Mezzanotte bollente: Harmony Destiny
By Karen Booth
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L'impero degli Eden 2/4
In questa famiglia il sospetto, l'avidità e la vendetta vengono serviti su piatti d'argento.
Scoprire di far parte di una delle dinastie più prestigiose di Manhattan ha dato a Emma Stewart un posto a cui appartenere, dandole quella sicurezza in se stessa che le mancava. L'incontro con un seducente sconosciuto irresistibilmente attratto da lei non fa che confermarle la sua trasformazione da brutto anatroccolo a splendido cigno.
Quando viene a sapere che l'uomo del mistero è Daniel Stone, un acerrimo nemico della sua nuova famiglia, Emma sa che il loro futuro è segnato, e le lancette di un destino avaro stanno per scoccare la mezzanotte sulla loro torrida relazione segreta...
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Mezzanotte bollente - Karen Booth
successivo.
1
C'era buio pesto nella stanza e un silenzio tombale prima che questo venisse infranto dalla suoneria del cellulare. Daniel Stone si rigirò nel letto e batté ripetutamente la mano sul comodino, cercando a tastoni l'apparecchio. Non si curò neppure di guardare il nome sul display. Nonostante le cinque ore di differenza tra Londra e New York, sua madre non si chiedeva mai se fosse troppo presto per telefonare.
«Sono le 5.49 del mattino, mamma» grugnì, tirandosi su e accendendo la lampada. Strizzò gli occhi alla luce violenta che inondò la stanza e li tenne semichiusi il tempo di abituarsi. «Che cosa c'è di così importante che non poteva aspettare?»
Il 2 di aprile a quell'ora era ancora buio pesto fuori. I suoi tre cani, Mandy, Buck e Jolly, dormivano acciambellati ai piedi del letto.
«Vedrai dei locali per il nuovo negozio, oggi?»
Come al solito, sua madre non si perse in convenevoli o smancerie. Era sempre stata così, risoluta e sbrigativa, tuttavia dopo la morte di William, il fratello di Daniel, era diventato davvero difficile strapparle un sorriso.
«Ho un appuntamento con l'agente immobiliare alle 9. Due locali da visionare, oggi. Sono speranzoso.» Non era vero, Daniel non era affatto ottimista, però doveva continuare a fingere. Dopotutto, era stata sua l'idea di supportare il sogno della madre di aprire una filiale newyorkese dello Stone, la catena di grandi magazzini di proprietà della famiglia con sede nel Regno Unito. Aveva sperato, in questo modo, di farla contenta. E, invece, lui stesso cominciava a nutrire dei dubbi in proposito. Era a Manhattan da tre settimane e al momento non aveva ancora concluso nulla.
«Mi telefoni dopo e mi fai sapere?» incalzò lei.
«Certo, come sempre» le assicurò Daniel, infastidito dalla scarsa fiducia che la madre nutriva nei suoi confronti. Eppure, si era sempre prodigato per la famiglia, benché all'ombra del fratello, almeno, fino a un anno prima, quando la Aston Martin nera di William era slittata su una chiazza d'olio lungo una strada alla periferia di Londra ed era volata giù da un ponte. La famiglia Stone non era estranea alle tragedie, ma questa li aveva colpiti dritti al cuore.
Suo padre, ora, trascorreva le giornate a navigare per il mondo e a sperperare il denaro di famiglia. Nessuna imbarcazione era veloce abbastanza, nessuna rotta abbastanza ardimentosa. Attualmente, era da qualche parte al largo della costa occidentale africana. Sua madre detestava l'hobby del marito ed era diventata altrettanto insofferente rispetto all'attività di famiglia. Daniel aveva la sensazione di dover fare da balia a entrambi, e neanche in questo riceveva alcuna gratificazione da parte loro. Per i genitori non era mai all'altezza della situazione.
«Sei pronto per la sfilata di moda all'Empire State Building di stasera, vero?»
Nonostante avesse trentaquattro anni, sua madre continuava a comandarlo a bacchetta come un ragazzino. «Certo.»
«Porterai una ragazza?»
«Mamma, ho talmente tante cose da fare.» Non era certo a New York per socializzare, tantomeno per cercare l'amore. Le donne erano brave solo a complicarti la vita. No, lui era nella Grande Mela per dimostrare ai genitori che era in grado di prendere in mano le redini dell'attività di famiglia, consentendo loro di ritirarsi. William era sempre stato il figlio sul quale avevano riposto tutte le loro speranze, tuttavia Daniel si rifiutava di essere trattato come la pecora nera della famiglia per via dell'animata discussione che aveva avuto con il fratello la sera dell'incidente.
