Il chirurgo e Cenerentola: Harmony Bianca
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About this ebook
Amore e professione si intrecciano nel reparto in cui tutti i sogni prendono vita.
Quando Harry Beaumont, Duca di Montrose, arriva al Queen Victoria Hospital in qualità di chirurgo neonatale, non è facile per l'ostetrica Esther McDonald accettare l'idea di dover lavorare gomito a gomito con lui. Harry è troppo rigido e riservato e lei non riesce a fidarsi.
I loro battibecchi non passano inosservati, al punto che in ospedale iniziano a circolare delle voci... compromettenti. Harry ne sembra consapevole, e allora perché l'ha invitata al galà di beneficenza annuale? Esther non può rifiutare, farebbe di tutto per raccogliere fondi per i suoi piccoli pazienti, ma passare la notte a danzare con lui le fa scorgere l'uomo dietro al camice, e quel che vede le piace più di quanto vorrebbe ammettere.
Disponibile in eBook dal 20 gennaio 2021
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Il chirurgo e Cenerentola - Scarlet Wilson
successivo.
1
Esther McDonald si sfregò gli occhi per la ventesima volta mentre si avviava per andare al lavoro. Sperava che la camminata lungo il Tamigi, dalla stazione all'ospedale, potesse aiutarla a svegliarsi un po', ma era chiaro che non avrebbe funzionato.
La sera precedente aveva accettato di fare un turno extra fino a mezzanotte in un altro ospedale di Londra. Qualsiasi cosa pur di racimolare qualche soldo in più. Aveva già pianificato di scrivere all'agenzia, quel giorno, per chiedere se avessero altri incarichi per lei.
Non che il suo lavoro non fosse ben pagato, tutt'altro. E adorava lavorare nel reparto di Terapia Intensiva Neonatale al Queen Victoria. Ma in quel momento aveva bisogno di soldi. Il che significava fare più turni possibile.
Era fortunata ad avere una doppia specializzazione, così poteva esercitare sia come infermiera che come ostetrica, il che raddoppiava le sue possibilità di ottenere ore di straordinario. Di solito le accettava anche con un breve preavviso nel reparto di Pronto Soccorso del Queen Victoria e si rendeva disponibile persino nei suoi giorni liberi. Ma il responsabile di turno si era accorto di quanto stesse lavorando e glielo aveva fatto notare più di una volta. Così Esther si era affidata anche a un'agenzia di lavoro interinale.
Varcò le porte principali dell'ospedale insieme a un gruppetto di altri membri dello staff che si apprestavano ad attaccare il primo turno. Era preoccupata per un bimbo prematuro che stava assistendo da qualche giorno in Terapia Intensiva. Billy, il piccolo di ventiquattro settimane con un difetto cardiaco, le era sembrato più fragile del solito il pomeriggio precedente, quando aveva staccato. La sua giovane mamma non lo aveva mai lasciato da quando era nato, qualche giorno prima, e lei stessa sembrava sempre più debole. Esther si augurò soltanto che il dottore delle meraviglie di cui tutti stavano parlando riuscisse a fare qualcosa per quel piccolino. Billy aveva bisogno di un intervento che solo alcuni chirurghi cardiologici neonatali erano in grado di effettuare. Il problema era che quel tizio era dovuto partire per la Francia per operare un altro bambino e Billy era finito in lista d'attesa.
Si infilò il suo camice azzurro e si legò i capelli in una coda di cavallo, dandosi una rapida occhiata allo specchietto dello spogliatoio. Uff. Aveva un aspetto orribile. Il velo di trucco che si era passata sul viso quella mattina non riusciva a nascondere le occhiaie scure che le marcavano gli occhi.
Quando si avviò verso le scale, lo stomaco cominciò a borbottarle. Era così stanca che non era nemmeno riuscita ad alzarsi in tempo per fare colazione. Avrebbe dovuto corrompere le sue colleghe affinché le permettessero di andare in pausa per prima. Uno dei famosi scones del bar dell'ospedale sarebbe bastato a tapparle il buco allo stomaco. Sorrise al solo pensiero.
