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Le chiese cristiane e l'ebraismo (1947-1982): Raccolta di documenti a cura di Giovanni Cereti e Lea Sestieri
Le chiese cristiane e l'ebraismo (1947-1982): Raccolta di documenti a cura di Giovanni Cereti e Lea Sestieri
Le chiese cristiane e l'ebraismo (1947-1982): Raccolta di documenti a cura di Giovanni Cereti e Lea Sestieri
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Le chiese cristiane e l'ebraismo (1947-1982): Raccolta di documenti a cura di Giovanni Cereti e Lea Sestieri

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Il coraggio di riproporre oggi nella sua forma integrale la prima edizione di Le chiese cristiane e l’ebraismo. 1947-1982 è dato dal fatto che essa riporta i principali documenti relativi ai rapporti fra i cristiani e gli ebrei che sono stati pubblicati negli anni Sessanta e Settanta, cioè nell’epoca nella quale si è realizzata la grande conversione, prima nella chiesa cattolica e poi anche nelle altre chiese cristiane, nell’attenzione all’ebraismo e nell’atteggiamento verso gli ebrei. A dieci anni di distanza dalla promulgazione del documento conciliare Nostra Aetate, i vescovi americani potevano scrivere: “Questo decen - nio ha rappresentato un periodo unico nella storia della chiesa per le relazioni fra cristiani ed ebrei” (1975). Ed è in quest’epoca che si avvia quel nuovo rapporto di dialogo e di fraternità fra cristiani ed ebrei che ha consentito di giungere oggi, allargando il campo anche ad altri sog - getti, alla pubblicazione di un’enciclica come Fratelli tutti che ci invita a realizzare una fraternità universale per assicurare un futuro di giustizia e di pace alla nostra umanità e alla nostra Terra.
LanguageItaliano
Release dateDec 18, 2020
ISBN9788865127391
Le chiese cristiane e l'ebraismo (1947-1982): Raccolta di documenti a cura di Giovanni Cereti e Lea Sestieri

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    Le chiese cristiane e l'ebraismo (1947-1982) - Giovanni Cereti

    Giovanni Cereti e Lea Sestieri

    Le chiese cristiane e l'ebraismo (1947-1982)

    Raccolta di documenti a cura di Giovanni Cereti e Lea Sestieri

    © 2021, Marcianum Press, Venezia

    Marcianum Press

    Edizioni Studium S.r.l.

    Dorsoduro 1 - 30123 Venezia

    Tel. 041 27.43.914 - Fax 041 27.43.971

    marcianumpress@edizionistudium.it

    www.marcianumpress.it

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Marcianum Press – Edizioni Studium sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium. it/content/comitato-scientifico-0.

    Impaginazione e grafica: Massimiliano Vio

    ISBN 978-88-6512-739-1

    ISBN: 9788865127391

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Prefazione alla seconda edizione. I vent’anni che hanno cambiato i rapporti fra cristiani ed ebrei, di Giovanni Cereti

    Introduzione

    Nota dei curatori

    Parte Prima

    1. Conferenza internazionale contro l’antisemitismo, I dieci punti di Seelisberg (5 agosto 1947)

    2. Assemblea costitutiva del Consiglio ecumenico delle chiese, L’atteggiamento cristiano nei confronti degli ebrei (Amsterdam 1948)

    3. Katholikentag (Assemblea dei cattolici tedeschi) di Magonza, Risoluzione sugli ebrei e sull’antisemitismo (1-5 settembre 1948)

    4. Chiesa evangelica tedesca, Dichiarazione del sinodo di Weissensee (27 aprile 1950)

    5. Gruppo di teologi protestanti e cattolici, Tesi di Bad Schwalbach (maggio 1950)

    6. Lettera pastorale del cardinal Liénart, vescovo di Lilla, La questione ebraica e la coscienza cristiana (14 febbraio 1960)

    7. Kirchentag degli evangelici tedeschi, Dichiarazione in occasione del processo Eichmann (22 luglio 1961)

    8. Assemblea di Nuova Delhi del Consiglio ecumenico delle chiese, Risoluzione relativa all’antisemitismo (1961)

    9. Card. Agostino Bea, presidente del Segretariato per l’unione dei cristiani, Sono gli ebrei un popolo «deicida» e «maledetto da Dio?» Articolo preparato per «Civiltà Cattolica», giugno 1962

    10. Card. Agostino Bea, Relazione al Concilio Ecumenico Vaticano II sul cap. 4 dello schema sull’ecumenismo, relativo ai rapporti con gli ebrei (69a Congregazione Generale, 19 novembre 1963)

    11. Card. Agostino Bea, Discorso al capitolo generale della Congregazione di Nostra Signora di Sion (15 gennaio 1964)

    12. Federazione luterana mondiale, Dichiarazione di Logumkloster sull’antisemitismo (1964)

    13. Card. Agostino Bea, Relazione al Concilio Vaticano II sullo schema «de judaeis et non christianis» (88a Congregazione Generale, 25 settembre 1964)

    14. Concilio ecumenico Vaticano II, Dichiarazione sulle relazioni della chiesa cattolica con l’ebraismo Nostra Aetate, n. 4 (28 ottobre 1965)

    15. Card. Agostino Bea, Il popolo ebraico nel piano divino della salvezza («Civiltà Cattolica», 1965, IV, 209-229)

    16. Consiglio protestante belga per le relazioni fra ebraismo e cristianesimo, Dichiarazione (1967)

    17. Dipartimento Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle chiese, La chiesa e il popolo ebraico (Bristol, febbraio 1967)

    18. Conferenza episcopale degli Stati Uniti, Direttorio per le relazioni ebraico-cristiane (marzo 1967)

    19. Sinodo pastorale cattolico di Santiago del Cile, Dichiarazione sulle relazioni ebraico-cristiane (16 settembre 1967)

    20. Colloquio ebraico-cattolico di Bogotà, Raccomandazioni comuni (20-21 agosto 1968)

    21. Concilio pastorale della chiesa cattolica olandese, Progetto di rapporto sulle relazioni fra ebrei e cristiani e raccomandazioni pastorali (5-8 aprile 1970)

    22. Sinodo della chiesa riformata olandese, Proposte per una riflessione teologica su Israele, popolo, terra, stato (1970)

    23. Sinodo diocesano di Vienna, Dichiarazione sulle relazioni fra cristiani ed ebrei (23 ottobre 1970)

    24. Kirchentag di Augsburg, Dichiarazione comune cattolico-protestante sui compiti ecumenici (Pentecoste 1971)

    25. Sinodo metropolitano di New York della chiesa luterana d’America, Risoluzione relativa agli scritti di Martin Lutero sugli ebrei (26 settembre 1971)