«Quindi, no? D'accordo, dimmi almeno se hai bene in mente la tabella di marcia per stasera.»
«Aggancerò Nora Bradford e cercherò di convincerla a disegnare una linea esclusiva per noi.»
«Lo sai quanto sia importante, è inutile che te lo ribadisca. L'Eden non ha reso giustizia a lei e ai suoi modelli. È una stilista troppo talentuosa per vendere una collezione completa dei suoi abiti meravigliosi a un negozio mediocre come l'Eden.»
Daniel ingoiò un borbottio. Non immaginava che sua madre avesse un conto personale aperto con i Grandi Magazzini Eden finché lui non le aveva proposto di aprire una sede dello Stone a New York. Se lo avesse saputo, ci avrebbe rinunciato. «Non è un negozio mediocre, mamma. L'ho visto.»
«Ti sbagli. E poi, sai quanto detestassi Victoria Eden. Era una donna vendicativa.»
Era stata Victoria Eden, la fondatrice dell'Eden, a introdurre sua madre nel mondo del commercio al dettaglio, assegnandole addirittura la direzione del negozio di Manhattan, il fiore all'occhiello della catena. L'Eden aveva negozi in tutto il mondo, mentre lo Stone, all'epoca, navigava in brutte acque. Sua madre era stata mandata a New York per carpire i segreti del successo dell'Eden. Quando Victoria lo aveva scoperto, non solo l'aveva licenziata su due piedi, ma le aveva fatto terra bruciata intorno, convincendo i vari fornitori a interrompere i loro rapporti con il negozio di proprietà degli Stone. Era stato l'inizio di una faida familiare.
«Lo so.»
«Siamo venuti a New York proprio per distruggere l'Eden, no? Mi dispiace solo che William non sia qui per prendere parte al nostro piano.»
Daniel sprofondò sul letto. Jolly, la femmina di bulldog che era appartenuta a suo fratello, si raggomitolò all'altezza dei suoi fianchi. Lui le diede una grattatina dietro le orecchie, ma il cane non parve gradire. Non gli era tanto affezionata. Anche Jolly sembrava volergli dire che non era all'altezza di William. Impossibile competere con lui. «Io direi che la migliore strategia sia quella di concentrarci su di noi. Che vinca il migliore.»
«Non abbiamo nulla da temere dalle sorelle Eden. Quelle tre non sanno proprio come si gestisce un grande magazzino. Una di loro è vissuta per lungo tempo nel sud della Francia a non far nulla.»
Daniel chiuse gli occhi e si strinse il naso tra pollice e indice.
«Devo portare fuori i cani. Ti chiamo più tardi.»
Salutò la madre e andò in cucina a scaldare l'acqua per il tè. Nell'attesa del sibilo del bollitore, si diresse in soggiorno a guardare dalla finestra il sole che faceva capolino da dietro gli alberi di Central Park. Una vista impagabile, che chiunque gli avrebbe invidiato.
Eppure, mancava qualcosa. Probabilmente, lui lo avvertiva perché quella non era Londra. Non vi era nulla che lo legasse a quella metropoli frenetica. Non vedeva l'ora di trovare il locale adatto per il negozio e tornarsene in Inghilterra e al suo futuro, qualunque esso fosse.
Per la quinta volta in cinque giorni, Emma Stewart si guardò allo specchio. Era abbastanza elegante per la sfilata di moda all'Empire State Building? Aveva scelto un vestito in crêpe di colore grigio, molto chic, con un bel drappeggio, e un paio di décolleté nere Manolo Blahnik, caldamente raccomandate da Sophie, la sua sorellastra con il pallino per le scarpe. L'insieme le sembrava adeguato a una donna con una posizione dirigenziale presso i Grandi Magazzini Eden. Sperava solo di non sfigurare in mezzo alla moltitudine di stiliste di moda, celebrità e modelle che avrebbero affollato la sala.