«'Giorno» disse entrando nella Terapia Intensiva Neonatale per poi andare a riporre la borsa e a lavarsi le mani. La leggera emozione che provava ogni volta che varcava quella porta la sorprendeva sempre. Era tutto l'insieme a colpirla: le luci, i suoni, lo staff e i pazienti... persino l'odore. Aveva studiato da infermiera a Edimburgo e poi era scesa a Londra per completare la specializzazione in ostetricia. Solo pochi centri specializzati offrivano i corsi brevi da diciotto mesi e lei era stata felice di poter essere inserita in quello già avviato del Queen Victoria. Lì aveva incontrato alcuni dei suoi migliori amici, e anche se parte di loro si erano ormai trasferiti altrove, erano comunque rimasti in contatto.
Il corso di ostetricia era stato una vera rivelazione per lei. Esther aveva sempre immaginato che sarebbe finita a fare l'ostetrica di comunità, ma dal primo istante in cui aveva messo piede nella TIN aveva capito quale sarebbe stata la sua vocazione. C'era qualcosa nella vulnerabilità di quei piccolini che la attirava. Non sapeva se era la possibilità di far loro da angelo custode oppure la soddisfazione di osservare ora dopo ora i loro piccoli progressi...
Certo, non sempre andava tutto bene. Parte del suo lavoro comportava anche prendersi cura delle famiglie, oltre che dei neonati. Ma avere l'opportunità di aiutare un bambino prematuro ad attaccarsi alla sua mamma o guardarlo diventare sempre più consapevole del mondo che lo circondava le impediva anche solo di immaginare di lavorare altrove.
Una delle altre ostetriche si alzò in piedi e si mise la borsa sulla spalla.
Esther guardò la cartella clinica del suo paziente preferito. «Come va Billy?» Controllò la lavagna, assicurandosi che le fosse stato assegnato proprio il piccolo.
Ruth, la sua collega, sospirò. «Sembri stanca.»
«Lo sono. Ma i turni extra non mi danno mai fastidio.» Esther si stiracchiò la schiena. «Sai com'è. Se vinci alla lotteria e mi dai una parte del premio, ti prometto che smetterò di fare gli straordinari. Ma fino ad allora accetto tutti quelli che posso.»
Ruth le scoccò un'occhiataccia e iniziò il passaggio di consegne. «Billy non ha avuto una buona nottata. La sua saturazione era bassa, il sondino gli si è sfilato dal naso e dalla radiografia non sono riusciti a vedere se quello nuovo è stato posizionato correttamente. Quindi non è ancora stato nutrito.»
Esther scosse la testa. Sapeva quanto fosse importante assicurarsi che il sondino nasogastrico raggiungesse lo stomaco e non i polmoni del bambino. Altrimenti non avrebbero potuto incominciare ad alimentarlo.
«Li richiamo. Se c'è Callum sono sicura che manderà subito qualcuno.»
Ruth sorrise. «Perfetto. A te dice sempre di sì.»
Esther scorse il resto delle cartelle. «C'è altro?»
Ruth annuì. «Il chirurgo cardiologico di Billy dovrebbe arrivare oggi. Non so quando sarà qui, ma dato che abbiamo già fatto tutti gli esami, spero riesca a controllarli, a visitarlo e a programmare l'intervento.»
Esther annuì. Ti prego, fa' che sia oggi.
«Comunque» disse Ruth passandole un'altra cartella. «Pare sia un duca o qualcosa del genere.»