    26. Colloquio di New York fra ebrei e greci-ortodossi, Il dialogo fra la chiesa greco ortodossa e la comunità ebraica (25-26 gennaio 1972)

    27. Assemblea generale della chiesa metodista unita, Dichiarazione sul dialogo interreligioso fra ebrei e cristiani (Atlanta, Georgia, 1972)

    28. Comitato episcopale francese per le relazioni con l’ebraismo, Orientamenti pastorali circa l’atteggiamento dei cristiani nei confronti dell’ebraismo (Pasqua 1973)

    29. Gruppo di studio sulle relazioni ebraico-cristiane delle chiese USA, Dichiarazione ai nostri fratelli cristiani (31 maggio 1973)

    30. Comitato «Chiesa e popolo d’Israele» della Federazione protestante francese, Dichiarazione sugli «orientamenti pastorali» del Comitato Episcopale Francese (12 dicembre 1973)

    31. Commissione per le relazioni religiose della chiesa cattolica con l’ebraismo, Orientamenti e suggerimenti per l’applicazione della dichiarazione conciliare Nostra Aetate n. 4 (1 dicembre 1974)

    32. Paolo VI al Comitato internazionale di collegamento fra la chiesa cattolica e l’ebraismo, Chiesa cattolica ed ebraismo (10 gennaio 1975)

    33. Chiesa evangelica di Germania, Documento di lavoro: cristiani ed ebrei (24 maggio 1975)

    34. Conferenza episcopale degli Stati Uniti, Messaggio pastorale sulle relazioni ebraico-cristiane (20 novembre 1975)

    35. Sinodo nazionale della Germania Federale, Un nuovo rapporto con la storia di fede del popolo ebraico (18-23 novembre 1975)

    36. Fraternità ecumenica di ricerca teologica in Israele, Appello alle chiese di tutto il mondo sul vero significato del sionismo (30 novembre 1975)

    37. Tommaso Federici al Comitato di collegamento chiesa cattolica-ebraismo, La missione e la testimonianza della chiesa (Venezia, marzo 1977)

    38. Conferenza regionale europea della Fraternità mennonita, Dichiarazione relativa ai rapporti con gli ebrei (maggio 1977)

    39. Card. Jan Willebrands, Catechesi e giudaismo. Intervento al Sinodo dei vescovi del 1977 dedicato alla «Catechesi» (18 ottobre 1977)

    40. Card. Jan Willebrands, presidente della Commissione per le relazioni religiose con l’ebraismo, Lettera al Card. L.J. Suenens, arcivescovo di Bruxelles e Malines (28 ottobre 1977)

    41. Lettera del Card. Villot, Segretario di Stato, al card. Marty, arcivescovo di Parigi, La figura e l’opera di Jules Isaac (22 dicembre 1977)

    42. Sinodo della chiesa evangelica di Renania, Messaggio in vista del dialogo fra ebrei e cristiani (13 gennaio 1978)

    43. Segretariato della Conferenza episcopale tedesca, La chiesa cattolica ed il nazional-socialismo (31 gennaio 1979)

    44. Giovanni Paolo II a esponenti delle organizzazioni ebraiche, Un fraterno dialogo fra cristiani ed ebrei a vantaggio dell’umanità (12 marzo 1979)

    45. Comitato centrale dei cattolici tedeschi, Punti teologici fondamentali del dialogo fra ebrei e cristiani (24 aprile 1979)

    46. Conferenza episcopale tedesca, Rapporti fra chiesa ed ebraismo (28 aprile 1980)

    47. Card. Jan Willebrands - Rabbino Elio Toaf, Il dialogo cattolici-ebrei nel quindicesimo della Nostra Aetate (25 ottobre1980)

    48. Giovanni Paolo II in Germania, Incontro con esponenti della comunità ebraica a Magonza (17 novembre 1980)

    49. Conferenza episcopale italiana, Introduzione al piano pastorale per gli anni ‘80: comunione e comunità (1 ottobre 1981)

    50. Giovanni Paolo II ai Delegati delle conferenze episcopali per i rapporti con l’ebraismo, Una catechesi oggettiva sugli ebrei e sull’ebraismo (6 marzo 1982)

    Parte Seconda

    1. Memorandum di Nahum Goldmann e Label A. Katz, Lettera di accompagnamento indirizzata il 27 febbraio 1962 a Sua Eminenza il Card. A. Bea, Città del Vaticano (1962)

    2. D. Lattes, rabbino, professore nel Collegio Rabbinico Italiano, Direttore della Rassegna mensile d’Israel, Un appello al concilio ecumenico (1962)

    3. Prof. Elio Toaff, rabbino capo della Comunità israelitica di Roma, La dichiarazione Nostra Aetate n. 4 (1965)

    4. Avv. C. A. Viterbo, direttore del Seminario Ebraico Israel, Una pietra miliare (1965)

    5. J. Lichten, La dichiarazione del concilio sugli ebrei (1965)

    6. Dr. J. Kaplan, Gran rabbino di Parigi, Dialogo con il reverendo padre Danielou (1966)

    7. Dr. Joseph L. Lichten, Riflessioni (1966)

    8. Martin Cohen, prof. di storia ebr. all’Union Hebrew College, New York, Ancora sulla dichiarazione Nostra Aetate, n. 4 (1967)

    9. A. Segre, rabbino, professore nel Coll. Rabbinico Italiano, nella Pontif. Univ. Lateranense, direttore della Rassegna Mensile d’Israel, Gli ebrei e il Vaticano II (1970)

    10. A. Segre, per un colloquio ebraico-cristiano, Orientamenti e suggerimenti per l’applicazione della dichiarazione Nostra Aetate n. 4 (1975)

    11. Rabbino Léon Klenicki, condirettore del Dipartimento di relazioni interreligiose dell’«Anti-Defamation League» della B’nai B’rith, Un punto di vista ebraico (1975)

    12. Rabbino Elio Toaf, Il dialogo cattolici-ebrei nel quindicesimo della Nostra Aetate (25 ottobre 1980)

    13. Comitato internazionale di collegamento cattolico-ebraico Dr. J. L. Lichten, Origine del Comitato internazionale di collegamento cattolicoebraico (1970-1982)

    Postfazione, di Marco Cassuto Morselli

    Prefazione alla seconda edizione. I vent’anni che hanno cambiato i rapporti fra cristiani ed ebrei, di Giovanni Cereti

