Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Emicrania
Emicrania
Emicrania
Ebook217 pages2 hours

Emicrania

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

L'emicrania è un affascinante mistero perché rappresenta una malattia esclusivamente umana, altamente conservata nel corso dell'evoluzione della specie. Un'inutile iperfunzione del cervello che ha tormentato le menti eccelse di tanti personaggi geniali della storia, da Fryderyk Chopin a Virginia Wolf, da Immanuel Kant a Sigmund Freud. L'emicrania appare come il prezzo pagato da un cervello troppo veloce per sopravvivere a se stesso. La vita, nella sua accezione più vasta, è il detonatore di questa malattia caratterizzata da solide basi biologiche. Finora considerata impropriamente come figlia di un Dio minore, l'emicrania vive oggi un nuovo rinascimento per l'avvento di trattamenti rivoluzionari che promettono di incidere profondamente sull'esistenza di milioni di individui. Oggi si sa molto dell'emicrania e molto si può fare per curarla bene. Comprenderla per rispettarla e superarne il disagio sono gli scopi di questo libro, dedicato a chi ne soffre in pirandelliano silenzio.
"L'emicrania appare come il prezzo pagato da un cervello troppo veloce per sopravvivere a se stesso".
LanguageItaliano
PublisherIlSole24Ore
Release dateJan 11, 2021
ISBN9788863457957
Emicrania

Related to Emicrania

Related ebooks

Economics For You

View More

Related articles

Reviews for Emicrania

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Emicrania - Piero Barbanti

    Capitolo 1

    Una storia umana

    Quante emozioni e situazioni sono esclusivamente umane! La nostalgia e la tenerezza, ad esempio, ma anche la debolezza, il peccato, il vizio. Le malattie invece no. Quasi tutte le patologie che affliggono l’uomo sono democraticamente presenti anche nell’animale: le malattie del sistema cardiocircolatorio, di quello respiratorio, renale, ematologico, muscoloscheletrico e via discorrendo.

    Purtroppo, i nostri tempi hanno dimostrato che è vero anche il contrario: anche le malattie che credevamo potessero essere esclusive dell’animale possono in realtà fare il salto di specie e colpire l’uomo. È il caso ad esempio della nuova variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob (malattia da prione nota come morbo della mucca pazza) insorta nel 1996 e dovuta all’assunzione di carne di bovino affetto da encefalopatia spongiforme, o del Covid-19, il contagiosissimo coronavirus che è stato in grado di fare lo spillover dal pipistrello all’uomo e la cui pandemia è drammaticamente sotto i nostri occhi.

    E cosa dire invece delle malattie del sistema nervoso? Possono essere presenti anche loro nell’animale? Ma certo! Epilessia, tumori cerebrali, disturbi dell’affettività come la depressione possono riguardare diversi animali, a cominciare da quelli domestici. E ciò non è tutto: quand’anche l’animale non presenti spontaneamente una malattia neurologica umana, gliela si può sperimentalmente provocare. Pensiamo al parkinsonismo indotto nel macaco da un derivato della meperidina, potente oppioide sintetico, noto con il nome di MPTP (1-metil 4-fenil 1,2,3,6-tetraidro-piridina) o nel ratto dalla 6-idrossidopamina e dal rotenone, un insetticida naturale. Per non parlare dei modelli animali transgenici in grado di fare esprimere all’animale da laboratorio le proteine malate dell’Alzheimer, della sclerosi laterale amiotrofica e di altre malattie neurodegenerative.

    Ma c’è un "ma". La malattia neurologica più frequente e più disabilitante al mondo è invece esclusivamente umana e si chiama emicrania. Per quanto ci si sia sforzati anche solo di intravederla nell’animale – scrutandone il comportamento – o di indurla in laboratorio non si è mai riusciti a riprodurla. Certo, siamo in grado di simulare nei modelli sperimentali il dolore neurovascolare, responsabile della sua caratteristica qualità pulsante, ma di emicrania nell’animale non se ne parla proprio.

