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Robot 91
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Robot 91

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Fantascienza - rivista (230 pagine) - Versione digitale di Robot 91 con racconti di S.L. Huang (Premio Hugo) e di A.T. Greenblatt (Premio Nebula), Tonani, Fabriani, Schiavo Campo, Fazio, Martino - Articoli su Dangerous Visions, Novant'anni di, Pandemie e sf, Lovecraft Country


Se foste il capo di una nazione in pericolo sareste disposti a usare le armi nucleari? Sapendo che così salvereste il vostro popolo ma uccidereste milioni di uomini, donne, bambini? Riuscireste a capire davvero l’orrore che si scatenerebbe premendo quel pulsante rosso? La scrittrice americana S.L. Huang – tra l’altro stuntwoman in Battlestar Galactica – ha trovato un modo brutale ma efficace per assicurarsene, nel racconto Premio Hugo Come se fossero l’ultima cosa. Non una ragione per uccidere, ma una per salvare, la cerca invece la protagonista di Saluti alla famiglia, racconto di A.T. Greenblatt vincitore del Premio Nebula. Due scrittrici che presentiamo e di cui sentiremo molto parlare in futuro, mentre non hanno bisogno di presentazioni i nostri Piero Schiavo Campo e Lanfranco Fabriani – quattro premi Urania in due – quest’ultimo con una sorta di reboot del suo ciclo dei Vicoli del tempo, né Dario Tonani, che affronta a suo modo il dramma dell’immigrazione. Nino Martino, fresco vincitore del Premio Odissea, propone un prequel del suo romanzo premiato, mentre Antonino Fazio racconta in due modi diversi la storia di un’antologia che non ha mai visto la luce.

Nelle rubriche Salvatore Proitetti fa un bilancio di novant'anni di fantascienza, Sandro Pergameno racconta le pandemie fantascientifiche, Walter Catalano analizza Lovecraft Country, Maurizio Manzieri intervista Jon Foster, Franco Ricciardiello e Romina Braggion parlano di Solarpunk.


Fondata da Vittorio Curtoni, Robot è una delle riviste di fantascienza italiane più rpestigiose, vincitrice di un premio Europa e numerosi premi Italia. Dal 2011 è curata da Silvio Sosio.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateDec 22, 2020
ISBN9788825414219
Robot 91

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    Book preview

    Robot 91 - Silvio Sosio

    Stop

    EDITORIALE

    Altri mondi

    Silvio Sosio

    Nelle scorse settimane ho dedicato un po’ di tempo a rivedere, impaginare e sistemare l’autobiografia di Frederik Pohl, Com’era il futuro (The Way the Future Was), che uscirà in gennaio in cartaceo e ebook da Delos Digital.

    Devo dire: adoro questo tipo di libri. Sempre con Delos Digital abbiamo pubblicato, poco tempo fa, Ciao, sono Jack Vance!, un’altra autobiografia che racconta più o meno gli stessi decenni, anche se vissuti in modo totalmente diverso. Vance viveva per viaggiare, ha percorso il mondo in lungo e in largo; scrivere per lui era solo un modo per potersi pagare il prossimo viaggio, e il mondo della fantascienza lo viveva con molto distacco e un po’ di stupore quando di trovava davanti gente che lo adorava e lui non capiva bene perché. Pohl, al contrario, era un cittadino convinto, newyorkese fino al midollo, e immerso fino al collo nella mondo e nella comunità della fantascienza.

    Le autobiografie di questi due grandi autori – che non si sono neppure incrociati molto spesso, nelle loro carriere – hanno però una cosa in comune, che è uno dei motivi per cui, come dicevo, adoro questo tipo di libri. Descrivono un’epoca non molto lontana, un secolo fa più o meno, che oggi sembra così aliena, così diversa. Un altro mondo. Più facile, più semplice, più vivo.

    Pohl racconta di quando, a dieci anni, scoprì la fantascienza sulle pagine di Science Wonder Stories, la rivista che Gernsback aveva fondato dopo essere stato estromesso da Amazing Stories. Asimov la scopriva più o meno negli stessi anni, standosene rintanato nella drogheria del padre; Pohl invece era un girovago, prendeva la metropolitana ed esplorava la sua città in lungo e in largo. Immaginate con gli occhi di oggi un ragazzino di quarta elementare che se ne va in giro da solo per Milano o Roma.

