Linx
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Loro, siamo noi.
Loro vogliono essere noi.”
Dopo il grande successo di New York 1941. Forse e TRYTE Luca Giribone ritorna con un romanzo distopico e visionario, dal ritmo incalzante, condensato in ventiquattro, intensissime ore.
Nel corso di un’epoca decadente, segnata da profonde fratture, una nuova forma di droga, invisibile e subdola, si diffonde fra le caste in cui è divisa la popolazione. Chi ne conosce gli effetti direbbe che la causa sono Loro.
Un uomo che ha perso tutto e che ha fatto una scelta dalla quale non potrà più tornare indietro, scoprirà di essere la chiave di volta di una rete di inganni che coinvolgono la tragica morte della donna della sua vita, la vera natura delle persone in cui più credeva e l’incontrollabile deriva di un inquietante segreto che sta emergendo dai margini della società malata.
Al centro di tutto questo gli Altri, Loro, che sembrano essere riusciti a diventare parte integrante della popolazione, ignara della loro esistenza e inconsapevole del pericolo che sta correndo.
LINX è un romanzo multiforme che ci offre un quadro perturbante e ipnotico di un possibile futuro, un thriller fantascientifico senza respiro, una storia d’amore struggente che non si arrende di fronte alla morte.
“Luca Giribone: quando un autore emergente diventa un caso editoriale”
La Repubblica
Luca Giribone nasce a Torino nel 1975. Sin da giovanissimo collabora per alcuni anni con La Stampa di Savona, entrando a far parte della redazione dell’inserto giovanile “Il Menabò”. Gli studi e gli interessi per il mondo della comunicazione di massa lo portano a Milano, dove lavora inizialmente in agenzia di pubblicità come copywriter e successivamente in diverse aziende in qualità di marketing manager e key account manager, senza mai abbandonare la passione per la lettura e la scrittura. Nel 2016 ha pubblicato il suo primo romanzo, New York 1941. Forse (Europa Edizioni) e nel 2018 Tryte, sempre per Europa Edizioni.
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Book preview
Linx - Luca Giribone
pensieri.
Ore 06.00
In principio c’è solamente il buio.
L’ombra è mia amica. Fra le sue braccia riesco a essere fragile senza la necessità di restare all’erta. Non occorre guardarmi le spalle, devo solamente scrutare la parte più profonda di me e lasciar uscire la rabbia e la disperazione ignorando la paura delle conseguenze.
Niente maschere, al buio.
Durante il giorno, perdermi in un ricordo può costarmi la vita.
Di notte, fra momenti di veglia e lunghi sogni agitati, il dolore non deve preoccuparsi di sparare per primo.
È il sonno a dettare le regole della mia angoscia, poco prima che la sveglia suoni, ogni mattina che Dio manda in terra.
Quel Dio con cui ho smesso di parlare tre anni fa per non cedere alla tentazione di prendermela con lui per l’incubo a occhi aperti che è diventata la mia esistenza.
Quando, destandomi di soprassalto, scatto e mi metto seduto sul letto come se mi avesse morso una tarantola, sbatto le palpebre per provare a vedere qualcosa, ma quella che mi si presenta dinnanzi è solamente la tremula sfocatura dell’ambiente domestico.
Poi, un primo squarcio nella notte: lascia trapelare un applauso scrosciante. Un teatro, forse. In scena, un antico melodramma.
Capisco che sto di nuovo dormendo, ma non riesco a svegliarmi, anche se vorrei.
Secondo squarcio: vedo un sorriso, il più bello che io riesca a ricordare. Quello che doveva regalarmi un futuro. Lei. Uno sguardo che non può portare altro che verità e speranza, la pelle profumata di quella fragranza tutta sua, inebriante e delicata, le linee aggraziate sottolineate dall’abito della festa.
Terzo squarcio, altro momento e altro scenario: odore invadente e dolciastro di cibo take-away, noi due che passeggiamo felici in mezzo alla folla, a distanza di un sospiro l’uno dall’altra (la nostra è una relazione che non va dichiarata in pubblico). Lei questa volta indossa la divisa di ordinanza che non ha fatto a tempo a togliersi. Sono andato a prenderla alla centrale nel mio giorno libero per consegnarle il suo regalo di compleanno: un intero pomeriggio e una serata tutti per noi, al riparo dalla lotta, dalla paura, dal sospetto.