    Dunque emicrania = malattia esclusiva del genere umano. Ciò deve farci riflettere. Dovremmo per la verità anche interrogarci stupefatti del perché l’emicrania, una malattia del cervello, abbia tormentato menti eccelse come tanti personaggi geniali della storia da Fryderyk Chopin a Virginia Wolf, da Immanuel Kant a Sigmund Freud. E allora proviamo a procedere per indizi. Dunque, se «l’uso delle ipotesi è il metodo della scienza», come sentenziava Bacone, dobbiamo pensare che l’emicrania debba necessitare di qualcosa di esclusivamente umano per manifestarsi. Che si tratti dell’intelligenza? Ecco che allora il nostro pensiero corre alla corteccia prefrontale, l’area comparsa più recentemente nel corso dello sviluppo della specie e che ci differenzia dagli animali. Ma procediamo per gradi. Un diffuso modo di dire sostiene che le persone con la fronte alta sono più le intelligenti. Inoltre, se pensiamo al cranio dell’uomo di Cro-Magnon, risalente a circa 35mila anni fa, la fronte era davvero poco sviluppata e molto sfuggente. Mettiamo allora assieme questi due aspetti e troveremo paradossalmente una verità scientifica: il marchio dell’intelligenza umana è la corteccia prefrontale. Si tratta di una zona del cervello paragonabile a una grande centralina iperconnessa che riceve e smista una marea di messaggi. È informata di qualunque cosa accada dentro e fuori di noi, ricevendo input non solo da tutte le altre aree corticali del cervello ma anche dal sistema limbico (emozioni), dal talamo (afferenze sensoriali) e dai nuclei grigi della base (coordinazione del movimento). Un paragone calzante è quello di immaginare la corteccia prefrontale come un commissario straordinario che avocando a sé tutte le informazioni tecniche decide poi da solo la strategia. E proprio in questo sta l’unicità del cervello umano, dal momento che sulla base dell’esplorazione del mondo interiore ed esteriore è solo la corteccia prefrontale che decide, pianifica, crea strategie, frena gli impulsi, differisce, rallenta o accelera i nostri comportamenti dando anche valutazioni etiche. Noi diventiamo adulti quando la corteccia prefrontale giunge a completa maturazione. Secondo gli studiosi, la maturazione prenderebbe il via in maniera rilevante nel corso della adolescenza ma terminerebbe ben oltre, verso i 25 anni, con un meccanismo di rifinitura consistente nella potatura delle sinapsi in eccesso chiamato pruning, fenomeno assimilabile alla rasatura dello stucco dopo la sua applicazione. Ma non ci sono solo queste considerazioni a far ipotizzare un ruolo della corteccia cerebrale più umana, cioè quella prefrontale, nel meccanismo dell’emicrania. Un altro indizio importante è dato dallo stress. Le situazioni stressanti, o meglio il passaggio dallo stress al relax, sono la prima causa di scatenamento dell’emicrania. E dove viene processato lo stress nella nostra testa? Facile, proprio nella corteccia prefrontale. Se un indizio rimane tale, due indizi costituiscono una prova: la corteccia prefrontale è verosimilmente la base di partenza dell’emicrania.

    Se proviamo allora a inanellare pazientemente tutte le nozioni precedenti viene fuori che l’emicrania è: 1) una malattia del cervello che 2) colpisce solo l’uomo e 3) coinvolge la corteccia prefrontale, sede della sua intelligenza. Qui compare il primo ossimoro. Come è possibile che personaggi di grande intelligenza abbiano sofferto (e tutt’oggi soffrono) di emicrania? Dobbiamo desumere che l’emicrania ha bisogno di un cervello evoluto e intelligente per manifestarsi ma non lo danneggia. In altre parole, «fa tanto male (al paziente) ma non gli fa tanto male (al cervello)».

    Bibliografia essenziale

    1. Cole MW, Yarkoni T, Repovs G, Anticevic A, Braver TS. Global connectivity of prefrontal cortex predicts cognitive control and intelligence. J Neurosci 2012;32(26):8988-99.

    2. Hiser J, Koenigs M. The multifaceted role of the ventromedial prefrontal cortex in emotion, decision making, social cognition, and psychopathology. Biol Psychiatry 2018;83(8):638-647.

    3. McEwen BS, Morrison JH. The brain on stress: vulnerability and plasticity of the prefrontal cortex over the life course. Neuron 2013;79(1):16-29.

    4. Shah A, Garzon-Muvdi T, Mahajan R, Duenas VJ, Quiñones-Hinojosa A. Animal models of neurological disease. Adv Exp Med Biol 2010;671:23-40.

    5. Tsujimoto S. The prefrontal cortex: functional neural development during early childhood. Neuroscientist 2008;14(4):345-58.