    Prima della maggiore età Pohl aveva già partecipato a una decina di club di appassionati diversi, aveva fondato i Futurians (ai quali tra gli altri era iscritto anche Asimov), era diventato un piccolo dirigente locale della Lega giovanile comunista, aveva combattuto e perso una guerra per l’organizzazione della prima Worldcon, a New York nel 1939. A diciotto anni aveva già pubblicato una poesia su Amazing Stories, e a venti un racconto scritto insieme all’amico Cyril M. Kornbluth su Super Science Stories.

    Soldi ne giravano pochissimi, gli Stati Uniti si stavano ancora riprendendo dalla Grande crisi, ma c’erano un sacco di idee, di voglia di fare. Si respira davvero, in quelle pagine, l’humus dal quale non poteva nascere che un genere letterario come la fantascienza.

    Poi questo mondo fatato sparisce, improvvisamente, quando nel 1941 gli Stati Uniti entrano nella Seconda guerra mondiale. Pohl stesso si arruola e finirà per arrivare in Italia, dove imparerà anche la nostra lingua. Una generazione che tornerà a casa con negli occhi gli orrori della guerra, ma almeno l’orgoglio per aver combattuto il male assoluto, il nazismo; diversamente, negli anni Settanta, un’altra generazione verrà rovinata da un’altra guerra altrettanto sanguinosa ma persa e priva di chiare giustificazioni morali, quella del Vietnam.

    Gli Stati Uniti sono stati cambiati profondamente dalle guerre del ventesimo secolo. Secondo alcuni, i reduci hanno portato la guerra a casa con loro. Dalle porte delle case lasciate aperte si è passati a porte blindate e allarmi. La criminalità è esplosa, i morti per armi da fuoco si sono moltiplicati. Tutto è diventato più complicato, più pericoloso.

    Oggi gli Stati Uniti sono probabilmente a un passaggio altrettanto drammatico della loro storia. Stanno perdendo un valore che le ferite precedenti avevano senz’altro scalfito ma non erano riuscite a spezzare, la loro fiducia nel sistema democratico. Una crisi che, per carità, non nasce ora e ha radici profonde, ma alla quale l’era Trump, col disprezzo per le istituzioni, per il fairplay politico, esposti apertamente, senza remore, ha impresso una decisa accelerazione.

    In particolare con questo finale di partita pazzesco, in cui metà degli americani si è come trasferita in una timeline alternativa, un universo dove software sviluppati da dittatori comunisti hanno dirottato milioni di voti dai repubblicani ai democratici, in cui hanno votato legioni di persone morte da secoli, in cui persino la Corte Suprema ha tradito la democrazia negando ascolto alla causa sollevata dal Texas contro la Pennsylvania e altri stati. Sembra di vivere in diretta uno di quegli eventi che generano quella divergenza che dà vita a una storia alternativa in un romanzo ucronico (Harry Turtledove, maestro del genere, ha declinato ogni responsabilità).

    E lascia interdetti come non solo i fanatici dei social, ma governatori e deputati si accodino a questa follia. Metà (meno della metà, per fortuna) degli Stati Uniti è convinta che le elezioni siano state rubate, non ha più fiducia nel sistema democratico e in quello giudiziario. È una ferita che sarà molto dura risanare, e che potrebbe condurre a esiti che preferiamo evitare anche di ipotizzare.

    Per il momento ci limitiamo a sperare che sia più o meno finita qui almeno la vicenda delle elezioni. Scriviamo il giorno dopo la ratifica dei voti del collegio elettorale, ma fino al venti gennaio 2021 la parola fine non verrà scritta veramente. Speriamo accada in modo pacifico e senza sorprese.

