli descritti da Ysgrom se non per cause naturali come macchie dovute a cancrena e putrescenza.

    «Milord... La scongiuro, faccia in fretta.» Ser Duncan, impaziente, pareva non gradire lo scenario.

    «Dammi solo un minuto, Duncan.» Ard si spostò sul braccio morto e analizzò le pustole nere su di esso. Pulsavano come avrebbe fatto un cuore apparentemente morente, ma a intervalli decisamente più irregolari. Una volta rigonfie, rilasciavano sfaldandosi e sbuffando fili di vapore nerastro, simili a quelli che appestavano il faro.

    Ardwin decise di provare a sollecitare una fuoriuscita. Con la punta della daga e notabile cautela, incise con precisione una delle pustole, che appena ricevette il bacio freddo del metallo scoppiò in una miriade di fumi oscuri portandosi via la parte di braccio sulla quale era cresciuta, mostrando la carne viva sottostante.

    «Teyr è morto proprio in quel modo, mio signore», rivelò subito ser Ysgrom. «Certo, l'esplosione era più grande, ma ciò che ne è uscito era uguale.»

    Ardwin, però, ancora non era convinto. Mi chiedo se... Concentrò il fulmine nella mano destra, evitando di rilasciarlo nel resto del corpo. Aveva imparato a controllarlo, anche se ancora non bene come sperava. La scarica energetica scivolò sulla lama della daga impugnata, facendola vibrare e contornandola di scariche fulminee di un mistico azzurro impossibile. Cercò di bucare un'altra di quelle pustole fumanti, stavolta aiutandosi con i suoi poteri.

    A contatto con la punta d'acciaio fulminante, la pelle pulsante emise una sorta di fischio e si sgonfiò rilasciando vapore biancastro, tornando alla normalità.

    «L'origine potrebbero essere le abilità di un qualche Creatore, visto che posso contrastarne gli effetti», annunciò Ardwin ad alta voce, in un gesto che serviva più a convincere sé stesso che i suoi uomini.

    Ser Ysgrom annuì silenziosamente. Ser Duncan, invece, parve finalmente decidere di voltarsi e guardare.

    Poveri Teyr, Holand e Andorin. Erano uomini coraggiosi, cavalieri valenti e amici fidati, ma il tempo ha portato via anche loro. Il Creatore del fulmine ripose la daga. Appoggiò il palmo della mano destra su quel torso devastato e rilasciò una scarica che pervase gli interni del pezzo di cavaliere deceduto, purificandone il cadavere dal fumante nero tormento una volta per tutte. Fece la stessa cosa con le poche parti che riuscì a trovare, come il piede e la gamba destri, e le polveri degli altri due cavalieri, ma quando arrivò alla testa di Teyr, lontana di un paio di metri da tutto il resto, notò qualcosa di strano.

    Sotto quell'elmo piegato e sporco di sangue, il capo dell'uomo, capì immediatamente Ardwin, non era stato lasciato come il resto del corpo.

    "Al contrario di Holand e Andorin, tu sei sempre stato una testa calda , Teyr. Non ascoltavi mai la ragione e fin troppo spesso disobbedivi agli ordini, facendo sì di cacciarti anche nei guai, ma in fondo eri un buon uomo, e ti rispettavo così come tutti gli altri abitanti di Dainhood. Ard afferrò stavolta entrambe le daghe che aveva alla cintola, così da poter far scivolare con cautela il pezzo di carne intrappolato in quell'elmo semidistrutto. Non meritavi una fine simile."

    La testa di Teyr Dranq rotolò per terra, separandosi dalla nobile armatura in acciaio. Era diversa da qualsiasi cosa Ardwin Daint avesse mai visto. La parte destra era normale, per un cadavere di tre giorni, ma il lato sinistro era completamente risucchiato, apparentemente rintanatosi all'interno del resto del cranio.

    Come se fosse imploso..., rimuginò spontaneamente Ard.

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