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Religione e morale (Tradotto): versione filologica del saggio
Perché la gente si droga? (Tradotto): versione filologica del saggio
Perché non mangio la carne (tradotto): Il primo gradino, saggio per una vita buona
Ebook series6 titles

Opere di Tolstoj

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About this series


Questo saggio di Tolstój è stato scritto nel 1896, ossia sette anni dopo Sonata «Kreutzer», del 1889. Il tema di quel romanzo – il sottovalutato strapotere manipolatorio della musica sulla volontà umana – viene qui ripreso in forma diversa e più generale. 
Le varie arti sono affrontate insieme in parallelo, e si analizza in particolare il ruolo dell’arte nella società. Se nel Parassitismo (1910) lo scrittore divide le persone in due categorie, quelle che faticano e quelle che vivono a spese di chi fatica, qui lo stesso tratto distintivo è applicato agli artisti e ai fruitori dell’opera d’arte. Tolstój si domanda come possa un artista – che conduce una vita priva di fatica fisica e ha valori etici di riferimento diversi dall’operaio e dal contadino “faticatori” – trasmettere attraverso l’arte un messaggio che risulti coinvolgente per le masse popolari.
Oggi forse diremmo che l’artista moderno – in questa visione tolstojana – è autoreferenziale, e quindi i suoi prodotti non possono esercitare un appello sulle masse. L’arte permette a chi conduce una vita di fatica di riposarsi, distrarsi, rigenerarsi mediante la «percezione passiva dei sentimenti altrui». Per Tolstój l’artista prova sentimenti che il faticatore per definizione non può provare – per mancanza di tempo ed energia – e li “mette a disposizione” del popolo attraverso l’opera d’arte. Secondo lo scrittore, la persona che ascolta, per esempio, un brano musicale prova le stesse cose che provava il compositore quando l’ha scritto. Oggi forse diremmo che l’artista fa provare in modo virtuale all’uomo di fatica ciò che l’artista ha provato in modo empirico.
LanguageItaliano
PublisherBruno Osimo
Release dateJun 18, 2019
Religione e morale (Tradotto): versione filologica del saggio
Perché la gente si droga? (Tradotto): versione filologica del saggio
Perché non mangio la carne (tradotto): Il primo gradino, saggio per una vita buona

Titles in the series (6)

  • Perché non mangio la carne (tradotto): Il primo gradino, saggio per una vita buona

    1

    Perché non mangio la carne (tradotto): Il primo gradino, saggio per una vita buona
    Perché non mangio la carne (tradotto): Il primo gradino, saggio per una vita buona

    Questo saggio di Tolstoj del 1892 appartiene al periodo in cui il grande scrittore aveva rinnegato l'intera produzione letteraria della prima parte della sua vita – quella comprendente Guerra e pace e Anna Karénina, per intenderci – e aveva dedicato tutto sé stesso ad aiutare i poveri, i contadini, i bisognosi. Il titolo originale del saggio è «Il primo gradino» ma, data l'attualità scottante del tema del vegetarianismo, ho preferito modificare nella versione italiana il titolo e mantenere l'originale come sottotitolo. Il discorso del mangiare la carne è inserito nel quadro della successione delle virtù per condurre una vita buona. Per questo motivo, le prime otto parti del saggio sono dedicate a tutti i vizi e alle cattive abitudini che abbiamo, e all'ipocrisia – diremmo oggi – dei sedicenti credenti che predicano bene e razzolano male, perché non riescono a padroneggiare le proprie pulsioni, essendo privi di autocontrollo. I lettori interessati solo al discorso sul vegetarianismo possono, volendo, passare direttamente alla nona parte, intitolata «Visita al macello di Tula», e leggerla insieme alla decima e ultima. Se però, come penso anche io, le argomentazioni per convincere chi mangia la carne a smettere non sono mai abbastanza, vi consiglio di leggere dall'inizio perché Tolstoj è molto logico nella sua articolazione, ed è ancora più evidente, dopo avere letto le prime otto parti del saggio, quanto sia contraddittorio, incoerente e vergognoso mangiare la carne se si hanno semplicemente dei princìpi morali. Non occorre essere né cristiani né religiosi per condividere l'argomentazione di Tolstoj. Anche un laico come il sottoscritto può giovarsi della profondità morale di questo testo, denso di potenziali citazioni adatte anche alla nostra era contemporanea, fatta di messaggi brevi marcati da tag. Auguro a tutti noi che alla brevità di questi messaggi non corrispondano un'altrettanto breve memoria e un altrettanto rapido ragionamento. Buona lettura.