    Il 2020 ha lasciato ferite enormi, non solo negli USA ma in tutto il mondo. L’Italia è uno dei paesi che ha subito in modo più violento la brutalità della pandemia. Ma anche nel nostro piccolo mondo fantascientifico ci sono stati dolorosi addii. Ci hanno lasciati l’amico Mike Resnick, tante volte presente sulle nostre pagine, e Ben Bova. Ci ha lasciati Gianni Montanari, curatore millenni fa di Galassia insieme al nostro Vittorio Curtoni, e, soprattutto, ci ha lasciati l’altro grande Vittorio, Vikk Catani.

    Sono diventato amico di Vittorio in un bagno di Courmayeur. 1996, direi. No, in realtà ovviamente lo conoscevo già prima, faceva parte di quella parte del fandom che per me, allora giovanotto pieno di idee secondo me rivoluzionarie, rappresentava il vecchio da rottamare. Senonché davanti ai lavandini di quel bagno ci trovammo a chiacchierare, lui aveva scoperto la nostra rivista online Delos e mi proponeva di collaborare, e io capii che non avevo davanti un vecchio da rottamare, tutt’altro. Come in realtà altri personaggi più o meno della stessa generazione di Vittorio che avrebbero dato vita alla Delos di quell’epoca, come Valla, Vegetti, Curtoni stesso, Vikk era apertissimo alle novità, le cercava, le esplorava in tutti i modi. Aveva espresso la sua creatività fantascientifica nei modi più diversi, dal teatro alla radio.

    Vikk è stato per me, quindi, una sorta di primo collegamento tra me e il passato della fantascienza italiana, e non ha caso ha curato, prima su Delos e poi su Robot, la pubblicazione di racconti di autori retrofuturibili, un excursus nella storia della fantascienza italiana, un recupero di tante gemme dimenticate. Operazione che ha finito per appassionare anche me, che spesso e volentieri ho riproposto nelle collane digitali da me dirette romanzi e racconti salvati dall’oblio.

    Forse c’è un po’ di questo spirito anche nella scelta di pubblicare il libro di cui dicevo prima, Com’era il futuro. Anche Pohl aveva collaborato con Robot, gli avevo chiesto se potevo tradurre e pubblicare articoli presi dal suo blog, che di quel libro costituivano una sorta di seguito. Aveva accettato con entusiasmo, felice anche di potersi leggere in italiano e recuperare un po’ quella lingua che aveva imparato durante la guerra. Noi abbiamo un’idea di Frederik Pohl come di una sorta di rottamatore, per tornare su questo termine, un protagonista della social science fiction che negli anni Cinquanta e Sessanta, dalle pagine di Galaxy e If, rivoluzionò il genere che era stato forgiato da Campbell. Ma Pohl è stato al centro del mondo della fantascienza fin dai suoi veri inizi, quando Hugo Gernsback chiamava a raccolta i suoi lettori creando da zero il fandom

    Illustrazione di Matteo Di Gregorio

    NARRATIVA

    Come se fossero l’ultima cosa

    S.L. Huang

    Traduzione di Marco Crosa

    S.L. Huang (le iniziali stanno per Shi Lian, ma potete chiamarla Lisa) è nata nel New Jersey ma vive in California, dove da tempo lavora per l’industria dello spettacolo, sia come armorer (consulente per le armi in film e serie tv) sia come stunt. Tra le produzioni cui ha partecipato, la più nota da noi è Battlestar Galactica. Per intraprendere questo tipo di carriera non sappiamo che utilità possa aver avuto la laurea in matematica conseguita al MIT, cosa che invece deve esserle servita per ideare la sua eroina Cas Russell, genio matematico dotata di speciali poteri e protagonista finora di tre thriller ambientati in un futuro prossimo. Oltre a questi, ha scritto anche un romanzo fantasy e una dozzina di storie brevi. Riassumendo: abbiamo una donna di etnia cinese che si dichiara genderqueer, laureata in una università prestigiosa, che fa un lavoro da maschi e ha vinto lo Hugo 2020 per il racconto che qui presentiamo. Leggetelo, e poi leggete anche l’articolo di Salvatore Proietti in questo stesso numero, infine chiudete gli occhi. Vedrete John W. Campbell che si rivolta nella tomba…

    Maggiori info: www.slhuang.com. (FL)

    Una folla sempre più numerosa di dimostranti arrancava ostinata nella neve turbinante, raggomitolata in rotondità contro il freddo fino a somigliare a uno sciame di testardi scarabei. Andavano avanti e indietro, marciando in un anello tremolante, le teste basse per ripararsi dal vento, ma le voci stridule mentre iniziavano a intonare:

    Non uccidete i bambini, uccidete i rogo!