    Il coraggio di riproporre oggi nella sua forma integrale la prima edizione di Le chiese cristiane e l’ebraismo. 1947-1982 è dato dal fatto che essa riporta i principali documenti relativi ai rapporti fra i cristiani e gli ebrei che sono stati pubblicati negli anni Sessanta e Settanta, cioè nell’epoca nella quale si è realizzata la grande conversione, prima nella chiesa cattolica e poi anche nelle altre chiese cristiane, nella comprensione dell’ebraismo e nelle relazioni con gli ebrei. È in questo periodo che le chiese e le loro organizzazioni internazionali presero meglio coscienza di quanto era accaduto con la Shoah e della parte di responsabilità che avevano potuto avere in essa persone e popoli che si ritenevano cristiani. A parte la solidarietà che si è espressa nel salvare singoli e famiglie dando loro rifugio all’interno delle chiese, dei conventi e delle case di molti cristiani, sono stati troppo pochi coloro che hanno avuto la sensibilità e il coraggio di alzare la voce per denunciare ciò che stava accadendo e che veniva sempre meglio conosciuto. Si era convinti che una denuncia fatta pubblicamente potesse scatenare drammatiche ritorsioni, si guardava al pericolo costituito dal comunismo e dall’Unione Sovietica, e forse non si nutrivano sentimenti sufficientemente fraterni per il popolo ebraico.

    Conclusa la guerra e conosciuta la dimensione della tragedia, le chiese non seppero dire subito parole abbastanza convincenti. Ci vollero circa quindici anni perché dopo tanto silenzio le comunità cristiane giungessero a prendere pienamente coscienza della tragedia che si era consumata e delle sue proporzioni e iniziassero un cammino di conversione. La domanda che non veniva ancora posta nel sollievo della Liberazione, nelle ansie per gli scomparsi nel cammino verso Auschwitz, nel desiderio di lasciarsi alle spalle le sofferenze e il male e guardare al futuro era quella sul rapporto tra l’antisemitismo nazista, lo sterminio degli ebrei d’Europa, e il comportamento secolare della Chiesa nei loro confronti: l’antigiudaismo per intenderci che proprio in quegli anni andava caratterizzandosi come ostilità religiosa verso gli ebrei proprio per distinguerla da quella razzista propria del nazismo [1] .

    E tuttavia, pur in mezzo a tante resistenze e incomprensioni, le intuizioni di alcuni precursori, come coloro che presero parte alla conferenza di Seelisberg nel 1947 (cf. doc. 1) o come Jules Isaac che domandava alle chiese di superare l’insegnamento del disprezzo e di sostituirlo con l’insegnamento del rispetto [2] fecero il loro cammino nel cuore del popolo cristiano. A Trento veniva proibito il culto di san Simonino, così come accadeva in altre chiese locali con culti analoghi nei confronti di bambini della cui morte venivano tenuti responsabili gli ebrei. Dalla grande preghiera d’intercessione del venerdì santo veniva cancellato l’aggettivo ‘perfidi’ che era restato nella preghiera per gli ebrei, dove l’antico significato di ‘infedeli’ era andato perduto mentre esso suonava ben diversamente per chi lo ascoltava oggi. E la riflessione di alcuni spiriti più aperti poneva le basi per quel cambiamento così straordinario, documentato in quasi tutte le pagine di questo lavoro, che condusse a quella che abbiamo definito come un’autentica conversione delle chiese, che hanno cominciato così a domandare perdono a Dio e ai fratelli e sorelle ebrei per le responsabilità che le stesse comunità cristiane poterono avere avuto nel corso della storia nei loro rapporti con l’ebraismo, impegnandosi a lottare contro l’antisemitismo in tutte le sue forme e a instaurare relazioni più fraterne con il popolo ebraico.

    Il ricordo affettuoso e riconoscente di una generazione che ha lavorato per il Concilio e per la riconciliazione fra cristiani ed ebrei

    Se il primato va alla persona, questa nuova edizione di un lavoro uscito nel 1983 è dedicata innanzitutto alla memoria fraterna e riconoscente delle persone che hanno contribuito a questa svolta o che hanno cercato di farla conoscere e che non sono più visibilmente fra noi.

    Il primo nome da fare è quello di Lea Sestieri, coautrice di questo libro, che esce in seconda edizione con il pieno consenso del figlio Claudio Scazzocchio. Lea Sestieri, che ci ha lasciato due anni orsono alla veneranda età di 105 anni, dopo la dolorosa esperienza dell’esilio lontano dall’Italia, legato alle leggi razziali, tornata in patria ha dedicato tutto il resto della propria esistenza a combattere l’antisemitismo e a questo fine a far conoscere meglio gli autori ebrei, curando fra l’altro la collana Radici dell’editrice Marietti, che era iniziata proprio con questo lavoro, al quale essa ha contribuito soprattutto nella selezione dei testi da pubblicare. La sua memoria resta in benedizione.

    L’artefice maggiore della svolta di cui si è parlato, dovuta alla volontà di papa Giovanni XXIII e confermata da papa Paolo VI, fu sul piano operativo il card. Agostino Bea, che onorò l’incarico conferitogli di giustificare il cambiamento alla luce dei testi biblici maturando nel tempo un approfondimento delle proprie prospettive, come mostrano in maniera commovente gli scritti e i documenti che portano la sua firma (doc. 9, 10, 11, 13, 15). Non si potrebbe documentare meglio l’evoluzione del suo pensiero, fondata su una riflessione prolungata sui testi del Nuovo Testamento che egli conosceva bene, un’evoluzione che si è rivelata decisiva per realizzare la conversione della chiesa cattolica e in seguito delle altre chiese nella condanna di ogni forma di antisemitismo passato e presente, nella domanda di perdono quando ciò si è rivelato necessario, insieme alla creazione di un atteggiamento di amicizia e di fraternità nei confronti degli ebrei che egli ha cercato di fomentare in ogni modo nel mondo nuovo che stava aprendosi alla globalizzazione.

    Questo stesso atteggiamento ha caratterizzato tutta l’esistenza di Cornelius van Rijk, che fu il primo segretario della Commissione incaricata delle relazioni della chiesa cattolica con l’ebraismo (e che ricordo, fra l’altro, come mio docente di ebraismo all’Università Gregoriana), e di Tommaso Federici. La riflessione di quest’ultimo sul proselitismo (doc. 37) resta esemplare e testimonia la conoscenza della Bibbia e le convinzioni chiare e leali di questo grande maestro e amico.

    Gli orientamenti maturati dal cardinal Bea e fatti propri dal concilio Vaticano II furono fedelmente custoditi da chi gli succedette nell’incarico di presidente del Segretariato per l’unione dei cristiani, il card. Jan Willebrands, di cui il nostro volume conserva alcune preziose testimonianze (doc. 39, 40, 47).