Diede un'ultima occhiata, scettica, alla sua immagine riflessa nello specchio, poi raccolse i lunghi capelli castani. Ciò che la lasciava perplessa era il colore, data l'occasione. Eppure lei si sentiva a suo agio in grigio. Avrebbe osato di più, un giorno, si disse, per il momento, però, andava bene così. Non importava che adesso gestisse un capitale di milioni di dollari, abitasse in uno strepitoso appartamento con vista su Central Park e fosse responsabile delle attività finanziarie di uno dei più prestigiosi negozi della città. Fino a tre mesi prima, aveva trentaquattro dollari sul conto in banca, viveva in un monolocale in affitto nel New Jersey con un topo come sgradito coinquilino e teneva la contabilità in una piccola ditta. Non si sarebbe sentita a suo agio con un abito che l'avrebbe messa al centro dell'attenzione, perché semplicemente lei non era mai stata al centro di nulla.
Si tolse il vestito e lo ripose all'interno di un porta abiti da viaggio in nylon. Lei e le sue sorellastre, Mindy e Sophie, non solo avrebbero partecipato tutte e tre all'evento all'Empire State Building, ma si sarebbero preparate insieme all'Eden per la serata. Sophie aveva convocato un parrucchiere e un truccatore, il che era perfetto per Emma, che non aveva avuto tempo per pensare né all'acconciatura né al trucco.
Avrebbe fatto tardi se non fosse uscita di casa subito. Raccolse i capelli in una coda di cavallo, applicò sul viso una crema idratante, un tocco leggero di mascara alle ciglia e un velo di burro cacao sulle labbra, poi indossò quella che era ormai diventata la sua divisa da lavoro: pantaloni neri e camicia di seta. Blu questa volta. Per non doversi portare un altro paio di scarpe, indossò direttamente le décolleté dal tacco vertiginoso che le aveva fatto comprare Sophie per la serata e aprì la porta.
Mentre aspettava l'ascensore, ripassava mentalmente il programma per la giornata. Era all'Eden da tre mesi e incontrava ancora molte difficoltà sul lavoro. Il tutto era iniziato in maniera alquanto singolare, un giorno di dicembre, quando era stata convocata per la lettura del testamento di Victoria Eden. Emma conosceva Victoria come la nonna delle cugine e come proprietaria dei Grandi Magazzini Eden, il più grande negozio della città. Quel giorno era emerso che Victoria Eden era anche sua nonna. La madre di Emma aveva avuto una storia clandestina con il marito della sorella, ventisette anni prima. Avevano tutti mantenuto il segreto, soprattutto con lei. Poi Victoria Eden aveva sbaragliato tutti lasciando un terzo del suo impero a Emma, la nipote nascosta. Gli altri due terzi erano andati a Sophie e a Mindy, le due donne che Emma aveva sempre creduto cugine e che invece erano le sue sorellastre. La reazione di Emma era stata di confusione e sgomento.
Era cresciuta come figlia unica, desiderando sempre avere delle sorelle, tuttavia scoprirlo così era stato un trauma.
Le porte dell'ascensore si aprirono. Emma aveva lo sguardo rivolto alle sue scarpe, ben presto, però, mise a fuoco un altro paio di calzature... da uomo. Dei mocassini di pelle nera, per la precisione, sui quali si poggiava il risvolto di un paio di pantaloni grigio scuro che ricoprivano gambe esageratamente lunghe. Sollevando lo sguardo, vide che quei pantaloni avvolgevano fianchi stretti, chiusi da una giacca sotto la quale spiccava una camicia di un bianco candido che fasciava torace e spalle ampi. Il tutto coronato da una testa di folti capelli castani con un ciuffo tirato all'indietro a scoprire il volto di un uomo che non aveva mai avuto la fortuna di incontrare prima.
Occhi blu ghiaccio incontrarono i suoi. L'uomo non disse una parola. Si schiarì la voce e premette la mano contro la porta dell'ascensore mentre stava per richiudersi.
Emma entrò al volo, mentre una vampa di calore le invadeva le guance. «Mi scusi. Buongiorno. Sto andando al lavoro. Ero soprappensiero» disse, sottolineando la frase con una risata asciutta.
L'uomo imponente non disse nulla, congiungendo le mani davanti e fissando le porte.
«Sta andando al lavoro anche lei?»
Lo sconosciuto ruotò lo sguardo verso di lei e annuì.
«Sì.»
Emma riconobbe subito l'accento britannico. «Abita in questo palazzo da molto?» Lei ci viveva da un paio di mesi e non aveva fatto amicizia con nessuno dei suoi