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Raffaello pugnalato
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Raffaello pugnalato

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About this ebook

I dipinti del divino Raffaello Sanzio sembrano a prima vista calati direttamente dal cielo, algidi e incorrotti come se il tempo non fosse trascorso.
È un'impressione sbagliata.
Molti dei capolavori di Raffaello sono miracolosamente sopravvissuti sino a noi, hanno conosciuto viaggi rocamboleschi, calamità naturali, furti, danni, guerre e anche errori di lettura e interpretazione.
Alla vita davvero avventurosa di alcuni dei più celebri capolavori di Raffaello è dedicato questo libro che raccoglie articoli e recensioni "raffaellesche" uscite sulle pagine del Sole 24 Ore Domenica, e intende offrire un piccolo (e speriamo piacevole) contribuito di storie e di memorie per celebrare l'anniversario dei cinquecento anni della morte di Raffaello Sanzio (1520-2020).
LanguageItaliano
PublisherIlSole24Ore
Release dateDec 9, 2019
ISBN9788863456509
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    Book preview

    Raffaello pugnalato - Marco Carminati

    Introduzione

    A vederli così, armoniosi e perfetti nelle composizioni e nei colori, i dipinti di Raffaello Sanzio – il pittore Divino, come fu definito per secoli – sembrano a prima vista calati direttamente dal cielo, e appaiono protetti e circonfusi da una sorta d’aura celestiale che ce li fa percepire algidi e incorrotti, come se il mezzo millennio che ci divide oggi dalla morte del suo creatore non fosse per nulla trascorso.

    Bene, diciamolo subito, questa è un’impressione sbagliata. Molti dei capolavori di Raffaello sono in realtà miracolosamente (questo è il termine giusto) sopravvissuti sino a noi, hanno conosciuto danni e traversie di ogni tipo, viaggi rocamboleschi, calamità naturali, furti, guerre e anche errori di lettura e interpretazione.

    Alla vita davvero avventurosa di alcuni dei più celebri capolavori di Raffaello Sanzio è dedicato questo libro, che raccoglie articoli e recensioni raffaellesche uscite sulle pagine del Sole 24 Ore Domenica negli ultimi dieci anni, più alcuni testi provenienti da pubblicazioni collettive debitamente aggiornati e adattati per questa occasione, in modo da offrire un piccolo (e speriamo piacevole) contribuito di storie e di memorie per celebrare l’anniversario dei cinquecento anni della morte di Raffaello Sanzio (1520-2020).

    Aprendo una qualsiasi monografia di Raffaello, che contenga il catalogo completo delle opere del maestro, è possibile sperimentare con facilità e sorpresa a quanti avventurosi inconvenienti andarono incontro molti manufatti dell’Urbinate.

    Apriamo qualche pagina a caso. La pala dedicata al Beato Nicola da Tolentino – che Raffaello eseguì tra il 1500 e il 1501 per la chiesa di Sant’Agostino a Città di Castello su commissione di Andrea di Tommaso Baronci – venne rovinosamente travolta da un terremoto che colpì l’Umbria nel 1789. La pala uscì così gravemente danneggiata dal sisma che si decise – invece di provare a restaurarla – di segarla in pezzi salvando solo le parti rimaste ancora leggibili. I pochi frammenti superstiti vennero ricoverati in Vaticano fino al 1849; poi andarono dispersi sul mercato antiquario. Oggi due teste di angeli si trovano rispettivamente a Brescia e a Parigi, la parte alta della pala, con Dio Padre tra i cherubini, è nel Museo di Capodimonte a Napoli; e due parti della predella sono conservate nell’Institute of Arts di Detroit.

    Non furono però solo le calamità naturali a infierire sui capolavori di Raffaello: ci si misero anche l’avidità e la violenza degli uomini.

    Uno dei dipinti più intensamente drammatici del Maestro, la Deposizione di Cristo (detta anche Pala Baglioni), oggi conservata nella Galleria Borghese di Roma, fu oggetto di un furto spudorato. Raffaello l’aveva dipinta nel 1507 su commissione di Atalanta Baglioni per la cappella di famiglia nella chiesa di San Francesco al Prato di Perugia. La pala rimase al suo posto indisturbata per un secolo esatto. Poi, finì nel mirino di uno dei più avidi collezionisti del tempo, il cardinale Scipione Borghese, nipote di papa Paolo V. Scipione si era letteralmente invaghito di quest’opera negli anni in cui era vissuto a Perugia come studente e fece così pressione sull’onnipotente zio pontefice per farsi regalare il quadro. I francescani di Perugia assecondarono il desiderio del papa e nel 1608 la pala venne trafugata dalla città umbra e portata Roma. È interessante sottolineare che il trasporto avvenne nottetempo per evitare le reazioni irate dei perugini, che puntualmente arrivarono, violente e sonore, una volta appresa la notizia della asportazione illegale del capolavoro raffaellesco. Nonostante le proteste però, il papa era il papa, e Perugia non rivide mai più quel sublime Raffaello. Si dovette accontentare di una copia.