    Ma a questo punto dovrebbero essere ricordati tanti nomi di persone che hanno portato avanti la riflessione in questo campo e che hanno collaborato con l’ Amicizia Ebraico-Cristiana, con la World Conference of Religions for Peace (oggi più semplicemene Religioni per la Pace), e soprattutto con i Colloqui ebraico-cristiani di Camaldoli, oltre che con innumerevoli altre iniziative e gruppi. Fra tutti, Renzo Fabris, che insisteva perché venisse dato un seguito da parte nostra a questa raccolta di documenti e che ci ha lasciato troppo presto, e la moglie Franca Ciccòlo, entrambi impegnati insieme a Bruno Hussar e a Bruno Segre per il villaggio di Nevé Shalom/Wahat al-Salam dove si sperimentava una convivenza interreligiosa fra musulmani, cristiani ed ebrei. E come non ricordare la coraggiosa testimonianza di Hans Kung, e in particolare l’impegno dei suoi ultimi anni per l’elaborazione di un’etica universale, accettabile da tutte le tradizioni religiose, con la sua convinzione di fondo espressa nel detto: Non c’è pace fra le nazioni se non c’è pace fra le religioni./Non c’è pace fra le religioni senza dialogo fra le religioni./ Non c’è dialogo fra le religioni senza criteri etici globali./ Non c’è sopravvivenza per il nostro pianeta se non c’è un’etica mondiale [3] .

    A tutte le persone ricordate è doveroso aggiungere anche il nome di quanti ci hanno lasciato più di recente, dal carissimo cardinale Carlo Maria Martini, che testimoniò la sua apertura di orizzonti nel suo ministero episcopale e nelle sue meditazioni bibliche, a quello di Maria Vingiani, che nel Segretariato di Attività Ecumeniche (SAE) da lei fondato mise al primo posto il dialogo cristiano-ebraico e che fu all’origine di quella giornata del 17 gennaio dedicata proprio al dialogo fra cristiani ed ebrei, a quello di Paolo De Benedetti, del medico Amos Luzzatto, uomo di dialogo per eccellenza, che fu presidente dell’ Unione delle comunità ebraiche italiane e che è stato esempio di dirittura morale e testimone in prima persona dei valori più alti dell’ebraismo.

    Questi ricordi di persone che insieme a innumerevoli altre si sono impegnate per la conversione delle chiese a un nuovo atteggiamento verso gli ebrei, impegno affrontato spesso con grande sacrificio personale, vuole essere un omaggio a tutta una generazione che prima, durante e dopo il concilio Vaticano II operò per un rinnovamento della chiesa, per una presa di coscienza delle proprie omissioni e dei propri peccati, e per una sincera apertura alla situazione attuale di una nuova comunione fra cristiani ed ebrei.

    Dal 1960 al 1980, i due decenni che hanno conosciuto una svolta nei rapporti fra i cristiani e gli ebrei in gran parte delle chiese cristiane

    Dopo avere ricordato le persone, torniamo al discorso iniziale relativo al valore che conservano ancora attualmente i documenti contenuti in questo lavoro. Nel loro insieme essi ci presentano le ragioni di fondo che portarono a un capovolgimento nelle relazioni fra le comunità cristiane e l’ebraismo, ragioni che restano pienamente valide anche attualmente per contrastare quei focolai di antisemitismo che tornano ad avvelenare il popolo cristiano [4] .

    È infatti proprio negli anni Sessanta e Settanta che vennero pubblicati i documenti decisivi che testimoniano di questo cambiamento radicale negli orientamenti delle comunità cristiane. A dieci anni di distanza dalla promulgazione della Nostra Aetate i vescovi americani potevano scrivere: Questo decennio ha rappresentato un periodo unico nella storia della chiesa per le relazioni fra cristiani ed ebrei (doc. 34). Un autentico kairòs, maturato silenziosamente nei cuori durante gli ultimi anni Quaranta e negli anni Cinquanta, e che ha consentito ai cristiani e non solo a loro di prendere coscienza degli orrori della Shoah e di giungere così a riflettere anche sulle colpe di popoli che si volevano cristiani e di pregiudizi ancora diffusi a livello popolare, portando a cambiare radicalmente atteggiamento, giungendo a condanne decise di ogni forma di razzismo e di antisemitismo ancora purtroppo presenti nella nostra società e cercando di promuovere nuovi rapporti di amicizia e di comunione con il popolo d’Israele.

    Vi è comunque un ulteriore motivo in prospettiva ecumenica che indica la singolarità di questa raccolta e l’importanza di tornare a riproporla. In essa si sentono le voci non solo dei cattolici ma anche delle altre grandi famiglie ecclesiali cristiane, che siano l’ortodossia orientale o le diverse chiese evangeliche fiorite in occidente e oggi diffuse in tutto il mondo. È vero che nella prima parte di questo lavoro troviamo che la maggior parte dei documenti provengono dalla chiesa cattolica, ma vi sono anche documenti approvati da organizzazioni ecclesiali di impronta evangelica che operano a livello mondiale come il Consiglio Ecumenico delle Chiese ( CEC: doc. 2, 8), la Federazione Luterana Mondiale (doc. 12), il dipartimento Fede e Costituzione del CEC (doc. 17), e altri documenti cattolici-evangelici (doc. 24). Ci sono poi le singole chiese in dialogo con gli ebrei, dalle chiese ortodosse (doc. 26) alle famiglie confessionali come le chiese luterane (doc. 25), metodiste (doc. 27), mennonite europee (doc. 38). Spesso vengono pubblicati documenti che affrontano il tema nella prospettiva dei diversi popoli, (Belgio, doc. 16), (Francia, doc. 30), Germania ( doc. 4, 7, 33, 35, 43), Renania (doc. 42), Olanda (doc. 22). I documenti di provenienza da chiese evangeliche diventano più numerosi e approfonditi con il passare degli anni, con una prevalenza più che giustificata delle chiese tedesche.

    Il diverso valore dei vari documenti

    Nella stragrande maggioranza i documenti pubblicati provengono dalle autorità delle singole chiese (segretariati romani, sinodi, chiese locali, ecc,). In qualche raro caso sono documenti frutto di dialogo ebraico-cristiano, come nel colloquio di Bogotà (doc. 20) e nel dialogo cattolici-ebrei in occasione del quindicesimo della Nostra Aetate (doc. 47). Alcuni documenti sono l’esito del lavoro di gruppi di teologi del tutto indipendenti (doc. 5, 36), così come è stato per il gruppo che ha redatto i dieci punti di Seelisberg (doc. 1).

    Fra i documenti che meritano maggiore attenzione dobbiamo mettere al primo posto per la chiesa cattolica la dichiarazione sulle religioni non cristiane Nostra Aetate del concilio Vaticano II, il cui capitolo 4 è dedicato interamente ai rapporti con l’ebraismo (doc. 14). Concepita inizialmente per parlare solo dei rapporti cattolici-ebrei, per ragioni anche politiche la Dichiarazione si allargò a parlare dell’Islam e delle altre religioni, con un’apertura di orizzonti che si rivelò preziosa negli anni successivi, conservando tuttavia il fulcro dell’attenzione al discorso sulle relazioni cattolicesimo-ebraismo.