    6. Vuralli D, Wattiez AS, Russo AF, Bolay H. Behavioral and cognitive animal models in headache research. J Headache Pain 2019;20(1):11. doi: 10.1186/s10194-019-0963-6.

    Capitolo 2

    L’emicrania serve?

    Perché mai nel corso dell’evoluzione della specie umana l’emicrania non è stata progressivamente eliminata dalla selezione naturale? Ah, saperlo! Tanto per cominciare ci sono fondati sospetti che ne soffrisse proprio Charles Darwin, padre dell’evoluzionismo, il quale è stato afflitto per gran parte della sua vita da attacchi periodici di mal di testa molto disabilitanti. Qualche spiegazione c’è, senza rivelare quanto verrà spiegato più avanti. Pensiamo durante la preistoria a un cavernicolo colpito da un attacco emicranico. In quel giorno, o meglio in quei giorni, sarà stato costretto a rintanarsi nella sua spelonca non essendo in grado di cacciare e avrà corso meno rischi di essere ferito o ucciso dalle sue possibili prede. Da qui deriva la sua perpetuazione nelle generazioni successive, pur presentando un difetto.

    C’è poi un’altra spiegazione, argutamente suggerita da Elisabeth Loder, insigne clinico neurologo dell’Università di Harvard. L’emicrania, come sarà spiegato diffusamente più avanti, è sostanzialmente un eccesso di legittima difesa. Durante l’attacco emicranico i vasi delle meningi si dilatano, fanno affluire una maggior quantità di sangue al cervello, rifornendolo di più alimenti (ossigeno e nutrimento) ma anche più munizioni (globuli bianchi) per contrastare i nemici. La morale è che il cervello emicranico, essendo sempre abituato a far scattare per un nonnulla l’allarme rosso, sarà il primo ad attivare il meccanismo di difesa in diverse condizioni fisiologiche e non, proteggendo il soggetto. Tra le circostanze fisiologiche – o quasi – in grado di far scattare l’allarme emicranico ci sono tipicamente il digiuno e la carenza di sonno. Questa specie di legge del taglione (tu fai gli stravizi e io ti punisco) promulgata dai suoi circuiti neuronali costringerà l’emicranico ad avere uno stile di vita più regolare e, così facendo, se ne gioverà tutto il suo stato di salute favorendone la longevità. Se l’emicrania si innesca per così poco, figuriamoci cosa può accadere se il soggetto si imbatte in tossine alimentari, infezioni di vario genere o sbalzi della pressione. Sarà il primo ad accorgersi del potenziale pericolo e avrà più probabilità di correre ai ripari per tempo e a salvarsi: un soggetto di mezza età che si trovi a sviluppare l’ipertensione arteriosa, ad esempio, non se ne renderà conto se non misurandola, mentre l’emicranico se ne accorgerà nettamente prima per via di un sensibile peggioramento dei suoi attacchi. Se volessimo ipersemplificare potremmo considerare l’emicrania un dannatissimo grillo parlante che ci logora avvertendoci come una comare di tutto ciò che varia nell’ambiente e in noi. Ma come dice Elisabeth Loder, l’albergo che fa scattare l’allarme antifumo per una fetta di pan carrè un po’ più abbrustolita durante la prima colazione sarà anche il più solerte a far scattare il sistema antiincendio in caso di vera necessità. E quell’albergo, neanche a dirlo, è il cervello emicranico.