    Prima che ci distruggiamo tutti da soli!

    Dalla finestra del solaio, tre piani più su, Nyma li guardava arrancare e schiamazzare. Non poté fare a meno di pensare che non avevano nemmeno uno slogan orecchiabile. Rogo non era nemmeno una parola troppo difficile da rimare: giogo, sfogo, affogo…

    Appoggiò la fronte alla finestra. Il vetro era freddo.

    Non si era accorta che il suo tutore era sulla soglia alle sue spalle. A dire il vero, Tej aveva aperto bocca per parlare varie volte, per inghiottire solo l’aria fredda senza dire niente. Cercava, a voler proprio grattare sotto le illusioni – e Tej non era uno che mentiva a se stesso, se poteva evitarlo – di avere la meglio su di sé in un conflitto morale.

    Fallì.

    – Non dovresti guardarli – disse a Nyma. Che la Pace lo aiutasse, se in quel solaio non si gelava! Rincantucciò le mani nelle maniche della veste, chiedendosi come facesse Nyma a non rabbrividire.

    I bambini erano sempre così resistenti. Troppo resistenti.

    – È compito mio, adesso – disse Nyma alla finestra, le parole che si condensavano come nebbia sul vetro.

    – Non dev’essere per forza così. – Ora che Tej aveva rotto il silenzio, le parole gli uscivano come se volessero uncinare il cuore della bambina e tenerla lì. – Questo lo capisci, vero? Puoi… puoi dire di no.

    Nyma lo sapeva. I suoi tutori glielo avevano insegnato: avrebbe sempre avuto una scelta. Ma le avevano anche insegnato perché il suo dovere era così vitale, e perché quel dovere doveva essere svolto da una persona giovane: se non lei, uno dei suoi compagni di classe.

    E lei ci credeva. Credeva nell’Ordine e in tutto ciò che rappresentava.

    Morire la spaventava. Moltissimo. L’idea della morte era così intollerabilmente grande e scura che non riusciva neppure a immaginarla. Ma non la spaventava abbastanza da spezzare la sua fede – non quando a essere estratto era stato il suo nome.

    Naturalmente, nei newsfeed si diceva che non lei non avrebbe dovuto affatto poter scegliere quella vita, si malediceva l’Ordine perché seguiva le antiche usanze. I bambini di dieci anni sono troppo giovani per acconsentire; non sono in grado di prendere la decisione da soli; è inumano! Alcune di quelle persone volevano che l’Ordine venisse sciolto. Altre volevano che i suoi precetti fossero riservati solo agli adulti, a gente che aveva superato la magica soglia dell’essere capaci di dire sì a salvare il mondo.

    Quegli stessi newsfeed erano decisamente meno sicuri se fare scempio delle tradizioni dell’Ordine avrebbe significato anche smantellare l’arsenale nazionale di missili rogo.

    – Me l’hai insegnato tu – disse Nyma a Tej. – È importante. Noi siamo importanti. – Non quanto la tua vita, voleva gridare Tej, voleva avvolgerla dentro di sé come se fosse sua figlia invece che una sua allieva, anche se ciò tradiva ogni fibra di quello per cui aveva sempre lottato. – Non devi essere per forza tu – riuscì a dire invece. – Noi non sapevamo che sarebbe stato… così. Puoi dire di no. Puoi dire di no a lui.

    Nyma diede le spalle alla finestra, le lentiggini che si scurivano sulla pelle chiara, gli occhi così grandi che le riempivano mezza faccia. – Lui fa paura – bisbigliò. – Verrai con me? Quando dovrò incontrarlo?

    Allora Tej dovette girarsi, perché non voleva che Nyma vedesse piangere uno dei suoi tutori.