Era lei la cacciatrice col distintivo. Io un semplice impiegato d’ufficio, ma andava bene così.
Sapevo tutto del suo lavoro, avrei potuto imboccare la via della lotta quotidiana nelle strade in qualunque momento, ma per lei era una ragione di vita e ne bastava uno, fra noi due, a rischiare quella stessa vita ogni giorno.
Se vi state chiedendo come io potessi sopportare il pensiero che la donna che amavo fosse un oggetto messo all’asta a beneficio dei cecchini, dall’alba al tramonto, mentre il mio culo dava forma alla sedia dell’archivio, avreste dovuto provare a far cambiare idea a lei su qualcosa di fondamentale come il suo lavoro.
Quarto squarcio: ora il sipario si spalanca, il sogno diventa così reale che sento il profumo dei suoi capelli come se fossero a un palmo da me.
Asia. Lei. Il mio futuro.
Asia, che mi aveva voluto quando la depressione si era portata via il meglio di me e sembrava non avere intenzione di lasciarmi costruire altro che la mia distruzione.
Asia, che mi aveva restituito la speranza, e le era bastato così poco.
«Di te mi posso fidare, Linx» ripeteva, bellissima e improvvisamente vulnerabile «di nessun altro uomo, ma di te sì». All’epoca, solo Asia mi chiamava Linx. Al di fuori del nostro rapporto non mi ero ancora guadagnato questo titolo, per la silenziosa e fredda capacità di muovermi fra le maglie del decadimento delle nostre città. Ce l’avevo un nome, uno vero, ma l’ho scordato. Ricorderò per sempre solo quello che mi ha dato lei, Asia, che aveva scoperto i miei talenti, la mia pazienza, la mia tenacia e precisione nel comporre le prove, nel ritrovare scampoli di indizi all’interno di casi che perfino tutti i computer della rete delle forze speciali sembravano aver smarrito nei loro buchi neri informatici. Bella coppia, io e lei, archivista e cacciatrice, io alto, fisico asciutto e nervoso, snellito dalla persistenza con cui mi sono sempre opposto al nostro comune declino, i capelli lunghi tollerati in centrale soltanto perché ero un impiegato e non un agente, i colori scuri come la pece, come la nostra epoca. Uno sguardo dalla doppia anima: inespressivo con chi non merita altro; una cascata di comunicazioni non verbali per chi ha la fortuna o la sventura di entrare nel mio mondo. Asia, semplicemente perfetta ma quasi irritata dalla benedizione estetica che si portava dietro, capelli corvini lunghi fino ai fianchi e perennemente raccolti, in servizio, sotto il casco, il viso candido e armonioso incorniciato da due occhi di un verde quasi surreale, un corpo che ancora sogno. Eravamo addestrati, io alla sopravvivenza, lei alla guerra, e per questo appassionati e lascivi nell’amore. Strano, no?
Peccato che la pistola in mano, a schivare proiettili di androidi che non volevano morire, la dovesse impugnare lei e che io fossi costretto ad accettarlo.
Asia mi aveva dato un lavoro e un obiettivo. Non poteva avere figli, ma voleva che ne adottassimo uno, e sognava che prima della fine di quell’anno - quell’anno - mollassimo tutto per andare a vivere vicino al mare, di fronte alle pianure dell’est, lontano, in una casetta che potesse trasformarsi nel nostro regno.
Ultimo squarcio. Ora tutto si fa veloce e terribile.
Il replicante compare dal nulla, come se le due ali di folla si fossero aperte per lasciare campo libero a un suo semplice schiocco di dita. Naturalmente, niente dichiara il suo essere un simulacro, se non quella pistola al plasma puntata contro un agente di polizia.
Nel tempo, i robot sono stati fatti evolvere a perfetta immagine e somiglianza degli esseri umani, dal punto di vista della forma, della consistenza del tessuto epiteliale e di tutti gli organi interni, delle dinamiche che governano i loro cinque sensi, del complesso sistema di elaborazione delle informazioni del tutto simile al cervello umano, delle risposte emotive e del ragionamento: i cyborg devono rappresentare cavie per la medicina, devono assolvere a funzioni di soddisfazione sessuale per chi li sceglie come partner, devono guadagnare la totale fiducia di chi si affida a loro come consulenti, assistenti, badanti, e chi si fiderebbe di un computer molto avanzato che non mangia e non dorme mai?