    Una particolare attenzione merita poi il documento della Commissione per le relazioni religiose della chiesa cattolica con l’ebraismo, costituita presso la Santa Sede, Orientamenti e suggerimenti per l’applicazione della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate n. 4 (doc 31).

    La maggior parte dei documenti tratta dei rapporti con gli ebrei nel passato e nel presente, ma vi sono alcuni documenti consacrati a temi specifici, come l’esistenza dello stato d’Israele, del sinodo evangelico olandese (doc. 22) che propone una riflessione teologica su Israele popolo, terra, stato. Leggendo il Primo Testamento secondo l’esegesi propria della tradizione riformata, giunge con grande acutezza al riconoscimento del legame fra la terra e il popolo d’Israele, ma senza mancare di ricordare le responsabilità che sono legate a questa alleanza senza pentimenti fra Dio e il suo popolo. Abbiamo ricordato poi il testo di Tommaso Federici sul superamento del proselitismo, da non confondere con la necessaria testimonianza di fede (doc. 37), mentre particolare attenzione merita il documento del Sinodo luterano di New York che porta un giudizio severo sugli scritti antiebraici di Martin Lutero (doc. 25), così come non si deve dimenticare una riflessione sul sionismo (doc. 36) o anche il ricordo di singole persone (Jules Isaac, doc. 41).

    Dopo qualche esitazione, si è deciso di ripubblicare anche la seconda parte del lavoro originario, nella quale sono conservati alcuni interventi o estratti di scritti e discorsi di parte ebraica, non frutto di dialoghi ma di prese di posizione personali. Questa parte si rivela preziosa perché aiuta i lettori a prendere coscienza del modo di pensare degli ebrei e del senso di emarginazione e dei timori di nuove persecuzioni dai quali spesso essi sono stati animati.

    Il superamento delle inimicizie e il cammino verso la fraternità

    per un nuovo futuro per l’intera comunità umana

    Il lettore si domanderà certamente che cosa sia avvenuto poi nei rapporti fra ebrei e cristiani nel corso dei quarant’anni trascorsi dalla data di pubblicazione di questo libro.

    Per una documentazione esauriente e molto preziosa, rimando alle pagine redatte per la postfazione da Marco Cassuto Morselli, che ringrazio vivamente anche in questa sede. Qui ci si può limitare a ricordare come gli orientamenti espressi dal concilio Vaticano II e nei documenti qui pubblicati a proposito dei rapporti fra i cristiani e gli ebrei sono stati fedelmente mantenuti nella chiesa cattolica, almeno come atteggiamento di fondo, anche negli ultimi decenni. Meritano di essere ricordati soprattutto alcuni atti o gesti compiuti da papa Giovanni Paolo II, come la visita alla Sinagoga maggiore di Roma del 13 aprile 1986, il viaggio in Terra Santa, la giornata di preghiera per la pace ad Assisi (27 ottobre 1986). Un moltiplicarsi di eventi che vanno nella stessa direzione, come è accaduto in seguito anche per il pontificato di papa Benedetto XVI e di papa Francesco. E la stessa cosa può essere detta per quanto riguarda anche le altre chiese cristiane.

    Un tema divisivo ma che oggi può essere meglio compreso dopo l’apertura degli archivi vaticani relativi al pontificato di papa Pacelli è quello del comportamento della Santa Sede nel corso della guerra, che spinge a cercare soprattutto le ragioni dei silenzi di Pio XII, nonostante tutte le sollecitazioni a intervenire con una condanna chiara e alta del progetto dell’annientamento totale degli ebrei europei deciso dai nazisti. Il perseguimento di un atteggiamento imparziale nei confronti delle due parti in guerra sembra decisivo, ma come disse papa Benedetto XV non senza amarezza nel corso della prima guerra mondiale, la nostra imparzialità ci rende tutti nemici.

    Nel corso degli ultimi anni oltre agli altri documenti ricordati nella postfazione è opportuno sottolineare qui l’importanza del documento della Pontificia Commissione Justitia et pax pubblicato nel 1988: " I pregiudizi razziali. La chiesa di fronte al razzismo. Per una società più fraterna" [5] , nel quale si fa largo spazio agli eventi che riguardano le persecuzioni contro gli ebrei. Un tema che è ripreso nel documento della Commissione per le relazioni religiose con l’ebraismo del 16 marzo 1998, Noi ricordiamo. Una riflessione sulla Shoah [6] .

    Per quanto riguarda l’interpretazione della Scrittura fondamentale è il documento della Pontificia Commissione Biblica pubblicato nel 2001 e che tratta dell’unità dei due testamenti e della possibilità per il cristiano di ricorrere alla Bibbia ebraica: " Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana" [7] .

    Oltre a questi documenti più ufficiali, esistono innumerevoli documenti legati alla discesa in campo, in conformità a una consuetudine soprattutto del mondo anglosassone, di molte organizzazioni private, che rappresentano spesso le grandi componenti del mondo ebraico (ortodossi, conservatori, riformisti o liberali), e che sono entrate in dialogo con analoghe organizzazioni cristiane, il che rende oggi più difficile raccogliere un pensiero unitario, anche se gli orientamenti ultimi vanno tutti nel senso di creare maggiore fraternità fra cristiani ed ebrei.

    L’importanza di nuovi rapporti più amichevoli fra cristiani ed ebrei deve essere sottolineata in un momento in cui l’umanità è chiamata a prendere coscienza dei problemi cui deve far fronte nel futuro, diventando sempre più una sola famiglia e creando rapporti di fratellanza e di sororità a livello universale. Questa linea fu sostenuta in Italia soprattutto da padre Ernesto Balducci, e dalla rivista Testimonianze, che inquadrava i problemi del rapporto fra cristiani e israeliani nell’ottica delle relazioni fra il Nord e il Sud del mondo, mentre la maggioranza a destra e spesso anche a sinistra vedeva i rapporti con gli ebrei e con Israele nella logica Est-Ovest propria della guerra fredda [8] .

    Per fare crescere il senso di eguaglianza e di democrazia così come per assicurare lo sviluppo umano e nello stesso tempo la salvaguardia dell’ambiente, l’apporto dei credenti resta fondamentale. Un filosofo agnostico come Habermas ci ricorda che su questi punti è necessario ricordare che per il bene dell’umanità e del suo futuro non basta fare ricorso alla filosofia, occorre l’apporto anche delle diverse tradizioni religiose che possono mantenere al proprio interno elementi di sapienza e di saggezza capaci di contribuire alla creazione di un futuro giusto e democratico [9] .