    Nessuno credeva che Otto Han avrebbe vinto le elezioni. Era il candidato più taciturno e meno probabile, quello che aveva continuato a mantenere la posizione nei sondaggi quando tutti gli altri si erano ormai sfiatati a forza di gridare. Non era nemmeno quello che aveva preoccupato maggiormente l’Ordine, all’inizio; quell’onore era spettato alla demagoga che soffiava sul fuoco della guerra che imperversava fino a far gridare d’estasi violenta i suoi sostenitori. Si era bruciata più fulgida e veloce dell’ondata di furia che lei stessa aveva suscitato nel popolo. La tensione nell’Ordine si era dissolta in un palpabile sollievo quando era crollata nell’opinione pubblica, pur lasciandosi dietro una spruzzata di dimostranti arrabbiati che gridavano Abbiamo i rogo, dovremmo usarli!

    Non capivano. Avevano dimenticato. L’Ordine era stato costruito per non dimenticare.

    Fu solo due settimane prima delle elezioni che un cronista chiese a Otto Han la sua opinione sui missili rogo. – Penso che abbia senso, dal punto di vista militare, che per la protezione del nostro Paese si impieghi ogni strumento a nostra disposizione – aveva risposto. – Siamo in guerra. Tutte le carte dovrebbero essere sul tavolo.

    La risposta aveva scatenato il panico nell’Ordine, ma ottenuto ben poca risonanza altrove. Gli Anziani dell’Ordine chiamarono i loro contatti nei newsfeed, chiedendo agli altri giornalisti di fare forte pressione su Han e fargli le domande importanti prima che fosse troppo tardi.

    Come può giustificare un’arma capace di vaporizzare un’intera città in un solo istante – edifici, bambini, ospedali, prigionieri di guerra, milioni di civili innocenti, ogni cosa nel raggio di centinaia di chilometri – tutto andato? Come può questo non essere un crimine di guerra?

    Come può riconciliare ciò con la storia, la nostra storia, come unico paese al mondo che ha visto usare contro di sé le armi rogo? Come può fare ciò che noi abbiamo sempre considerato impensabile?

    E infine, la domanda più importante per una bambina di dieci anni dell’Ordine e per chi la conosceva:

    Vuole davvero usare quelle armi tanto da essere disposto a fare ciò che richiede la legge e assassinare con le sue mani una bambina della sua stessa terra per assicurarsene la disponibilità?

    Ma non ce n’era stato il tempo. Nessuno aveva posto a Han una qualsiasi di queste domande fino a dopo la sua vittoria.

    La poesia alla quale Nyma riandava più spesso era stata scritta da Akuta Myssoutoi duecento anni prima, dopo che perse tutta la sua famiglia nella distruzione della Capitale.

    La neve cade sul nulla.

    Vorrei tre piccoli sepolcri per posarvi l’incenso

    Ma gli echi non hanno tombe.

    La tristezza dei versi era stata un punto di riferimento per le convinzioni in cui era stata educata, una riconferma della giustezza dell’Ordine.

    Ora le parole di quell’ultima strofa continuavano a girarle in testa, riecheggiando sorde. Dietro di loro incombeva l’immagine granitica del presidente Otto Han, torreggiante su di lei con un coltello in pugno, le mani grondanti del cremisi del suo sangue.

    Afferrò la mano di Tej. La paura le affinava oltremisura tutti i sensi.

    Era normale essere spaventati, no? Purché facesse il suo dovere. Il torace le doleva sulla cicatrice dove i chirurghi avevano impiantato la capsula. Ormai era passato più di un mese dopo l’elezione ma prima dell’insediamento ufficiale di Han. In quel periodo, il dolore era diventato parte di lei.

    Lei e Tej camminavano insieme per i lunghi portici della Capitale, il metallo e la pietra splendenti nel cielo attorno a loro. Un uomo alto e scuro, una bambina piccola e pallida, e nessuno avrebbe saputo dire chi stringesse più forte la mano di chi.