    Ma le pitture di Raffaello Sanzio furono persino vittime dei Lanzichenecchi. Durante il sacco di Roma del 1527, le truppe protestanti di Carlo V riuscirono a entrare nel Palazzo Apostolico e raggiunsero le Stanze di Raffaello. Qui, con un’arma bianca (una picca, una spada o un pugnale) un soldato incise alla base dell’affresco il minaccioso nome di Luther, come atto di offesa e spregio nei confronti del papa e della chiesa di Roma. Quel nome è rimasto indelebilmente inciso sull’intonaco, e ancor oggi, aguzzando la vista, è possibile leggerlo.

    In quanto ad avventure vissute dalle opere di Raffaello, una buona dose di racconti ci viene dalla bella biografia che Giorgio Vasari dedicò al pittore.

    Un gustoso aneddoto possiamo già anticiparlo qui e riguarda l’Andata al Calvario (detto Spasimo di Sicilia) oggi conservata al Museo del Prado di Madrid. Raffaello dipinse questa pala tra il 1514 e 1515 su ordine di Giacomo Basilico che la volle destinare alla chiesa di Santa Maria dello Spasimo di Palermo (da qui l’origine del nome Spasimo di Sicilia). La pala venne terminata qualche anno dopo (siamo attorno al 1517) e – messa in una cassa – fu spedita da Roma a Palermo. Con ogni probabilità, l’opera lasciò la Caput Mundi su un carro o su una barca fluviale lungo il Tevere. Al porto di Ostia venne caricata sopra una di quelle navi commerciali che collegavano Palermo con Genova costeggiando i litorali italiani. Vasari racconta che l’opera «finita del tutto, ma non ancora condotta al suo luogo, fu vicinissima a capitar male». E spiega: «Essendo ella messa in mare a Ostia per essere portata a Palermo, una orribile tempesta percosse ad uno scoglio la nave che la portava, di maniera che tutta si aperse e si perderono gli uomini e le mercanzie, eccetto questa tavola. Essa, così incassata com’era» – ovvero perfettamente protetta dal suo imballo – «fu portata dal mare in quel di Genova; dove ripescata e tirata in terra fu veduta essere cosa divina, essendosi mantenuta illesa e senza macchia o difetto alcuno». La furia dei venti e le onde del mare – prosegue il Vasari – ebbero rispetto della bellezza di tale opera «della quale divagatasi poi la fama, procacciarono i monaci palermitani di riaverla coi favori del Papa. Rimbarcatala dunque di nuovo, e condottola pure in Sicilia, la posero in Palermo; nel qual luogo ha più fama e riputazione del monte Vulcano».

    Questo racconto ha ovviamente il dolce sapore della leggenda ma quanto si leggerà in seguito è invece la più aspra cronaca della verità. Con due ambizioni: l’una è di mettere in guardia sulla grande fragilità e vulnerabilità delle opere d’arte, e l’altra di far conoscere Raffaello divertendosi un po’.

    Il giovane Sanzio, figlio di papà

    Gli archivi di Urbino hanno restituito eccezionali documenti inediti che permettono di ricostruire la storia e le fortune della famiglia del Maestro. Lo zio Bartolomeo, tutore del pittore, tentò di esautorare la matrigna Berardina dall’eredità. Ma perse la causa. Il nonno Sante era decoratore e imprenditore, il padre Giovanni artista e scrittore. E «Raphael» è detto «illustris» già a 17 anni.

    Urbino non fu solo la città natale di Raffaello ma determinò in modo significativo la sua formazione. La grande mostra dal titolo Raffaello e Urbino aperta a Palazzo Ducale nel 2009 a cura di Francesca Mochi Onori ha inteso recuperare e valorizzare la stretta connessione tra Raffaello e la sua città natale, presentando capolavori giovanili del maestro (20 dipinti e 19 disegni originali) e mettendoli in rapporto con la pittura del padre Giovanni Santi e di pittori vicini alla fase giovanile della sua formazione urbinate.

    Che la mostra di Raffaello a Urbino sia stata una rassegna importante lo si è compreso al volo da un dato apparentemente

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