    Alla luce di queste considerazioni è necessario riscoprire la fraternità autentica e profonda che deve esistere fra cristiani ed ebrei, eredi insieme della spiritualità del secondo Tempio, di cui condividono le Scritture, i comandamenti e gran parte della liturgia con la quale danno lode all’unico Dio [10] . Essi sono i primi a dover sviluppare un’intesa per dare vita in futuro, assieme ai credenti di tutte le religioni e a tutti coloro che cercano la pace e la giustizia, a un mondo nuovo capace di porre al centro questi valori, anche per salvaguardare il futuro della terra, come ci ricorda in forma molto concreta ed essenziale il documento cristiano-ebraico di Bogotà (doc. 20).

    Anche se le condizioni degli ebrei nelle regioni a prevalenza musulmana non sono state affatto nel corso dei secoli così pacifiche e in grado di consentire una convivenza su un piano di eguaglianza come una certa vulgata ci ha fatto credere [11] , è certo che oggi il coinvolgimento comune delle tre religioni monoteiste in questo cammino appare indispensabile per dare vita al futuro di pace, giustizia e armonia con il creato di cui si è parlato [12] .

    L’orientamento che emerge in una visione d’insieme dei documenti che vengono ripubblicati in questa seconda edizione del nostro lavoro è in sintesi la ricerca di valorizzare anche nei rapporti fra le religioni ciò che unisce piuttosto che quello che divide, in conformità allo spirito del concilio Vaticano II e alla crescita spirituale realizzata nella nostra epoca nelle tre religioni abramitiche, nella prospettiva di giungere un giorno a una collaborazione e a un’intesa non solo fra le chiese cristiane e le altre religioni monoteiste ma con uno spirito capace di coinvolgere anche tutte le altre fedi esistenti nel mondo, in modo da dare vita a una famiglia di credenti in Dio al di là di tutte le religioni e di operare insieme a tutti gli uomini e le donne della nostra terra per realizzare un mondo di giustizia e di pace e per assicurare la stessa sopravvivenza della nostra umanità nel nostro pianeta.

    Dare vita a una fraternità autentica. È lo spirito che anima la nuova l’enciclica di papa Francesco, Fratelli tutti. Lasciamo a lui l’ultima incisiva parola: Le diverse religioni, a partire dal riconoscimento del valore di ogni persona umana come creatura chiamata a essere figlio o figlia di Dio, offrono un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società… Come credenti pensiamo che senza un’apertura al Padre di tutti, non ci possono essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità [13] .

    GIOVANI CERETI


    [1] A. Foa, Quarant’anni dei colloqui ebraico-cristiani di Camaldoli. La preistoria, in AEC. Bollettino dell’Amicizia ebraico-cristiana di Firenze, 2019, n. 3-4, pp. 7-8.

    [2] J. Isaac, Genèse de l’antisemitisme, Paris 1956: Id., L’enseignement du mépris, Paris 1962.

    [3] H. Kung, Ricerca delle tracce. Le religioni universali in cammino, Queriniana Brescia 1993, pp. 9 e 360.

    [4] Dal Rapporto Italia 2020 di Eurispes, pubblicato in questi giorni, emerge per esempio non solo che il 15,6% degli intervistati nega che la Shoah sia effettivamente accaduta, ma che il fenomeno è in vistosa crescita (nel 2004 erano il 2,7%). E che sono in crescita (il 16,1% contro l’11,1% di quindici anni fa) anche coloro che ne ridimensionano la portata, sostenendo che le vittime sarebbero state molte di meno di quelle documentate dagli storici. Non solo. Il 25% (1 su 4) sostiene che gli ebrei controllano il sistema economico e finanziario (la stessa accusa dei tempi del nazismo e del fascismo), mentre per 1 su 5 il loro potere di controllo riguarderebbe anche gli organi di informazione. (F. Farinelli, Antisemitismo e razzismo. Fare i conti con un passato che non passa, in Rocca, 4/2020 del 15/2/2020, p. 32)

    [5] Pontificia Commissione Justitia et Pax, " Il pregiudizi razziali. La chiesa di fronte al razzismo. Per una società più fraterna". Roma 1988, in Enchiridion Vaticanum 11, nn. 1439-1513.

    [6] Commissione per le Relazioni Religiose con l’Ebraismo, Noi ricordiamo. una riflessione sulla Shoah. 16 marzo 1998, in Enchiridion Vaticanum 17, 520-550.

    [7] Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, 24 maggio 2001, in Enchiridion Vaticanum 20, numeri 733-1050.

    [8] Cf. E. Palumbo, Cultura cattolica, ebraismo e Israele in Italia. Gli anni del Concilio e post-Concilio, Brescia Morcelliana 2020.

    [9] J. Habermas, Verbalizzare il sacro. Sul lascito religioso della filosofia, Laterza 2015.

    [10] I cattolici non dubitano che sia rimasta ben salda l’alleanza di Dio con il popolo ebreo. Ciò che resta per il compimento del dialogo è che siano ora gli ebrei a riconoscere che questa stessa alleanza è concepita ed è estesa da Dio a tutti i popoli (R. La Valle, Lettere in bottiglia, Gabrielli editori, 2019, p. 232).

    [11] G. Bensoussan, Gli ebrei nel mondo arabo. L’argomento proibito, Firenze Giuntina 2018.

    [12] Cf. Il villaggio dell’educazione. Un incontro fra i figli di Abramo sull’uomo creatura di Dio, a cura di G. E. Palaia, Assisi Cittadella editrice 2020.

    [13] Papa Francesco, Fratelli tutti, cap. ottavo, Le religioni al servizio della Fraternità nel mondo, nn. 271-272.

    Introduzione

    Quando l’11 febbraio 1939 papa Pio XI venne a morire, sulla sua scrivania fu trovato il progetto quasi ultimato di una enciclica che condannava il razzismo e il nazionalismo. Il papa sotto il cui pontificato il S. Uffizio, alle prime avvisaglie del montare dell’ideologia razzista, aveva pubblicato un decreto, in data 25 marzo 1928, con il quale mentre si sconfessava l’associazione «Amici di Israele», veniva però anche condannato «l’odio verso il popolo che Dio aveva eletto, quell’odio che volgarmente oggi viene indicato con il termine antisemitismo», il papa che il 6 settembre 1938 aveva dichiarato ad un gruppo di pellegrini belgi che «l’antisemitismo è un movimento antipatico al quale noi, noi cristiani, non possiamo avere alcuna parte... l’antisemitismo non è ammissibile. Noi siamo spiritualmente dei semiti», il papa che già per altri motivi aveva condannato nel 1937 il paganesimo nazista, con l’enciclica Mit Brennender Sorge, ora intendeva scendere in campo con una clamorosa dichiarazione pubblica di condanna di quel nazionalismo e di quel razzismo e tanti lutti e distruzioni avrebbero causato nei cinque anni successivi.