    Quando raggiunsero la Torre, il nuovo presidente non li fece aspettare. Una sfilza di inservienti in elegante livrea li fece entrare subito, senza nemmeno chiedere chi fossero. Anche se le loro tuniche non li avessero fatti risaltare, i loro volti qui erano già conosciuti. Otto Han si alzò da dietro la scrivania per accoglierli con un inchino rigido ma cortese. Tej si inchinò rigidamente in risposta.

    Di persona sembra molto più imponente, pensò inebetita Nyma. Ed era rigido. Come se, toccandolo, ci si potesse rompere una mano.

    – Anziano Rokaya – disse il presidente a Tej in quello che si poteva scambiare per un saluto. – E questa dev’essere la mia portatrice.

    – Sì, signore – disse Nyma. – Il mio nome è....

    – Non voglio sapere come ti chiami. – Tornò a rivolgersi a Tej. – I sacerdoti del vostro Ordine sono bestie. Questa è una cosa barbara.

    – Si chiama Nyma – disse sommesso Tej, ma i suoi pensieri non erano altrettanto sereni. Sono i rogo a essere crudeli. Il fatto di scatenare questa barbarie è una scelta tua, non nostra. Il presidente poteva dire, anche in quel momento, che non avrebbe usato le armi che sfidavano l’umanità intera e che potevano segnare la fine di ogni vita sul mondo. Poteva proclamare che Nyma sarebbe rimasta incolume e che il ruolo sarebbe stato cerimoniale come era stato in passato.

    Era lui che rifiutava di farlo.

    – Sono stato informato – disse Han – e ho detto ai miei generali: sono passati secoli, di sicuro avremo trovato un modo migliore. Ma voialtri vi siete insinuati nelle radici nelle nostre leggi, vero?

    – Riteniamo che sia questo il modo migliore, signore. – Non era stato Tej a rispondere, ma Nyma, spingendo le parole oltre la secchezza della sua bocca. Devi parlare al presidente. Devi fare parte della sua mente, della sua vita. Le parole dei suoi tutori erano un rullo di tamburi nella sua testa.

    Han riportò la sua attenzione su di lei e Nyma tremò.

    – Ma certo che lo ritenete – disse. Si girò di nuovo verso Tej. – Le avete insegnato a dire queste cose, e se poi mi servono i codici delle armi che potrebbero proteggerci tutti, le mettete dentro una bambina e mi dite che devo macellarla. Siete spregevoli.

    Tej dovette sforzarsi di mantenere un’espressione impassibile. – Signore.

    – Sapete cosa stanno facendo le Isole Baron al nostro popolo nei territori meridionali in questo stesso istante? Sapete cos’hanno giurato di fare alla gente di Koivu e Mikata? Anche Koivu ha i missili rogo. Se gli Isolani mettono le mani su questa tecnologia… credetemi, non costringeranno i loro capi a uccidere bambine per usarla. E anche se lo facessero, quei capi non esiterebbero.

    Tej avrebbe potuto discutere ognuna di quelle argomentazioni per ore. Avrebbe potuto sottolineare equilibri di potere e questioni morali, o esporre la dottrina basilare dell’Ordine, che nessuno sarebbe dovuto essere in grado di premere un bottone dalla sicurezza di un ufficio e sterminare tanti bambini senza volto in un luogo lontano, se non riusciva a giustiziare neppure l’unico che aveva davanti.

    Senza quel fardello, come avrebbe fatto qualsiasi presidente a capire appieno ciò che faceva quando chiedeva di usare quelle armi?

    – Mi è stato detto che lei deve diventare la mia ombra – disse Han. – Mi è stato detto che non posso rifiutare.

    – È esatto, signore – rispose Tej. La portatrice doveva sempre essere presente nel caso che, la Pace ce ne scampi, ci fosse stato bisogno di lei. Ma se fosse riuscita anche a stabilire un contatto emotivo, avrebbe potuto salvare non solo la propria vita, ma anche quelle di altri milioni, ed era quella la missione dell’Ordine.

    – D’accordo, Anziano, puoi andare. Nyma, dico bene? – Il presidente torreggiava su di lei.

    – Sì, signore.

    – Spero che tu capisca. Io non voglio questo.

    Nyma non

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