  • Religione e morale (Tradotto): versione filologica del saggio

    3

    Religione e morale (Tradotto): versione filologica del saggio
    Religione e morale (Tradotto): versione filologica del saggio

    Mi avete chiesto: 1. Cosa intenda con la parola «religione» e 2. Se io consideri possibile che la morale sia indipendente dalla religione per come la intendo. Cercherò di rispondere a queste domande estremamente importanti e ben poste nel modo più efficace possibile. Alla parola «religione» sono solitamente attribuiti tre significati diversi. Il primo vede la religione come una rivelazione di verità data da una divinità alle persone e una conseguente venerazione della divinità. Tale significato è attribuito alla religione dalle persone che credono in una qualsiasi delle religioni esistenti e che quindi considerano questa religione vera. Il secondo significato attribuito alla religione è quello secondo cui questa è un corpo di norme superstiziose stabilite e una conseguente venerazione superstiziosa della divinità. Tale significato è attribuito alla religione da persone non credenti in generale o che non credono nella religione di cui danno la definizione. Il terzo significato attribuito alla religione la definisce come un corpo di norme e leggi inventate da persone intelligenti che sono necessarie alle rozze masse popolari sia per confortarle, sia per contenere e controllare le loro passioni. Tale significato è attribuito alla religione da persone che sono indifferenti alla religione in quanto tale, ma che la considerano un utile strumento di governo.

  • Perché la gente si droga? (Tradotto): versione filologica del saggio

    2

    Perché la gente si droga? (Tradotto): versione filologica del saggio
    Perché la gente si droga? (Tradotto): versione filologica del saggio

    In questo saggio del 1890 Lev Tolstoj – all’età di sessantadue anni – mette in guardia l’umanità dai rischi connessi all’ottundimento volontario della coscienza.  Tale ottundimento è realizzato mediante quelle che lui chiama «droghe» – e in questa categoria annovera non solo quelle che chiamiamo droghe anche noi, ma anche alcolici e fumo. In altre parole fa quello che ogni società dovrebbe fare – considerare tutte le sostanze che alterano la coscienza alla stessa stregua, che facciano o no parte della tradizione locale culturospecifica.  La parola che abbiamo tradotto «droga», durman, è l’espressione russa per lo stramonio (Datura stramonium) e, per estensione, di tutte le sostanze inebrianti. Un’altra parola che ricorre spesso in questo saggio è quella che abbiamo tradotto «stupefacenti», in russo odurâûŝij, participio presente del verbo odurât’, che significa «annebbiare la coscienza mediante influenza esterna». Mi rincresce che la parola suoni un po’ burocratica, e per la precisione a me ricorda il gergo dei verbali di polizia, ma d’altra parte l’unica alternativa era «inebrianti», che non è particolarmente vantaggiosa. Anche quello che Tolstoj ci dice sul fumo è di grande attualità. Il pericolo di questa “droga” è che ce la si può portare in giro ovunque, non necessita di particolari attrezzature, e – all’epoca in cui il testo è stato scritto – si poteva consumare ovunque, senza limitazioni, solo dopo avere detto la frase di rito «Le dà fastidio?», a cui l’unica risposta beneducata possibile è «No, faccia pure». I fumatori, allora come ora, approfittano di questo bug nella nostra cultura – la beneducazione che impedisce di dire le cose come stanno – e inquinano lo spazio degli altri come non sarebbe ammissibile con altre sostanze inquinanti – odori corporali, per esempio. Come dice Tolstoj: «Nessuno si permetterebbe di bagnare il pavimento della stanza in cui ci sono delle persone, fare rumore, urlare, far entrare il freddo, il caldo o la puzza, fare cose che disturbano e danneggiano gli altri». Come succede a tutti i grandi, c’è una parte della produzione letteraria di Tolstoj di gran lunga sottovalutata. Per fortuna c’è sempre modo di recuperare il tempo perduto non leggendo i saggi di Tolstoj.

  • Sonata «Kreutzer»: versione filologica del romanzo

    5

    Sonata «Kreutzer»: versione filologica del romanzo
    Sonata «Kreutzer»: versione filologica del romanzo

    Questo romanzo è stato pubblicato da Tolstój nel 1890, nel pieno della sua crisi spirituale, che lo ha visto rinnegare i capolavori Guerra e pace e Anna Karénina e rinunciare – tra le resistenze della moglie – ai diritti d’autore su queste opere. Gli ultimi trent’anni della sua vita li ha dedicati a scrivere saggi in cui ha esposto una visione del mondo personale, con una morale talmente solida da essere in contrasto anche con quella più conformista e demagogica della chiesa, che infatti lo ha scomunicato. In questo romanzo la sua visione morale trova una forma artistica.