    Il suo successore giudicò di dover procedere altrimenti. Per cinque anni la chiesa ed il Vaticano cercarono di prodigarsi prestando assistenza in tutti i casi in cui un intervento era possibile; fra tutte le istituzioni umane, sono le chiese che hanno soprattutto difeso gli ebrei: forse l’80-90% di coloro che si sono salvati, si sono salvati grazie alle chiese ed ai cristiani. Se moltissimo dunque fu fatto sul piano dell’assistenza personale, considerazioni di altro genere, come il desiderio di apparire assolutamente neutrale fra i belligeranti, il timore di vedere aggravata la situazione dei perseguitati, forse il timore di uno scisma nella chiesa tedesca, impedirono al papa ed alla chiesa di prendere posizione con una dichiarazione pubblica.

    Non si trattò però soltanto del silenzio di un papa. Si trattò del silenzio quasi completo di tutta una chiesa, di tutte le chiese, di innumerevoli cristiani. Le eccezioni certo esistettero (dichiarazioni dei vescovi olandesi, del vescovo di Tarbes-Lourdes, ed altre), ma troppo rare rispetto all’entità della tragedia. Abituati, allora ancora più di adesso, ad operare sul piano della carità individuale, di assistenza ai casi singoli, i cristiani non avevano forse ancora pienamente percepito che cosa significasse la necessità di una carità «politica», di un impegno profetico nella storia, di una difesa non soltanto dei propri diritti, ma dei diritti di tutti gli uomini.

    Quando, al tacere delle armi, non soltanto alcuni, ma l’opinione pubblica del mondo intero, venne a conoscenza delle dimensioni della tragedia che era stata vissuta, e soprattutto delle dimensioni dell’Olocausto del popolo ebraico, lo shock provocato fu tale da innescare, sia pure attraverso un processo durato anni, il più grande cambiamento nei rapporti tra cristiani ed ebrei che la storia abbia mai conosciuto.

    Per parecchio tempo non si osò parlare. I primi documenti, che troviamo in questa raccolta, o sono frutto di esigue minoranze profetiche, in qualche modo personalmente coinvolte, o furono soltanto dichiarazioni che si ponevano ancora nell’ottica tradizionale, e che continuavano a vedere gli ebrei soprattutto come oggetto della missione cristiana.

    Poi, per quasi un decennio, come testimonia questo stesso lavoro, fu il silenzio. Un silenzio che però era pieno di sofferenza, perché le certezze del passato stavano andando in crisi. In crisi era ormai la fede nel progresso e nella superiore civiltà dell’occidente, perché lo sterminio era stato realizzato con i metodi della scienza e della tecnica più progredite, da persone che si erano preparate in quelle che erano considerate fra le migliori università del mondo. In crisi la convinzione che l’Europa e l’occidente avessero diritto ad una leadership nel mondo, dopo quello che era avvenuto. La presa di coscienza soprattutto che «lo sterminio era frutto di mancanza di fede, ebraica e cristiana», come dice un documento qui presentato, nel senso che esso rivelò la superficialità e l’incoerenza della fede di tanti cristiani, e come troppo facilmente si fossero considerate cristiane popolazioni che lo erano ancora troppo soltanto di nome, e che contenevano solo minoranze di autentici credenti, capaci di dare il primato all’obbedienza al Signore che parla attraverso la loro coscienza. In ogni caso l’inquietante domanda era ormai stata posta: quanto aveva potuto essere corresponsabile, nel permettere la nascita ed il dirompente affermarsi di un antisemitismo ateo che pagano, quell’antisemitismo sotterraneo che era stato alimentato per secoli nel mondo cristiano? quanto gli avvenimenti di questo secolo avevano potuto essere l’ultima conseguenza di tante affermazioni del passato relative a un popolo «deicida» e «maledetto da Dio»?

    Gli avvenimenti che avevano accompagnato gli anni dell’immediato anteguerra e della guerra diventavano così nella coscienza dei cristiani un vero e proprio «memoriale», un misterioso segno di Dio sul quale si era invitati a riflettere e meditare, un ammonimento del passato che invitava ad operare nel presente ed a preparare un avvenire diverso. Un memoriale che veniva attualizzato anche da voci come quella di Jules Isaac e da libri come il suo Gesù e Israele, che ammonivano i cristiani a fare un esame di coscienza ed a modificare quello che era stato per secoli «l’insegnamento del disprezzo» nei confronti di Israele.

    Dopo anni di silenzio, è così forse il gesto di Giovanni XXIII, che ordina di togliere dalla preghiera del Venerdì Santo l’aggettivo «perfidi» (originariamente certo «infedeli», come aveva già spiegato la S. Congregazione dei riti sotto Pio XII, a seguito dei lavori di Christine Mohrmann, ma comunque ormai usato in altro senso nel linguaggio corrente) che accompagnava l’intenzione di preghiera per gli ebrei, a costituire il primo atto significativo. Poco dopo, incontriamo la lettera pastorale del card. Liénart, che segnala allarmata la ripresa dell’antisemitismo. Passano pochi mesi, ed anche a seguito della visita di Jules Isaac a Giovanni XXIII, ecco il progetto di un documento sugli ebrei da sottomettere al concilio Vaticano II. Il processo Eichmann torna a scuotere le coscienze, specialmente in Germania; alcune chiese cominciano a prendere posizione, con dichiarazioni, con ricerche, con deliberazioni di sinodi.

    Le discussioni del concilio Vaticano II pongono davanti agli occhi di tutti la necessità e il valore di una dichiarazione fatta dai cristiani nei confronti degli ebrei, la difficoltà di poterla fare, l’attesa quasi commovente da parte di tanti ebrei che venga detta una parola diversa. Si iniziano allora studi esegetici e teologici, e di conseguenza cambiano anche gli atteggiamenti interiori: l’itinerario personale del cardinal Bea è un modello ammirabile e stupefacente. Teologi come Karl Barth rendono popolare nel mondo cristiano l’affermazione che esiste un unico vero problema ecumenico, quello dei rapporti fra la chiesa ed Israele. Dall’epoca della missione si passa anche nei confronti di Israele all’epoca del dialogo, nel contesto di un rinnovamento e di una apertura al dialogo di tutta la chiesa e di tutte le chiese. Gli anni sessanta sono caratterizzati da un profondo movimento di rinnovamento, che scuote tutta la chiesa e che trova nel Vaticano II soltanto l’espressione più alta e completa: il movimento del ritorno alle sorgenti, i movimenti biblico, liturgico, patristico, aiutano alla riscoperta della «sorgente» biblica e quindi dello stesso Israele; l’apertura al mondo, il dialogo con le religioni, l’impegno nel mondo contemporaneo per una nuova dignità umana e per una nuova convivenza nella pace e nella giustizia fanno ancora incontrare il popolo d’Israele. Le nuove dimensioni mondiali assunte dall’ecumene cristiana portano a riconoscere tutti i condizionamenti storici e culturali legati all’incarnazione del cristianesimo nel mondo greco e latino e alla necessità di un loro graduale superamento, il che consente tra l’altro un ritorno all’antropologia biblica, il superamento di certi eccessivi spiritualismi, la riscoperta delle dimensioni essenziali della storia della salvezza riletta direttamente nelle Scritture ebraico-cristiane.