    Bibliografia essenziale

    1. Gelfand AA, Loder E. Potential benefits of migraine-what is it good for? JAMA Neurol 2019;76(3):250-251.

    2. Loder E. What is the evolutionary advantage of migraine? Cephalalgia 2002;22(8):624-32.

    3. Moskowitz MA. Pathophysiology of headache--past and present. Headache 2007;47 Suppl 1:S58-63.

    Capitolo 3

    Figlia di un Dio minore

    Il problema è nell’articolo indeterminativo femminile: una. «Oggi ho un’emicrania». La nostra meravigliosa lingua è così ricca di sfumature da permetterci di giocare con particelle, preposizioni, avverbi e aggettivi, consentendoci talvolta addirittura di dire e non dire. Questa versatilità del lessico può però essere controproducente per le parole di interesse medico. Gli psichiatri si sono da tempo imbattuti nel problema della terminologia delle malattie e in qualche maniera l’hanno risolto. Nella quotidianità usiamo spesso inconsapevolmente parole di pertinenza psichiatrica. «Oggi mi sento depresso», ad esempio, è una espressione frequente e comunicativa ma sbagliata da un punto di vista medico perché la depressione è una malattia, non un sintomo, e non corrisponde al semplice sentirsi giù. «Le parole sono importanti», rivendicava nevroticamente Michele Apicella (Nanni Moretti) 30 anni fa in Palombella Rossa e questa espressione è ancor più valida quando si parla di malattie. E cosa dire dell’uso improprio del termine ossessivo («non essere ossessivo con me») che in medicina non significa opprimente ma indica invece una malattia molto disabilitante? Gli psichiatri sono però riusciti a ovviare a questo problema che poteva degradare alcune importanti malattie al rango di piccoli problemi della quotidianità. Come? Semplice: aggiungendo un aggettivo o un sostantivo. La depressione è diventata depressione maggiore, l’ossessione si è trasformata in disturbo ossessivo(-compulsivo). Nessuno a questo punto può confondere la malattia con l’idioma quotidiano. Potere della parola, è il caso di dirlo.

    Nel caso dell’emicrania il problema si complica perché il nome può sembrare non solo poco specifico ma anche fuorviante. La parola emi-crania rimanda alla sua tipica localizzazione in una metà della testa. Certo, bisogna pur dare un appellativo alle cose ma chi lo va a spiegare al paziente (e spesso anche al medico non specialista) che nel 40% dei casi circa il dolore emicranico – a dispetto del nome – si diffonde in realtà a tutta la testa? La questione, quindi, si complica un po’ perché alla indeterminatezza («ho una emicrania») si aggiunge il rischio di intendere in maniera letterale il termine. Già, ma cosa potremmo allora inventarci per rendere la parola emicrania più pregnante? Basterebbe forse semplicemente introdurre il sostantivo malattia o disturbo e trasformare la parola emicrania in aggettivo. Le espressioni malattia emicranica o disturbo emicranico renderebbero certamente giustizia a questa sventurata patologia, in cerca disperata di riconoscimento. Chissà che i ricercatori non pensino una buona volta non solo ai modelli animali (che come visto non posso dirci più di tanto) ma anche a ripensare la terminologia.

    L’emicrania è ancora oggi la figlia di un Dio minore, parafrasando il film che valse il premio Oscar a Marlee Beth Matlin nel 1987. È una malattia snobbata, ma la storia ci insegna che anche le patologie meno considerate possono diventare più nobili quando si scoprano i relativi antidoti. Ci sono tre esempi tipici. Il primo è l’acidità di stomaco, espressione ora in disuso e familiare solo a chi abbia molti capelli bianchi. Fino alla prima metà degli anni Settanta era considerata un sintomo e si curava con il bicarbonato di sodio (ricordate la Citrosodina?), secondo lo stesso criterio empirico con il quale ci mettiamo in bocca una caramella balsamica quando abbiamo un po’ di raucedine. Le cose sono cambiate a partire dal 1976, anno di commercializzazione della cimetidina, antagonista competitivo dei recettori istaminici H2 dello stomaco, in grado di ridurre la secrezione acida dello stomaco. L’uso cimetidina portò alla guarigione dell’ulcera peptica, fino ad allora curata in maniera non specifica e comportò anche una ulteriore conseguenza pratica, cioè il ridimensionamento dei reparti di chirurgia dove venivano eseguiti interventi di resezione gastrica per le ulcere più gravi. Inaspettatamente, l’introduzione in commercio della cimetidina e poi della ranitidina ha consentito di curare l’acidità di stomaco elevandola nel contempo al rango di malattia: il reflusso gastro-esofageo. Morale della storia? È servito un farmaco per dimostrare che quel bruciore fastidioso tra addome e torace non era un sintomo ma una vera patologia che affligge il 13% della popolazione mondiale e può causare anche tosse, deterioramento dello smalto dei denti, modificazioni della voce ecc. Il secondo esempio è rappresentato dalla fobia sociale, oggi classificata tra i disturbi d’ansia dal DSM-5, ma un tempo non diagnosticata e spesso travisata per una forma estrema di timidezza. Quando è stata sdoganata tra le malattie? Dopo il 1986, cioè dopo l’uscita nelle farmacie di mezzo mondo della fluoxetina, il noto Prozac, che ha consentito non solo di curare la depressione con molti meno eventi avversi rispetto alle vecchie cure ma anche di dare dignità di

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1