Esther prese il fascicolo e iniziò a leggerlo. La seconda neonata era Laura, una prematura di trentasei settimane nata con taglio cesareo di emergenza da una madre affetta da diabete di tipo 1. I livelli di glucosio nel sangue erano stati piuttosto irregolari nelle prime ore dopo il parto. Poteva succedere, e non era raro che un bambino nato da madre diabetica venisse messo sotto monitoraggio per qualche tempo. Nell'ultima ora i valori si erano stabilizzati, quindi Esther doveva solo effettuare gli ultimi controlli e poi riportarla nella stanza della madre.
Alzò la testa e arricciò il naso. «Cos'hai detto?»
Ruth rise. «Ho detto che il nuovo chirurgo è un principe, o un duca, o qualcosa del genere.»
Esther diede un'alzata di spalle. «E che differenza fa? È per questo che è in ritardo? Perché è troppo impegnato con le sue...» sollevò la mano, «... le sue altre attività?» Si accigliò mentre prendeva alcune attrezzature. «Spero non sia per questo che sta facendo aspettare il mio bambino.»
Ruth scosse la testa mentre si avviava verso la porta. «Pensa positivo. Magari è anche single.» Sospirò e rivolse a Esther un'occhiata che le fece venire voglia di scappare a gambe levate. Pietà. Esther odiava quel sentimento. Come odiava chiunque dimostrasse compassione per la povera ragazza scozzese. «Sto solo dicendo che esiste anche una vita oltre il lavoro, tutto qui.» Ruth si strinse nelle spalle e varcò la porta, poi si girò con un sorriso e agitò il dito in direzione di Esther. «E comportati bene. Non presentare al nostro nuovo chirurgo la tua versione di Crabbie Rabbie al posto della meravigliosa Super Ostetrica Esther, okay?»
Esther si guardò attorno, alla ricerca di qualcosa da lanciarle, ma Ruth era già sgattaiolata fuori dalla porta. Scosse la testa e si avviò verso i neonati che doveva controllare.
Si era guadagnata quel soprannome dopo pochi mesi che era arrivata lì, quand'era ancora una studentessa di ostetricia. Dato che era già infermiera, faceva di tanto in tanto qualche turno fra una lezione e l'altra. La verità era che Esther non era mai il massimo durante i turni di notte, che la scombussolavano sempre nella mente e nel corpo e la rendevano piuttosto nervosa... o robbosa, come dicevano in Scozia.
Una notte si era scontrata con uno degli specializzandi in reparto che aveva cercato di reinserire senza successo una flebo a un anziano paziente, anziché chiamarla e chiedere il suo aiuto. E quando aveva scoperto che aveva fatto ben quattro tentativi per trovare la vena gliele aveva cantate di santa ragione.
Tutto il reparto aveva sentito la ramanzina, con il suo accento scozzese che diventava sempre più forte man mano che le montava la rabbia.
Il caso volle che era il 25 di gennaio, anniversario della nascita di Robert Burns, poeta nazionale della Scozia, in onore del quale gli scozzesi spesso si definiscono rabbies, diminutivo, appunto, di Robert. Quel medico lo sapeva e se ne era andato borbottando: «Oh, calmati, Crabbie Rabbie» dandole ancora una volta della robbosa. Tutto il reparto era scoppiato a ridere e da allora Esther non era più riuscita a liberarsi di quel soprannome.
Uno degli altri colleghi le si avvicinò. «Problemi?»
Lei scosse la testa. «Tutto stabile. Ho chiamato la Radiologia per Billy, li sto aspettando. Intanto riporto Laura in reparto maternità. I suoi livelli di glucosio sono a posto e sta cominciando ad agitarsi, credo abbia fame.»
«Okay, e poi vai in pausa. Hai l'aria di averne bisogno. Darò io un'occhiata a Billy.»
Lei fece una breve risata e si mise una mano sul fianco. «Devo avere proprio un aspetto terribile se mi concedi di andare in pausa per prima.»
«Vai, prima che cambi idea.»