    Il presente volume consente di ripercorrere la storia affascinante di questo cambiamento di atteggiamento dei cristiani nei confronti degli ebrei, leggendola direttamente nei documenti, che nella loro successione cronologica mostrano questa progressiva presa di coscienza e questo approfondimento della riflessione cristiana sopra Israele. Naturalmente non hanno potuto essere ripresi tutti i documenti esistenti; crediamo però di non avere omesso nessuno dei testi più significativi. Si noterà come poco per volta tutte le chiese hanno preso posizione, ed hanno parlato su questo argomento, e non soltanto chiese provenienti dalle diverse tradizioni confessionali, ma anche chiese provenienti dai più diversi orizzonti geografici. Si noterà inoltre come il ventaglio dei temi si arricchisce progressivamente, e come anche i punti più difficili vengono toccati con prudenza e delicatezza in varie dichiarazioni.

    Non è possibile dire qui quali conclusioni possano ormai essere considerate pacifiche. Il panorama tra l’altro è in continuo movimento. Quello che appare acquisito, è il cambiamento di atteggiamento, è il passaggio dalla polemica, dalla diffidenza e dalla missione, al dialogo ed alla reciproca fiducia; è il desiderio di considerare gli altri come si considerano essi stessi, rispettandoli nella loro identità anche religiosa. Acquisito è soprattutto il fatto che i cristiani riconoscono gli ebrei, anche nella loro esistenza attuale, come popolo di Dio, perché i doni di Dio sono senza pentimento e Dio è fedele alle sue alleanze. Si riconosce che l’elezione di Israele permane per sempre. Si riscopre il legame con cui il popolo del Nuovo Testamento resta per sempre vincolato alla discendenza di Abramo (NA 4). Per risolvere il complesso problema dei rapporti fra l’uno e l’altro popolo di Dio, si giunge a parlare di un popolo di Dio in sé diviso, formato insieme da ebrei e da cristiani. Si ammette in qualche modo il non ancora pieno compimento del disegno di Dio: Israele e la chiesa sono insieme in cammino verso l’avvento del regno di Dio. Gli uni danno un volto al Messia e riconoscono che i tempi messianici sono ormai definitivamente iniziati, per gli altri il messianismo è misteriosamente all’opera, senza che possa essere riconosciuto in alcun avvenimento decisivo.

    Queste nuove posizioni nel dialogo e nel rapporto fra la chiesa e Israele conducono naturalmente a grandi conseguenze anche per l’approfondimento e la migliore comprensione della stessa teologia cristiana, in particolare della dottrina trinitaria, della cristologia, dell’ecclesiologia, della teologia della storia.

    Esse hanno una grande importanza persino per una migliore interpretazione delle Scritture, che le chiese non possono più leggere pre­scindendo dalla lettura che ne viene fatta dal popolo d’Israele.

    Lo studio di questi documenti si raccomanda pertanto nell’ambito più vasto possibile, perché il cambiamento dei rapporti fra i cristiani e gli ebrei e le conseguenze teologiche e pratiche che ne derivano non debbono restare a livello di specialisti o di iniziati, ma devono entrare il più largamente possibile nella vita e nel modo di pensare dei credenti. È evidente che i documenti qui presentati non hanno né lo stesso valore, né la stessa profondità teologica, né la stessa autorità ecclesiale. Tuttavia documenti provenienti da una chiesa numericamente non significativa possono avere una profondità biblica e teologica che non è raggiunta da testi redatti da chiese ben altrimenti importanti. Le diverse tradizioni confessionali ed anche le diverse caratteristiche culturali si rintracceranno facilmente nel confronto: i documenti americani li troveremo più pragmatici, i documenti tedeschi saranno maggiormente caratterizzati dallo spirito di conversione e dalla domanda di perdono, ed insieme dallo sviluppo della riflessione teologica; qualche altro documento può ancora presentare un linguaggio che appare non gradito o non accettabile da un lettore ebreo.

    A questo proposito si deve tenere però conto del fatto che questi documenti provengono tutti dall’ambiente cristiano: solo eccezionalmente essi possono anche essere frutto di un dialogo o di un confronto con dei fratelli ebrei. Si pongono quindi tutti nell’ottica della fede cristiana ed in essa vanno giudicati e compresi. È vero che la seconda parte di questo volume comprende alcune dichiarazioni di parte ebraica, ma esse non costituiscono dei documenti ufficiali, non provengono da nessuna autorità e non sono il frutto di una elaborazione comunitaria, ma sono per lo più espressione delle convinzioni di singole persone, per quanto importanti possano essere le responsabilità di cui esse sono investite all’interno delle comunità ebraiche. Generalmente si tratta anzi solo di una valutazione di ciò che hanno detto i cristiani. Questo fatto si spiega con gli avvenimenti storici di questi ultimi secoli e con il dovere che hanno sentito i cristiani di fare un esame di coscienza e di ripensare il loro rapporto con Israele. Un atteggiamento analogo da parte ebraica si può considerare appena agli inizi, e sarebbe fuori proposito fare in questa sede una critica di questo fatto. Anche se siamo profondamente convinti che questo libro dovrà essere riscritto in una forma ben più completa, quando questo nuovo atteggiamento di dialogo, questa disponibilità a camminare insieme per l’avvenire, questa capacità di rivedere le proprie forme di preghiera ed i propri giudizi verso gli altri, questa volontà di rinuncia ad ogni senso di superiorità nei confronti degli altri, sarà espressa non soltanto nei documenti di una parte, ma sarà chiaramente manifestata nelle prese di posizione di entrambe le grandi comunità sorelle, la comunità ebraica come la comunità cristiana.

    Molti documenti di questa collezione fanno riferimento anche allo stato d’Israele. Esso continua ad essere segno di contraddizione, in particolare nel momento in cui scriviamo. Non si intende in questa sede prendere posizione su

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