  • Il parassitismo (tradotto): secondo Tolstój

    6

    Il parassitismo (tradotto): secondo Tolstój
    Il parassitismo (tradotto): secondo Tolstój

    Il saggio, che presentiamo qui in versione autonoma, originariamente era il nono capitolo del libro Put’ žizni [Il cammino della vita], del 1910, anno della morte di Lev Nikolàevič, che aveva ottantadue anni. Sappiamo che la visione del mondo del grande pensatore ha avuto un’evoluzione notevole. Schematizzando, possiamo parlare di un primo periodo, fino al 1882, quando aveva cinquantaquattro anni, e pubblicò il libro Confessione. In questo primo periodo, in cui sono state create le opere più famose, Guerra e pace, Anna Karénina, la visione è ancora abbastanza ottimistica e relativamente conformista. Dopo il 1882 incomincia una fase di crisi morale, nella quale a partire dalla propria vita personale mette in dubbio moltissime usanze della nostra società, come l’uso di sostanze stupefacenti (tra le quali annovera anche caffè alcol tabacco; si veda il saggio «Perché la gente si droga?» in questa collana), i costumi sessuali (dopo una vita di vizi e stravizi non solo coniugali, si scaglia contro qualsiasi attività sessuale, comprese quelle matrimoniali; si veda il saggio «Il desiderio sessuale» in questa collana), e anche la religione ufficiale (si veda il saggio «Religione e morale» in questa collana). Essendo un intellettuale poliedrico e certamente fuori dagli schemi sia nella vita pratica sia in quella pubblica e intellettuale, evidentemente ha sentito il bisogno di esprimere questa sua visione morale anche in forma artistica, e quindi ha prodotto il suo più celebre romanzo breve, Sonata «Kreutzer». Quello che desta ammirazione in Tolstój è che la sua logica non tiene conto di nessuna barriera ideologica, ma procede dritta per la sua traiettoria calpestando le fedi politiche, religiose, filosofiche quando queste si mettono di traverso rispetto al suo pensiero e ai suoi princìpi. Non ha nessun “rispetto”, se si vuole dirlo così. In questo saggio sul parassitismo, per esempio, esprime un pensiero impeccabile che potrebbe essere preso a modello da una retorica operaista o “proletaria”. Ma tale tentativo non avrebbe successo, perché noi tutti sappiamo per esperienza personale che i parassiti sono ovunque, dentro e fuori dalle istituzioni di destra e di sinistra, di poveri e di ricchi, di conservatori e di riformisti. I parassiti sono dentro le nostre famiglie, sono i nostri fratelli maggiori, o magari i nostri figli o genitori. Sono i nostri colleghi, i superiori e i sottoposti. E proprio perché è un tema così trasversale, che unisce pubblico e privato, ci coinvolge ancora oggi oltre un secolo dopo. «la schiavitù non è altro che l’uso da parte di alcuni del lavoro forzato di molti. E affinché la schiavitù non esista bisogna che le persone non desiderino usare il lavoro forzato degli altri, lo considerino un peccato o una vergogna. E nel frattempo si danno da fare per abolire la forma esteriore di schiavitù, dispongono in modo tale che non sia più possibile fare transazioni su schiavi, e immaginano e assicurano a sé stessi che la schiavitù non c’è più, ma non vedono e non vogliono vedere che la schiavitù continua a esistere, perché le persone continuano ad amare e considerare buono e giusto servirsi del lavoro degli altri. E appena lo considerano una cosa buona, ci sono subito persone più forti o più furbe di altre e in grado di farlo» scriveva Tolstój nella Sonata «Kreutzer» (sempre disponibile in questa collana).

  • Su ciò che viene chiamato «arte»: L’arte vista da Tolstój

    7

    Su ciò che viene chiamato «arte»: L’arte vista da Tolstój
    Su ciò che viene chiamato «arte»: L’arte vista da Tolstój

    Questo saggio di Tolstój è stato scritto nel 1896, ossia sette anni dopo Sonata «Kreutzer», del 1889. Il tema di quel romanzo – il sottovalutato strapotere manipolatorio della musica sulla volontà umana – viene qui ripreso in forma diversa e più generale.  Le varie arti sono affrontate insieme in parallelo, e si analizza in particolare il ruolo dell’arte nella società. Se nel Parassitismo (1910) lo scrittore divide le persone in due categorie, quelle che faticano e quelle che vivono a spese di chi fatica, qui lo stesso tratto distintivo è applicato agli artisti e ai fruitori dell’opera d’arte. Tolstój si domanda come possa un artista – che conduce una vita priva di fatica fisica e ha valori etici di riferimento diversi dall’operaio e dal contadino “faticatori” – trasmettere attraverso l’arte un messaggio che risulti coinvolgente per le masse popolari. Oggi forse diremmo che l’artista moderno – in questa visione tolstojana – è autoreferenziale, e quindi i suoi prodotti non possono esercitare un appello sulle masse. L’arte permette a chi conduce una vita di fatica di riposarsi, distrarsi, rigenerarsi mediante la «percezione passiva dei sentimenti altrui». Per Tolstój l’artista prova sentimenti che il faticatore per definizione non può provare – per mancanza di tempo ed energia – e li “mette a disposizione” del popolo attraverso l’opera d’arte. Secondo lo scrittore, la persona che ascolta, per esempio, un brano musicale prova le stesse cose che provava il compositore quando l’ha scritto. Oggi forse diremmo che l’artista fa provare in modo virtuale all’uomo di fatica ciò che l’artista ha provato in modo empirico.

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