Dopo aver ricontrollato il piccolo e riportato Laura dalla sua mamma, Esther si stiracchiò la schiena entrando nella mensa. Di solito non le davano problemi i muscoli lombari, ma quel giorno le facevano male. I turni extra dovevano averla stancata più del previsto. Il profumo di scones appena sfornati le colpì le narici appena entrò. Due minuti dopo era seduta di fronte a una tazza gigante di caffè e a uno scone burro e marmellata più grande di lei.
Si guardò attorno. Non vedeva né Carly né Chloe, le amiche con le quali di solito mangiava. C'era un altro gruppetto di infermiere che conosceva, ma fu attratta dal posto vuoto nell'angolo in fondo alla sala. Era troppo stanca per essere socievole.
Allungò il passo e si lasciò cadere sulla poltroncina prima che qualcun altro le rubasse il posto.
In men che non si dica divorò lo scone, poi chiuse un attimo gli occhi sorseggiando il suo caffè. All'improvviso la porta accanto a lei si spalancò con un bang e un fiotto di persone piombò nella sala parlando e ridacchiando ad alta voce.
Esther digrignò i denti. Cinque minuti di pace. Non desiderava altro. Si agitò, scomoda, sulla sedia, scostandosi la casacca dalla pelle sudata. Faceva stranamente caldo lì dentro quel giorno.
Il vociare continuò. Aprì un occhio per sbirciare. C'era un tizio al centro della sala. Un bell'uomo. Di quel tipo di bellezza da medico di serie televisiva. Alto, spalle larghe, capelli scuri e arruffati. Le persone attorno a lui sembravano pendere dalle sue labbra e di tanto in tanto dicevano qualcosa nella speranza di riuscire a impressionarlo. Forse era davvero una specie di celebrità?
«Questo è un ospedale, non un circo» borbottò lei fra sé.
Controllò l'orologio appeso alla parete della mensa. Cinque minuti. Gliene restavano altri cinque prima di dover tornare al lavoro. Di solito ci teneva a rispettare gli orari. La maggior parte delle volte prendeva qualcosa da mangiare al volo e tornava in TIN. Ma adesso non riusciva a credere di essere tanto stanca. Faceva spesso doppi turni, eppure non le era mai capitato di sentirsi così. Per una volta, quindi, decise di riappoggiarsi allo schienale della sedia e godersi la propria pausa per intero.
«Esther, Esther!»
La voce arrivò dal nulla. Si svegliò di soprassalto, con Liz, l'assistente amministrativa della TIN, che le scuoteva piano una spalla. «Svegliati!»
Esther si riscosse di colpo, urtando la tazza di caffè ancora mezza piena che teneva in bilico sul bracciolo della sedia e rovesciandoselo tutto sulle gambe.
«Oh, no!» borbottò. Si scosse e guardò di nuovo l'orologio. Era in ritardo di oltre quindici minuti.
Liz le rivolse un'occhiata. «Abi mi ha detto di venire a cercarti. È arrivato il chirurgo. Sta visitando Billy proprio ora.»
Esther abbassò gli occhi sulla macchia di caffè che le imbrattava i pantaloni e vide che il liquido scuro aveva macchiato anche il linoleum sotto i suoi piedi.
«Lascia stare» disse Liz, agitando una mano. «Ci penso io. Tu vai.»
Esther le posò una mano sul braccio. «Grazie, Liz. Mi dispiace tanto. Ti devo un favore.»
Si precipitò lungo il corridoio sbattendo contro le porte e arrivò dritta al lavandino per lavarsi le mani. In un angolo della stanza, Abi stava parlottando con un gruppo di sconosciuti che doveva includere anche il nuovo chirurgo. Appena la vide, la collega sollevò un sopracciglio e disse, con voce più acuta del normale: «Oh, bene. È arrivata anche l'ostetrica di Billy. Lei potrà aggiornarla».
Esther si asciugò le mani e si avvicinò in fretta al gruppetto di persone. «Salve a tutti. Sono Esther McDonald.»