No: loro non sono uguali a noi. Loro, siamo noi.
Per la gran parte della popolazione, è risultato sconcertante venire a sapere che, nel pieno del quarto millennio, solamente una serie limitata di strumenti estremamente costosi e non certo alla portata di qualunque laboratorio biomeccanico fosse in grado di distinguere un androide da un essere umano. Loro, siamo noi. Loro vogliono essere noi. Loro non accettano di essere rimpiazzati.
E invece devono esserlo, perché quella che nel linguaggio comune è stata denominata deplezione è un meccanismo crudele e inevitabile.
I loro microcircuiti sono talmente complessi e delicati da superare la fragilità della macchina umana.
Deperiscono. Si indeboliscono. Hanno paura. Diventano aggressivi. Perdono la lucidità e la capacità di analizzare le situazioni. Possono ferire, torturare, uccidere.
Qualcuno deve fermarli in tempo, ogni volta.
Certo, sarebbe bastato non oltrepassare il limite, fermarsi prima, accettare di convivere con delle macchine invece di volerle rendere indistinguibili da noi, ma il nostro desiderio voleva essere saziato: pretendeva di ottenere un essere quasi umano, capace di calarsi nel ruolo a cui veniva destinato, insieme alle sue unicità, ai suoi difetti, alle sue imprevedibilità. E voleva dimenticarsi che questi appartenessero a un robot.
Ed ecco Asia. Il contraltare. Forze speciali di polizia per lo smaltimento degli androidi depleti.
Killer di umani apparenti dal certificato scaduto.
Ecco Asia nel suo giorno libero.
Ecco il cyborg che avrebbe dovuto uccidere, che avrebbe solo indirettamente ucciso, ma ricevendone in cambio un colpo mortale, una ferale transazione.
Eccolo, l’automa, venuto a uccidere lei, a strapparmela di mano, invece di compiere il gesto pietoso di annientare anche me.
Eccola, la mia vita spezzata, che giace inerte sul marciapiede scintillante di umidità.
Eccomi che decido di non avvicinarmi nemmeno al suo corpo. Sparire, senza farmi trovare dai colleghi che arriveranno nel giro di tre minuti a circoscrivere la folla e a fare domande. Diventare in un momento un fuorilegge. Senza sgretolarmi di nuovo, anche se la tentazione è lì, a un passo, basterebbe afferrarla gettandomi su quel che resta del mio unico amore.
No.
Decido di diventare a mia volta un cacciatore, di sterminare le macchine prima che possano fare del male ad altri, penetrando il sottobosco della nostra civiltà marcia e senza palle.
Questo è ciò che accadde.
Ci sarebbe stato tempo sufficiente per piangere Asia, tutti i giorni della mia vita.
Nel frattempo, avrei avuto ancora uno scopo per andare avanti.
Ore 06.30
Gli squarci tornano a rintanarsi nel loro buio, quello che mi protegge e mi tormenta ogni notte.
La sveglia suona.
Le finestre prive di tende rivelano l’alba gelida di un inverno milanese, illuminando la bruma che vegeta al di sopra di uno dei tanti navigli emersi a seguito dell’implosione del terreno, come mi ricorderebbero le registrazioni proibite, formalmente inesistenti ma di fatto salvate su migliaia di DVD (il supporto più resistente al passare dei secoli, ancora in voga quando si tratta di contenuti preziosi o sovversivi), denominate H3475. Per non perdere il contatto con la realtà, ne infilo uno nel mio vecchio lettore. Una voce conosciuta commenta immagini di repertorio sgranate e dal sapore vagamente nostalgico:
… come sappiamo, a seguito degli avvenimenti che ho ricordato, nel corso dei secoli la recessione economica e il ritorno a una guerra fredda mirata a scongiurare il pericolo di un quarto conflitto mondiale si sono accompagnati a una serie di mutamenti climatici radicali, che hanno trasformato il sud-ovest dell’Europa in un territorio caldo, umido e malsano, ancora oggi attraversato da radiazioni tali da compromettere lentamente e inesorabilmente la salute dei cittadini, bagnato da piogge acide e mantenuto sotto controllo in modo studiato e misurato dalle oligarchie sorte nel nord-est del continente, divenuto il nuovo El Dorado, ricco di risorse naturali, dal clima temperato e bonificato dagli interventi progressivi che le ricchezze dei nuovi governanti hanno consentito. Per questi motivi, la